• Non ci sono risultati.

3.2 Il Convivio

3.2.3 La vivanda di questo convivio

L’opera, fin dal titolo («la presente opera, la quale è Convivio nominata e vo’ che sia», i, i, 16) è interamente costruita sulla metafora del banchetto come ricerca della conoscenza.30 Secondo

Bellomo, il traslato potrebbe essere stato suggerito da un passo di Sant’Ambrogio, dove si dice che «scriptura divina convivium sapientiae est» (De officiis, i, 32, 165).31 La metafora

del banchetto ha vari altri precedenti illustri, tra cui la Poetria nova di Goffredo,32 il corpus

platonico con glosse annesse, e, soprattutto, da un lato la Bibbia – dove la Sapienza allestisce un banchetto per gli uomini (Prv. 9, 1-5) – dall’altro la liturgia del Corpus Domini, in cui si cantava al «sacrum convivium in quo Christus sumitur».33

La metafora è introdotta fin dal primo capitolo del primo trattato, dove Dante illustra le ragioni per cui ha intrapreso la scrittura dell’opera e nomina le diverse cause che «rimuovono dall’abito di scienza» la maggior parte degli uomini (i, i, 2); dalla considerazione di tali cause prorompe un’esclamazione: «oh beati quelli pochi che seggiono a quella mensa dove lo pane delli angeli si manuca! e miseri quelli che colle pecore hanno comune cibo!» (i, i, 7). Come spiega Fioravanti, il pane degli angeli, nell’Antico Testamento, è la manna («et pluit illis manna

28Fioravanti, Introduzione, pp. 25-6. E ancora: «comme déjà dans la Vita nuova, et suivant la méthode des

commentaires philosophiques ou exégétiques, l’explication procédera en divisant chaque poème en parties, iden- tifiées par leur premier vers, pour donner la structure du poème puis celle de chacune de ses parties, avant d’exposer successivement le sens littéral puis le sens allégorique. Le maître reprend souvent la parole pour ju- stifier une digression nécessaire ou procéder à une récapitulation, afin de faire apparaître la bonne construction du commentaire lui-même. Les trois niveaux sont entrelacés : Dante cite un vers, le commente, et justifie ou explicite son propre commentaire, tant sur la forme que sur le fond» (Rosier-Catach, Présentation, p. 17).

29Lo segnala Pépin, La théorie dantesque, p. 52, n. 2.

30Per le sottili ramificazioni di questa metafora, «spina dorsale dell’imagery dell’intero brano», e per la sua

duplice derivazione strutturale, si vedano le acute riflessioni di Maldina, Raccogliendo briciole, in part. pp. 134-48 e le importanti pagine di Hooper, Dante’s ‘Convivio’.

31Bellomo, Filologia e critica, p. 94.

32Lo sottolineava già Shapiro, On the role, p. 41. Sulla base di questa e di altre prossimità, Tilliette ritiene che

si possa addirittura sostenere che «la Poetria nova repréesente la matrice formelle du Convivio» (Des mots, pp. 179-80).

ad manducandum et panem caeli dedit eis panem angelorum manducavit homo cibaria misit eis in abundantiam», Ps. 77, 24-5), che l’esegesi dei Padri interpretava come il Verbo o, ancora, come il mistero eucaristico:34«che, come qui avviene, il pane degli angeli indichi anche per gli

uomini il sapere e la conoscenza è un’esegesi abbastanza originale di Dante», e sembra che la metafora del banchetto a cui pochi possono sedere voglia rimandare a un contesto istituziona- le.35 Inoltre il pane, in quanto cibo solido, poteva anche rappresentare il nutrimento spirituale

che si intendeva dare a chi è già avviato alla conoscenza, che fosse essa profana o dottrinale.36

La metafora procede lungo tutto il primo libro, integrandosi anche con la più tradizionale traslazione della sete di sapere37 e riprendendo molti episodi scritturali, doviziosamente citati

dai commentatori. Dante muove subito la constatazione che, poiché gli uomini sono natural- mente amici e dunque si dolgono delle mancanze gli uni degli altri, «coloro che a così alta mensa sono cibati non sanza misericordia sono inver di quelli che in bestiale pastura veggiono erba e ghiande se[n] gire mangiando.38 E acciò che misericordia è madre di beneficio, sempre

liberalmente coloro che sanno porgono della loro buona ricchezza alli veri poveri, e sono quasi fonte vivo, della cui acqua si refrigera la naturale sete che di sopra è nominata» (i, i, 8-9). Fatte queste premesse, il prologo del Convivio si dispiega in un solenne annuncio:

E io adunque, che non seggio alla beata mensa, ma, fuggito della pastura del vulgo, a’ piedi di coloro che seggiono ricolgo di quello che da loro cade, e conosco la misera vita di quelli che dietro m’ho lasciati, per la dolcezza ch’io sento in quello che a poco a poco ricolgo, misericordievolemente mosso, non me dimenticando, per li miseri alcuna cosa ho riservata, la quale alli occhi loro, già è più tempo, ho dimostrata; e in ciò li ho fatti maggiormente vogliosi. Per che ora volendo loro apparecchiare, intendo fare un generale convivio di ciò ch’i’ ho loro mostrato, e di quello pane ch’è mestiere a così fatta vivanda, sanza lo quale da loro non potrebbe essere mangiata. Ed ha questo convivio di quello pane degno, co[n] tale vivanda qual io intendo indarno [non] essere ministrata (i, i, 10-11).

34Si veda più nel dettaglio Fioravanti, Il pane. Sulla metafora del pane, cfr. anche Proto, Il proemio; Nardi,

La «vivanda»; Bianchi, “Noli comedere”; Maldina, Raccogliendo briciole; Tavoni, Il pane, oltre alla voce pane, curata da Bufano e Mellone, nell’ED.

35Fioravanti, Cv, ad loc. Si veda anche quanto sostiene Maldina: «forte della propria posizione intermedia,

insomma, Dante intende imbandire un banchetto parallelo a quello dei sapienti, composto dalle briciole che cadono da quello principale, unite a comporre le canzoni, e dal pane-commento, composto sulla base della stessa mediocre cultura filosofica che egli ha potuto guadagnarsi risiedendo ai piedi dei sapienti» (Raccogliendo briciole, p. 133).

36Lo dimostra Bianchi, “Noli comedere”, in part. pp. 343-7.

37Che ha un precedente evangelico fondamentale nell’episodio della Samaritana, a cui Gesù dice: «omnis qui

bibit ex aqua hac, sitiet iterum ; qui autem biberit ex aqua quam ego dabo ei, non sitiet in æternum : 14 sed aqua quam ego dabo ei, fiet in eo fons aquæ salientis in vitam æternam» (Io. 4, 13-4).

38Fioravanti, Cv, ad loc. segnala che la pastura di ghiande rimanda alla parabola del figliol prodigo, che arriva

Una traslazione tanto complessa serve ad assegnare a Dante un ruolo e una funzione specifici: come si diceva, l’autore non partecipa «alla beata mensa», ma al contempo è «fuggito della pastura del vulgo», e ha trovato collocazione ai piedi di coloro che siedono alla mensa, dove raccoglie le briciole che cadono; ricordando la miseria della condizione di chi è escluso dalla beata mensa e mosso a misericordia, Dante vuole dar seguito a un’operazione già cominciata in passato e preparare un banchetto dove le canzoni, prima «vivanda» già offerta, siano ac- compagnate da un «pane» che permetta di mangiarle. La metafora viene chiarita in maniera più esplicita:

La vivanda di questo convivio saràe di quattordici maniere ordinata, cioè [di] quattordici canzoni sì d’amor come di vertù materiate, le quali sanza lo presente pane aveano d’alcuna oscuritade ombra, sì che a molti loro bellezza più che loro bontade era in grado. Ma questo pane, cioè la presente disposizione, sarà la luce la quale ogni colore di loro sentenza farà parvente (i, i, 14-5).

Questo passo interessa moltissimo il nostro discorso sul linguaggio figurato perché connette la genesi stessa dell’opera, con la sua ambiziosa apertura filosofica, a un problema esegetico relativo alle canzoni già composte da Dante. L’autore ribadisce che queste sono «materiate» non solo d’amore, ma anche di virtù, e che tale vivanda, che all’apparenza aveva «d’alcuna oscuritade ombra» e dunque era apprezzata più per la sua bellezza che per la sua bontà, sarà accompagnata dal «presente pane» in modo che il commento possa manifestarne ogni piega di significato.39

Il Convivio prosegue poi la metafora del pane con la lunga premessa sulle “macule” da cui viene “purgato”, tra le quali spicca la «macula sostanziale» che consiste nell’aver scritto il commento in volgare e non in latino, offrendo ai lettori «pane di biado e non di frumento» (i, x, 1). Dopo le complesse argomentazioni che occupano l’intero primo trattato, la metafora viene recuperata ancora con toni trionfanti e citazioni scritturali nel finale, dove viene anche variata nella nuova immagine del «sole nuovo»:40

Così, rivolgendo li occhi a dietro e raccogliendo le ragioni prenotate, puote- si vedere questo pane, col quale si deono mangiare le infrascritte canzoni, esse- re sufficientemente purgato dalle macule e dall’essere di biado; per che tempo è d’intendere a ministrare le vivande. Questo sarà quello pane orzato del quale si satolleranno migliaia, e a me ne soverchieranno le sporte piene. Questo sarà luce nuova, sole nuovo, lo quale surgerà là dove l’usato tramonterà, e darà lume a co-

39Sulla contraddizione tra la metafora del pane e quella della luce, si veda Hooper, Dante’s ‘Convivio’. 40E si può aggiungere che «the comparison of cognition to a spontaneous, divine enlightenment contaminates

the first tractate’s systematic metaphor of digestion as progress towards understanding with another, equally biblical, image. [...] The result is a metaphoric tension between the slow progressive understanding proper to digestion and the instantaneous intellectual illumination of light» (ivi, p. 98).

loro che sono in tenebre ed in oscuritade, per lo usato sole che a loro non luce (i, xiii, 11-2).

Chiuso il primo trattato, il secondo riprende brevemente la metafora del pane e del banchetto, a cui subentra però in primo piano quella della scrittura come navigazione, in un complesso in- treccio di campi semantici che anticipa molti movimenti della Commedia (si veda in particolare quanto si dirà in §5.4.2):

Poi che proemialmente ragionando, me ministro, è lo mio pane [nel]lo prece- dente trattato con sufficienza preparato, lo tempo chiama e domanda la mia nave uscir di porto; per che, dirizzato l’artimone della ragione all’òra del mio desiderio, entro in pelago con isperanza di dolce cammino e di salutevole porto e laudabile nella fine della mia cena. Ma però che più proficabile sia questo mio cibo, prima che vegna la prima vivanda voglio mostrare come mangiare si dee (ii, i, 1).

La scrittura è resa come una navigazione in alto mare, sotto la spinta del desiderio e però sempre sotto la guida della ragione: l’obiettivo è raggiungere senza pericolo il porto dell’utilità e della lode, portando a buon fine la “cena” apparecchiata; a tal fine, se nel primo trattato Dante aveva dichiarato la natura del cibo, ora si soffermerà su come lo si debba mangiare.

Altre metafore, poi, rivestono un ruolo strutturale e didattico analogo a quella del pane e del banchetto, sebbene siano meno ampie e immaginifiche. Un esempio si trova nella lunga giustificazione riguardante la scelta del volgare come lingua del commento: nell’ordinato e ra- mificato ragionamento che propone, Dante trasfigura le canzoni in un “signore” e il commento in un “servo”, il che gli permette di illustrare tutte le ragioni per cui il volgare può essere mi- gliore «empitore del comandamento del suo signore» (Conv. i, v, 6-vii, 16); nel prosieguo della «digressione della sua scusa», l’autore muta di nuovo la metafora del servo e del padrone, trasformandola in quella, più tenue, dell’amatore e dell’amato (i, x, 5-14).