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“È in questa [nella chiesa di San Pier Maggiore] effigiato un’Incoronazione della Vergine Santissima con una quantità di agnoli e di santi di mano dell’Orgagna, discepolo d’Andrea Pisano ed è per quei tempi cosa di stima, ma perché è stata tenuta con poca cura, ha ricevuto dalla polvere non poca ingiuria, alla quale pure si rimedierebbe col pulirla, come è stato fatto in una parte ove è ritornata bellissima, come se ora dalle mani dell’artefice uscisse. Stette questa per molti anni all’altar maggiore”412

Nel puntare il dito contro la precaria condizione conservativa di questa tavola, Cinelli finiva di fatto per registrare la situazione di abbandono che interessava molte opere del XIII e XIV secolo in città413. La perdita della posizione

411 SCANNELLI 1657, s.n.p.

412 BOCCHI-CINELLI 1677, p. 353-354.

413 Cinelli torna più volte, nelle Bellezze, sul tema della conservazione dei dipinti del Trecento:

“Molte altre pitture celebri per l’antichità e per i maestri che le fecero, in oggi non si vedono più in questa chiesa, parte per esser trasportate altrove e parte per essere state fatte nel muro, le quali o

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privilegiata all’interno degli edifici ecclesiastici e l’incuria costituivano le conseguenze visibili dello scarso valore riconosciuto alle opere più antiche, tenute in vita più per spirito di venerazione.

In questo contesto erano state composte le Bellezze di Francesco Bocchi, le quali tentavano sostanzialmente di ricostruire agli occhi del lettore-visitatore l’immagine della città che aveva dato i natali ai protagonisti della Maniera moderna; è un obiettivo, questo, che Bocchi aveva perseguito con un rigore tale da spingerlo a descrivere accuratamente i capolavori dei geni assoluti di Michelangelo e Andrea del Sarto, e ad espungere invece dagli itinerari molte opere di artisti del Due e Trecento.

Quasi un secolo più tardi l’atteggiamento di Cinelli nei confronti delle opere di questi artisti appare meno rigido, tuttavia subì una sostanziale mutazione dalle

Bellezze agli scritti successivi e questo grazie all’impulso, come si avrà modo di chiarire, della pubblicazione del primo volume delle Notizie dei Professori del Disegno di Filippo Baldinucci (1681)

La stesura delle aggiunte alle Bellezze di Firenze obbligarono Giovanni Cinelli a porsi il problema di quella parte di patrimonio cittadino costituito da opere e monumenti del Due e Trecento che pure facevano parte degli itinerari precedentemente tracciati da Francesco Bocchi ma che quest’ultimo aveva volutamente in gran parte tralasciato.

Nel caso, ad esempio, di un un affresco del Duomo di Firenze che Bocchi aveva a suo tempo citato scegliendo di valorizzarne solamente il soggetto, Cinelli interviene invece aggiungendo anche il nome dell’autore e fornendo così, seppur indirettamente, un inquadramento storico precedentemente assente:

sono state imbiancate o tolte via nel rifacimento delle Cappelle, essendovene di quelle allora di Puccio Capanna, del Castagno, di Cimabue, del Ponte, di Paolo Uccelli, di Fra’ Giovanni e di Gentile da Fabriano e di altri rinomati artefici di que’ tempi, il che non solo è accaduto in questa chiesa, ma in molte altre ancora, come in Badia, Santa Croce, Carmine, Santa Maria Novella ed altre chiese antiche” (BOCCHI- CINELLI 1677, p. 192); “[Dante] fu dal medesimo Giotto ritratto al naturale nella medesima chiesa [Santa Croce], nella nave a tramontana, che poi è stato scortesemente imbiancato, come fu fatto nel Carmine a’ ritratti del Brunellesco, di Donatello e d’altri uomini insigni di que’ tempi, a’ quali però è stata fatta minor scortesia, poiché per riquadrare il primo chiostro gli è stata alzata davanti una parete senza guastarli, ma non seguì così in Ogni Santi a quello d’Amerigo Vespucci, cattiva corrispondenza in vero, poiché se non era forse decente che que’ ritratti in luogo sacro si stessero potevansi con minor male e maggior cortesia trasportare altrove come in tante pitture d’uomini insigni s’è fatto” (BOCCHI- CINELLI 1677, p. 337-338).

124 “Poi presso all’ultima porta è la città di Firenze con l’effigie di Dante, poeta rarissimo e per tutto

famoso, fatto dall’Orgagna”414

Un’aggiunta particolarmente significativa riguarda poi la chiesa della Misericordia, per la quale Bocchi si era limitato a valorizzare la storia e la funzione, evitando accuratamente ogni menzione delle opere in essa presenti, la cui importanza doveva essere, a suo avviso, trascurabile. A colmare questa lacuna provvede ancora una volta Cinelli integrando il testo con un’informazione tratta dalle Vite vasariane:

“ [BOCCHI] Ora, procedendo innanzi a man destra, si trova Santa Maria del Bigallo detta la Misericordia, notabile memoria della pietà fiorentina, però che a questo luogo fu lasciato da uomini divoti gran numero di danari nel tempo della pestilenza del MCCCCXXXXVII perché fosse dato a’ poveri per Dio e con carità fossero sovvenuti i bisognosi. [CINELLI] Sopra l’altar di questa chiesa vi è una Vergine di marmo di mano d’Andrea Pisano, alta tre braccia e mezzo, col figlio in collo, cosa molto lodata, accompagnata da due agnoli che la mettono in mezzo d’altezza di braccia due e mezzo l’uno. L’adornamento di queste statue, ch’è di legno, è di mano di M. Antonio detto il Carota, quale è assai bello e la predella dipinta a olio, è di Ridolfo di Domenico Grillandai tutta piena di bellissime figure”415

Alla luce di questi esempi si può affermare che la menzione delle opere più antiche nascesse sostanzialmente da un’esigenza di completezza, come Cinelli stesso aveva chiarito nell’introduzione al testo:

“volli legger le Bellezze di Firenze del Bocchi [...], ma come che in quelle io non interamente soddisfatto restassi, sì per vederne alcune, che come erette doppo la stampa di esso non poteva egli darne notizia, altre tralasciate affatto, ed altre non interamente

414 BOCCHI- CINELLI 1677, p. 51.

415 BOCCHI-CINELLI 1677, pp. 62-63. Il testo vasariano recita: “È di mano d’Andrea similmente

la Madonna di marmo alta tre braccia e mezzo col Figliuolo in collo, che è sopra l’altar della chiesetta e compagnia della Misericordia in sulla piazza di San Giovanni in Firenze, che fu cosa molto lodata in que’ tempi, e massimamente avendola accompagnata con due Angeli che la mettono in mezzo, di braccia due e mezzo l’uno; alla quale opera ha fatto a’ giorni nostri un fornimento intorno di legname molto ben lavorato maestro Antonio detto il Carota e, sotto, una predella piena di bellissime figure colorite a olio da Ridolfo figliuolo di Domenico Grillandai” (VASARI 1568, I, p. 149).

125 descritte, per apertura di mente mi messi a fare alcune postille al medesimo libro, giugnendovi le cose più principali e più degne, che sotto l’occhio nella nostra città manifestamente appariscono, le nuove somministrandovi, ed in quelle ov’egli è stato scarso nel descrivere, procurando d’aggiugnere ciò che alla mia notizia è pervenuto”416

Precisando significativamente di essersi accinto all’impresa “per apertura di mente”, Cinelli coglieva di fatto il principale punto debole delle Bellezze, ossia l’evidente parzialità con la quale il primo redattore aveva proceduto nella selezione delle opere presentate al lettore-visitatore. Il progetto del Bocchi, come si è già avuto modo di puntualizzare, finì per tradire la natura stessa dell’opera, la quale anzichè proporsi per quello che effettivamente era, una guida di città ad uso eminentemente pratico, intendeva in realtà manifestare le pretese teoretiche del suo autore, tanto da averlo spinto a privilegiare non tanto la completezza degli itinerari quanto la citazione e la descrizione delle sole opere in grado di dimostrare, in virtù della loro perfezione formale, la ‘superiorità’ della Maniera Moderna. L’omissione delle opere dei cosiddetti ‘primitivi’ nelle Bellezze del Bocchi può essere dunque considerata, in un certo senso, come il frutto di una rigida interpretazione della teoria artistica vasariana, sostenuta dalla sincera convinzione in una ‘perfezione’ artistica ormai raggiunta.

Questa decisa presa di posizione in favore dei ‘moderni’ aveva comportato, al contrario, un’attenzione talmente irrilevante per le opere degli ‘antichi’ da spingere Bocchi a citare la chiesa di Santa Croce, uno dei principali edifici sacri fiorentini, omettendo con estrema disinvoltura gli affreschi giotteschi delle Cappelle Bardi e Peruzzi i quali, a differenza delle tavole antiche spostate nelle sacrestie, costituivano da sempre una presenza ben visibile e nota417.

Bocchi sembra citare esempi più antichi solo quando si tratta di opere care da secoli alla devozione popolare, come nel caso della cosiddetta Madonna Rucellai (tav. 9) che egli poteva ancora vedere nella cappella eponima in Santa Maria Novella:

416 BOCCHI- CINELLI 1677, pp. 1-2.

417 Il silenzio di Francesco Bocchi sulle opere di Giotto e in particolare sugli affreschi in Santa

Croce è stato fatto notare a suo tempo anche da SALVINI 1938, p. IX. Raffaello Borghini, ad esempio, aveva iniziato l’elenco delle opere di Giotto ricordando le “figure [...] nella Cappella dell’Altar maggiore della Badia di Firenze” e, subito dopo le quattro cappelle di Santa Croce (Bardi, Peruzzi, Giugni e Tosinghi), cfr. BORGHINI 1584, p. 292; citate anche nel libro di Antonio Billi (BILLI, 1978, p. 7) e dall’Anonimo Magliabechiano (FREY [1892] 1969, p. 52).

126 “La tavola, che si vede in alto, dove è la Madonna col figliuolo in collo, messa in mezzo da alcuni angeli, maggiore del naturale, è di mano di Cimabue il quale, come che per disegno non sia singulare, tuttavia è tenuta in venerazione”418

Evidente è la forzatura con cui l’autore inserisce questa nota sull’antica tavola, la cui citazione all’interno delle Bellezze non intendeva essere indicativa di un pregio estetico che di fatto veniva percepito come scarso a causa della poca padronanza del “disegno”, ma si giustificava solo in virtù della “venerazione” di cui essa aveva da sempre goduto a titolo religioso419. Nelle aggiunte cinelliane, al contrario,

questo aspetto non costituiva una ragione di per sè sufficiente alla citazione di un’opera antica.

Oltre all’aspetto devozionale, che permetteva di annoverare le opere degli ‘antichi’ se non tra le “bellezze” della città, almeno come parte del suo patrimonio artistico, anche il loro status di prime ‘sperimentazioni’, ovviamente imperfette, in direzione della rinascita e successivo perfezionamento delle arti può renderle, per Bocchi, degne di menzione. Si tratta, in questo caso, di una riflessione che si dimostra debitrice al concetto di progresso artistico di matrice vasariana sul quale entrambi gli autori appaiono concordi, ma che Cinelli tende a valorizzare maggiormente rispetto al suo predecessore il quale, in occasione delle poche descrizioni di opere antiche, preferiva ribadire la loro lontananza dalla perfezione della Maniera moderna, piuttosto che la loro natura pionieristica. È quanto si evince, ad esempio, dalla descrizione di due tavole della chiesa di Santa Trinita:

“È in sagrestia una Tavola de’ Magi di mano di Gentile da Fabbriano, ma è tenuta in riverenza (come cosa antica e che dal primo pittore procede, onde è nata la bella maniera, che oggi è in fiore) la tavola di Cimabue di una Madonna maggiore del naturale, posta nella seconda cappella della destra nave, per cui molto bene scorge chi è intendente, obliata la

418 BOCCHI- CINELLI 1677, p. 245; la tavola, a lungo ritenuta di Cimabue, è stata in seguito

ricondotta alla mano di Duccio.

419 Bocchi appare dunque perfettamente in linea con quanto propugnato nell’ambito

dell’erudizione sacra tardo cinquecentesca da teorici come il Gilio, il quale riconosceva nelle opere d’arte antiche la capacità di ispirare devozione, cfr. PREVITALI 1959, p. 5.

127 maniera de’ greci, la quale oltra modo era rozza e goffa, quanto i pittor moderni a questo antico pittore siano obbligati”420

In questo brano Francesco Bocchi lasciava inoltre intravedere una sorta di contrapposizione tra due opere percepite come “antiche”: l’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano (tav. 10), ritenuta più degna d’esser ricordata e veduta, e che era stata, a suo avviso forse anche ingiustamente, collocata in sacrestia lontana dagli occhi dei fedeli, poichè la venerazione generale era rivolta piuttosto alla

Madonna di Cimabue (tav. 11), che Bocchi lasciava intendere essere meno pregevole dal punto di vista stilistico. Il giudizio bocchiano si dimostra dunque sostanzialmente incapace di individuare pregi nella pittura di Cimabue ma, in linea con la riflessione vasariana, riconosce senza clamore il merito dell’autore nell’aver posto le basi per l’avvio di una “bella maniera”. Lo stesso concetto viene inoltre esplicitato in un brano relativo a una tavola di Cimabue in Santa Croce, inserita forzatamente dal Bocchi all’interno dell’itinerario al solo scopo di fornire una sorta di pietra di paragone utile a far emergere i pregi dei moderni:

“Sopra la porta del fianco, che riesce verso il chiostro, è una tavola di mano di Cimabue, la quale, come che comparata con le pitture moderne sia oggi di poco pregio, tuttavia per memoria di questo artefice, onde è nato il colorito maraviglioso, che oggi è in uso, è degna di memoria e di considerazione.”421

Il “poco pregio” rimane dunque quanto lo spettatore tardocinquecentesco riusciva a percepire delle opere del Duecento e del Trecento, pertanto le Bellezze bocchiane non riuscirono tuttavia a superare la convinzione che l’esistenza di una tavola antica dovesse essere giustificata dalla “memoria” dell’artefice e dei suoi meriti, dal suo valore storico, piuttosto che dal riconoscimento di un valore estetico.

La riflessione cinelliana si innesta dunque su quella del Bocchi con una certa continuità fino a trovare un punto d’incontro nel recupero della teoria vasariana sul valore storico dell’antico come momento propedeutico al successivo sviluppo delle arti; è il caso della Porta sud del Battistero la cui descrizione mostra evidenti analogie con il brano delle Vite dedicato alla stessa opera:

420 BOCCHI- CINELLI 1677, p. 192. 421 Ivi, p. 316.

128 [VASARI] “Laonde messovi mano [...], gli fu così propizia la sorte nel getto - in que’ tempi che non si avevano i segreti che si hanno oggi -, che in termine di ventidue anni la condusse a quella perfezione che si vede [...]. E se bene pare a molti che in tali storie non apparisca quel bel disegno né quella grande arte che si suol porre nelle figure, non merita però Andrea [Pisano] se non lode grandissima, per essere stato il primo che ponesse mano a condurre perfettamente un’opera che fu poi cagione che gl’altri che sono stati dopo lui hanno fatto quanto di bello e di difficile e di buono, nell’altre due porte e negli ornamenti di fuori, al presente si vede”422

[CINELLI] “benché il disegno di questa, secondo il Vasari fusse prima stato fatto da Giotto, e ad Andrea [Andrea Pisano] data a finire, nella quale consumò ventidue anni di tempo per condurla a fine, per la quale merita egli lode grandissima ancorché in quelle istoriette che vi sono non apparisca così bel disegno, per esser stato il primo, ed aver dato lume al Ghiberti, ed a gli altri che vennero dopo lui, come d’aver superate tante difficoltà allora quasi impossibili, per così dire, per non esser note le maniere del gettare i bronzi, le quali avendo egli spianate a gl’altri ha dato loro campo d’avanzarsi nella perfezzione dell’altre porte e de’ loro ornamenti”423

È proprio dalla biografia vasariana su Andrea Pisano che Cinelli sembra ricavare la maggior parte degli spunti teorici che gli furono utili nella valutazione dell’arte dei primitivi, particolare che conferma il ruolo delle Vite come principale sua fonte per le notizie sugli artisti del XIII e XIV secolo. Nella costante preoccupazione di suffragare le sue aggiunte con la citazione esatta della fonte utilizzata, egli indica puntuali rimandi alle biografie vasariane consultate (soprattutto quelle di Andrea Pisano, Giotto, Andrea Tafi)424; pur riproponendo frequentemente intere parti di testo tratte dal Vasari, quando queste contemplavano aneddoti troppo stravaganti egli non mancava però di esprimere i propri dubbi425. Vale inoltre la pena

422 VASARI 1568, I, p. 150.

423 BOCCHI- CINELLI 1677, p. 31; si noti la rielaborazione che Cinelli opera sul passo vasariano,

volta a costruire una sorta di compendio delle principali notizie fornite dal Vasari con uno stile scarno e una prosa a tratti farraginosa.

424 “Fu bene fatta [Santa Maria del Fiore] col disegno di Giotto fino a un certo segno, come

benissimo si riconosce e come asserisce il Vasari nella vita di Andrea Pisano e di Giotto” (BOCCHI- CINELLI 1677, p. 44).

425 Come chiarisce il frequente ricorso alla formula “se al Vasari creder si debbe”: “[Gaddo Gaddi]

avanzossi tanto col tempo in quest’arte, che fino alcuni quadretti di guscia d’uova con somma diligenza fabbricò, se al Vasari creder si debbe” (BOCCHI- CINELLI 1677, p. 31); “Era vicino a

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considerare che tutti i riferimenti bibliografici cinelliani corrispondono all’edizione giuntina delle Vite (1568)426, scelta probabilmente sia perchè l’ultima, sia per i

significativi ampliamenti che avevano interessato anche la parte relativa agli artisti medievali (quale l’inserimento delle biografie di Arnolfo, e di Nicola e Giovanni Pisano, che non a caso compaiono anche nelle Bellezze).

Oltre al concetto della qualità legata ai limiti tecnici del lavoro artistico nel Medioevo, Cinelli aveva tratto dalla biografia di Andrea Pisano anche una riflessione, nata in seno ai dibattiti sul paragone tra le arti e che Vasari aveva a sua volta riproposto, sulla difficoltà di riportare in vita la pittura poichè in quel caso gli artisti non potevano beneficiare di testimonianze figurative antiche alle quali fare riferimento, problema che aveva toccato invece in misura molto minore gli scultori, i quali avevano potuto da sempre giovarsi di modelli conservatisi in virtù della resistenza della loro materia costitutiva. Questo concetto aveva trovato una chiara formulazione nella biografia vasariana di Andrea Pisano:

“E certo è che l’arte della scultura si può molto meglio ritrovare quando si perdesse l’esser delle statue - avendo gl’uomini il vivo et il naturale, che è tutto tondo come vuol ella, - che non può l’arte della pittura, non essendo così presto e facile il ritrovare i bei dintorni e la maniera buona per metterla in luce”427

Lo stesso concetto viene dunque accolto e ulteriormente sviluppato nell’introduzione alle Bellezze in relazione alla figura di Cimabue:

“ io non potrò anche sentir biasimare il disegno di Cimabue benché lontano dal vero, ma devesi egli molto nondimeno commendare per esser stato il rinuovatore della pittura stata persa cinque secoli avanti, ch’egli fiorisse, per lo quale ritrovamento debbesi molto avere in pregio quest’uomo avvenga che se la Scultura si perdesse, il che è difficile, per esser le questo tempio la torre famosa di Guardalmorto, della quale favellando il Villani dice che per malizia di alcuni eretici fu fatta rovinare, credendo loro farla cader sopra il tempio di San Giovanni, ma questo è un grave errore, perché di tal caduta fu ingegnero ed inventore Giovanni Pisano, il che non fece egli furtivamente come dice il Villani, ma di ordine della Republica, se al Vasari creder si debbe” (Ivi, p. 36)

426 Cinelli cita infatti in alcuni casi i numeri di pagina corrispondenti a questa edizione, nella quale,

come è stato a suo tempo notato dalla critica, Vasari tende a inasprire i termini del discorso sui “primitivi” in funzione celebrativa di Michelangelo e della Firenze medicea del XVI secolo (THIERY 1974, pp. 351-381); tuttavia, da un punto di vista teorico, questa scelta non ebbe ripercussioni sulla posizione critica del Cinelli.

130 statue molto più durevoli che le pitture non sono, meglio in acconcio tornerebbe il ritrovarla avendo gli uomini seco il naturale e il vivo, ch’è tutto tondo e rilevato come in lei si richiede, che non si fé nel ritrovamento della pittura, non tornando così bene il ritrovar con facilità e prestezza i dintorni, e la buona maniera per metterla in opra. Potrassi ben dar maggior lode a Giotto quantunque la pittura non ritrovasse, per aver un po’ più inteso il disegno, e meglio di Cimabue colorito perch’egli l’avanzò di gran lunga, come bene attesta il nostro Divino Poeta”428

Il riferimento a Dante come fonte su Cimabue e Giotto, seppur tratto ancora una volta dal Vasari429, consente però di avanzare alcune considerazioni sulla natura e il ruolo delle altre fonti utilizzate da Cinelli per le notizie sugli artisti del Due e Trecento da ricercare nella letteratura dell’umanesimo fiorentino (Dante, Petrarca e Boccaccio) alla quale aveva già ampiamente attinto anche il Bocchi430.

Nel fare riferimento ai meriti di Giotto anche Bocchi aveva a suo tempo recuperato, seppur stancamente, un topos caro alla letteratura umanistica e accolto