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“Giovanni Cinelli al cortese lettore”: una dichiarazione di metodo

La parte introduttiva in apertura alla ristampa delle Bellezze220 si può di fatto

considerare una precisa dichiarazione degli intenti di Giovanni Cinelli e del metodo che egli applicò nella stesura delle aggiunte all’opera.

I primi versi dell’introduzione non chiariscono solamente l’occasione che, a suo dire, lo aveva stimolato ad impegnarsi in quell’impresa letteraria, ma definiscono anche il pubblico di riferimento:

220 In questa sede si riporta in APPENDICE, V una trascrizione parziale dell’introduzione che

72 “Molte volte egli adiviene, che l’uomo anche nella propria Patria è forestiero, e particolarmente quegli che nelle città grandi nasce, e sì come è obbligo di saper ben parlar la propria lingua, così è necessario saper di sua terra le prerogative migliori; per così fatto pensiero incalzato, essendomi in casa del sig. Antonio Magliabechi [...] stato da diversi letterati forestieri chieste alcune notizie intorno alle cose cospicue della nostra città, delle quali, o come che non avessi vedute, o se pur vedute in età tenera non aveva a quelle fatta veruna reflessione, mi convenne alcune siate vergognosamente tacere, mi risolvei perciò volerne poter discorrere, per non esser necessitato a star cheto intorno a quelle cose, delle quali come nazionale, e per conseguenza informato io dovea molto ben favellare”221

Da una parte troviamo dunque il “nazionale” (nel quale si identifica lo stesso Cinelli) ossia il cittadino che intende conoscere il patrimonio artistico della sua “Patria” per “volerne poter discorrere”, dall’altra i “letterati forestieri” desiderosi di notizie. Qualora volessimo ipotizzare un legame tra il metodo critico messo in atto nelle Bellezze cinelliane e i meccanismi del mercato artistico fiorentino, potremmo vedere nel “nazionale” di cui parla Cinelli un mediatore esperto dell’arte della sua città e nei “forestieri” dei potenziali acquirenti: il testo assumerebbe in questo modo una duplice valenza di guida al patrimonio artistico della città e di vademecum per la formazione degli aspiranti compratori e dei mediatori; solo ipotizzando questo legame con il mercato artistico, si può infatti giustificare l’inserimento di un’attività di critica artistica nell’ambito della guida di una città, ossia di un testo destinato ad un uso essenzialmente pratico e informativo, che si era fino ad allora limitato a citare la presenza delle opere e i loro autori. A riprova di questa duplice destinazione delle Bellezze, si può osservare che le indicazioni di metodo fornite da Cinelli, delle quali tenteremo un’analisi in questa sede, presentano un’indubbia utilità sia per il dilettante che per il mediatore-commerciante. Sempre in relazione al pubblico di riferimento, non si può fare a meno di evidenziare come Cinelli tenesse molto alla positiva ricezione della sua guida presso i “forestieri” (“coloro, ch’essendo lontani, veder la bella Fiorenza non possono”222), forse proprio presso i tanti amici e corrispondenti

nazionali ed esteri che Magliabechi metteva regolarmente in contatto con Cinelli, anche se prevalentemente nelle vesti di mediatore in ambito librario.

221 BOCCHI-CINELLI 1677, p. 1. 222 Ivi, p. 22.

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Una volta definito il pubblico di riferimento, l’autore si preoccupa poi di esporre le motivazioni che lo avevano spinto all’impresa, riassumendole nell’intenzione di aggiungere non solo “le cose più principali” della città, ma soprattutto “le più degne”, di integrare il testo originale inserendo quanto di nuovo era andato ad arricchire col passare dei decenni il tessuto cittadino e infine di perfezionare la trattazione del Bocchi “ov’egli è stato scarso nel descrivere223”.

L’intenzione di soffermarsi solo sulle presenze artistiche “più degne” è di fatto la prima chiave utile per comprendere il metodo cinelliano.

Nell’ambito di una guida di città, la sintesi costituiva un requisito fondamentale affinchè il testo potesse essere funzionale allo scopo della visita e di agile consultazione per il principale destinatario, ossia il visitatore al quale essa doveva servire “di scorta”224: ciò obbligava il redattore ad operare una selezione di opere da presentare al lettore che privilegiasse ovviamente quelle artisticamente più pregevoli, operazione per la quale si rendeva necessaria la capacità di formulare un giudizio sull’opera d’arte, il quale, nell’ottica di Cinelli, doveva avere come principale requisito la massima obiettività.

Egli aveva infatti maturato questa riflessione nel momento in cui percepì un grave limite nelle scelte critiche del suo predecessore, il quale, mosso dal solo scopo di celebrare la nobiltà di Firenze attraverso le testimonianze del suo primato artistico, si era profuso in lodi eccessive su opere e artisti citati, con ampie digressioni sulle due glorie cittadine, Michelangelo e Andrea del Sarto. Nell’ambito di questo sistema incentrato sull’esaltazione della Maniera Moderna e dei suoi capolavori, tutto ciò che era giudicato non confacente ad esso, come nel caso delle opere di artisti del Duecento e del Trecento, era stato citato dal Bocchi solo di sfuggita, quando del tutto omesso.

Oltre a percepire la scarsa correttezza storica del metodo bocchiano che sembrava ignorare, ad esempio, il fondamentale ruolo storico dei cosiddetti ‘primitivi’ nello sviluppo dell’arte in direzione della maniera ‘perfetta’, Cinelli ne evidenzia anche il limite di fondo, ossia la mancanza di un atteggiamento critico imparziale verso le opere descritte, il cui reale valore si perde tra lodi lunghissime o, al contrario, in sintetiche citazioni, a seconda del valore loro assegnato dall’autore.Cinelli

223 BOCCHI-CINELLI 1677, p. 2. 224 Ivi, p. 22.

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denuncia questa parzialità mettendo in evidenza l’abuso dell’elemento laudativo nelle Bellezze del Bocchi che non permetteva di conseguenza al lettore di valutare il vero valore di un artista:

“Ma perch’il Bocchi è stato uomo di somma bontà, ha egli ugualmente sì l’opere de’ più eccellenti, come de’ mezzani, e degl’inferiori artefici lodate con la stessa maniera di dire, co’ modi medesimi senza veruna differenza: E se bene la vera virtù di lodi umane non ha la bisogna, l’onore e la lode ella seco stessa portando, ed a guisa di pubblico banditore le geste virtuose, e di pregio a tutti note facendo, lode nondimeno de’ darsi e non v’ha dubbio a chiunque la merita, ma con distinzione sì fatta che a quegli che sopr’ogn’altro darsi debbe tale ella sia, ch’il merito superiore dimostri, poiché il dare ai mediocri, ed agl’inferiori la lode medesima, ch’a’ primi, se non affettata adulazione, almeno debolezza d’animo e poca cognizione giustamente chiamar si puote, essendo la lode secondo il Filosofo un favellare, che la grandezza della virtù chiarisce e fa nota”225

Consapevole dell’importanza del modello letterario sul quale si trova a intervenire (“essendo questo libro tenuto in pregio non tanto per la materia che tratta, quanto per la bontà della lingua”)226, nell’avanzare questo rimprovero che pur

mostrandosi moderato nella forma pone in evidenza un problema teorico di massima importanza, Cinelli cerca allo stesso tempo di giustificare l’operato del suo predecessore riconducendolo alla “somma bontà” di quest’ultimo. Egli era infatti consapevole che le Bellezze del Bocchi costituivano innanzitutto un esercizio letterario, in ogni modo, diventato poi la guida per eccellenza di Firenze mancava tuttavia di un supporto critico oggettivo nel presentare le opere d’arte della città, col risultato che esse apparivano al lettore tutte indistintamente belle. Intendendo porre rimedio a questo problema, Cinelli trova lo stimolo giusto da una delle discussioni dei virtuosi del Riposo di Raffaello Borghini (1584)227, testo che egli conosceva, come si avrà modo di dire, molto approfonditamente:

“ [MICHELOZZO] Signori se alcun di noi non favella M. Ridolfo, come affezionato de’ pittori se ne andrà con le laudi loro in fino al cielo e noi non iscopriremo, sicome è il desiderio nostro, in niuna tavola alcuna delle parti mal osservate. Perciò, poiché gli altri si

225 BOCCHI-CINELLI 1677, p. 2. 226 Ivi, p. 22.

75 tacciano, io come quello a cui fa più di mestiero l’apparare, non con intenzione di contradire a’ suoi parlari, che ciò non voglio fare in alcun modo, ma per iscoprire maggiormente la verità e per dare a voi occasione di ragionare, dirò con vostra buona grazia sopra ciascuna tavola quelle cose che per errori da qualcun dell’arte arò sentito notare; perciò che io mi son molto dilettato d’intender gli altrui pareri sopra le tavole di pittura quando sono uscite fuore e dirò ancor l’opinion mia sopra esse, come che più da me, che da quelle possa venire il difetto”228

Basta la citazione di questo discorso che il Borghini fa riferire a Michelozzo per individuare i punti focali del metodo critico cinelliano: la parzialità di chi giudica (l’essere “affezionato”) come ostacolo alla ricerca della verità; l’intenzione di non contraddire ma di sviluppare un discorso critico sull’opera che ne evidenzi pregi e difetti; il porsi come obiettivo la ricerca della verità e stimolare altri a fare la stessa cosa riferendo sia gli altrui pareri sull’opera esaminata, sia i propri; la consapevolezza che l’errore risieda non nell’opera ma in colui che non sa giudicarla correttamente.

La riflessione sulla parzialità come limite critico che falsifica il giudizio, si traduce in Cinelli con il biasimo verso l’essere “appassionato”, mosso da interesse personale o di ‘patria’, come nel caso del Bocchi; proprio perchè la parzialità suggerita da una lode immeritata quanto esagerata è indice di scarsa obiettività, dunque di mancanza di sincerità, Cinelli intende innanzitutto proporsi, da buon apatista, come una voce schietta, non “appassionata”:

“[In relazione alle statue antiche della Galleria] Io ne darò qui il racconto come di presente si trovano [...] e questa mia relazione, sincera stimar la debbe chi legge, non solamente perché non ho con passione favellato, ma perché son andato guardingo nel lodarle per non parer iperbolico, e per quel precetto di Seneca “lauda parce” osservare”229

228 BORGHINI 1584, II, pp. 185-186.

229 Il brano si trova in BNCF, Magl. XIII, 34, cc. 211r-211v e doveva essere incluso nella “Seconda

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La stessa preoccupazione compariva a suo tempo nell’Introduzione a un testo fondamentale della letteratura artistica veneziana, Il Microcosmo della pittura del medico Francesco Scannelli (1657)230:

“E quando il delicato di gusto differente nel leggere questa mia fattica formasse opinione, che nel mentionare il singolar Maestro da Correggio, ed altri primi, e più degni professori, forsi per la troppa diceria intorno all’opere di tal sorte n’apparisse di partiale l’inditio, e quel vero, che solo pretendo palesare in ordine al giusto, e pura verità, fosse stimato per troppo, ed hiperbole; sappia, che in tal caso, come Fisico, non pretendo punto allontanarmi dalla meta del conveniente, e perciò il discreto virtuoso potrà prima scoprire quello, c’hanno palesato vari Scrittori di questi più famosi, ed eccellenti Maestri della Pittura, e poscia dopo haver ponderato i meriti dell’opere col debito rincontro ne dia la propria sentenza”231

Il biasimo verso la lode immeritata finisce dunque per legarsi al problema della parzialità di chi formula un giudizio sull’opera d’arte.

Cinelli è consapevole del fatto che questa parzialità che aveva spinto il Bocchi ad esaltare gli artisti fiorentini costituiva di fatto un’eredità intellettuale delle teorie artistiche del secolo precedente; seppur anch’egli mostri, in più occasioni, uno stretto legame con esse, evidente nella ripresa di interi passi dal Vasari e dal Borghini, sembra tuttavia percepire la necessità di ridimensionare criticamente il loro apporto in quanto non sempre si dimostrano adeguate in un panorama ormai mutato e che vedeva l’emergere di esperienze artistiche meno vincolate al disegno e alla pratica accademica, suggestionate piuttosto dal colore e dalla pittura “di colpi”232.

Chi offre dunque un giudizio viziato dalla parzialità, “appassionato”, non può essere considerato affidabile: si tratta di un vero e proprio atto d’accusa nei confronti sia delle discussioni sul primato delle varie scuole locali, percepite come inutili in quanto viziate dall’”amor di Patria” dei loro autori, sia verso i torbidi meccanismi di un mercato artistico in cui l’acquirente veniva spesso ingannato se aveva la sfortuna di servirsi della consulenza di personaggi (fossero essi artisti o

230 FRANCESCO SCANNELLI, Il microcosmo della pittura overo Trattato diviso in due libri, Cesena,

Neri, 1657 (d’ora in avanti SCANNELLI 1657).

231 SCANNELLI 1657, s.n.p.

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“intendenti” nel ruolo di mediatori), mossi da interessi personali, pertanto incapaci di formulare giudizi obiettivi.

Ecco allora che il discorso sugli effetti nefasti della parzialità (che nel caso del Bocchi, così come nel Borghini, coincideva con l’abuso della lode) diventa il pretesto per chiarire come dovrebbe essere formulato un corretto giudizio sull’opera d’arte:

“lode nondimeno de’darsi [...] a chiunque la merita, ma con distinzione sì fatta che a quegli che sopr’ogn’altro darsi debbe tale ella sia, ch’il merito superiore dimostri, poichè il dare ai mediocri, ed agl’inferiori la lode medesima, ch’a’primi, se non affettata adulazione, almeno debolezza d’animo e poca cognizione giustamente chiamar si puote”233

Coloro che abusano della lode possiedono dunque “poca cognizione” di ciò di cui parlano e dimostrano pertanto il loro non essere “intendenti”234. A questa

affermazione, Cinelli fa seguire una lunga rassegna di artisti dei quali mette in evidenza gli “errori” che non meglio specificati intendenti hanno individuato nelle loro opere; di Cimabue, ad esempio, viene biasimato il “disegno [...] lontano dal vero”235, nei celebri affreschi in Santa Maria del Fiore Paolo Uccello e Andrea del Castagno si confondono nel raffigurare l’andatura dei cavalli, Donatello peccava nella “poca pazienza nel ripulir le sue opere di sorte che mirabili di lontano riuscendo, da presso vedute di reputazione diminuivano”236.

Il lungo elenco termina poi con una dichiarazione che ancora una volta mira ad allontanare dall’autore ogni sospetto di parzialità:

“Di tutte le cose qui nominate io non stimo però che vi sia alcuno quatunque a questi valentuomini affezzionato, ch’abbia a verun patto per loro ad offendersene, né credo che ad alcun discreto ciò possa cader nell’animo, ancorché la verità sia sempre odiosa, poiché

233 BOCCHI-CINELLI 1677, p. 2.

234 “la lode de’ non intententi quella facultà della quale favellano ancorchè molta, poco o nulla

stimar si debbe come di niun valore” (BOCCHI-CINELLI 1677, p. 3). Vale la pena ricordare che la letteratura artistica della prima metà del XVII secolo tendeva a mettere in ridicolo la figura del dilettante inesperto (come nel caso di BOSSE 1649) il quale, non avendo appreso la corretta modalità di giudicare un’opera d’arte diventa oggetto di frodi. La questione del non essere intendenti di ciò di cui si scrive è ripresa anche nell’Anonimo d’Utopia a Filalete (BNCF, Magl. XVII, 22) per il quale si rimanda ad APPENDICE VII.

235 BOCCHI-CINELLI 1677, p. 4. 236 Ivi, pp. 5-6.

78 questo sarebbe un voler pertinacemente sostenere ciò che dalla maggior parte degl’intendenti, se non biasimevole in tutto, almeno di qualche avvertimento degno è giudicato”237

Nella scelta di artisti ormai deceduti per proporre esempi di “errori” Cinelli sembra dunque denunciare i rischi ai quali poteva andare incontro colui che scegliesse di esercitare un giudizio obiettivo che, in quanto tale, non nascondesse gli eventuali difetti di un’opera, prevedendo delle polemiche da parte degli stessi artisti o di loro sostenitori. Più oltre il discorso viene improvvisamente ribaltato:

“né per aver di queste parlato si dovrebbono sdegnar questi stessi quando anche vivessero, avvenga che lo specchio la deformità dell’oggetto, che rappresenta, mostrando perciò colpato esser non deve, non servendo egli ad altro, ch’a far conoscer le maniere sconce perch’altri di quelle corregger si possa. E tanto più da questo sdegno esente io mi credo, avendone discorso solamente per impugnarle, e mostrar che non sono veramente errori, non avend’io auto intenzione giammai di far come Gio. Andrea Gilio da Fabbriano nel suo Dialogo de gli errori de’ Pittori”238

Il critico non “appassionato”, allo stesso modo di uno specchio che riflette fedelmente il dato reale, discute con la stessa fedeltà dei pregi e dei difetti dell’opera che osserva; il suo metodo non ha ragione di essere contestato in quanto lo scopo non è quello di mettere in evidenza gli errori per screditare l’artista, ma di farli conoscere affinchè non vengano ripetuti. Dopo di che il testo prosegue con la confutazione, caso per caso, di quelli che fino a quel momento erano stati annoverati come esempi di “errore”. Non è infatti da considerarsi tale la minore aderenza al “vero” nel caso dei pittori più antichi poichè, in una visione incentrata sul progresso della maniera, i limiti della loro arte erano imputabili a condizioni storiche e sociali diverse239. Altri presunti “errori” sono in realtà personali scelte artistiche, come nel caso delle sculture di Donatello la cui tecnica,

237 BOCCHI-CINELLI 1677, p. 10. 238 Ivi, p. 10.

239 Cimabue non poteva ancora conoscere i “dintorni” che sono “l’anima del disegno”; l’occhio di

Paolo Uccello era rimasto ingannato dalla velocità del movimento del cavallo e non era stato in grado dunque di raffigurarne la corretta andatura, Andrea del Castagno ne ripropose l’errore fidandosi del modo in cui l’antico maestro aveva risolto la raffigurazione (BOCCHI-CINELLI 1677, p. 11).

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apparentemente noncurante della rifinitura delle sculture, aveva nelle intenzioni dell’artista lo scopo di conservare quella “natural vivezza e grazia, ch’il getto, o i primi colpi [...] avevano in quelle impresso”240; gli “errori” in alcune opere dello

Stradano e di Santi di Tito sono invece il frutto di specifiche richieste da parte della committenza; non è inoltre da considerarsi necessariamente errata un’arte, come quella di Giambologna, che non si attenesse in tutto e per tutto al naturale, poichè molti sono i casi in cui l’artista si vede costretto a forzare le regole del vero al fine di perfezionarlo per riuscire così a “rappresentare il bello e dilettare”241.

Inoltre non deve essere guardata con sospetto una giusta dose di “bizzarria”, tipica degli artisti più sofisticati e originali (“molto dalla riga volgare differenti”)242,

poichè essa è da considerare al contrario come una manifestazione “del loro svegliato cervello”243.

Alla luce di queste riflessioni, si comprende dunque come la rassegna di “errori” che occupa buona parte dell’introduzione avesse in realtà lo scopo di presentare degli esempi di approccio all’opera d’arte propri di un non intendente, che poi vengono contestualmente confutati, secondo uno schema chiaramente debitore ai dialoghi degli eruditi del Riposo. Il vero errore, pertanto, sembra risiedere, secondo Cinelli (e secondo Borghini prima di lui) in coloro che non sanno giudicare correttamente l’opera, soprattutto se non sono obiettivi nel loro giudizio.

La riflessione sul problema, già sollevato come si è visto dalla teoria artistica tardo cinquecentesca, della parzialità del giudizio critico trovò nuovo vigore nel XVII secolo non solo a causa alla fioritura di una copiosa letteratura locale dalle chiare mire campanilistiche244, ma anche in seno al dibattito sulla validità del giudizio dei dilettanti, ovvero di coloro che affrontano la discussione sull’opera d’arte pur non professando alcun mestiere artistico245. La questione interessava l’autore in maniera diretta in quanto ‘esperto’ ma non artista, autore di un testo rivolto al pubblico dei dilettanti ai quali intendeva proporre esempi di discussione critica in parte personali e in parte ripresi dalle tradizionali fonti della letteratura artistica.

240 BOCCHI-CINELLI 1677, p. 11. 241 Ivi, p. 13.

242 Ivi, p. 15. 243 Ibidem.

244 Nell’arco di pochi anni infatti videro le stampe GIOVANNI BAGLIONE, Le vite de' pittori

scultori et architetti (1642); RAFFAELE SOPRANI, Le vite de pittori scoltori, et architetti genovesi (1674), CARLO CESARE MALVASIA, Felsina pittrice vite de pittori bolognesi (1678).

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Pur confidando nelle capacità critiche dell’“intendente” ben istruito (in quanto egli stesso è tale), Cinelli sente infatti la necessità di provare la validità della sua impresa letteraria ricordando di essersi pur sempre servito del supporto di studiosi (Protasio Felice Salvetti) e, soprattutto, di artisti (Volterrano, Ludovico Salvetti). La citazione di artisti come auctoritates che certificano la validità del testo e del