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La pubblicazione della quarta Scanzia della Biblioteca Volante e l’esilio

L’attività editoriale di Giovanni Cinelli, a prima vista eterogenea ma in realtà, come si è dimostrato, strettamente legata alle tendenze letterarie del periodo, proseguì con la pubblicazione di opere di relativo valore, tra cui la seconda edizione dello Specchio, o vero descrizione della Turchia di Michel Febure o Febvre (1674) e il Testamentum sive praeparatio ad mortem di Giovanni Bona (1675), seguito dal Vocabolario toscano e turchesco di Antonio Mascis (1677) di cui Cinelli si fece promotore.

Il 1677 fu un anno estremamente fecondo per Cinelli che riuscì a curare la nuova edizione delle Bellezze della città di Fiorenza di Francesco Bocchi (1591) con il titolo di Bellezze di Firenze119, aggiornando il testo originale con l’aggiunta delle ‘bellezze’ artistiche e architettoniche fiorite nella città in quasi un secolo di mecenatismo pubblico e di collezionismo privato. Anche le Bellezze rientravano dunque nell’attività di riedizione di testi inediti o rari che contraddistinse la sua carriera di letterato.

117 Cinelli accoglie in questo caso una contestazione che era nata da un equivoco: difatti prima che

in casa del Coltellini si radunassero le sedute della futura accademia, Benedetto Fioretti pubblicava le sue opere con il titolo di “Accademico Apatista”; ciò trasse in inganno molti, tra i quali Gregorio Leti che individuò nel Fioretti il fondatore (LETI 1676, vol. III, p. 377), quando invece egli aveva solo suggerito nel 1637 il nome di “Apatisti” per i membri della nuova accademia (su questa vicenda vedi LAZZERI, 1983, p. 6).

118 BNCF, Magl. IX, 66, c.73v (c. 100 seguendo la cartulazione originale).

119 FRANCESCO BOCCHI, GIOVANNI CINELLI, Le Bellezze della città di Firenze dove a pieno di

pittura di scultura di sacri templi, di palazzi, i più notabili artifizj, e più preziosi si contengono. Scritte già da m. Francesco Bocchi, ed ora da m. Giovanni Cinelli ampliate, ed accresciute, in Firenze, per Gio. Gugliantini, 1677.

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Nello stesso anno continuò a dedicarsi alle opere alle quali tenne di più e alle quali doveva la sua fama tra i letterati del Paese e oltremontani, ossia la Toscana letterata e la Biblioteca Volante.

Il progetto della Toscana Letterata120 consiste in una raccolta di brevi biografie di scrittori e letterati dal Trecento fino al tempo dell’autore suddivise in tre volumi inediti e attualmente custoditi nella Biblioteca Nazionale di Firenze: due di essi sono dedicati agli Scrittori Fiorentini121 e l’ultimo agli Scrittori Toscani122. Stando alle parole del biografo Sancassani, “fu la sua diletta [...] sempre portò seco tal Opera”123 lavorandoci per tutta la vita e raccomandandola al Magliabechi per la pubblicazione che di fatto non vide mai124.

La Toscana Letterata fu una delle opere più attese del tempo, con preziose notizie di prima mano,

talvolta anche false e tendenziose come costume del nostro autore nei confronti di letterati nemici; anch’essa rientra in quell’attività compilatoria che gli diede lustro, ma anche guai.

Altra espressione di questo interesse compilatorio è la pubblicazione nel 1677 delle prime due “Scanzie” della Biblioteca Volante, altro progetto cinelliano che al contrario vide la pubblicazione. Il progetto della Biblioteca Volante prendeva avvio dalla ricognizione di opuscoli e pubblicazioni minori la cui rarità e il formato ridotto e spesso precario (fogli di carta, libriccini) ne avrebbero favorito la dispersione (da qui il titolo di Biblioteca Volante, composta da opere la cui fragilità

120 In questa sede si è scelto di designare col titolo di Toscana letterata (che è quello che compare sui

manoscritti cinelliani) un’opera che compare citata in varie maniere: Cinelli la chiama Istoria degli

Scrittori Toscani mentre il Sancassani parla di Raccolta degli Scrittori Toscani. L’opera è conservata nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, tuttavia Luca Tosin (TOSIN, 2012, p. 169, nota 41) ignora il manoscritto fiorentino e fa riferimento, nel suo recente contributo, a un manoscritto del quale non si avevano notizie nella Biblioteca Corsiniana di Roma (Scansia 31, manoscritti, lettera D, carta 351).

121 BNCF, Magl. IX, 66 e Magl. IX, 67. 122 BNCF, Magl. IX, 68.

123 SANCASSANI 1734, p. CVI.

124 Alla morte del Cinelli, avvenuta mentre era medico della Santa Casa di Loreto, Monsignor

Maggi governatore della città, adempiendo alle volontà dell’autore prese in consegna i volumi manoscritti della Toscana Letterata. Nel 1717 Giusto Fontanini vide i manoscritti presso il Maggi, prima che venissero presi in consegna da Filippo Buonarroti e che passassero nelle mani di Anton Maria Biscioni, cappellano della Basilica di San Lorenzo che si preoccupò, vista l’importanza del lavoro cinelliano, di trattenere l’opera presso di sè per approntare quelli che oggi costituiscono i volumi delle Giunte alla Toscana Letterata (BNCF, Magl. IX, 69-82) e infine gli Indici (BNCF, Magl. IX, 83). Su queste vicende vedi SANCASSANI 1734, p. CXXXIV, BENZONI 1981 e Indice

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non ne garantiva la conservazione e dei quali si voleva lasciare memoria)125. La ricognizione del Cinelli, partita dalla Biblioteca Palatina e già a buon punto nel 1680126, interessò poi varie biblioteche; questo vasto repertorio bibliografico

ragionato prese la forma di una serie di pubblicazioni periodiche (le Scanzie) che presentavano, in ordine alfabetico per autore, i risultati di queste ricerche. La prima e la seconda Scanzia della Biblioteca Volante videro la luce a Firenze nel 1677, mentre qualche anno dopo, nel 1682, uscì la quarta Scanzia che i biografi fanno in genere coincidere con l’inizio dei guai per Giovanni Cinelli: in essa, infatti, l’autore riportava una controversia che ebbe luogo l’anno precedente, tra Bernardino Ramazzini medico modenese suo amico e Giovanni Andrea Moniglia, medico di corte, sostenendo le ragioni del primo e l’incapacità del secondo. Come scrive il Sancassani:

“Nella Scanzia si ponevano in veduta le debolezze di un Medico, cui il Principe aveva riguardato come capace cotanto, ed intendente nella sua professione, che per tal titolo meritava la stima di tutti [...] fatto conoscere [...] quel Medico per poco o nulla intendente di sua professione, va subito al di sotto l’estimazione del Principe tacitamente redarguito d’avere in cosa di tanta importanza, quale si è la propria vita, fatto scelta di un debole soggetto, a cui appoggiarla”127

Le parole del Cinelli suscitarono le ire del Moniglia, tanto che quest’ultimo riuscì a farlo imprigionare e a ottenere che venisse distrutta l’opera all’origine di quello scandalo: l’11 marzo 1683 le copie della quarta Scanzia vennero pubblicamente arse sul rogo nel cortile del Bargello; il medico offeso non riuscì però a ottenere che venissero ritirate quelle già in circolazione nè che il suo autore si impegnasse a

125 Le intenzioni dell’opera vengono esplicitate dall’autore nell’introduzione alla prima Scanzia:

“poichè molte opericciuole d’Uomini grandi su fogli volanti stampate, che quasi baleni a pena nate svaniscono, o sono andate affatto in dimenticanza, o l’esser loro è così ignoto, che rende gli autori delle medesime compatibili, mi son mosso a darti la presente fatica, che BIBLIOTECA VOLANTE, è chiamata per ravvivare non solo molte di già quasi perdute, e per assicurar da così pernizioso accidente quelle che vivono, correndo anch’esse col tempo lo stesso pericolo” (CINELLI 1677, pp. 7-8).

126 Cinelli scriveva infatti ad Angelico Aprosio che “io travaglio incessantemente da’ 19 ottobre in

quà nella Biblioteca Fiorentina nella quale di tutti gli scrittori della Toscana a questo Dominio sottoposta e dell’opere loro, si darà distinta notizia: gli Fiorentini passano fin qui il numero di 1300 e penso arriveranno al numero di 1500, ne meno di questi saranno i Toscani, e vorrei ad ogni Santi mandarla sotto il Torchio, onde se ha qualche notizia da somministrarmi mi sarà gratissima” (BUG, Ms E.VI.8, nota 1, pubblicata in TOSIN, 2012, p. 170).

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ristamparla emendata dai passi più oltraggiosi. Una volta libero, infatti, Cinelli non fece niente di tutto ciò e, anzi, nel 1683 pubblicò un libello in sua discolpa, la

Giustificazione128. I contrasti tra i due medici non vennero mai meno, così come la memoria dell’oltraggio, tanto da crearsi due opposte fazioni in favore delle ragioni dell’uno o dell’altro. È in questo contesto che nel 1684 uscì in forma anonima il libro Io. Cinelli et A. Magliabechi vitae volto a distruggere definitivamente la reputazione di Cinelli che si era reso protagonista della controversia col Moniglia e del Magliabechi che lo aveva protetto e forse anche anche istigato129.

Il clima ostile di quegli anni spinse Cinelli a lasciare dunque Firenze e a dare inizio alle peregrinazioni di città in città che caratterizzarono il resto della sua vita; seppur provato dalle controversie nelle quali era rimasto implicato, tutti insuccessi che gli fecero maturare la convinzione che gli fossero state “tarpate l’ali da discortese fortuna”130 , Cinelli non perse mai tuttavia la consapevolezza di sè e del

suo operato, così come la vis polemica che lo aveva contraddistinto fino ad allora:

“Ho libero e schietto il genio de gli altrui panni vestirmi sempre sdegnai, ma de’miei onori coprirmi amai”131

Costretto ad abbandonare Firenze, fece tappa inizialmente a Bologna accolto dal Conte Valerio Zani che lo introdusse nell’Accademia dei Gelati; in questa città lavorò come medico finchè fu chiamato a Modena dall’amico Ramazzini, il quale riuscì a fargli ottenere una cattedra di “Lettore della Toscana Favella” nello Studio di San Carlo132. Oppresso dai debiti e insoddisfatto del magro stipendio ricevuto

per quell’incarico, si insinua nella mente del Cinelli anche il timore di essere richiamato in patria: probabilmente per questi motivi egli decise di continuare la sua professione di medico prima a Gualtieri, poi a Fanano, Bertinoro e a Forlì.

128 GIOVANNI CINELLI, Giustificazione di Giovanni Cinelli a difesa di ciò che è stato scritto contro di esso

nella relazione di tutto quello ch’e seguito nella controversia letteraria fra li signori eccellentissimi Gio. Andrea Moneglia e Bernardino Ramazzini, Cracovia, appresso Gio. Del Martello, 1684. Il luogo di stampa è falso, poichè il libro fu impresso a Venezia (vedi GAMBA 1839, p. 530).

129 Vedi anche in questa sede p. 27.

130 BNCF, Magl. IX, 66, c.384r (c. 719 seguendo la cartulazione originale). 131 BNCF, Magl. IX, 66, c. 384r (c. 719 seguendo la cartulazione originale). 132 SANCASSANI 1734, p. CXIV.

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Recatosi ad Ancona fu trattenuto come “Primo Gentiluomo e Medico” del vescovo Bicchi, di origine senese, che ne favorì l’inserimento nell’Accademia degli

Intronati133.

Venuto a conoscenza della malattia di Monsignor Melchiorre Maggi, governatore di Loreto, il vescovo Bicchi inviò Giovanni Cinelli in quella città per tentare di curare l’amico prelato: le cure ebbero successo con grande riconoscenza e ammirazione da parte del Maggi al quale fu legato da sincera amicizia. Cinelli tornò ad Ancona pochi giorni prima della morte del vescovo Bicchi e trovatosi improvvisamente senza questo suo potente protettore, Cinelli chiese al Maggi di poter prendere servizio presso di lui; fu così che il prelato lo sistemò come medico condotto nella Santa Casa di Loreto, dove morì il 3 aprile 1706.

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PARTE II

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1. Prima delle Bellezze cinelliane: guidistica fiorentina tra XVI e

XVII secolo

Il

Memoriale di molte statue e pitture che sono nell’inclyta ciptà di Florentia

di Francesco Albertini (1510)

Preso atto dell’enorme sviluppo della guidistica romana, Julius von Schlosser134 individuò nel Memoriale di molte statue e pitture che sono nell’inclyta ciptà di Florentia del canonico Francesco Albertini (1510) la prima guida artistica vera e propria di una città135.

Cappellano e in seguito canonico nella basilica di San Lorenzo a Firenze, Francesco Albertini (1517-1523) 136 si stabilì a Roma nel 1502 e tre anni dopo

divenne uno dei cappellani del cardinale di Santa Sabina Fazio Santori. Nel 1510 diede alle stampe l’Opusculum de Mirabilibus novae et veteris Urbis Romae137, il quale

interessa ai nostri fini in quanto reca in appendice un testo intitolato De laudibus

civitatum Florentinae et Saonensis che si può considerare di fatto come una sorta di esercizio antecedente al Memoriale138.

È nell’ambito degli scritti del periodo romano dell’Albertini che si deve dunque rintracciare, a mio avviso, la genesi del Memoriale. Nell’Opusculum de Mirabilibus

novae et veteris Urbis Romae dedicato a papa Giulio II, l’autore riuscì a compilare, pur rimanendo legato alla tradizione dei mirabilia medievali139, una prima guida di Roma in senso moderno: spinto dalla richiesta del Cardinale della Rovere di scrivere una guida che si presentasse finalmente sfrondata dalle leggende e dagli elementi favolosi che caratterizzavano le descrizioni degli ormai obsoleti mirabilia,

134 SCHLOSSER 1964 [1924], p. 544 e segg.

135 FRANCESCO ALBERTINI, Memoriale di molte statue et picture sono nella inclyta cipta di Florentia per

mano di sculptori & pictori excellenti moderni & antiqui, tracto dalla propria copia di messer Francesco Albertini prete fiorentino anno domini 1510, Firenze 1510 (da ora in avanti indicato come ALBERTINI 1510); sul Memoriale dell’Albertini vedi anche ALBERTINI [1510] 2010, in particolare le pp. 11-34.

136 RUYSSCHAERT 1960, pp. 724-725 al quale si rimanda per tutte le informazioni bibliografiche

con relative fonti.

137 FRANCESCO ALBERTINI, Opusculum de Mirabilibus novae et veteris Urbis Romae, Roma, 1510. Il

fatto che egli risiedesse in quegli anni a Roma potrebbe confermare l’esistenza già nel 1505 di un’edizione romana del suo Opusculum de Mirabilibus novae et veteris Urbis Romae citata dal Graesse (GRAESSE 1858) e attualmente irreperibile; sono dell’avviso che si tratti di un semplice errore di stampa nell’indicazione della data, tuttavia questa citazione viene riproposta ancora da ROSSETTI 2000, p. 17.

138 Del Memoriale esiste anche una copia manoscritta nella Biblioteca Angelica di Roma (Ms 2053)

segnalata da RUYSSCHAERT 1960, p. 724.

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l’Albertini suddivise l’opera in due parti, una dedicata alla Roma antica, l’altra alla

nova Urbs, ossia ai monumenti più recenti della città, inaugurando la prassi dell’osservazione diretta dei monumenti descritti che troveremo poi anche nel

Memoriale.

I dati in questo modo raccolti costituirono un importante aggiornamento alle tradizionali descrizioni della città che incontrò di conseguenza il favore del pubblico, come testimoniano le varie ristampe dell’Opusculum che si succedettero a breve distanza di tempo l’una dall’altra (Roma 1515; Basilea 1519; Lione 1520; Roma 1523).

Se nell’Opusculum, primo saggio di guidistica moderna, l’Albertini mantenne in parte il legame con la tradizione dei mirabilia, nel De laudibus civitatum Florentinae et

Saonensis, dedicato alle città di Firenze e Savona, i modelli di riferimento rimanevano invece quelli della tradizione storiografica fiorentina e in particolare al consolidato schema delle laudes degli umanisti140, in quanto l’opera consiste

sostanzialmente in un compendio di personalità i cui meriti nel campo della cultura e della vita civile le rendevano degne di memoria. Se per Roma il modello guidistico rimaneva dunque quello dei mirabilia, per Firenze si sceglie invece lo schema delle laudes.

La scelta dell’Albertini di inserire in appendice all’Opusculum dedicato a Roma una lode della città di Firenze, è indicativa della percezione, da parte dell’autore, di un profondo legame culturale tra le due città: questa tendenza si riscontra anche in un’altra opera del periodo romano dell’Albertini, le Septem Mirabilia orbis et urbis

Romae et Florentinae civitatis141, le quali uniscono significativamente in un unico testo

le sette meraviglie di Roma e quelle di Firenze. Anche le Septem Mirabilia, come chiarisce il titolo, tendono a non abbandonare del tutto la struttura dei mirabilia, in quanto si limitano a elencare, piuttosto che a descrivere, i principali monumenti cittadini con una particolare attenzione verso quegli elementi che ne denotano la ricchezza materiale (i marmi preziosi che ne ornano l’interno) e storica (in quanto testimonianze di un passato glorioso).

140 A Firenze il genere venne inaugurato dalla Laudatio florentinae urbis di Leonardo Bruni, cfr.

GARIN 1988, III, p. 110-112; BRUNI 2000; FUBINI 2003, pp. 285-296; ALBERTINI [1510] 2010, p. 22.

141 FRANCESCO ALBERTINI, Septem mirabilia orbis et urbis Romae et Florentinae civitatis, Roma,

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Le Septem mirabilia si possono comunque considerare una guida proprio perché dovevano servire come tale per il re Emanuele del Portogallo; stampate a Roma il 7 febbraio presso Jacopo Mazzocchi, precedono di poco il Memoriale, terminato il 30 agosto e stampato a Firenze il 2 ottobre 1510 presso Antonio Tubini.

Con il Memoriale l’Albertini gettò di fatto le premesse per lo sviluppo della guidistica fiorentina inaugurando la prassi, sperimentata negli scritti del soggiorno romano, dell’osservazione diretta dei monumenti citati, e istituendo la regola della perfetta corrispondenza tra la struttura del testo e la reale conformazione urbanistica della città che esso descrive (l’opera si presenta infatti divisa in quattro parti come quattro erano all’epoca i quartieri di Firenze: Quartiere di San Giovanni, Quartiere di Santa Maria Novella, Quartiere di Santo Spirito, Quartiere di santa Croce, più una parte dedicata alle immediate “Vicinanze”). Le fonti dell’Albertini, mai dichiarate esplicitamente dall’autore ma in gran parte riconoscibili, si possono rintracciare nella storiografia e nella letteratura artistica precedente, dal De origine civitatis Florentie et eiusdem famosis civibus di Filippo Villani (1381) fino ai Commentarii di Lorenzo Ghiberti142: da esse l’Albertini ricavò

sicuramente informazioni sugli artefici più antichi e sulle loro opere, mentre per gli artisti del Quattrocento fiorentino (Masaccio, Filippo Lippi, Andrea del Castagno) il Landino in particolare dovette costituire la fonte di riferimento. Oltre al metodo, l’Albertini introdusse nella letteratura guidistica anche alcuni topoi che passeranno quasi inalterati anche ai compilatori successivi: nell’introduzione al

Memoriale egli sente infatti la necessità di scusarsi in primo luogo per la fretta con cui il libello era stato composto durante un breve soggiorno a Firenze nell’imminenza del ritorno a Roma143, in secondo luogo per aver osato affrontare

la materia senza esserne un esperto per adempiere alla richiesta di un amico (lo scultore Baccio da Montelupo)144. Il Memoriale non vuole dunque presentarsi come

un’opera esaustiva e il suo autore, consapevole di ciò, vuole chiarire che, al di là della natura occasionale dell’opera, le informazioni contenute sono comunque

142 ALBERTINI [1510] 2010, p. 22, con bibliografia a p. 33 nota 51.

143 ALBERTINI 1510, p. 8; la fretta viene dunque indicata come il motivo per cui egli è costretto a

scrivere in prosa e non in versi, tralasciando peraltro molte cose altrettanto degne di menzione.

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frutto sia della consultazione di “scripture antique” che del supporto di uomini “degni di fede” pertanto garanti della qualità di tutta l’opera145.

A differenza dell’Opusculum, il Memoriale non conobbe un analogo successo di pubblico in quanto le edizioni a stampa di questo libello sono estremamente rare e non venne mai ristampato. Questa circostanza si potrebbe spiegare se si crede alla natura occasionale del Memoriale, un compendio di arte fiorentina senza pretese di ufficialità e a uso di un amico scultore, un testo da ricondurre dunque nell’ambito privato di un rapporto di amicizia tra autore e destinatario, come testimonia l’inserimento di una canzone sull’amicizia a conclusione dell’opera146. Non è tuttavia fuori luogo ipotizzare come questa pretesa natura occasionale celasse probabilmente una precisa volontà da parte dell’autore di testare l’interesse del pubblico fiorentino (e forestiero) nei confronti di un genere, come appunto quello della guida di città, che a Roma godeva dell’appoggio di una lunga tradizione favorita dalla presenza dei luoghi simbolo del potere religioso e della fede ma che a Firenze non aveva di fatto precedenti.

L’immagine di Firenze ancora in questi primi anni del Cinquecento era dunque quella di patria di personaggi illustri ed erano i meriti e le imprese di questi ultimi, piuttosto che la presenza di opere d’arte e monumenti storici, che denotavano la “bellezza” della città. Che il Memoriale vada considerato un tentativo, purtroppo fallito, di introdurre il genere guidistico a Firenze può essere testimoniato anche da un passo dell’introduzione in cui l’Albertini stesso scriveva che il succinto libello anticipava in realtà un’opera di più ampio respiro, non ancora terminata, ma che avrebbe dovuto avere il significativo titolo di Le magnificentie et bellezze di

Florentia147. La prassi di anticipare l’uscita di una pubblicazione più approfondita

sullo stesso argomento diventerà anch’essa una costante della guidistica fiorentina, comune, come avremo modo di puntualizzare, anche ai compilatori successivi. Il proposito dell’Albertini trovò invece compimento qualche decennio dopo quando, Francesco Bocchi pubblicò le sue Bellezze della città di Fiorenza (1591)148 in tempi ormai maturi per lo sviluppo e la diffusione del genere guidistico a Firenze.

145 ALBERTINI 1510.

146 ALBERTINI [1510] 2010, p. 12 147 ALBERTINI 1510.

148FRANCESCO BOCCHI, Le bellezze della citta di Fiorenza, doue à pieno di pittura, di scultura,

di sacri tempij, di palazzi i più notabili artifizij, & più preziosi si contengono. Scritte da m. Francesco Bocchi, Firenze, Sermartelli 1591 (citato d’ora in avanti come BOCCHI 1591).

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Francesco Bocchi e le

Bellezze della città di Fiorenza

(1591)

L’idea di una guida di città che servisse per diletto e per istruzione di chi legge,