2.4 Le artes dictaminis
2.4.1 Il linguaggio figurato nell’ars dictaminis
2.4.1.1 Boncompagno da Signa
Boncompagno da Signa fu autore prolifico ed eccentrico, a cui dobbiamo alcuni opuscoli giu- ridici (l’Oliva, il Cedro, la Mirra), manuali retorici come la Rhetorica antiqua e la Rhetorica novissima, un testo storico (il Liber de obsidione Ancone), tre opere morali (Tractatus virtutum, Liber de amicitia e Libellus de malo senectutis) e ben sei trattati dedicati alle formule di saluto epistolari (le v Tabule salutationum, le x Tabule, il Breviloquium, l’Ysagoge, il Boncompagnus – letto pubblicamente nel 1215 –, la Palma).185 Come sappiamo da diversi passi autobiografici
contenuti nella sua produzione, nacque a Signa intorno al 1270 e studiò inizialmente a Firenze, ma si spostò molto presto a Bologna, dove in giovanissima età assunse il ruolo di magister di grammatica e retorica. Dopo il 1215 è probabile che Boncompagno lasciasse Bologna per ini- ziare un periodo di peregrinazioni nel nord Italia, poiché nel prologo della Rhetorica novissima
184Ma i punti di contatto con la prospettiva anche grammaticale del De vulgari sono anche altri, se, come sostiene
Leoncini, «la completezza e l’incisività del recupero retorico si associano, d’altro canto, al perseguimento della latinitas (la correttezza morfologico-grammaticale), della perspicuitas (la chiarezza espressiva) e all’affrancamento dalla compulsorietà nell’uso del cursus» (Leoncini, La concinnitas, p. 530).
185Oltre alla voce curata da Pini per il DBI e alle prefazioni alle edizioni delle sue opere, i contributi più utili per
le seguenti pagine sono: Abbruzzeetti, La codification; Artifoni, Boncompagno da Signa; Artifoni, «Sapientia Salomonis»; Bruni, Boncompagno da Signa; Guérin, La voie rhétorique; Marcozzi, La Rhetorica novissima; Witt, Boncompagno; Goldin, B come Boncompagno; Goldin Folena, Il punto; Tunberg, What is Boncompagno.
si dice che l’opera è stata cominciata a Venezia poco dopo quell’anno; secondo Gaudenzi, «la partenza di Buoncompagno sta probabilmente in rapporto colla chiamata del fiorentino Bene a Bologna nel 1218».186Tra il 1220 e il 1223 Bene avrebbe infatti pubblicato una prima stesura
del Candelabrum, nel cui epilogo si alludeva spregiativamente a un Geta che Gaudenzi ritiene possa essere Boncompagno; forse questa provocazione fu una delle ragioni per cui Boncom- pagno tornò brevemente a Bologna, prima di spostarsi, nel 1222, a Padova, dove nel 1226 o 1227 venne conclusa la Rhetorica antiqua; tornato ancora una volta a Bologna, vi pubblicò nel 1235 la Rhetorica novissima. Secondo quanto racconta il cronista Salimbene, dopo esservi già stato in gioventù e aver scelto la via del laicato per la delusione incontrata, da vecchio Bon- compagno tornò a Roma per cercare nuovamente di entrare nella Curia; fallito anche questo secondo tentativo, rientrò in patria e morì in un ospedale vicino a Firenze.
Boncompagno si oppose ai metodi convenzionali di insegnamento del dictamen e si adoperò per liberarlo dall’imitazione dei classici: introdusse il metodo di improvvisazione nella prassi epistolare e adattò il cursus e altri elementi alla concreta pratica esperita specialmente dalla Curia romana; così facendo soddisfece le richieste degli studiosi di diritto che aspiravano a un addestramento grammaticale e dettatorio adatto all’esercizio delle professioni legali e cle- ricali nelle cancellerie di principi e comuni.187 A differenza dei suoi predecessori, inserì infatti
nelle proprie opere molto materiale di natura giuridica, e rifiutò le influenze letterarieggianti francesi proclamando l’indipendenza e addirittura la superiorità dei dettatori sui retori, il cui compito è solo quello di spiegare il testo con l’ausilio delle glosse, mentre ai primi è richiesta la composizione di opere nuove;188sempre in polemica con i maestri d’Oltralpe, propose uno
stile semplice ed essenziale, il cui modello si poteva trovare nella Bibbia, nelle opere dei padri della Chiesa e nello stilus Curiae Romanae.189 Le sue opere furono sicuramente meno influenti
rispetto a quelle dei suoi successori Bene da Firenze e Guido Faba, più sistematici e meno ec- centrici; eppure i problemi sollevati da Boncompagno portavano alla luce una serie di tendenze sommerse nello sviluppo dell’ars dictaminis, che sarebbero poi rimaste di attualità per tutto il
186Gaudenzi, Sulla cronologia, pp. 109-10.
187Così la sintesi di Wieruszowski, Ars dictaminis, p. 362.
188«Par leur originalité conceptuelle, leur très grande liberté de ton et leurs prises de position polémiques, qui
tranchent avec la production plus guindée d’un Guido Faba ou d’un Bene de Florence, les traités de Boncompagno se distinguent comme un produit “aberrant” des écoles du premier XIIIesiècle. Leur répercussion postérieure a
probablement été, comme l’indique la tradition manuscrite de plusieurs d’entre eux, relativement faible. En compensation, ces traités font ressortir plus vivement que la moyenne de la production théorique certains des débats en cours au début du XIIIesiècle concernant la définition de la rhétorique. Surtout, ils mettent à nu les
mécanismes d’exaltation idéologiques du dictamen qui lui étaient liés» (Grévin, L’ars dictaminis, discipline, pp. 50-1).
189Interessante a tal proposito un passo della Rhetorica antiqua citato da Witt: «Ante adventum meum pullularat
in prosatoribus heresis cancerosa, quia omnis qui pollicebatur in prosa doctrinam exhibere, litteras destinabat quas ipse magno spacio temporis vel alius picturato verborum fastu et auctoritatibus philosophicis exornarat. Cuius testimonio probatus habebatur orator. Unde rudes et inscii pro auro cuprum deauratum emebant. Magistri vero et eorum fautores ex eo quod depreciabar proverbia et obscura dictamina contempnebam, dicebant me litteratura carere. Nec ascribebant virtuti sed vitio et levitati quod semper in presentia dictare volebam» (Witt, Boncompagno, p. 3).
secolo – e tra queste, secondo Witt, soprattutto la preferenza sempre maggiore accordata allo stilus humilis e la vittoria della retorica sulla grammatica.190
Della produzione di Boncompagno, quel che interessa qui è soprattutto la riflessione sulla transumptio, che trova una prima articolazione nella Rota Veneris per poi esplodere in ricchezza e complessità con la Rhetorica novissima.191 Ci sono diverse fonti da cui Boncompagno potreb-
be aver derivato il termine, ma se Goffredo di Vinsauf tra il 1188 e il 1190 insegnava a Bologna e vi componeva la sua Summa de arte dictandi, contribuendo a diffondere la moda francese in città, si può facilmente ipotizzare che fosse lui a offrire il precedente più immediatamente vicino. La Rota Veneris è una sorta di ars amatoria epistolare, un’opera tra il letterario e il precettistico in cui si offrono modelli raffinati e ironici e si raccomandano strategie comuni- cative per conquistare una donna o mantenere viva la relazione;192a dispetto del tono cortese
e comico, la vicinanza con il genere dell’ars dictaminis è tradita, tra le altre cose, dall’enun- ciazione del principio della gerarchia dei destinatari, che è tradotto in chiave letteraria nella classificazione delle donne secondo la loro nobiltà, la loro condizione sociale e lo stato della relazione con il mittente. Tra i procedimenti consigliati per la scrittura epistolare c’è quello di velare o ispessire il significato delle parole d’amore attraverso la transumptio: nella Rota Veneris quest’ultima è «quel sistema espressivo che permette di dire dissimulando e che solo riduttivamente può tradursi con il termine di metafora», giacché include anche i gesti, i sogni e in generale quel sentimento di alterità che l’amore scatena in chi lo prova:193
Huiusmodi siquidem proverbia, occulte ratiocinationes, similia et similitudi- nes faciunt plurimum ad usum amandi. Ponantur igitur in talibus iocunde tran- sumptiones et proverbia, de quibus possit multiplex intellectus haberi, quia non modicum faciunt amantium animos gratulari. Et non solum milites et domine, verum etiam populares iocundis quandoque transsumptionibus utuntur, et sic sub quodam verborum velamine vigor amoris intenditur et amabile suscipit incremen- tum. Transumitur enim mulier quandoque in solem, quandoque in lunam, quando- que in stellam, quandoque in palma, quandoque in cedrum, quandoque in laurum, quandoque in rosam, quandoque in lilium, quandoque in violam, quandoque in gemmam vel in aliequem lapidem preciosum; vir autem transumitur quandoque in leonem propter fortitudinem; quandoque in draconem propter incomparabilem excellentiam; quandoque in falconem propter velocitatem. Infinitis autem mo- dis fiunt huiusmodi transumptiones ne possent de facili numerari. Sed videndum
190Ivi, pp. 30-1.
191Ma sembra che ci possano essere tracce di un’altra opera di Boncompagno, oggi perduta, dedicata specifica-
mente al tema, e pubblicata sotto lo pseudonimo di Buchimenone: nella Rota Veneris l’autore annuncia di voler comporre un trattato sul tema, e alla fine del Tractatus de virtutum cita un certo Buchimenon – che si rivela essere un suo alter ego – come autore di un De transumptionibus; sulla questione si veda Garbini, Tra sé e sé.
192L’edizione dell’opera è stata curata da Garbini: Boncompagno da Signa, Rota Veneris, a cura di P. Garbini. 193Garbini, Introduzione, pp. 16-8.
est, quid sit transumptio. Transumptio est positio unius dictionis pro altera, que quandoque ad laudem quandoque ad vituperium rei transumpte redundat. Et est notandum quod omnis transumptio est largo modo similitudo; set non conver- titur. Ceterum dictator ita debet esse providus in transumendo, ut semper fiat quedam similitudo vocis vel effectus in transumptione. Nam si mulieres transu- meres in quercum, non esset iocunda transumptio; et si diceres “collegi glandes” pro effectu amoris alicuius, turpitere transumeres, quoniam glandes cibaria sunt porcorum. Set si poneres “palma” pro muliere et “dactilos” pro amoris effectu, be- ne transumeres; quoniam palma est arbor famosa et dactili dulcedinem exibent per gustum.194
Boncompagno definisce dunque tradizionalmente la trasumptio come sostituzione di una dictio con un’altra allo scopo di biasimare o lodare, e nota che perfino i popolani la impiegano, e che si possono dare infinite varianti di questo procedimento linguistico, ma che per transumere in modo appropriato è necessario osservare una somiglianza tra il figurante e il figurato. Secondo Guérin, la transumptio è dunque caratterizzata come una sorta di universale antropologico dalle infinite forme, caratterizzato da estrema plasticità e disponibilità, concepito «comme fertilisant, accélérateur, intensificateur de l’amour».195
La Rhetorica novissima è il lavoro più originale e impegnativo di Boncompagno, composto in un lungo lasso di tempo che va all’incirca dal 1215 al 1230 e declamato pubblicamente a Bologna nel 1235;196 nonostante Boncompagno fosse il più vecchio, o comunque il primo a
raggiungere la fama come dictator, questa sua ultima opera fu portata a termina probabilmen- te dopo la pubblicazione dei testi dei maestri rivali Bene e Guido. Con questo testo, il magister intraprese non solo una nuova sistematizzazione del materiale epistolografico, ma soprattutto una nuova fondazione teorica della disciplina dell’ars dictaminis, che la legava strettamente al diritto:197 fin dal prologo, l’autore difende la novità della propria impresa attraverso l’appro-
vazione della teologia,198 e adduce le ragioni per cui la sua opera detronizzerà le sorpassate
opere ciceroniane.199
A testimonianza del grande spazio dedicato da Boncompagno alla dimensione giuridica, il primo libro della Rhetorica novissima si occupa delle origini del diritto. Solo con i libri centrali
194Boncompagno da Signa, Rota Veneris, pp. 48-53. 195Guérin, La voie rhétorique, par. 19.
196La Rhetorica novissima è stata oggetto di edizione da parte di Gaudenzi (Boncompagno da Signa, Rhetorica
novissima, a cura di A. Gaudenzi), ma una nuova edizione critica è ora in fase di allestimento grazie a un lavoro di équipe coordinato da Paolo Garbini.
197Tunberg ritiene addirittura di poterla definire «chiefly a treatise on forensic oratory» (What is Boncompagno,
p. 301).
198«Et quod nova possint hodie inveniri, probari valet per theologicam disciplinam. Plasmator est hominis Deus
qui cuncta solus ordinat et disponit, post renovationem gratie novam oculis nostre mortalitatis lucem infundit» (Boncompagno da Signa, Rhetorica novissima, prologo, p. 252).
del trattato l’opera si rimette nel solco della precettistica dettatoria, occupandosi delle parti del discorso e dell’epistola; molti spunti originali, a livello di organizzazione e di contenuti, sono disseminati nei vari libri,200ma qui ci interessa soprattutto il ix, dedicato alle exornationes ma in
realtà dominato quasi esclusivamente dal tema della transumptio.201 A differenza dei manuali
di ars dictaminis precedenti e successivi, Boncompagno non conserva nulla della ripartizione delle figure della Rhetorica ad Herennium e si muove su un terreno molto più vasto rispetto a tutti i suoi predecessori. La transumptio, come volevano Goffredo di Vinsauf e i dictatores, è sì un modo figurato generale che comprende tutti i tropi:
Omnes vero transumentium et trasumptionum diversitates nemo scire vale- ret, quia universe nationes orbis, terrarum continentia et contenta, rerum genera et species secundum linguarum et volupatatum varietates transumunt, nec exclu- di posset aliquis vel aliqua homo vivens, qui vel que transumpte non loquatur, postquam incipit rationem et intellectum habere. Insuper omnis allegoria, tropo- logia, moralitas, metaphora et quelibet locutio figurata transumtiones possunt et debent merito nominari, quia omnis, qui unum ponit et aliud intelligit, sine omni dubitatione transumit. Et est notandum quod omnis transumptio est largo modo similitudo; set non convertitur. Ceterum dictator ita debet esse providus in tran- sumendo, ut semper fiat quedam similitudo vocis vel effectus in transumptione (ix, 3, pp. 285-6).
Al contempo, la sua natura è molto più complessa e fuoriesce dall’ambito della retorica per coinvolgere ogni situazione di sostituzione – e per inciso, già in questa dimensione più tecnica la transumptio si presenta come categoria più ampia di quella normalmente codificata dalle poetrie e dall’ars dictaminis, che la legavano al solo ornatus gravis. Le definizioni di questo concetto così onnipresente sono infatti molte, complementari e a volte perfino contraddittorie tra loro:
Transumptio est mater omnium adornationum, que non desinit dicendorum genera circuire. Vel transumptio est quedam imago loquendi, in qua unum ponitur
200Ivi, per un quadro dettagliato.
201Sulle exornationes prese nel loro insieme c’è solo un paragrafo di prologo piuttosto tradizionale, in cui si
ribadisce che sono necessarie per colorare il discorso allo stesso modo in cui gli oggetti creati dall’uomo sono adornati ed abbelliti e in cui la natura decora da sé ciò che produce (ix, 1, p. 280). Sulle altre figure affrontate dopo il lungo passaggio sulla transumptio, rimando a Tunberg, What is Boncompagno, pp. 319-25, che conclude: «although we can perhaps detect the influence of the French artes poetrie in some cases, Boncompagno’s ideas on the figures are quite unorthodox. Some aspects of his teaching on transumptio ad adulatio would more properly belong, according to traditional theory, to delivery. Moreover, he includes devices among the adornationes which are not usually classified as figures. The small numbers of colores he discusses by comparison with Ad Herennium and with contemporary medieval works accords with the general tendency to simplify traditiona doctrine that can be osberverd throughout the Rhetorica novissima. It seems reasonble to conclude that, although he sometimes fails to explain adequately how his “figures” are to be used, Boncompagno presents for the aspiring laywer a simpler and more manageable doctrine of ornament than Ad Herennium or any of the medieval theorists who give serious attention to figures» (pp. 324-5).
et reliquum intelligitur. Vel transumptio est transmutatio locutionum, que semper intellectum imaginarium representat. Vel transumptio est positio unius dictionis vel orationis pro altera, que quandoque ad laudem, quandoque ad vituperium rei transumpte redundat. Vel transumptio est quoddam naturale velamen, sub quo rerum secreta occultius et secretius proferuntur (ix, ii, p. 281).
Già a partire da questo paragrafo definitorio iniziale, la transumptio è descritta come madre di tutti gli ornamenti in tutti i generi, come immagine di quel che si vuole dire – e dunque come fatto mentale prima che linguistico, come strumento icastico e come mezzo di comu- nicazione e comprensione reciproca – ma anche come motore di trasformazione della parola, che ringiovanisce il linguaggio e permette al locutore di esprimere lode o biasimo e dunque di influenzare il destinatario; infine, è come un velo naturale, sotto il quale le cose vengono proferite in maniera misteriosa. Si vede perciò come coesistano caratteristiche perfino antite- tiche: la sua natura di ornamento, e dunque di artificio, contrasta ad esempio con l’idea che sia un velo naturale, un modo di parlare diffuso a tutti i livelli della comunicazione e tra tutti i locutori.
Il testo prosegue con una serie di considerazioni sul perché la transumptio sia stata inventata – ossia per esprimere in maniera soddisfacente la lode o il biasimo, e dunque l’«inenarrabilem mentis affectum». Ma sono transumptiones anche i sogni e le visioni dei profeti, transumptio è la transustanziazione di Cristo la cui carne si fa pane durante l’eucaristia, transumptiones sono i simboli animali dei quattro evangelisti, i nomi di Dio e gli appellativi ingiuriosi della propaganda politica o della poesia comico-realistica, i soprannomi derisori e gli eufemismi colloquiali del popolo o le fiorite descriptiones puellae della lirica amorosa, perfino la trasfor- mazione alchemica dei metalli o l’attività dei giullari, che transumono sé stessi recitando la parte di un altro, e infine la stessa arte figurativa, che, come Antico e Nuovo Testamento, dà vita a segni che sollecitano la memoria.202 Si vede qui che ciò che accomuna tutti questi feno-
meni è non tanto una generica funzione figurativa, ma piuttosto un aspetto referenziale, che permette a entità di natura anche diversa di significare qualcosa in più: Boncompagno sfrutta la definizione più elementare della translatio come meccanismo per cui «unum ponit et aliud intelligit» e la allarga a dismisura, fino a includere diversi generi di fatti extra-linguistici.
Come nel caso del diritto, la cui origine veniva fatta risalire alla creazione dell’uomo, la transumptio è così connaturata alla natura umana perché la sua invenzione è avvenuta nel Pa- radiso terrestre, quando con l’atto transuntivo originale Dio creò gli uomini a sua immagine e somiglianza e quando disse loro di non mangiare del legno dell’albero della scienza, intenden- do, sotto metafora, di non mangiarne il frutto – e usando dunque quella che è a tutti gli effetti
202Altre sintesi di queste pagine di Boncompagno si trovano in Dronke, Dante e le tradizioni, pp. 36-42, in Gré-
vin, Métaphore et vérité, pp. 158-65, in Tunberg, What is Boncompagno, pp. 316-20, in Marcozzi, La Rhetorica novissima, pp. 373-6.
una metonimia.203 Grévin ha dimostrato che questo intreccio edenico tra retorica e diritto tro-
va un precedente estremamente interessante nel solenne prologo alle Constituiones di Federico ii, promulgate nel 1231 e scritte forse da Giacomo da Capua con l’aiuto di Pier della Vigna:204
il testo in questione impiega il participio transumptum per qualificare la creazione dell’uomo da parte di Dio, e subito dopo racconta l’invenzione del diritto attraverso l’episodio della ca- duta di Adamo, che si articola nel doppio momento dell’interdizione e della punizione.205 In
questo modo l’enunciazione della legge è strettamente legata al suo carattere metaforico, e il dictator, che padroneggia retorica e diritto, assume un ruolo quasi demiurgico e una funzione di mediazione speciale nei rapporti degli uomini con Dio, con il mondo e con gli altri individui con i quali si stringe in un consorzio civile e legale.206
Dopo un lungo discorso in cui si alternano precetti più tecnici – sulle transumptiones occulte o manifeste, su quelle che si possono fare per antifrasi e su quelle che si costruiscono secundum accidens, sull’importanza dell’ornamento ma sulla necessità della moderazione – e connessio- ni più ampie e immaginose, come quelle appena nominate, il capitolo De transumptionibus si chiude con una Visio Boncompagni, in cui l’autore racconta di aver visto undici ruote principali e cinque piccole ruote d’appoggio che ruotavano «orbiculariter in machina mundialis»; cia- scuna delle ruote corrisponde a una disciplina, e tra queste la terza in particolare rappresenta la retorica, incompleta ma talmente importante che senza essa nessuna delle altre si può muo- vere; pur avendo questa posizione di predominio, è allieva dei due diritti (tant’è che è definita, all’inizio del trattato, «liberalium artium imperatrix et utriusque juris alumna»), che pure non possono muoversi senza di lei.207
Per concludere queste necessariamente brevi ed episodiche osservazioni di Boncompagno, si tratterà di riflettere sulla fortuna dell’opera e sulla sua possibile influenza su Dante; se la Rhetorica novissima fu poco fortunata a livello di tradizione manoscritta, sembrerebbe che fosse letta ancora per svariati anni presso lo Studio bolognese, dove Dante potrebbe averla
203«UBI FUERIT INVENTA. In terrestri paradiso, in quo Deus hominem ad imaginem et similitudinem suam
formavit, transumptio sine dubio fuit inventa. QUID PRIMUS FUERIT INVENTOR. Primus inventor fuit ipse pla- smator, qui protoplausto precepit, dicens: De omni ligno paradisi comedes, de ligno autem scientie boni et mali ne