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Capitolo V Centro e periferia

5.4. I Franchi e la frontiera.

Se l’ideologia imperiale giustificò le conquiste di Carlomagno e coagulò le aspirazioni dell’aristocrazia del regno, la nozione che i Franchi avevano dei confini contraddistinse la loro azione politica ed il loro rapporto con la frontiera. Riuscire infatti a comprendere il modo in cui i Franchi percepissero i confini del loro dominio ci può aiutare non solo a comprendere la loro visione del mondo, ma anche i principi che reggevano lo stato che essi avevano creato. Capire la periferia significa infatti comprendere il centro606. Occupando

territori di antica tradizione imperiale, come successe con i Longobardi, i Franchi ereditarono la concezione romana delle frontiere. La struttura interna dello stato romano era infatti ben definita dai confini delle diocesi, i cui limiti delineavano il raggio d’azione dei magistrati e degli ecclesiastici delle varie città dell’impero. Mentre per i confini esterni, il famoso limes, il discorso era differente. Se infatti l’ideologia imperiale propagandava l’idea di Roma come di un impero senza fine, i cui confini coincidevano con quelli della terra stessa, (“spatiam Urbis

est idem spatium orbis”), in verità questi venivano tracciati e conseguentemente difesi607. Le

frontiere non erano però delle semplici linee tracciate su una mappa, ma piuttosto erano delle zone di controllo ed influenza608. Queste potevano allargarsi come restringersi, coincidere

con il confine stesso o allontanarsi da esso per chilometri. L’unico limite stabile nell’Europa

604 Tucidide, La guerra del Peloponneso, BUR, Padova, 2017, V. 605 Hurlet, Les empires, cit. a p. 149.

606 Smith, Fines imperii, cit. a p. 169. “Since all political entities define themselves in part through the nature of

boundaries, ‘peripheral vision may assist in focusing our images of the centre’”.

607 Pohl, The transformation, cit. a p. 249.

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occidentale era quello segnato dalle civitates, ovvero delle diocesi609. Come dimostra

brillantemente Hans-Werner Goetz, d’altra parte, i Franchi elaborarono una propria visione della frontiera partendo dall’eredità romana e quindi arricchendola nei tre secoli di vita del regno610.Uno dei primi autori analizzati da Goetz, ovvero Gregorio di Tours, dimostra di

avere una chiara percezione dei confini fra regni e principati. Nella frammentata Gallia post- romana, dove Visigoti e Franchi cercavano di farsi spazio in ciò che rimaneva dell’amministrazione romana, lo stesso dominio franco si era frammentato in una pluralità di regni differenti, moltiplicando così all’infinto le frontiere politiche611. La precedente

concezione di un autore romano come Orosio, che vedeva ancora il mondo attraverso l’idea imperiale, stava sbiadendo di fronte alla nuova frammentazione politica europea. Così Gregorio riconosceva tutt’intorno a sé numerose nuove frontiere che non erano però un soggetto immobile della geografia europea, ma erano invece caratterizzate da costante cambiamento612. Quando le frontiere cambiavano non veniva però percepito lo slittamento

in avanti o indietro di una linea, bensì il guadagno o la perdita di una città. Questo perché erano generalmente le diocesi, come abbiamo detto, a delimitare le diverse zone d’influenza, e se queste non esistevano o venivano definite ex-novo, come nell’avanzata franca verso Oriente e i territori Slavi, o ci si rifaceva alla tradizione contadina. Queste frontiere erano, nella mentalità degli autori franchi e merovingi, chiari confini fra stati differenti, che potevano essere messe costantemente in discussione e quindi spostate o rimosse. Come accadde infatti fra Avari e Franchi sulla frontiera dell’Enns, i confini potevano essere discussi, o come in questo caso ridiscussi, decidendo quindi di comune accordo un loro cambiamento. Nel 788 non si giunse però ad un accordo e di conseguenza iniziarono le guerre avariche che portarono alla dissoluzione del Khanato avaro e allo spostamento della frontiera del regno franco fino al Danubio.

Il fatto che questi confini fossero chiaramente percepiti da parte degli autori Franchi lo dimostra anche il fatto che essi avevano il vivido sentimento della violazione di una frontiera. Nell’Alto Medioevo infatti, oltrepassare un limite ed entrare nel regno vicino senza alcun diritto veniva: “perceived as a violation of the possessions or rights of a regnum or a gens, in which the

609 Gauvard, Dictionnaire: “Dans la partie de l’Europe médiévale correspondant à l’Empire romain, les seules limites

à peu prés stables feurent celles des anciennes civitates, converties en diocèses”.

610 Hans-Werner Goetz, Concepts of realm and frontiers from late antiquity to the early middle ages: some

preliminary remarks, in Pohl, The transformation, cit. a pp. 73-82.

611 Pohl, The transformation, cit. a p. 79: “[…] the Frankish historiographers not only seem to have had a clear

concept of their state or political order, but also assumed that the realms of their time had clear political borders […]”.

612 Pohl, The transformation, cit. a p. 77: “Gregory recognised that there were frontiers all over, though they might

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act of crossing the frontier did not count as much as what happened then613”. I Franchi possedevano

dunque una duplice percezione della frontiera: essa era una linea, un confine comunemente stabilito o definito dalla tradizione cittadina, ma anche una zona di frontiera, uno spazio di influenza che non poteva essere tracciato sul territorio614. Uno dei grandi cambiamenti portati

dai Franchi in Italia fu il diverso approccio che questi avevano con la frontiera. Tradizionalmente i territori di frontiera erano il palcoscenico perfetto dove si poteva mettere in scena quella guerra a bassa intensità fatta di rapine, saccheggi e furti di bestiame di cui abbiamo già parlato nella definizione della frontiera in età longobarda615. Ma questo era ora

il luogo perfetto dove i nuovi aristocratici Franchi potevano manifestare ogni loro ambizione. La spinta propulsiva dell’aristocrazia, desiderosa di ricchezze e animata dall’ideologia di corte, portò ad una costante espansione al di là del confine friulano dell’Isonzo e delle Alpi. È grazie a questa costante tensione che Baldrico riuscì a governare, col solo titolo di marchese friulano, anche su Carinzia e Carniola. Non si oltrepassavano più i confini con il solo intento di razziare o di vendicare una incursione nemica, ora si cercava di conquistare o assoggettare il proprio vicino. Ogni estate cavalieri Franchi e Longobardi attraversavano la frontiera per saccheggiare e fare bottino ma con un nuovo intento politico: le razzie erano infatti strumenti di pressione politica con i quali si obbligava gli Slavi ad accettare gli accordi che i Franchi proponevano.

Se durante i secoli dell’età longobarda l’oltre frontiera del Friuli era privo di qualsiasi attrattiva di conquista permanente da parte delle élites di Cividale – escludendo l’espansione in Istria sotto il governo di Astolfo –; con i Franchi questi stessi luoghi si arricchirono di un nuovo e travolgente fascino. Slavi ed Avari erano popoli pronti ad essere conquistati ed integrati nel sistema di potere franco, aumentando così di conseguenza le terre private della nobiltà, le cariche comitali e ducali da distribuire nonché i possessi terrieri degli enti ecclesiastici e monastici. Non è quindi un caso che Bhürer-Thierry cita come paragone per la grande espansione franca dell’VIII secolo l’avanzata dei coloni bianchi nelle grandi pianure dell’America del Nord studiata da Turner nel suo The frontier in the American history616. L’autore

sostiene che i coloni europei che conquistarono il grande Ovest non avessero mai visto la frontiera come un limite, anzi questa aveva una così grande attrazione su di loro da modificarne il carattere e l’indole. “La frontiera”, per i Franchi così come per i coloni

613 Pohl, The transformation, cit. a p. 255.

614 Smith, Fines imperii, cit. a p. 176: “Behind the words lies the fact that most Carolingian were both linear and

zonal”.

615 Vedere Settia, Rapine, cit. a pp. 3-75.

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americani, “non è una linea di sbarramento, ma una zona che invita ad entrare617. Il paragone più

adatto non è però quello con i coloni puritani in nordamerica, ma piuttosto quello con la grande conquista russa della Siberia. I Russi infatti, come accadde ai Franchi, si trovarono di fronte a civiltà molto evolute, anche se in maniera differente, che dopo un iniziale impatto aggressivo accoglievano nel loro impero e nella loro comunità618.

L’aristocrazia carolingia vedeva le frontiere come nuovi orizzonti ricchi di risorse: innanzitutto oltre la frontiera era dove si recavano, ogni maggio, le spedizioni estive. Oltre la frontiera era dove i cavalieri di Carlomagno potevano arricchirsi saccheggiando e devastando. Oltre la frontiera era inoltre il luogo dove si poteva imporre il dominio carolingio, come nel caso dell’Italia, e quindi preparare una successiva penetrazione aristocratica che avrebbe arricchito ed allargato il raggio d’azione politico e di influenza delle famiglie nobiliari. Sia per realizzare il suo destino escatologico, sia solamente per l’avidità degli aristocratici, la frontiera non era mai un limite, ma un processo che conduceva all’espansione. I confini del regno rimanevano sì zone profondamente permeabili, destinate ad essere terre di convivenza sia commerciale che culturale, ma politicamente esse erano dominate da conti, o marchesi, preposti al governo delle marche e dai possessori privati – enti monastici e chiese in primis – che avevano acquistato, od occupato, le terre vicine.

5.5. Le marche

I territori di frontiera di tutto l’impero di Carlo vennero organizzati nelle marche. Le regioni periferiche del regno così riorganizzate erano sottoposte alla giurisdizione di un marchese che aveva il compito di difenderle dagli attacchi delle popolazioni che vivevano al di là dei confini del regno. Il termine germanico marca, già in uso presso i Merovingi, e presente anche nelle leggi di Ratchis, aveva lo stesso valore della parola latina finis, veniva infatti usato per indicare i confini, la frontiera. La parola marca poteva essere senza problemi sostituita nei documenti dai termini classici di limites, confinia, termini o fines619. Dalla fine dell’VIII secolo

questa parola assunse però un significato diverso, essa infatti definì propriamente una regione di frontiera, sottoposta all’autorità di un solo conte, o marchese, con uno scopo principalmente militare620. È proprio nella comprensione del termine stesso di “marca” che

617 Hurlet, Les empires, cit. a p. 151.

618 Kappeler Andreas, La Russia. Storia di un impero multietnico, Edizioni Lavoro, Roma, 2009. 619 Smith, Fines imperii, cit. a p. 176. Pohl, The transformation, cit. a p. 234.

620 Gauvaurd, Dictionnaire, “Mais marca se spécialisa à la fin du VIII s. dans le sensé des « zone frontalière du

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si cela il concetto che i Carolingi avevano di queste regioni periferiche; questa parola non veniva infatti utilizzata per descrivere una costruzione stabile, ma piuttosto un’area “of ill-

defined or undefined domination621”. Se infatti i confini interni di queste marche erano ben definiti

dalla tradizione diocesana, quelli esterni erano soggetti a continui cambiamenti dovuti all’estensione, o contrazione, dell’influenza politica e dei possedimenti del regno622. Ed ecco

che si presenta ancora una volta la duplice visione che i Franchi avevano della frontiera: l’indefinitezza delle aree di confine era dovuta al continuo cambiamento dei territori sottoposti all’autorità dei duchi e dei grandi aristocratici i quali conoscevano d’altra parte molto bene i limiti della loro giurisdizione. Nel caso degli imperi poi, le linee di frontiera sono sempre imprecise perché non riconoscendo ai paesi confinanti la dovuta dignità politica, le autorità dell’impero si sentono legittimate nell’inserirsi in qualsiasi problema politico all’interno del proprio raggio d’influenza623. Così se ipoteticamente è impossibile

tracciare la perfetta linea di frontiera che correva in Friuli con i vicini Slavi, è anche vero che il marchese del Friuli e i grandi proprietari terrieri erano ben consapevoli dell’area che sottostava alla loro autorità. Oltre vi erano solo future conquiste o acquisizioni. È quindi corretta anche la definizione di Goetz delle aree di frontiera carolinge che definisce come “[…] a very concrete frontier, thus documenting a clear notion of realms notably distinct from each other624”.

Il Friuli divenne così una delle marche del regno di Carlo, esso è infatti definito come tale in diversi documenti franchi625, ma il suo governatore non venne subito chiamato come

marchese. Durante il regno di Carlo Magno era anzi raro che il signore di una marca venisse chiamato con il termine di marchese, si preferiva infatti utilizzare quelli di conte o duca. Per incontrare il termine marchese riferito al signore della marca friulana dobbiamo aspettare l’881 con Berengario I626. Prima di lui i vari aristocratici che si sono succeduti nel governo

della regione di frontiera vennero differentemente chiamati con i termini di dux Foroiulensis, e di conte. Cadola nell’818 sarà indicato negli Annales con il titolo di “comitem et marcae

Foroiuliensis praefectum627”, mentre Baldrico e Geroldo vennero definiti come “comites et Avarici

621 Pohl, The transformation, cit. a pp. 192-193.

622 Smith, Fines imperii, cit. a p. 177: “Characteristically, these zones constituted regions where defined organisation

was concentrated in the hands of a count, prefect duke or marquis: the internal boundaries of these regions was clear, even if the outer edge was sometimes determined”.

623 Münkler, Imperi, cit. a p. 16. 624 Poh, The transformation, cit. a p. 81.

625 Annales Fuldenses, in MGH, Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, VII, Hannover 1993, cit.

all’anno 788.

626 Manaresi, Placiti del Regnum Italiae, I, n. 92 (881): “Dum in Dei nomine civitate Sena in domum episcopi

ipsius civitatisintus cominata, ubi dominus Karolus piissimus imperator in iudicio residebat, adessent cum [eo] Berengarius marchio, […]”.

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limitis custodes628”. Il titolo longobardo di duca bastava, almeno fino a Berengario, ad indicare

il conte principale della marca, e non deve essere un caso se sarà proprio con il secondogenito di Everardo del Friuli che si inizia ad utilizzare il nuovo termine. Si potrebbe ipotizzare che il termine venne associato a Berengario per via del suo dominio personale della marca, ma qualsiasi teoria a riguardo non sarebbe ben supportata da prove esaurienti. Resta il fatto che la prima volta in cui incontriamo il termine di marchio per indicare il signore del Friuli sarà proprio con Berengario, il secondo ad aver ereditato il governo della marca.

Marche carolinge vennero organizzate dall’amministrazione franca su tutti i territori di frontiera dell’impero: nel nord della Spagna per difendersi dai Mori, nel nordovest della Gallia contro i Bretoni, a Spoleto vicino ai ducati longobardi indipendenti e ai resti del dominio bizantino nel meridione. La marca del Friuli nel nordest della penisola doveva essere invece il baluardo di fronte al dinamismo dei popoli balcanici fra cui Slavi ed Avari. Una volta distrutto il khanato avaro ed occupati una parte dei suoi territori, i Carolingi si trovarono a governare numerose popolazioni slave che avevano da poco guadagnato la propria indipendenza dagli Avari. Le sollevazioni di questi popoli furono numerose, non solo degli Slavi uccisero il duca Erico vicino a Tersatto, ma sotto la guida di Ljudewit si riunirono in una rivolta che i Franchi non riuscirono a dominare almeno fino a che il capo dei ribelli non fu ucciso a tradimento da un Serbo. Ogni frontiera aveva dunque le proprie esigenze specifiche e i marchesi avevano generalmente carta bianca per intavolare trattative ed accordi. I marchesi dovevano dunque stare attenti nel seguire una politica volta a proteggere gli interessi franchi senza causare una rivolta anti-carolingia629. Sebbene le marche fossero state

ideate come regioni di frontiera difensive, almeno fino alla morte di Carlo, i conti e i marchesi carolingi erano più portati all’espansione piuttosto che alla pura attesa del nemico. Nonostante ciò la politica franca non fu sempre improntata ad un cieco espansionismo, essa cercava infatti di intavolare quando possibile accordi, ovviamente da una grande posizione di forza. Se infatti ci furono scambi di ostaggi e di doni, i Franchi non accettarono mai che questi accordi furono basati su una sorta di pari reciprocità, volevano invece che le popolazioni Slave riconoscessero la loro superiorità630. Accadde quindi più volte che si

628 Annales, cit. all’anno 826.

629 Smith, Fines imperii, cit. a p. 171: “The Frankish emperor attempted wherever possible to establish a ring of

friendly client rulers in the immediate periphery of his territory. […] the strategy indicated a balancing-act between protecting Frankish interests and provoking an anti-Carolingian backlash”. Anche Pohl, The transformation, cit.

a p. 258.

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crearono degli stati cuscinetto fedeli ai Franchi al di là della frontiera, come era tipico della politica imperiale romana degli ultimi secoli di vita dell’impero.

A fianco della diplomazia e della spada, la retorica imperiale fu un temibile strumento di dominio nelle regioni di frontiera. La parola della chiesa non fu infatti utilizzata solo per legittimare le aggressioni dei nobili nei confronti dei vicini, ma anche per convertire i pagani alla parola di Cristo – a volte sotto la minaccia della morte come accadde con i Sassoni –631.

L’azione missionaria franca nel centro Europa fu fondamentale non solo come strumento di integrazione delle nuove popolazioni nello stato carolingio, ma anche nella definizione del panorama geopolitico come lo conosciamo oggi. Come accadde ai confini dell’impero romano, così nell’VIII-IX secolo “The pressure to conform to the Carolingian will led gradually but

inexorably to the creation of new political systems632”. La preferenza del potere carolingio di

rapportarsi con una singola persona che rappresentasse una comunità intera portò inesorabilmente le popolazioni Slave del nord dei Balcani ad assumere sempre più un tipo di governo simile a quello dei duchi nel regno franco.

Il rapporto della periferia con il centro dell’impero, il suo cuore, quel suo noyau rappresentato dal palazzo imperiale di Aquisgrana, era molto più forte di quello con il regno di cui faceva parte. Almeno fino al regno di Ludovico II era l’imperatore a gestire indirettamente la frontiera attraverso la nomina, o la deposizione, dei marchesi. Così vediamo a più riprese nella frontiera friulana arrivare Erico, Cadalo, Baldrico ed Everardo, tutti personaggi provenienti da quell’aristocrazia imperiale che si era formata ed arricchita grazie alla fedeltà all’imperatore. Baldrico è il caso eccezionale che ci permette di comprendere l’influenza della corte imperiale in Friuli: non avendo previsto l’incursione bulgara dell’827, ed essendo stato incapace di fermarla, fu deposto e la grande marca che era riuscito a governare venne divisa fra quattro conti633. Fu solo con il venire meno dell’influenza e del potere del centro che le

marche di frontiera vennero sempre più integrate negli affari dei regni di cui facevano parte, come accadde nel caso di Berengario I, marchese del Friuli e poi re del regno Italico.

631 Fasoli, Popoli delle steppe, cit. a p. 30: “Per i Franchi la conversione dei popoli pagani loro confinanti appariva

il mezzo più efficace per assicurare l’obbedienza e farne degli avamposti nei confronti delle altre genti che vivevano ancora più in là”.

632 Smith, Fines imperii, cit. a p. 185.

633 Annales, cit. all’anno 827: “Bulgari quoque Sclavos in Pannonia sedentes misso per Dravum navali exercitu

ferro et igni vastaverunt et expulsis eorum ducibus Bulgaricos super eos rectores constituerunt”. Cit. all’anno 828:

“Similiter et Baldricus dux Foroiuliensis, cum propter eius ignaviam Bulgarorum exercitus terminos Pannoniae

superioris inpune vastasset, honoribus, quos habebat, privatus et marca, quam solus tenebat, inter quattuor comites divisa est”.

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È nei territori di frontiera e nelle pressioni dell’aristocrazia a nuovi orizzonti che promettevano terre e ricchezze, ad aver portato Carlomagno alla conquista del suo grande impero. Se in Sassonia l’intervento franco fu necessariamente dovuto dalle incursioni stagionali dei pagani, tutte le altre conquiste furono mosse dalle opportunità che via via si mostravano. Al contrario dell’espansione fino all’Elba che era una questione di sicurezza, furono generalmente le circostanze locali ad aver guidato l’avanzata franca634. Carlo occupò

infatti l’Istria seguendo la politica di Desiderio, così come conquistò il regno longobardo su invito del papa. Presa la Baviera annesse anche il ducato di Carantania che era alleato dei Bavari, e arrivato al confine dell’Isonzo e dell’Enns invase il khanato Avaro per punire le