• Non ci sono risultati.

“Perché il disegno, padre delle tre arti nostre architettura, scultura e pittura, procedendo dall’intelletto cava di molte cose un giudizio universale simile a una forma overo idea di tutte le

cose della natura, la quale è singolarissima nelle sue misure, di qui è che non solo nei corpi umani e degl’animali, ma nelle piante ancora e nelle fabriche e sculture e pitture, cognosce la proporzione che ha il tutto con le parti e che hanno le parti fra loro e col tutto insieme; e perché da questa cognizione nasce un certo concetto e giudizio, che si forma nella mente quella tal cosa che poi espressa con le mani si chiama disegno, si può conchiudere che esso disegno altro non sia che una apparente espressione e dichiarazione del concetto che si ha nell’animo, e di quello che altri si è nella mente imaginato e fabricato nell’idea”313

Il concetto vasariano di disegno come fondamento delle tre arti314 passa dalla

cultura artistica fiorentina del Cinquecento a quella del secolo successivo senza sostanziali mutamenti. Per il Bocchi delle Bellezze è tramite il disegno che “si dà vita alla pittura”315, tuttavia egli usa frequentemente il termine in relazione alla

descrizione di sculture, come nel caso del San Jacopo del Sansovino, del quale ammira la “profondità del disegno”316 o Adamo ed Eva di Baccio Bandinelli:

“Quanto più queste figure sono considerate tanto più mercè dell’incredibile artifizio sono in pregio; però che se dal disegno, come da fonte, egli nasce la più rara bellezza, come non sarà credibile, che dalla mano del maggior disegnatore, che sia mai stato, come fu il Bandinello, non siano procedute opere rare e singulari?”317

La valutazione del disegno in relazione alla scultura è forse dettata da uno specifico passo della riflessione vasariana:

313 VASARI 1568, I, p. 43. 314 GRASSI, 19783, I, pp. 154-156. 315 BOCCHI-CINELLI 1677, p.472. 316 Ivi, p. 53.

317 Ivi, p. 52; l’eccellenza del Bandinelli nel disegno traspare anche dalla descrizione delle opere dei

suoi allievi, come nel caso di una delle sculture del sepolcro di Michelangelo in Santa Croce ossia la

Pittura di Battista Lorenzi “stimata molto per lo disegno, ove questo artefice molto vale, il quale ammaestrato sotto la disciplina dell’eccellentissimo Cavalier Bandinelli, in tutte le sue opere ha mostrato gran valore e grande ingegno” (Ivi, p. 221).

99 “nella scultura serve il disegno di tutti i contorni, perché a veduta per veduta se ne serve lo scultore quando vuol disegnare quella parte che gli torna meglio o che egli intende di fare per ogni verso o nella cera o nella terra o nel marmo o nel legno o altra materia.”318

E invitava lo scultore “per divenir più intelligente” ad esercitarsi nel ritrarre le statue, prima ancora che il modello dal vero319.

Nel giudizio sulle pitture, Bocchi riconosce la capacità del disegno nel conferire

rilievo all’immagine dipinta320, come nel caso degli affreschi del Poccetti in Palazzo

Capponi:

“Nel primo arco al principio dell’altra facciata è dipinto Piero di Gino Capponi, quando nel MCCCCXCIII va in Francia a Carlo VIII ambasciadore. Nel quale atto ricevuto lietamente, si scorgono appresso le figure di viva prontezza e fatte con tanto disegno, che paiono di rilievo”321

Quanto più il disegno riesce, tramite l’artificio del rilievo, a superare la bidimensionalità della superficie dove l’immagine si distribuisce, tanto più questa diventa simile al vero. Andrea del Sarto viene ancora una volta additato come un esempio insuperato in questo senso:

“Però che è mirabile Raffaello nel dipignere, sublime il Buonarroto nel disegno, miracoloso Andrea nel contrafar la natura. Avanza ogni pittore Raffaello nel colorire, non ha pari Michelagnolo nel disegno, ma vince tutti Andrea nel dar rilievo e nel mostrar le cose, né più, né meno, come da Dio sono state fatte. Assai puote l’arte in Raffaello, l’ingegno nel Buonarroto; ma senza dubbio è sovrano Andrea però che non con arte, né con ingegno umano pare che siano fatte le sue figure, ma prodotte mirabilmente dalla natura”322

318VASARI 1568, I, p. 44. 319 Ibidem.

320 Sul significato di disegno e rilievo nella teoria artistica del Bocchi, vedi WILLIAMS 1989, pp. 112-

114.

321 BOCCHI-CINELLI 1677, p. 177. 322 Ivi, pp. 299-300.

100

Nel testo delle Bellezze bocchiane la valutazione del disegno compare spesso insieme a quella sul colorito, secondo una prassi già in atto nella definizione vasariana. Si veda la descrizione dell’Assunta di Girolamo Macchietti:

“Sono belle le teste de gli apostoli con vive attitudini e la Madonna parimente è fatta con bella grazia e con dolce colorito è il tutto ordinato, con disegno stabile e pregiato in guisa che egli non è artefice, che non dia lode al valore di quello e no ‘l commendi”323

Nell’opera del Macchietti il disegno è inoltre strettamente connesso con l’invenzione, anche in questo caso con un chiaro richiamo alla definizione vasariana324 e ricomponendo la triade invenzione-disegno-colorito a suo tempo

codificata dal Pino e dal Dolce325:

“Si vede il giustiziere di fattezze robuste fatto in sua persona vile con mirabile industria e mentre che tiene legato con una fune il Salvatore, mostra movenza tale, che par vero e naturale. È il disegno pregiato, il colorito conforme al soggetto e l’invenzione di tutte le figure lodevole e rara”326

Le aggiunte cinelliane sembrano di fatto attenersi pressochè puntualmente al lessico artistico bocchiano. La prima occasione nella quale Cinelli si esprime sul

disegno è in difesa di Cimabue, accusato nel testo dallo stesso Bocchi di non essere “per disegno [...] singulare”327:

“come si può egli biasimar Cimabue nel disegno, se quello non poteva avere per non essersi ancora i dintorni riconosciuti, e ritrovati, che l’anima del disegno sono?”328

Anche Cinelli, come Bocchi, pone in evidenza la grande abilità disegnativa del Poccetti, osservando per gli affreschi di Casa Compagni come fosse “vago il loro

323BOCCHI-CINELLI 1677, p. 152. 324 DE ANGELIS D’OSSAT 1976, p. 773.

325 PAOLO PINO, Dialogo di Pittura, In Vinegia, per Pauolo Gherardo, 1548; LODOVICO

DOLCE, Dialogo della pittura, intitolato l’Aretino, In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, 1557.

326 BOCCHI-CINELLI 1677, p. 320. 327 Ivi, p. 245.

101

colorito, ottimo il disegno”329, recuperando anche la relazione tra disegno e colorito330, come mostra anche la descrizione della Visitazione di Maria di Piero di

Cosimo nella cappella Capponi in Santo Spirito :

“È in questa dipinto un S. Girolamo che scrive che è miracoloso, poiché sì nell’attitudine come nel

colorito e nel disegno è vaghissimo”331

Minor attenzione viene invece riservata al rilievo, che Cinelli individua solo in una tavola della Cappella Sernigi nella chiesa di Santa Trinita, raffigurante “S. Dionisio

Ariop. e S. Bastiano a’ piedi d’un Cristo risuscitato”, che definisce “pittura bellissima di maniera delicata con molto rilievo e benissimo mantenuta, di mano del Puligo secondo alcuni”332. L’altra occasione nella quale il termine viene

utilizzato è in riferimento al Martirio di San Lorenzo del Bronzino, per il quale Cinelli ricorda una critica che giudica le figure “mancar di rilievo e ‘l colorito esser rozzo”333.

Cinelli non sembra infine cogliere il legame tra disegno e invenzione334, che pure avrebbe trovato di lì a poco una coerente formulazione nel Vocabolario del Baldinucci:

“Disegnamento, Disegno: Un’apparente dimostrazione con linee di quelle cose, che prima l’uomo coll’animo si aveva concepite, e nell’idea immaginate [...]. Di quì aver disegno, termine de’Pittori, e vale sapere ordinatamente disporre la ‘nvenzione, doppo aver bene, e aggiustatamente delineata e contornata ogni figura, o altra cosa che si voglia rappresentare”

329 “Segue la Casa de’ Compagni: sotto gli sporti che sostengono il verone son dipinte di mano di

Bernardino Puccetti le Muse ed intorno alla porta posano su l’arco di essa due graziose figure, che sono Mercurio ed Apollo delle quali solo il Mercurio oggi si vede per esser l’altro consumato come alcune Muse, è vago il loro colorito, ottimo il disegno e sono pregiabili per esser queste state primizie di suo pennello” (BOCCHI-CINELLI 1677, p. 234).

330 “Entrando dunque in chiesa dalla mano destra si trova una tavola ov’è un S. Alberto, che cava

un ch’affoga dall’acque, di mano del Cigoli: è bellissimo di questa il disegno e vago il colorito” (BOCCHI-CINELLI 1677, p. 213).

331 BOCCHI-CINELLI 1677, p.147. 332 Ivi, p. 191.

333 Ivi, p. 512.

102

Nell’unica aggiunta cinelliana nella quale il termine viene impiegato, si fa riferimento all’invenzione nel senso di apporto inventivo originale che, come mostra il caso del Giambologna, può diventare capriccio335 se l’artista non si attiene al

dato naturale, secondo una sfumatura concettuale che tornerà anche nella definizione baldinucciana336:

“Anche Gio. Bologna uomo di così grand’arte, e di maggior invenzione, con tutto che sia ogni sua opera maravigliosa e di pregio, è stato da qualcheduno criticato nell’effigiare i muscoli del corpo umano, perché non come naturalmente nella notomia si veggono, ma in qualche cosetta più tosto a suo capriccio e di propria invenzione gli disegnava” 337

L’assenza, nel Cinelli, di un orientamento teorico riguardo all’invenzione non è frutto di ignoranza personale, ma si può comprendere solo confrontandolo con altri scritti coevi. La definizione fornita dal Baldinucci nel Vocabolario si mostra, ad esempio, sfrondata da tutte le riflessioni del secolo precedente:

“I nostri Artisti dicono invenzione non solo quella facultà, che è nell’ottimo maestro, di rappresentare con chiarezza e proprietà, quella inventiva, o storia, o poetica, o mista che sia, in tal modo che, e nel tutto, e nelle parti, apparisca tale, quale egli stesso à voluto ch’ella sia; ma ancora dicono invenzione alla stessa cosa rappresentata, e dicono buona e cattiva invenzione la cosa stessa inventata ”

Al di fuori dell’ambito fiorentino, in un testo noto e ampiamente consultato anche a Firenze come Le ricche minere della pittura veneziana (1674), Marco Boschini così ammoniva il “buon Inventore”, riunendo nella pratica dell’invenzione tutte le ‘parti’ della pittura (attitudini, disposizione, colorito, espressione degli affetti):

335 Non a caso Baldinucci definisce il “Capriccio” come “proprio pensiero e invenzione. Quindi,

fatto a capriccio o di fantasia, cioè di proprio pensiero e invenzione” (BALDINUCCI [1681] 1975, p. 28).

336 “Invenzione: I nostri Artisti dicono invenzione non solo quella facultà, che è nell’ottimo

maestro, di rappresentare con chiarezza e proprietà, quella inventiva, o storia, o poetica, o mista che sia, in tal modo che, e nel tutto, e nelle parti, apparisca tale, quale egli stesso à voluto ch’ella sia; ma ancora dicono invenzione alla stessa cosa rappresentata, e dicono buona e cattiva invenzione la cosa stessa inventata” (BALDINUCCI [1681] 1975, p. 78).

103 “Deve dunque avvertire il buon Inventore il soggetto, non solo delle istorie o delle Favole che deve rappresentare, ma tutti gli accidenti suoi, e le sue circostanze, cioè la convenevole quantità degli individui, la varietà degli oggetti, l’armonia de’colori, il luogo delle azioni, il sito delle figure, le attitudini de’corpi, le passioni de gli animi, la diversità de’ vestiti, la bizaria de’pensieri e la novità delle cose”338

Nella seconda metà del XVII secolo il termine dunque sembra prestarsi a interpretazioni ambigue che oscillano tra una approssimativa rilettura delle definizioni cinquecentesche (come nel caso del Baldinucci) e la pretesa di essere onnicomprensive (come nel caso del Boschini). In questo contesto Cinelli, fedele da un punto teorico e lessicale alle linee definite dalla trattatistica artistica fiorentina del secolo precedente, tralasciando la valutazione dell’invenzione nelle opere da lui esaminate sembra dunque percepire questa trasformazione concettuale dalla quale, così facendo, cerca di tirarsi fuori.