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Re Rodolfo II lavorò alacremente per assicurarsi la fedeltà degli aristocratici e dei potenti del Friuli, cercando di occupare quel vuoto di potere lasciato dalla dipartita di Berengario. Nonostante ciò il suo regno fu molto breve e già nel 926 divenne re Ugo di Provenza. Sia l’uno che l’altro lavorarono per accattivarsi i nobili friulani, non è un caso dunque che nei territori appartenuti a Berengario vennero mantenuti nei loro posti di potere numerosi notabili che erano stati precedentemente grandi sostenitori dell’unrochingio, come nel caso di Nokterio, vescovo di Verona555. Le politiche di Rodolfo, volte eccessivamente a favorire i

suoi famigliari e conterranei, indispettirono alla lunga una larga fascia di nobili italiani che infine si risolsero a chiamare nella penisola Arnolfo duca di Baviera. Questo nel 934 scese in Italia ed entrò a Verona dove fu accolto con grandi onori. I nobili che si schierarono dalla sua parte non furono però abbastanza per mettere in serio pericolo il potere di Ugo che avanzò verso la città Veneta sconfiggendo l’esercito di Arnolfo che fuggì in Baviera. Cacciato il rivale, Ugo poté continuare a favorire i suoi protetti e connazionali, aumentando le invidie degli italici. Una serie successiva di eventi portò Berengario II, il nipote del defunto imperatore e marchese d’Ivrea, presso la corte del re di Germania Ottone I. Qui, introdotto al re dal duca Ermanno di Svevia, ottenne la protezione di Ottone I, in cambio della sua

553 Liutprando, ANT, III, 2-4. 554 Gasparri, Istituzioni, cit. a p. 12. 555 Castagnetti. Il Veneto, cit. a p. 89.

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sottomissione. Si ripropone ancora una volta lo schema già visto con suo nonno ed Arnolfo di Carinzia.

Se inizialmente Ugo era stato ben accolto e difeso dall’élite italica, ora questi aveva perso l’appoggio dell’aristocrazia del regno, che guardò con fiducia nella discesa di Berengario II nella primavera del 945. Sappiamo poco della marca friulana in questo periodo, ormai eliminata dai giochi di potere con la morte di Berengario I e la fine della dinastia unrochingia, erano infatti le altre grandi famiglie marchionali e regionali a decidere la politica del regno. Berengario II, marchese d’Ivrea, non ereditò infatti il sistema di alleanze e relazioni instaurate dal nonno materno e dal bisnonno.

Entrato in Italia dopo aver seguito la via dell’Adige, Berengario II superò, nella primavera del 945, la chiusa della valle presso il castello di Formicaria556, ed entrò a Verona accolto dal

conte della città. Di fronte all’avanzata di Berengario II, che occupò anche Milano con la complicità dell’aristocrazia, Ugo abdicò in favore del figlio Lotario. Venne concluso quindi un accordo: Lotario ed Ugo sarebbero rimasti sul trono, mentre Berengario, agendo col titolo di “summus consiliarius”, avrebbe detenuto veramente il potere. La morte, molto sospetta, di padre e figlio a distanza di pochi anni, (Ugo nel 948 e Lotario nel 950), fecero arrivare Berengario e suo figlio sul trono nel 950. Questa volta il malcontento verso il nuovo re si addensò intorno alla figura di Adelaide, vedova di Ugo. Questa venne inizialmente imprigionata in una fortezza sul Garda, ma riuscita a fuggire e a trovare protezione presso il vescovo di Reggio, chiese aiuto al re di Germania Ottone. Questi arrivò effettivamente nell’estate del 951 e già il 23 settembre, dopo aver occupato Verona e Pavia, da cui Berengario e suo figlio erano intanto fuggiti, si fece proclamare re.

Padre e figlio, arroccatisi in un castello, accettarono infine di venire a patti con la vedova di Lamberto ed Ottone. Le trattative si svolsero durante la dieta di Augusta, dove nell’agosto del 952 Adelaide ed Ottone accettarono il giuramento di fedeltà di Berengario II e di Adalberto, che vennero investiti del regno dopo aver però riconosciuto la sovranità del re tedesco. Durante la stessa dieta, Ottone creò la marca Veronese e Aquileiese per meglio controllare i valichi alpini che portano alla penisola. La affidò quindi a suo fratello, il duca di Baviera Enrico, che divenne quindi il signore delle due grandi marche sudorientali del regno di Germania e d’Italia557. La parte nordorientale della penisola entrava così a far parte del

sistema amministrativo del regno germanico, segnando così una netta svolta rispetto ai secoli

556 Oggi Castel Firmiano a pochi km da Bolzano.

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precedenti. Senza un grande aristocratico capace di far valere i propri diritti sui territori della marca del Friuli era ovvio che questa venisse smembrata e assimilata dai vicini più potenti, tanto più se questi avevano già dei legami all’interno del territorio.

Mentre re Ottone era impegnato a sedare la rivolta del figlio Corrado e le stagionali invasioni ungare, Berengario II ed Adalberto tornarono alla controffensiva, vendicandosi di chi li aveva traditi. Una volta sedata la ribellione del figlio e ottenuta una grandissima vittoria a Lechfeld contro gli Ungari, Ottone era pronto a scendere di nuovo in Italia, questa volta ammantato del prestigio di una tanto grande vittoria. Fu lo stesso pontefice Giovanni XII ad insistere per la sua venuta, alludendo molto probabilmente anche ad una possibile elezione imperiale558. Dopotutto “nel 962 l’Italia valeva ancora la conquista come nel 773-4559”. Sceso ancora

una volta nella penisola, passando per la marca veronese che lui stesso aveva creato, Ottone si impadronì facilmente del regno mentre Berengario II e suo figlio Adalberto capitolarono dopo aver resistito asserragliati in due differenti fortezze per due anni. Nel 962 il re di Germania venne incoronato imperatore. Era dai tempi di Carlo Magno e Ludovico il Pio che non si vedeva un imperatore tanto forte calcare la scena della politica dell’occidente europeo. Ottone I infatti, re di Germani, d’Italia e imperatore, era riuscito a trionfare non solo sulle rivolte interne che avevano minato la sua autorità, ma anche sugli Ungari, che dalla sconfitta di Lechfeld in poi diminuirono sempre più le loro razzie per l’Europa. D’altra parte il regno d’Italia perse così definitivamente la sua indipendenza divenendo parte di quello di Germania. La successione di guerre civili, di lotte per la corona ed invasioni straniere che si ripetono in tutti i regni post-carolingi, ed in misura maggiore in quello d’Italia, dimostrano “che valeva

ancora la pena combattere per il regno”, sebbene “le lacerazioni della guerra civile resero tali regni ancora più fragili560”. Ciò avvenne a maggior ragione nel regno d’Italia a causa della presenza di Roma

e della possibilità di assurgere al titolo imperiale, attrattiva per i re vicini che volevano aumentare il proprio prestigio, ma anche a causa della presenza di strutture di potere sia regionale che cittadino molto forte561.

558 Ora più che mai il titolo imperiale è successivo solo all’incoronazione a re d’Italia. Come scrisse

Bougard il prestigio che circondava la nomina imperiale era ancora così grande nonostante l’impero fosse diviso che molti entrarono in Italia proprio per riceverlo: Arnolfo, Ludovico, Rodolfo II, Ugo di Provenza ed infine Ottone I. Bougard, Lo stato e le élites, cit. a p. 79.

559 Wickham, L’eredità, cit. a p. 481.

560 Wickham, L’Italia, cit. a p. 220. Bougard, Lo stato e le élites, cit. a p. 79: “Non di rado il regno è

strumentalizzato per altre ambizioni: non si tratta più, come durante la prima parte del IX secolo, di accedere all’impero e, come se ne fosse la conseguenza, di regnare sull’Italia. Al contrario si tratta prima di regnare, ma nella prospettiva di assicurarsi una posizione di forza per poi impadronirsi del titolo imperiale […]”.

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L’unità della penisola, rotta con l’arrivo dei Longobardi, non sarà più raggiunta fino al 1860, dopo una serie di sanguinose guerre. Il nordest, riorganizzato nella marca di Verona, divenne il nodo di congiunzione essenziale fra i due regni, non solo come centro di scambi e di commerci, funzione questa dovuta all’orografia del territorio, ma anche come luogo di congiunzione politica. In questi territori si svolsero infatti le diete indette dall’imperatore nel 967 e nel 983. I territori della marca, non più estesi fino all’Adda come durante il governo di Berengario I, erano costituiti dai comitati veneti, esclusa ovviamente Venezia, da Trento e da quello che verrà successivamente conosciuto come Patriarcato d’Aquileia. Al tramonto del IX secolo il nuovo imperatore Ottone II assegnò il ducato di Baviera assieme a quello di Carinzia e alla marca Veronese al duca Enrico. Si riproponeva ancora una volta quell’unità territoriale che fu raggiunta in questi territori solo dai governi di Erico e Baldrico conti del Friuli. Nonostante questa situazione particolare, le marche di frontiera erano divenute ora tre: quella Veronese, di Carinzia ed il ducato di Baviera. Il Friuli, allontanato dall’orbita del regno d’Italia, smise di essere la frontiera orientale del regno, per divenire la via d’ingresso alla penisola dei re di Germania.

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Capitolo V