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La maniera in cui le aggiunte cinelliane affrontano la figura di Salvator Rosa (tav. 45) apre ad alcune considerazioni: innanzitutto la conoscenza che Cinelli mostra di questo pittore è perfettamente compatibile con l’immagine che quest’ultimo lasciò di sè durante il suo soggiorno in Toscana.

Negli anni trascorsi dal Rosa a Firenze, tra il 1640 e il 1648621, Giovanni Cinelli

studiava ancora a Firenze sotto la guida di uno dei più importanti soci dell’Accademia, Evangelista Torricelli, e fu forse grazie a lui che riuscì ad entrare in contatto con il pittore e forse anche con il più caro amico di quest’ultimo, Giovan Battista Ricciardi, del quale poi prese a frequentare la dimora durante gli studi dottorali a Pisa; a riprova di questa conoscenza esiste un ricordo autobiografico in cui Cinelli affermava che:

“Fu Rosa da me ben conosciuto in Firenze ed in Pisa in casa del suo amico Ricciardi col quale aveva qualche servitù… Era Rosa graziosissimo ed ameno nella conversazione, la quale godei più volte essendo commensale del Ricciardi ch’era buono e leale amico, e

620 BOCCHI- CINELLI 1677, p. 464

184 questo fu dall’anno 1645 fino al 1650 nel quale ricevei dal Dottor Giovanbattista Ridolfi anatomico la laurea”622

Cinelli ebbe dunque modo di conoscere il Rosa a Firenze, forse anche in maniera diretta, dopo di chè i contatti tra i due proseguirono anche grazie alla frequentazione del Ricciardi “del qual Rosa fu sempre cordialissimo […] amico, e da esso ricevè in dono molte pitture di pregio fra le quali, è bellissima quella ov’è il Ricciardi in abito filosofico ritratto, in atto di contemplare un teschio umano” 623. Giovanni Cinelli ebbe dunque modo non solo di conoscere il Rosa, ma anche di vedere la collezione di Giovan Battista Ricciardi della quale cita in questo brano manoscritto l’opera che viene tradizionalmente considerata il suggello dell’amicizia tra il pittore e il filosofo, il celebre e controverso Autoritratto (o ritratto di Giovan

Battista Ricciardi ) nelle vesti di filosofo, oggi al Metropolitan Museum di New York (tav. 46). Il contatto col Ricciardi, del quale è stato messo recentemente in risalto il ruolo di instancabile promotore dell’arte di Salvator Rosa in Toscana, deve dunque aver in parte contribuito alla conoscenza che Cinelli nelle Bellezze di Firenze mostra di avere delle opere del celebre pittore.

La prima opera di Salvator Rosa che Cinelli cita nelle Bellezze è il Cristo che libera S.

Pietro dal naufragio nell’altare Baldocci della chiesa di San Felice in Piazza (tav. 47).

È bella la marina ed un vecchio nella barca spaventato e mirabile, ma per altro il restante della tavola, e spezialmente il Cristo non è effigiato con quella vivezza propria di suo pennello”624

Sulla stessa opera si espresse, qualche anno più tardi, anche Filippo Baldinucci con un giudizio tutt’altro che positivo:

“Potremmo quì dire, che Salvator Rosa fece anche una tavola, a cui fu dato luogo per entro la chiesa di san Felice in Piazza; ma perchè puossi affermare, che questa fosse veramente l’unico aborto de’suoi pennelli, non fà di mestiere che altro se ne scriva”625

622 CINELLI-SANCASSANI 1734, p. 91; cfr. anche MERONI 1981, pp. 65-70 e p.67 nota 2. 623 BNCF, Magl. IX, 67, c. 832.

624 BOCCHI-CINELLI 1677, pp. 126-127.

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A differenza del suo odiato avversario, Cinelli tenta un’analisi dell’opera al fine di distinguere le parti degne della perizia del loro autore da quelle qualitativamente meno felici, argomentando brevemente il suo giudizio; l’abilità del Rosa paesaggista emerge nella resa della “marina”, mentre del Rosa pittore di “istorie” rimane la capacità di esplorare le emozioni più sconvolgenti dell’animo umano: in un particolare di secondo piano, come appunto quello del vecchio spaventato, Cinelli riconosce quell’”espressiva” che manca purtroppo in quello che di fatto sarebbe stato il personaggio chiave del quadro, quel Cristo dal volto inespressivo che porge la mano a un poderoso san Pietro626.

Si potrebbe dire che nelle Bellezze Giovanni Cinelli mostra una sicurezza maggiore quando si trova a descrivere le opere del Rosa pittore di figure e di storie, piuttosto che di paesaggio. Forte di una buona cultura letteraria e storica perfezionata con la frequentazione delle accademie o di personaggi ad esse legati, Giovanni Cinelli era indubbiamente capace di dare un giudizio personale sulle scelte interpretative degli artisti alle prese con temi (storici, biblici e quant’altro) che egli conosceva bene. Questa preferenza per le “istorie” del Rosa sembra dunque trarre radici dalla personale esperienza del Cinelli, il quale difatti non sembra condividere fino in fondo col Ricciardi la passione per i paesaggi che pure costituivano la maggior parte delle opere di mano del Rosa possedute da questo letterato e che Cinelli aveva potuto ammirare direttamente (tavv. 49-50). Questa ipotesi trova una conferma se si considera la descrizione della Congiura di Catilina del Museo di Casa Martelli a Firenze (tav. 48):

“In questa [casa di Marco Martelli] fra le cose ragguardevoli è un superbo quadro fatto dell’ingegnosissimo pennello di Salvator Rosa. Ha questo vivacissimo spirito industriosamente effigiato Catilina, che ritirato in luogo oscuro e nascosto, la congiura con Cetego forma e stabilisce. Quivi sopra ara antica hanno i vasi del vino e ognun di loro dal braccio volontariamente a tale effetto ferito fa grondare il sangue nella tazza ripiena, col quale fermano il giuramento. Stringonsi ambedue la destra per segno della fede che scambievolmente si danno, e con loro altri sette confederati assistano: son le figure quanto il naturale. È grande la bizzarria degli abiti e dell’armi che hanno maravigliosa la

626 Sulle commissioni pubbliche del Rosa e in particolare sulla complicata questione della qualità

delle sue pale d’altare tra cui quella della chiesa di San Felice in Piazza, cfr. SALOMON 2010, pp. 175-197.

186 vivacità di tutti e sovraumana per così dire l’espressiva, che quelle figure nell’abito torbido e sollevato dimostrano, avvenga che nel guardo bieco danno manifestamente a divedere il livore e la rabbia ferina che ne’lor cuori alberga”627

La Congiura di Catilina venne eseguita da Salvator Rosa nel 1663, periodo del suo secondo soggiorno a Roma e lì rimase esposta alla mostra di San Giovanni Decollato. Giunta in collezione Martelli nel 1669, l’opera aveva come diretta fonte letteraria d’ispirazione il Bellum Catilinae di Sallustio, come ebbe modo di confessare Rosa stesso in una lettera a Giovan Battista Ricciardi628. Si trattava di una delle opere del Rosa pittore di storia più acclamate per la capacità di affidare la narrazione esclusivamente alle espressioni dei personaggi629: non a caso l’idea di

una sorta di corrispondenza tra il tipo di sguardo (“bieco”) e i moti dell’animo umano è in quegli anni al centro di un diffuso interesse che scaturisce probabilmente, come è stato giustamente notato630, da una rinnovata attenzione al trattato cinquecentesco di Giovan Battista Della Porta De humana physiognomonia testimoniata da continue ristampe in volgare.

La Congiura, trasposizione pittorica di una fonte storica alla quale il pittore aggiunse quel pathos che di fatto è assente dalla narrazione di Sallustio, è forse uno dei pochissimi casi nei quali Cinelli si dilunga in una descrizione che, pur nella sua sintesi, tenta toni quasi ecfrastici. In questo caso si percepisce una sicurezza descrittiva senza pari nelle Bellezze, che è sicuramente indice del gusto personale che spingeva il Cinelli letterato verso il genere colto della pittura di storia. Deve aver giovato inoltre a questa profonda comprensione di questo soggetto anche il contatto col Ricciardi, il quale ebbe col Rosa importanti scambi epistolari in merito a quest’opera dei quali Cinelli poteva essere ben informato. Ma altrettanto importante dovette essere stata per Giovanni Cinelli la vivace discussione che prese avvio proprio dalla Congiura di Catilina, che ebbe infatti la fortuna di godere del plauso e dell’ammirazione di tutti coloro che la videro esposta a Roma. In questa città, o forse a Firenze, anche Lorenzo Magalotti vide la celebre opera della quale regala una splendida lettura in questa lettera a un amico:

627 BOCCHI-CINELLI 1677, pp. 555-556.

628 SALVATOR ROSA TRA MITO E MAGIA 2008, p. 146, scheda 29. 629 LANGDON 2008, p. 53.

187 “Quivi apparisce quanto ha potuto immaginare il profondo giudizio e la tremenda fantasia del pittore. Nella elezione del sito, voi raffigurate subito un ripostiglio, un nascondiglio, o come suol dirsi, uno scannatoio lasciato tra quattro mura in fondo a una torre, o nel più intimo d’una casa per riporvi tesori, per rimpiattarvi gente facinorosa, per commettervi impunemente qualche gran cosa. Dall’aria poi de’ visi, dall’armatura, dall’armi, dalle attitudini e dal contegno de’Congiurati, che tutti in un mucchio in piedi si vedono entrarvi per l’appunto [...], anche a non sapere quel che rappresenta il quadro, v’accorgete subito che il negozio per cui vi sono, è della maggiore importanza, pieno di pericolo, eseguibile per mano del furore, e di sua natura sommamente atroce. Chi poi sa di Catilina e del suo attentato, non ha di bisogno di domandare che istoria è quella: ritrova subito nelle fattezze, e sopra tutto negli occhi del principale e de’complici, tutti que’segni che, essendo in un viso, v’ha necessariamente ancora, o prima o poi, a venire il pensiero di tramare una congiura, o la disposizione a darvi di mano”631

La precedente descrizione del Cinelli è straordinariamente affine a questa lettura del Magalotti, e sarebbe interessante chiarire se vi fossero stati contatti fra i due, oltre alla comune appartenenza accademica632. L’idea infatti che l’ambientazione, il luogo in cui si svolge il fatto storico, e gli sguardi dei protagonisti siano i principali rivelatori del soggetto dell’opera accomuna Magalotti e anche il Cinelli delle

Bellezze, in quanto entrambi sottolineano l’abilità del Rosa nel trasformare in narrazione un episodio di per sè statico (il momento della congiura) affidando questo compito esclusivamente a un’espressività che dalle figure riesce ad estendersi anche all’ambientazione.

La figura del Rosa pittore di storie e di “figure grandi” è dunque vivamente apprezzata dai letterati fiorentini ancora per tutti gli anni Sessanta e Settanta, tanto

631 GAMBA1830, pp. 37-38; il Gamba per primo pubblicò questa lettera inedita di Lorenzo

Magalotti della quale però non è stato mai ritrovato l’originale. La lettera è indirizzata a un amico al quale Magalotti si rivolge con questo incipit: “Poichè voi vi trovate in Firenze e vi dilettate di pittura, osservate in casa Martelli un quadro di Salvador Rosa, che rappresenta la Congiura di

Catilina...” e termina con una datazione tra parentesi probabilmente ipotizzata dal Gamba “(verso il 1667)” : considerando che l’opera giunse in casa Martelli solo nel 1669, la data riportata dal Gamba, che si riferisce a due anni prima dell’arrivo dell’opera a Firenze, non è dunque corretta. Purtroppo ignorando l’ubicazione della lettera originale risulta impossibile motivare la datazione del Gamba.

632 Lorenzo Magalotti è uno dei personaggi del Malmantile racquistato, poema di Lorenzo Lippi del

quale Cinelli curò la prima edizione. Sia Cinelli che il Magalotti, inoltre, risultano infatti iscritti all’Accademia degli Apatisti nel 1666, pertanto Cinelli poteva aver avuto modo di scambiare pareri artistici con questo celebre erudito.

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da spingere lo stesso pittore a continuare su questa strada perfezionandola e dedicandovisi quasi esclusivamente nel suo secondo soggiorno a Roma.

Quando però Filippo Baldinucci scrisse la vita di Salvator Rosa, questa parte di attività del pittore sembra non ricevere la stessa attenzione; egli infatti si limita a una descrizione dell’opera insolitamente molto breve:

“Dipinse ancora in un quadro di circa otto palmi, in mezze figure, la Congiura di Catilina e i Congiurati, che dannosi fra di loro la fede collo stringimento delle mani e col pegno del proprio sangue: ne’ volti de’quali si affaticò il pittore di fare apparire la detestabile fellonia dei loro cuori”633

Non sfugge, anche nel caso del Baldinucci, la considerazione dell’abilità del pittore nella ricerca di una concordanza tra espressione del volto e passioni dell’animo, ma oltre a ciò il critico non sente la necessità di aggiungere altro, convinto che il Rosa fosse il “più singolare in materia di paesi”634 ma sopravvalutato come pittore

di storia:

“Non saprei già che dirmi, mentre io mi voltassi a parlare delle sue istorie e figure grandi, nelle quali volle egli che consistesse il più forte del suo pennello; talmentechè facendo per così dire gran torto al cielo, che avevalo fatto tanto singolare nel dipignere l’altre cose [...], usò bene spesso affermare esser questo, dico, il fare le grandi figure, il suo mestiero [...]: le quali, conciossiacosachè scuoprano in loro in loro stesse bella e poetica invenzione, rappresentazioni bizzarre, gran franchezza di tocco, colorito fresco, arie di teste giudiziosamente scelte per adattarle ai suggetti rappresentati [...], contuttociò non giunsero, a parere degli intendenti, a quel segno di bontà, che egli si diede a credere: nè punto accordaronsi, nel colorito, col fare de’gran maestri del passato [...]. Esso però, come quegli, che senza nulla, o com poco vedere il naturale, facevale in forza della gran pratica ch’egli s’era acquistata nel maneggiare il pennello, si fece una maniera propria, bizzarra sì, ma non vera”635

L’impegno che Rosa mise nella pittura di figure nel periodo fiorentino, ma soprattutto nel secondo periodo romano, appare al Baldinucci quasi come una

633BALDINUCCI, 1681-1728, [1974-1975], V, p. 444. 634 Ivi, p. 477.

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forzatura del naturale talento di quel pittore per i cosiddetti “paesi”. Cinelli al contrario mostra una certa sicurezza nella descrizione dei dipinti di figura, in particolare quelli degli anni Sessanta periodo della maturità del Rosa, come nel caso della Congiura di Catilina e come sembrerebbe anche per la sopra citata pala della chiesa di San Felice in Piazza per la quale è stata recentemente proposta una datazione intorno al 1661636.

Secondo il Baldinucci dunque, il vero talento di Salvator Rosa poteva esprimersi solamente nei cosiddetti “paesi” che al contrario non ricevono altrettanta attenzione dal Cinelli che pure poteva aver visto nella collezione Ricciardi anche i numerosi dipinti di paesaggio di questo pittore. La percezione che Cinelli ha del Rosa pittore è infatti profondamente segnata dalla grande stima che egli ha del Rosa letterato, ed è pertanto propenso a lodarne i dipinti di figura piuttosto che quelli più legati al genere. È per questo motivo che, scorrendo le Bellezze, troviamo un Cinelli estasiato dalla vista di un Figliuol prodigo nella casa di Andrea, Ottavio e Lorenzo del Rosso, “la cui vivezza e bizzarria è tale, che rende maravigliato l’occhio”637; un giudizio positivo viene espresso per “quattro Paesi pur dello stesso

Rosa, che la di lui intelligenza dimostrano e manifestano, come 4 tondi di sortilegi, la bizzarria di suo ingegno altresì veder fanno”638 nella casa di Giovanni Niccolini.

Anche quando Cinelli si trova a descrivere un “paese” particolare, come appunto la cosiddetta Selva dei Filosofi di casa Gerini, oggi in Galleria Palatina (tav. 4), la sua attenzione è tutta volta alle figure:

“Vi è ancora un Paese molto grande nel quale Salvator Rosa ha con la solita vivezza di suo pennello effigiato Diogene, che vedendo quello che si serviva delle mani per tazza, toltasi da canto quella alla quale beveva, come inutile la gettò via”639.

636 Elena Fumagalli suggerisce che il Cristo e San Pietro possa essere stato eseguito tra maggio e

settembre 1661 quando Rosa si trovava tra Firenze e Strozzavolpe, cfr. FILOSOFICO UMORE 2007, p. 75.

637 BOCCHI-CINELLI 1677, p. 166.

638 Ivi, p. 408; i quattro “sortilegi” sono i quattro tondi con Incantesimi oggi al Cleveland Museum of

Art (Ohio).

639 Ivi, p. 503; si tratta dell’episodio centrale della cosiddetta Selva dei filosofi (Firenze, Galleria

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