• Non ci sono risultati.

Tra coloro che salutarono la pubblicazione della nuova edizione cinelliana delle

Bellezze inviando componimenti e messaggi augurali, fa la sua comparsa il letterato Michele Ermini560, bibliotecario del cardinale Leopoldo de Medici e ‘protettore’ di

Antonio Magliabechi.

558BORGHINI 1584, II, pp. 152-153.

559 Vale la pena precisare che questa scelta del Cinelli non deve essere letta però come volontà di

contraddire il Baldinucci, come era stato invece ipotizzato da CIARDI DUPRÈ 1961, p.4, poiché all’epoca della ristampa cinelliana delle Bellezze i rapporti tra i due letterati sono ancora tutto sommato cordiali, tanto che Baldinucci viene interpellato da Cinelli per raccogliere informazioni e viene citata nel testo la sua collezione di disegni (BOCCHI-CINELLI, p. 494). La polemica tra i due sorgerà solo qualche anno più tardi.

171

Le Bellezze riportano un componimento dell’Ermini nel quale al nome di Bernardino Poccetti viene associato l’altisonante appellativo di “Apelle Toscano”561 a testimonianza di un interesse ancora vivo verso uno dei più celebri

–e più attivi- frescanti fiorentini della seconda metà del Cinquecento la cui maniera, distintasi per l’estrema chiarezza narrativa e per la gradevole vivacità cromatica, aveva a suo tempo costituito un’accattivante risposta figurativa ai dettami della Controriforma in materia artistica562. Questo interesse appare ancor più significativo considerando che permane nell’ultimo quarto del Seicento, in concomitanza con l’avvento di maniere meno convenzionali (Cecco Bravo). Le descrizioni delle opere di Bernardino Poccetti (1548-1612)563 all’interno degli

itinerari proposti nelle Bellezze prima da Bocchi e in seguito da Cinelli, costituiscono precoci tentativi di analisi critica delle opere di questo pittore. Filippo Baldinucci, nella relativa biografia delle Notizie, si sarebbe infatti limitato a considerarne sinteticamente l’attività, avanzando un giudizio interessante ma globale sull’artefice senza addentrarsi nell’esame critico delle singole opere. Nel Poccetti, infatti, egli riconoscerà la “bravura”, la “facilità”, il “tocco spiritoso” con le quali aveva espresso la sua abilità mimetica564 nonchè il “dar nobiltà, e maestà alle sue figure”, o meglio:

“un modo d’arieggiar di teste, e d’abbigliar figure nobile , e maestoso sì, ma senz’affettazione, non isfuggendo l’aggradevole, che suole aver in sè l’espressione del decoroso, e del grave, senza punto allontanarsi dal verisimile, e naturale”565

Grande spazio hanno invece nelle Notizie gli aneddoti biografici, dalla frequentazione delle peggiori osterie fiorentine fino agli strani rapporti del pittore con tal Gengio Ferravecchio: ed è proprio partendo dal ricordo dell’amicizia con questo oscuro personaggio che Cinelli, qualche anno prima, aveva presentato la figura di Bernardino Poccetti nell’introduzione alle Bellezze. Elencando infatti le

561 “Regales aedes, Fora, Turres aere sonantes / Hic fontes, arcus, disce, vireta, vias / Aedem

quam pinxit PVCCETTVS Tuscus Apelles / Fulget qua superum Regia picta Dei” (BOCCHI- CINELLI 1677, p. 35).

562 BAILEY 2003, pp. 23-31.

563 Su Bernardino Poccetti vedi VOSS 1920, II, pp. 360-375; WEIZ 1929-1930; CAMPANI 1973-

1974; HAMILTON 1973; VASETTI 1988-1989; VASETTI 1986, pp. 149-152; VASETTI 1994.

564 BALDINUCCI [1682-1728] 1974-1975, III, p. 243. 565 Ivi, p. 244.

172

stravaganze proprie di alcune pittori, Cinelli ricorda anche che il Poccetti, seppur “uomo di singolari prerogative e di gran grido”566, di fatto “non sapeva toccare i

pennelli senza la conversazione di Gengio Ferravecchio”567 con il quale, come

riporta in seguito anche il Baldinucci nelle Notizie, “volle egli trovarsi sempre non solo all’Osteria, ma anche nel tempo del lavoro [...] e con lui, e co’ suoi garzoni alquanto sbevazzare [...] e andarsene la sera a trionfare all’Osteria coll’intera turba di que’plebei”568.

Un simile aneddoto, di per sé trascurabile, apre in realtà la strada a una serie di considerazioni. A primo avviso, infatti, si potrebbe ipotizzare che Baldinucci avesse mutuato l’episodio dalla guida del Cinelli data alle stampe quattro anni prima, tuttavia sembrerebbe più probabile affermare il contrario, ossia che Cinelli, nel corso della compilazione delle aggiunte alle Bellezze, avesse consultato il Baldinucci o, più probabilmente le sue stesse fonti (che per Baldinucci erano state Remigio Cantagallina, Pietro da Cortona e Gherardo Silvani569) e che alcuni dati,

come appunto l’aneddoto di Gengio Ferravecchio, fossero in seguito confluiti nelle Bellezze prima ancora che nelle Notizie; è comunque un dato di fatto che la lunga e complessa gestazione delle Notizie de’ professori del Disegno per le quali Baldinucci iniziò a reperire fonti e informazioni a partire dagli anni settanta coincise per un certo periodo con le ricerche che Cinelli andava conducendo per l’aggiornamento delle Bellezze.

Nell’affrontare la descrizione delle opere del Poccetti, Cinelli si attenne dunque all’impostazione ‘laudativa’ del Bocchi il quale, al momento della stesura delle

Bellezze nel 1591, testimoniava con compiacimento la crescente notorietà del pittore, come si apprende dalla descrizione della Grotta Grande del Giardino di Boboli (tav. 30) al quale il Poccetti aveva lavorato tra il 1586 e il 1587570:

“È cosa mirabile il contemplare le gentili e bizzarre fantasie, che Bernardin Puccetti ha dipinte in questa grotta [...]. Egli si mostra adunque la volta in sembiante, che rovini e che per li fessi e per le rotture escano diversi animali, come serpi, uccelli, satiri e molte piante,

566 BOCCHI-CINELLI 1677, p. 12.

567Ivi, p.19: “Il Puccetti non sapeva toccare i pennelli senza la conversazione di Gengio

Ferravecchio, onde ripresone dallo Spedalingo degl’Innocenti, fu forza che quella gli concedesse, se volse ch’egli a finir lo’ncominciato lavoro ritornasse”

568 BALDINUCCI [1682-1728] 1974-1975], III, p. 250.

569 Ivi, p. 243 (Remigio Cantagallina), p. 244 (Pietro da Cortona), p. 252 (Gherardo Silvani). 570 HEIKAMP 1965, 4, p. 30; MEDRI 1999, p. 217 e seg.; MEDRI 2003, p. 88 e nota 27.

173 che paiono così vere, così naturali, che quasi in verità del fatto recano altrui diletto, ma non senza terrore, poscia che del tutto pare, che a terra rovini l’edifizio. E di vero è stato felice il Puccetto in divisar l’invenzione, la quale è singulare e nello splendore di così nobili artefici, come si vede, non è picciola la sua luce, la quale ad ora ad ora con sua lode si avanza. Sono contrafatti paesi lontani e boscarecci con montanari, che si mostrano spaventati co’ suoi armenti; si veggono acque congelate con tanto artifizio, che par divero di rilievo ogni cosa che con colori è stata effigiata”571

Su questa descrizione del Bocchi, Cinelli non intervenne con le sue aggiunte sia perchè doveva considerarla di per sè sufficiente, sia in previsione della pubblicazione della seconda parte delle Bellezze dedicata anche al Giardino di Boboli572.

Oltre alla Grotta Grande, Bocchi era arrivato a citare solamente opere giovanili del pittore, tra le quali l’Assunta nella chiesa di San Michele Visdomini573 e il

capolavoro assoluto di questa fase costituito dagli affreschi del palazzo di Ludovico Capponi (tav. 31), eseguiti tra il 1583 e il 1589574. Aveva apprezzato il

“mirabil colorito”575 e l’”attitudine” dei personaggi, elementi che, insieme alla padronanza dell’”invenzione” conferivano alle figure una naturalezza tale da farle apparire ciascuna “viva e di rilievo”:

“ E senza dubbio si come è bell’inventore il Puccetto, così le cose che in sua mente ha divisate, esprime poscia con colori felicemente”576

571 BOCCHI-CINELLI 1677, pp. 137-138.

572 “E perché di questo palazzo e suo giardino chiamato Boboli, molto vi sarebbe che dire, non

tanto per le camere, libreria e statue di quello, come per le statue, fontane et altre delizie di questo, non ho voluto qui porle, promettendo in breve un distinto ragguaglio di tutte le cose più ragguardevoli e degne, ch’in questo Real Palazzo e suo Giardino si contengono, insieme con le pitture della famosa Galleria del Gran Duca mio signore, e le statue più rinomate ch’in essa si conservano, e già ho questa fatica a tal segno, che in breve uscirà se a Dio piaccia alla luce” (BOCCHI-CINELLI 1677, p. 135).

573 “In ultimo alla Cappella di Ser Filippo Betti una tavola dell’Assunta è di mano di Bernardin

Puccetti, dove oltra la Vergine molto bella, è lodato un S. Bernardo, che sta ginocchione e contempla la Regina del Cielo con sommo affetto; et appresso ci è un S. Giovanni di rara industria” (BOCCHI-CINELLI 1677, p. 404).

574 Per la datazione, così come sul programma iconografico di questi affreschi cfr. VASETTI 2003,

pp. 63-64.

575BOCCHI-CINELLI 1677, p. 175. 576 Ivi, p. 178.

174

Se Bocchi aveva restituito l’immagine di un pittore vivente, il cui successo, nel momento in cui egli scriveva, era in continua crescita, Cinelli si trovò invece a integrare il testo descrivendo le opere dell’ultimo periodo, iniziando dagli affreschi della chiesa e del convento di San Marco577. Della prima cita gli affreschi della Cappella Serragli senza però esplicitarne il soggetto578, del secondo prende in

esame le lunette del chiostro raffiguranti Storie di Sant’Antonino, eseguite da Bernardino Poccetti e aiuti tra il 1602 e il 1609579. Due lunette in particolare attirarono la sua attenzione per le soluzioni prospettiche messe in atto dal pittore. La prima raffigura Sant’Antonino davanti al Crocifisso di Orsanmichele (tav. 32):

“Qui è ritratta questa chiesa per dentro con singolare artifizio. Si vede il tabernacolo dell’Orgagna ed il Cristo crocifisso vagamente delineato”580

L’altra mostra invece Sant’Antonino mentre prende possesso dell’Arcivescovato (tav. 33):

“ questa sopra tutte è vaga. È ritratta in esso la facciata del Duomo, incrostata di marmo com’era in que’ tempi, ed è ammirabile il disegno per molti gruppi di figure che scortano in lontananza diminuendo con grand’arte, il Santo scalzo e piangendo entra la prima volta come Pastore in Duomo”581

L’itinerario prosegue con gli affreschi della Cappella Canigiani nella chiesa di Santa Felicita, dei quali Cinelli evidenzia la vivacità cromatica:

“ La tavola è di Bernardino Puccetti e del medesimo sono ancora tutte le pitture a fresco, di vago colorito, e buonissima maniera giusta l’altr’opere di suo pennello”582

Dell’originaria decorazione pittorica della cappella rimane oggi solo l’affresco della parete di facciata raffigurante Il miracolo di Santa Maria della neve sull’Esquilino (1589-

577 PROTO PISANI 1989, II, pp. 321-362. 578 BOCCHI-CINELLI 1677, pp. 9-10. 579 VASETTI 1994, p. 9.

580BOCCHI-CINELLI 1677, p.15. 581 Ibidem.

175

1590)583 (tav. 34), mentre la tavola che Cinelli assegna erroneamente al Poccetti e che raffigura l’Assunzione della Vergine e Santi è stata recentemente ricondotta per via documentaria ad Andrea del Minga584.

L’itinerario prosegue con le opere della chiesa di Santa Maria del Carmine, in primo luogo la tavola raffigurante Sant’Andrea Corsini che risana un cieco ad

Avignone585 (tav. 35) della quale Cinelli fraintende il soggetto ma per la quale avanza un’acuta osservazione:

“ Ma seguitando verso la porta vi è sotto al Sepolcro di S. Andrea Corsini vago quadro, quale è di mano di Bernardino Puccetti nel quale si rappresenta il medesimo Santo, che è cinto da buon numero di poveri a’quali dispensa molte limosine: è questa una dell’opere migliori di suo pennello a segno che molto in questa ha variato la sua maniera degna di grandissima stima per ogni conto”586

Cinelli percepisce il mutamento verificatosi nella seconda metà degli anni Novanta, quando Poccetti sembra sensibile agli effetti pittorici e al respiro spaziale della composizione proprio, ad esempio, di pittori come Ludovico Cigoli587. A questo stesso periodo, appartiene inoltre l’Annunciazione (1601) della

cappella di Sant’Agata (“bellissima tavola di Bernardino Puccetti, ov’è dipinta la Vergine Santissima che fa orazione e Dio Padre nel Paradiso ordina all’Arcangelo Gabbriello l’Annunziazione”588) che Cinelli giudica “maravigliosa in ogni sua parte

siccome tutte l’opere di questo ingegnoso artefice”589. Inoltre ricorda i perduti affreschi raffiguranti gli “Apostoli maggiori del naturale, e sopra ciascheduno di essi è in una istoriettina effigiato il loro martirio590”, eseguiti tra il 1589 e il 1601

583 La decorazione della cappella comprendeva gli affreschi della cupola sulla quale Poccetti effigiò

con buona probabilità una Santissima Trinità e, nei pennacchi, quattro tondi raffiguranti santi di nome Giovanni in onore del committente Giovanni di Antonio Canigiani. Gli affreschi vennero distrutti in occasione della ristrutturazione del coretto tra il 1765 e il 1767 e quelli attuali, opera del pittore Tommaso Gherardini, riprendono probabilmente la stessa iconografia degli affreschi perduti, cfr. RICCI 2000, pp. 30-33.

584 RICCI 2000, pp. 30-33. 585 FABBRI 1992, p. 178.

586 BOCCHI-CINELLI 1677, pp. 156-157.

587 VASETTI 1994, p. 8; sulla ricezione della lezione del Cigoli cfr. CONTINI 2000, pp. 171-178. 588BOCCHI-CINELLI 1677, p. 159.

589 Ibidem.

590 Ibidem. Di questo ciclo rimane traccia in alcuni testi conventuali, uno di essi ricorda che “Tutte

176

dal Poccetti insieme a Passignano, Butteri, Lomi e Cinganelli , opere “fatte mentr’era giovanetto, che gli diedero grandissimo credito”591.

L’elenco delle opere del Poccetti prosegue citando le “bellissime” tavole del Monastero delle Convertite (la Deposizione di Croce e la Natività del Salvatore)592, la volta a fresco “di vago colorito” della cappella Strozzi in Santa Trinita593, quella

della cappella Carnesecchi in Santa Maria Maggiore594 e la volta della cappella

maggiore di Ognissanti595.

La descrizione delle opere del Poccetti visibili dal pubblico appare piuttosto sommaria in confronto alla profusione di dettagli con la quale Cinelli conduce la descrizione delle opere realizzate per dimore private; significativo, in questo senso, è il caso degli affreschi di Palazzo Spini, eseguiti dal Poccetti tra il 1609 e il 1612596

(tavv. 36-38):

“Una parte di questo palazzo è posseduta da Giovacchino Guasconi, nella quale perché sono un numero grande di pitture, tutte di mano del famoso Puccetti, sì nelle volte come nelle pareti e tutte maravigliose, è forza farne menzione. È in questa una vaga Cappella dipinta a fresco; la tavola dell’altare, che pure è nel muro, una Natività di Cristo Redentore, rappresenta, ma fatta con tanta grazia e con tal leggiadria, che non lo sa esprimer la penna. Nella volta di essa è effigiato il Paradiso con i cori degli angeli con ordine bellissimo e con tanto novero di figure, che l’occhio par incapace di potergli contare, sminuendo con grand’arte. Credo che chi non avesse cognizione del Paradiso e questa pittura vedesse, direbbe al sicuro, che questa non è altro che il Paradiso rappresentasse. Nella volta del ridotto vi è del medesimo un S. Giovanni Battista nel deserto, ch’è maraviglioso, come anche sono in altre volte, la Sapienza, la Giustizia, la Vigilanza, il Merito, il Freno, molti putti. Ed una camera nella quale ottimamente è effigiata la Coronazione di

Maria Vergine, e molte storiettine sacre nelle lunette, fatte con tale amore e con tanta vivezza ch’io ardisco dire che queste sieno senza fallo l’opere migliori di Bernardino, segno evidente che questo artefice fu generosamente trattato”597

f. 7, Provenienze degl’Obblighi di Sagrestia, e dei Beni stabili del convento di Santa Maria del Carmine, p. 397); cfr. FABBRI 1992, p. 91 nota 14. 591BOCCHI-CINELLI 1677, p. 159. 592 Ivi, p. 170. 593 Ivi, p. 186. 594 Ivi, p. 213. 595 Ivi, p. 225. 596 VASETTI 1995, p. 95. 597 BOCCHI-CINELLI 1677, pp. 182-183.

177

La descrizione cinelliana costituisce, anche in questo caso, una rara testimonianza del programma iconografico della decorazione a fresco prima della ristrutturazione settecentesca del palazzo598; sorprende l’enfasi laudativa che ricorda i toni del Bocchi anche nella oculata scelta di valorizzare il ruolo della committenza nella realizzazione di un tale capolavoro (“io ardisco dire che queste sieno senza fallo l’opere migliori di Bernardino, segno evidente che questo artefice fu generosamente trattato”), ricalcando la chiusa della descrizione bocchiana degli affreschi di Palazzo Capponi (“E di vero con gentilissimo avviso di Lodovico Capponi si è avanzato il Puccetto nell’industria e ha operato per suo studio ne gli anni suoi ancor verdi di esser tra migliori artefici con ragione e con lode annoverato”599).

La dettagliata descrizione che accompagna questo monumento è sicuramente motivata da una precisa volontà celebrativa nei confronti dei proprietari: a prova di ciò basta considerare l’enfasi con cui Cinelli esprime la sua ammirazione per l’affresco raffigurante il Paradiso nella cappella del palazzo, enfasi della quale però non rimane traccia nella descrizione degli affreschi ‘pubblici’ di identico soggetto e di altrettanto apprezzabile qualità, che Poccetti venne chiamato a realizzare nella cappella Strozzi in Santa Trinita (tav. 39), per i quali invece il nostro autore si limita a ricordare che:

“[è] dipinta la volta a fresco di vago colorito, con molt’artifizio di Bernardino Puccetti pittor famoso. Questa cappella era prima dipinta da Puccio Campana”600

Alcuni palazzi privati offrono invece a Cinelli l’occasione di mostrare opere della fase giovanile del Poccetti decoratore di facciate, periodo altrettanto fecondo della sua carriera, ma del quale pochi esempi si sono salvati, causa un degrado del quale già compare traccia nelle pagine delle Bellezze:

“ Segue la Casa de’ Compagni: sotto gli sporti che sostengono il verone son dipinte di mano di Bernardino Puccetti le Muse ed intorno alla porta posano su l’arco di essa due graziose

598 VASETTI 1995, p. 95.

599 BOCCHI-CINELLI 1677, p. 180. 600 Ivi, p. 186.

178 figure, che sono Mercurio ed Apollo delle quali solo il Mercurio oggi si vede per esser l’altro consumato come alcune Muse, è vago il loro colorito, ottimo il disegno e sono pregiabili per esser queste state primizie di suo pennello”601

Della casa di Andrea Pitti (post 1569-ante 1582)602, oltre alla facciata dipinta,

Cinelli ricorda anche l’affresco (perduto) dell’Ultima Cena , la cui lettura tradisce la piena adesione del giovane pittore alle regole figurative della Controriforma, improntate sulla massima chiarezza narrativa e sull’attenzione nella resa degli affetti:

“un Cenacolo bellissimo [...] nel quale è una vaga lontananza di prospettiva: le figure hanno movenza ed attitudini svegliate e pronte con panneggiamenti risentiti. Benedice Cristo il pane ed il mistero altissimo dell’Eucaristia raramente esprime e gli Apostoli nell’attenzione lor devozione dimostrano”603

La rassegna cinelliana non manca di citare le lunette del chiostro di Santa Maria Novella raffiguranti le Storie di Santa Caterina:

“di maniera assai delicata dipinte; è vago il colorito, copiose sono le figure con belle attitudini e buona disposizione. Alcune sono del Puccetti, una delle quali è dov’è effigiato il Miracolo di S. Caterina, quando converte due ch’andavano al patibolo”604

Manca, di fatto, la percezione di quella “maestà” individuata dal Baldinucci, tuttavia Cinelli ne mette in risalto la capacità di disporre numerose figure all’interno della stessa scena, qualità che Baldinucci identificherà quasi come un segno distintivo della maniera del Poccetti:

“non saprei dire, se vi fosse stato mai altro Pittore in Firenze, che avesse arricchite le sue storie di tante figure vicine tra loro, e lontane, quanto Bernardino”605

601 BOCCHI- CINELLI 1677, p. 234; sul problema della conservazione delle facciate dipinte dal

Poccetti cfr. HAMILTON 1973, p. 42

602 Palazzetto Pitti (via Santo Spirito 15); la datazione è quella proposta da HAMILTON (1973, p.

232, cat. n. 1), mentre il Thiem datava il lavoro del Poccetti intorno al 1575 (THIEM 1964, p. 143).

603 BOCCHI-CINELLI 1677, p. 286. 604 Ivi, p. 262.

179

Più interessante è invece la descrizione cinelliana degli affreschi del loggiato dello Spedale degli Innocenti, eseguiti da Bernardino Poccetti intorno al 1610606:

“Nella testata adunque di quella loggia di verso settentrione si vede tra l’altre figure un fanciullo morto in braccio ad Eusculapio, che con sughi d’erbe risuscitarlo procura, fatto dal Puccetti tanto simile al vero, che da un secondo ingegno vi furon fatti questi due versi:

Quem iuvenem extinctum cernis, si forte resurgat Pictori vitam debeat an Medico?”

Cinelli riporta alcuni versi, oggi a malapena leggibili, scritti entro un cartiglio nella parte bassa dell’affresco (tav. 40)607 e si può immaginare quanto egli avesse

particolarmente apprezzato il sofisticato quesito che presenta la Pittura e la Medicina impegnate a contendersi il ruolo di genitrici di vita: chi è stato capace di ridare vita al fanciullo dipinto nella lunetta del Poccetti, il pittore che lo ha effigiato o il dio ‘medico’ che lo ha fatto resuscitare? Giovanni Cinelli che ebbe, come si è visto, una formazione medica, non era nuovo a simili riflessioni sul legame tra arte e scienza medica, come testimonia un passo tratto dall’Anonimo

d’Utopia a Filalete in cui sostiene paradossalmente di essere più adatto del Baldinucci ad occuparsi d’arte perchè, come medico, la sua formazione è in parte simile a quella dei bravi artisti, ossia incentrata sullo studio dell’anatomia:

“Rispondemi ora il Baldinucci da chi impara il Pittore o lo Scultore la proporzione del corpo umano se nell’arte sua vuol esser buon maestro? se non mel dice glie’l dirò io, dall’Anatomia l’apprende, e per ciò Michelangelo per lo corso di 12 anni Anatomia studiando si fe gran maestro; E l’Anatomia di chi è ella professione? del Medico; Dunque il Baldinucci e non io ha dell’Arte che non è sua favellato”608

Continuando con la descrizione degli affreschi del loggiato, l’attenzione di Cinelli si sofferma su un’opera in particolare (tav. 41):

606 HAMILTON 1973, p. 226.

607 L’iscrizione, riportata da tutte le vecchie guide dello Spedale degli Innocenti (cfr. BRUSCOLI