Con l’assunzione della doppia regalità Carlo sottolineò il fatto che l’Italia rimaneva, de facto, un’entità autonoma rispetto al regno franco, posta in rapporto a questo in maniera sì subalterna, ma amministrativamente indipendente457. Pavia rimaneva la capitale del regno, un
centro politicamente autonomo che doveva però fare riferimento al re dei franchi. E con l’incoronazione a rex Langobardorum del figlio di Carlo Magno Pipino, nel 781, Pavia tornava ad essere ancora una volta la sede di una corte regia458. Nei primi anni dopo la conquista molti
duchi longobardi si inchinarono di fronte al nuovo re, mantenendo così la propria carica ed il potere, mentre vennero sostituiti solo quelli che avevano dimostrato infedeltà al nuovo regime. Di conseguenza non ci furono grandi mutamenti nel governo delle regioni del regno, mentre Carlo riordinava il paese prendeva inizio quel processo di migrazione che dal cuore del regno franco era rivolto verso la penisola. Non ci fu invero, come era accaduto per la conquista longobarda dell’Italia nel VI secolo, il trasferimento di un intero popolo in nuovi territori, bensì un altro tipo di immigrazione, questa volta di alto livello, che vide arrivare in Italia nobili ed aristocratici Franchi, Alemanni e Burgundi459.
I nuovi venuti occuparono i vertici politici della società italiana, appropriandosi delle cariche da cui erano stati rimossi altri aristocratici longobardi. Lo stato carolingio era infatti governato da conti, o duchi, che formavano lo strato più alto della società longobarda. A fianco di questa nuova élites d’oltralpe arrivarono anche elementi della classe media e medio-
457 Cammarosano, Nobili, cit. a p. 102: “Era una unione personale dei due regni, quello dei Franchi e quello dei
Longobardi, ciascuno autonomo e integro nei suoi ordinamenti di legge e nei titolari degli uffici, con la sola condizione dell’accettazione della sovranità di Carlo”.
458 Wickham, L’eredità, cit. a p. 415.
459 Eduard Hlawitschka, Franken, Alemannen, Bayern und Burgunder in Oberitalien (774-962). Zum
Fränkischen Königsherrschaft in Italien. Eberhard Albert Verlag/ Freiburg im Breisgau, 1960. Castagnetti, Il Veneto, cit. a p. 46, la maggior parte dei nuovi immigrati transalpini si stanziò a Milano, Piacenza,
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alta che aiutarono i nuovi arrivati nello svolgimento delle loro funzioni, controllando i centri più importanti, i nodi stradali e facendo rispettare il nuovo ordine franco460. Come avvenne
per l’immigrazione longobarda i nuovi venuti si distribuirono in campagna così come in città, anche se nella maggior parte dei casi, a differenza di quello che accadeva nel regno franco, le sedi del potere si trovavano nei centri urbani e quindi qui si stanziò la nuova élites del regno461.
Il ricambio dei vertici non avvenne però ovunque: nell’Austria longobarda molti duchi vennero infatti confermati nelle loro cariche, che mantennero nonostante l’inserimento nel regno franco. Fra i numerosi duchi che giurarono fedeltà a Carlo troviamo i nomi di Rotgaudo duca del Friuli, Stablinio duca di Treviso e Gaido duca di Vicenza462. Avvenne così
che nonostante la monarchia longobarda fosse stata decapitata, l’intera rete aristocratica del nordest rimase al potere, mantenendo così la vasta rete di fedeltà ed amicizie in tutta la regione. Il regno franco d’Italia si allungava su tutta la penisola, ma al contrario del regno longobardo aveva perso ogni controllo su Benevento che si trasformò in un ducato indipendente. Mentre il regno veniva ridistribuito ai nuovi conti di origine franca, Carlo, preoccupato per la difesa delle frontiere del regno – che coincidevano ora con quelle più esterne dell’impero- creò le due marche di Friuli e di Spoleto463. Se Pavia rimaneva la capitale
ora tutti i territori italiani dalle Alpi a Spoleto sottostavano alla corona italica, mentre le “giustizie di Pietro”, ovvero i territori che il papa aveva tanto reclamato ai longobardi – e che erano stati, in fin dei conti, il pretesto della discesa franca in Italia- vennero nominalmente riconsegnati al papa, ma in verità rimasero in mano ai nuovi dominatori.
Il labile controllo che i Franchi potevano produrre nei territori più orientali dell’Austria longobarda facilitarono le trame di coloro che non si erano rassegnati della perdita dell’indipendenza. Fu così che a due anni di distanza della conquista franca il duca del Friuli Rotgaudo poté pianificare una rivolta mettendosi in contatto, stando alle denunce papali, con un gran numero di personaggi d’alto rilievo internazionale. I dettagli della congiura ci arrivano da papa Adriano che, non appena venuto a conoscenza della cospirazione, inviò una lettera a Carlo464. Essendo una fonte sicuramente non oggettiva non possiamo invero sapere fino in
460 Delogu Paolo, Lombard and Carolingian Italy, in McKitterick Rosamond, The new Cambridge medieval
history II, c.700-c.900. Cambridge University Press, Cambridge, 2010; cit. a p. 306.
461 Bhürer-Thierry, L’Europe Carolingienne. Armand Colin, Paris, 2008, cit. a p. 135: « Assez rapidement,
la plupart des élites laïques du royaume lombard sont remplacées par des fidèles de Charles, qui chase aussi des vassaux royaux sur un partie des fiscs ».
462 Gasparri, I duchi longobardi, cit. a pp. 56, 61-62, 71-72. Castagnetti, Il Veneto, cit. a p. 45. 463 Bhürer-Thierry, L’Europe Carolingienne, cit. a p. 135.
464 Codex carolinus, ed. Wilhelm Gundlach, in Epistole merowingici et karolini aevi, pp. 469-657: “Vogliono
infatti, contro la volontà di Dio, riunirsi insieme nel prossimo mese di marzo, con una schiera di Greci e con Adelchi, il figlio di Desiderio, e piombare su di noi per terra e per mare, invadere il ciborio del beato Pietro, che è vostro fautore,
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fondo se questa cospirazione internazionale fosse vera o falsa, nonostante ciò può sembrare di per sé verosimile. Secondo il papa infatti il duca friulano si era accordato con Arechi di Benevento465, con i duchi del Veneto e della Toscana per insorgere contro i Carolingi e
preparare così il campo ad Adelchi, il figlio esiliato di Desiderio ed erede legittimo al trono, che sarebbe dovuto arrivare da Costantinopoli con l’appoggio imperiale ed un esercito bizantino al seguito. Il tutto con la benedizione del duca di Baviera Tassilone, nominalmente vassallo di Carlo ma da sempre sleale alleato della corona franca. Carlo, informato, si mosse in tutta fretta dalla Sassonia all’Italia, e quando giunse nella penisola l’unica regione ad essersi sollevata era il nordest.
L’Austria, compattatasi intorno alla guida del duca del Friuli Rotgaudo, di Stablinio e Gaido si rivoltò contro i nuovi dominatori prendendo le armi e marciando contro l’esercito di Carlo Magno. Che fosse proprio questa regione a sollevarsi non deve sorprenderci. Qui infatti non solo la classe dirigente longobarda era ben radicata, (come abbiamo visto nei capitoli precedenti), avendo occupato tutti i vertici del potere religioso e politico, ma l’Austria era anche la regione dal carattere più militare e “nazionalista” dell’intero regno. Se l’intrigo internazionale denunciato da Papa Adriano fosse stato vero, non se ne videro affatto le conseguenze poiché nessun duca della Toscana o del sud Italia si associò ai ribelli friulani, né si videro truppe romane sbarcare in massa sulle coste italiane. La rivolta fu così limitata in un preciso ambiente geografico e storico, che non solo mostra quanto viva fosse la tradizione longobarda nell’Austria, ma anche quanto profondi fossero il potere e le connessioni della sua aristocrazia. Carlo marciò quindi verso il Friuli e qui, sul ponte della Livenza, ci fu lo scontro fra i due eserciti466. Rotgaudo trovò la morte in battaglia, mentre l’esercito friulano
venne messo in rotta467. La rivolta, che si limitò di conseguenza alla difesa della sola regione
prendere prigionieri noi stessi- Dio ce ne scampi! - e restaurare un re dei Longobardi in contrapposizione alla vostra regia autorità”. Marios Costambeys, Matthew Innes, Simon MacLean, The Carolingian World, Cambridge
University Press, Cambridge, 2011, cit. a p. 67. Per quanto riguarda la possibile costruzione a tavolino della congiura da parte papale vedere: Gasparri, Italia longobarda, cit. a pp. 124-126.
465 Gasparri, Istituzioni, cit. a p. 4. Un altro duca di provenienza friulana e dunque per tradizione e
famiglia vicino all’aristocrazia veneto-friulana.
466 Eginardo, Vita Karoli, I, 6: “[…] Hruodgausum Foroiuliani ducatus praefectum res novas molientem opprimeret
totamque Italiam suae ditioni subiugaret subctaeque filium suum Pippinum regem imponeret”. e
467 In verità non sappiamo per certo chi fu a trionfare in battaglia, infatti se le fonti di parte franca ci
parlano di una schiacciante vittoria di Carlo, Andrea da Bergamo, un cronista longobardo che si propose l’onere di continuare l’Historia Langobardorum di Paolo Diacono, ci dice invece che il duca friulano fu vittorioso e che anzi costrinse il re franco a venire a patti. Andrea da Bergamo, Chronicon, 6: “Foroiulanorum dux tunc temporis Rotcausus praeerat et in Vincentia Gaidus; qui auditu Francorum devastatione
et eius adventnm quod in Foroiuli properarent, congregatisque ut poterant, obviam eorum ad ponte qui dicitur Liquentia exierunt, et ibidem magna strages de Francis fecerunt. Karolus vero haec audiens, mandans eorum fidelitatis fidem suscepturos et honoraturos, Rotcausus et Gaidus ducibus cum nobilis Foroiulanorum consilio inito, ut viriliter se contendissent. Erat quidem ex ipsis, cui iam munera Caroli excecaverat cor, tale dedit consilio: Quid faciemus?
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veneto-friulana, ci mostra come l’unica difesa del regnum Langobardorum potesse avvenire su base locale, nell’unico territorio dove erano rimasti per lo più intatti i legami di origine longobarda468.
In seguito a questa battaglia ci fu una nuova ingente fase di immigrazione nel nord-est, composta ancora da nobili di etnia Franca Alemanna o Burgunda che diventeranno i nuovi quadri dirigenti delle città insorte469. L’alta aristocrazia del Friuli che si era ribellata venne
sostituita in toto da questi nuovi immigrati, (“disposuit omne per Francos470”), che presero dunque
il comando della regione. La forza dell’aristocrazia longobarda del Friuli venne così incrinata in maniera definitiva, mentre in tutto il paese il ceto dirigente era ormai di estrazione transalpina471. Il riordino del Friuli non si limitò però alla sola sostituzione dei duchi infedeli
con elementi franchi, le terre degli insorti vennero infatti divise fra chi era rimasto fedele a Carlo, con una particolare attenzione per gli enti religiosi e monastici, da sempre premiati dal sovrano Carolingio. Il nuovo re franco ebbe un occhio di riguardo specialmente per il patriarca Paolino di Aquileia, suo amico personale, che aveva ricevuto in dono tutti i terreni che erano appartenuti ad un longobardo caduto a fianco di Rotgaudo472. Il nuovo re non si
limitò però a favorire solo i suoi fidati nella regione che si era ribellata, decretò infatti, caso unico in Italia, che alla morte di Paolino la chiesa di Aquileia “[…] abbia la facoltà di eleggersi un
pastore, nella persona del migliore e del più degno fra i suoi membri, che sia fedele a noi e a nostro figlio il re Pipino e tutta la nostra gente […]473”. Il nuovo capo della chiesa patriarcale di Aquileia doveva
quindi essere un uomo di fiducia dei Franchi, eliminando così qualsiasi ingerenza esterna:
Quomodo eorum resistere possumus? Capud non habemus. Regem confortationis nostrae iam devictus est. Eamus eorum fidelitate; bene nobis erit. Quid dicam? Ut obtabat, fecerunt. Et tamen eorum Carolus servavit honorem”. Pierandrea
Moro sostiene che lo storico friulana abbia ragione, e che tramite questa vittoria su Carlo, che la propaganda franca ha insabbiato velocemente, l’aristocrazia longobarda del Friuli “riuscì ad evitare, o
quanto meno a ritardare, la sua emarginazione dalle responsabilità politiche e militari del Regnum, raggiungendo il proprio scopo senza frettolose e compiacenti sottomissioni al nuovo signore, ma attraverso il coraggio, l’orgoglio e la forza delle armi”. I Longobardi e la guerra, Cit. a p. 35. Vedere anche Annales Regni Francorum inde ab a. 741 usque ad a. 829, qui dicuntur Annales Laurissenses maiores et Einhardi, ed. Friedrich Kurze, 1895, ed. anast.
Hannover, Hahnsche Buchandlung, 1950 (MGH, SS.rer. Germ.,6). Cit. a pp. 42-45.
468 Moro, Quam horrida, cit. a p. 34.
469 Castagnetti, Il Veneto, cit. a pp. 45-46. Annales regni francorum, anno 776: “[…] civitatibus quoque, quae
ad eum defecerant, sine dilatione receptis et in eis Francorum comitibus constitutis”. Annales Regni Francorum, cit.
pp. 42-44: “et captas civitates Foroiuliem, Tarvisium cum reliquis civitatibus, quae rebellatae fuerant, et disposuit
omnes per Francos”.
470 Annales regni francorum, cit. anno 776.
471 Gasparri, Istituzioni, cit. a p. 7. Jean-Pierre Delumeau e Isabelle Heullout-Donat, « L’Italie au Moyen
Âge V-XV siècle », Hachette, Paris, 2000, cit. a p. 29 : « De même que dans l’Angleterre d’après 1066, les notables locaux se maintinrent en position subordonnée à une aristocratie « importée » ».
472 Diplomata Karolinorum I, (Die Urkunden der Karolinger), t. I: Pippini, Carlomanni, Caroli magni diplomata
(Die Urkunden Pippins, Karlmanns und Karls des Grossen), ed. Engelbert Muuhlbacher, 1906, ed. anast.
Muunchen, MGH, 1979 (MGH, Diplomata). N. 112.
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non l’aristocrazia friulana o il popolo, ma solo il re e la comunità clericale della cattedrale aquileiese potevano eleggerlo. Questo intervento diretto era chiaramente atto a limitare l’influenza della nobiltà locale, che veniva così completamente esautorata dalla scelta474. Il
rapporto fra sovrani carolingi e patriarchi d’Aquileia non venne meno neppure alla morte di Carlomagno, anche Ludovico il Pio e Lotario favorirono la chiesa d’Aquileia, mantenendo un filo diretto con questa importante istituzione friulana475. La posizione del conte friulano
non venne però intaccata da questo legame diretto dei carolingi con gli enti ecclesiastici regionali, questo perché la sua funzione principale era ora prettamente militare.
A dispetto dei nobili longobardi la nuova classe dirigente franca aveva un più spiccato carattere militare, e se questo fu visibile nel resto del paese, in Friuli, dove l’élite veneto- friulana era fortemente militarizzata, ciò si concretizzò in una più vivace e dinamica espansione al di là della frontiera. La dominazione carolingia su gran parte dell’Europa occidentale era basata infatti sul controllo da parte del monarca “[…] sia dell’esercito, risultante
della mobilitazione degli uomini liberi di una certa condizione economica, sia di un gruppo più vasto di seguaci armati, i vassalli, che erano a lui strettamente legati dai successi in guerra e dal bottino476”. La regione
venne riorganizzata come “marca”, ovvero come regione di frontiera dallo spiccato carattere militare preposta alla difesa, (ma per lo più, in questo periodo storico, all’offesa), dei confini del regno477. Il primo duca friulano dopo Rotgaudo di cui conosciamo il nome è Masselio478,
a seguire troviamo Marcario479, conte intorno agli anni 778-780. Ma sarà solo con il governo
della regione del duca Erico, di illustre stirpe alamanna, che iniziamo ad entrare in possesso di maggiori informazioni.
In seguito all’annessione ai vasti domini carolingi il nord ed il centro Italia entrarono a far parte di un contenitore ben più grande rispetto al Regnum Langobardorum, un dominio di respiro europeo che non può non ricordare ad ogni storico quell’unità territoriale e politica
474 Cammarosano, Nobili, cit. a p. 105. 475 Gasparri, Istituzioni, cit. a p. 7.
476 Gasparri, La Rocca, Tempi, cit. a p. 240.
477 J. M. H. Smith, Fines imperii: The Marches, in Rosamond McKitterick, The new Cambridge medieval
history II, c.700-c.900. Cambridge University Press, Cambridge, 2010, pp. 169-189. Il valore difensivo
delle marche era sicuramente più vivido di quello offensive, anche perché una volta conclusasi la prima spinta espansionistica della monarchia carolingia esse mantennero unicamente il loro ruolo di difesa del territorio e della popolazione, vedere M. Costambeys, The Carolingian, cit. a p.170: “However,
the establishement at this time of ‘marks’ (marca), military commands desigend to control the frontiers in the east and south, illustrates the conscious shift away from expansionary warfare in favour of a more regularised frontier structure”.
Foviaux Jacques, Da l’empire romain á la féodalité, Economica, Paris, 1986, cit. a p. 365 : « Enfin, les
provinces frontalières – les marches (marcae, limites ou même simplement ducati) – furent soumises à un contrôle spécial et renforcé, celui d’un comes de la marche ».
478 Gasparri, Istituzioni, cit. a p. 8.
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che fu raggiunta in Europa solo dall’Impero romano. Un regno molto vasto, che riuscì a connettere le sue più distanti regioni grazie all’aristocrazia di stampo imperiale. Come scrisse infatti lo storico tedesco Gerd Tellenbach, nacque, al seguito degli imperatori carolingi, una
Reichsaristokratie, un’aristocrazia imperiale, che basava il suo potere sì sul possesso fondiario,
ma soprattutto sulla vicinanza e la fedeltà all’imperatore. È infatti da questo torno di anni che possiamo seguire le vicissitudini di diverse grandi famiglie aristocratiche che possedevano latifondi in ogni angolo dell’impero. Fedeli all’imperatore, esse costituivano il nerbo dell’amministrazione imperiale, occupando, dove venivano inviate, i vertici politici, militari e giudiziari del regno. I membri di queste famiglie erano sparpagliati ovunque nell’impero, dal cuore austrasiano fino ai suoi confini più lontani. La grande rivoluzione concettuale dell’era carolingia era infatti che i vassalli del re potevano essere spostati da una città all’altra, da un angolo all’altro del grande impero480. La cosiddetta Reichsaristokratie rappresentò il perno della
direzione del regno, almeno fintanto che l’autorità ed il prestigio dell’imperatore erano così grandi da attirare a sé le attenzioni e gli interessi della grande nobiltà.
In seguito all’elezione imperiale di Carlo Magno a Roma durante il Natale dell’800, lo scontro con l’impero romano d’Oriente, che era nell’aria ormai da molto tempo, assunse toni più accesi. La corte imperiale non riconobbe infatti l’incoronazione di Carlo alla carica imperiale, titolo che, per tradizione diretta, poteva appartenere unicamente agli eredi di Roma, ovvero i sovrani di Costantinopoli. I cronisti hanno da sempre insistito che Carlo fu sorpreso da papa Leone quando questi gli mise la corona in testa, ma siamo sicuri che si tratti di mera propaganda ideologica. La corte di Carlo aveva infatti iniziato a circonfondere la sua figura della sacralità imperiale fino a che, giustificando il fatto che a Costantinopoli sedeva una donna – Irene- e che il papa era caduto in disgrazia, nel natale del’800 il re franco venne incoronato Imperatore. In verità l’aggiunta del titolo imperiale ai numerosi già assunti da Carlo non cambiò nulla. Egli era già, di fatto, imperatore. Questo potere gli derivava dall’essere rex Francorum et Langobardorum, difensore del papa e della chiesa di Roma e detentore delle chiavi di S. Pietro. Lo stesso titolo non venne infatti subito utilizzato nei documenti ufficiali almeno fino alla fine del mese di marzo dell’801481. La costruzione
480 C. Wickham, L’eredità, cit. a pp. 426-427.
481 Cito in questione due documenti ufficiali. Il primo datato 4 marzo, dove vediamo non essere
presente alcun riferimento al titolo imperiale; l’altro invece attribuibile al 29 marzo, dove Karolus viene definito “augustus”. DDK, I, n. 196, Roma 4/03/801: «Carolus gratia dei rex Francorum et Langobardorum
ac patricius Romanorum. Quicquid enim in nostra et procerum nostrorum pręsencia iusto hac recto tramite diligenti examinacione secundum instituta sanctorum patrum fuerit terminatum vel diffinitum, oportet nostris confirmare oraculis, ita ut Christo propicio perpetuis temporibus maneat inconvulsum. Igitur notum sit omnibus episcopis abbatibus ducibus comitibus gastaldiis seu reliquis accionariis et cunctis fidelibus nostris presentibus et futuris [... ] ». DDK, I,
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dell’idea imperiale presso i Franchi necessitò di lungo tempo e di erudite tesi ideologiche: dalla decantata parentela con i Troiani in fuga da Ilio incendiata, alla figura del re-sacerdote che sconfigge i pagani; protagonista della sua creazione furono Alcuino di York ed il suo entourage. Questi avevano da tempo capito che Carlo non era un semplice re barbarico post- romano come tanti altri, e quindi che il suo dominio su larga parte dell’occidente doveva essere sanzionato in maniera differente482. Le due autorità imperiali vennero dunque allo
scontro fisico nella laguna veneziana, sulla nascente e florida città di Venezia si era infatti allungato lo sguardo rapace dei franchi. I duchi nella neonata città lagunare oscillarono per un breve periodo fra l’influenza franca e quella bizantina483. Costantinopoli, che ancora
vantava un debole potere sulla nuova città, in seguito all’ennesima intromissione franca nelle questioni interne a Venezia, fece valere la sua autorità dimostrando che non era disposta a perderne il controllo. Era la guerra. Allora il re d’Italia Pipino, radunato l’esercito, assalì nell’810 Venezia per mare e per terra, obbligando la città a pagare un tributo. Successivamente però l’arrivo della flotta imperiale cambiò ancora la situazione riprendendo il controllo della città484. Le ostilità infine cessarono con un nulla di fatto, e la pace venne