2.3 Il ii libro del De vulgari eloquentia
2.3.5 La constructionis elatio: problemi di sintassi e gerarchie stilistiche
Dopo aver definito la poesia, abbracciando il «Sumite materiam» oraziano, Dante invita i suoi lettori a scegliere un argomento proporzionato alle proprie capacità e ad adeguare ad esso la forma, poiché si può comporre «tragice, sive comice, sive elegiace» (Dve ii, iv, 5); a ciascuno di questi tre generi corrisponderà uno stile, e rispettivamente il vulgare illustre, da esprimere in forma di canzone, il mediocre e l’humile (ii, iv, 6). Lo stile tragico prevede, tra le sue caratteristi- che, la magnificenza dei versi, la sublimità della costruzione e l’eccellenza dei vocaboli, che si devono accordare alla profondità dei concetti: «stilo equidem tragico tunc uti videmur, quan- do cum gravitate sententie tam superbia carminum quam constructionis elatio et excellentia vocabulorum concordat» (ii, iv, 7).91 Il criterio della gravitas sententie rimanda al discorso sui
magnalia già sviluppato, ed è pertanto la variabile dominante; ordinatamente, Dante si oc- cupa della superbia carminum nel v capitolo, della constructionis elatio nel vi, dell’excellentia vocabulorum nel vii, per poi dedicarsi più nello specifico alle tecniche di composizione della canzone e alla definizione delle sue parti.
Questa attenzione per la sintassi del periodo e per la lessicografia accosta Dante alle gram- matiche volgari, come quelle di Raimon Vidal e Uc Faidit; ma a testimonianza di quanto l’in- teresse del De vulgari ecceda di molto la semplice dottrina grammaticale, viene totalmente trascurata – almeno nella parte che ci rimane – la morfologia, che invece era al centro dei manuali provenzali.92 Per di più lo studio della sintassi nella grammatica classica non coinvol-
geva la sintassi del periodo, che è invece l’oggetto su cui Dante si concentra in questo passo:93
secondo i commentatori, Dante definisce la constructio come una «regulatam compaginem94 91Mengaldo e Fenzi nei loro commenti segnalano che un punto di riferimento per questo passo è Ad Her. iv,
11, dove si considera lo stile elevato (gravis) fondato su costruzioni nobili e splendide, vocaboli scelti, pensieri ele- vati: «sunt igitur tria genera, quae genera nos figuras appellamus, in quibus omnis oratio non vitiosa consumitur: unam gravem, alteram mediocrem, tertiam extenuatam vocamus. Gravis est, quae constat ex verborum gravium levi et ornata constructione. Mediocris est, quae constat ex humiliore neque tamen ex infuma et pervulgatissima verborum dignitate. Attenuata est, quae demissa est usque ad usitatissimam puri consuetudinem sermonis. In gravei consumetur oratio figurae genere, si, quae cuiusque rei poterunt ornatissima verba reperiri, sive propria sive extranea, unam quamque rem adcommodabuntur; et si graves sententiae, quae in amplificatione et com- miseratione tractantur, eligentur; et si exornationes sententiarum aut verborum, quae gravitatem habebunt, de quibus post dicemus, adhibebuntur». Ma la teoria dei tre stili, pur con qualche modifica, sembra derivare a Dante soprattutto dalla Parisiana Poetria di Giovanni di Garlandia; a tal proposito, rimando a Folena, Dante e la teoria, in part. pp. 219-20.
92L’importanza della morfologia, e il rapporto di questa con la tradizione grammaticale latina, sono oggetto di
analisi in Swiggers, Les premières.
93Nei manuali canonici di Donato e Prisciano la sintassi si ferma a livello dei singoli elementi e della frase
minima, composta di nome e verbo, escludendo ogni studio sistematico delle frasi complesse; su questo punto, rimando alla sintesi di Tavoni, Chersoni, Ipotesi d’interpretazione, pp. 137-9, con relativa bibliografia.
94Di passaggio, riporto quanto notano Tavoni e Chersoni sul termine: «il termine compago potrebbe echeg-
giare [...] Matteo di Vendôme, Ars versificatoria i, 37: “sicut dictiones in compagine constructionis sibi invicem vicinantur”, in un passo rivolto a stigmatizzare la “incongruam partium dispositionem, ne diversarum orationum dictiones implicitae sint et intricatae”, con danno della comprensione, e ad esortare quindi il versificatore a non stravolgere il cosiddetto “ordine naturale” o “diretto” delle parole: “si poterit, versificator in metro sic debet ordi-
dictionum», ispirandosi alla dottrina di Prisciano, ripresa di frequente nel Medioevo,95 ma di
fatto riferendosi piuttosto a quella che i trattatisti chiamavano compositio, cioè struttura della frase. In questa confusione – che mi pare testimoniata anche dal passo del Convivio in cui Dante dice che la canzone è bella secondo tre arti: «sì per costruzione, la quale si pertiene e ali gramatici, sì per l’ordine del sermone, che si pertiene a li rettorici, sì per lo numero de le sue parti, che si pertiene a li musici» (Conv. ii, xi, 9) – Di Capua ha visto l’influenza di un passo della Rhetorica ad Herennium, ove si legge che «compositio est verborum constructio quae facit omnes partes orationis aequaliter perpolita» (Ad Her. iv, xii, 18).96 Su questo passaggio i trat-
tatisti di ars dictaminis avevano costruito una fondamentale e complessa teoria di sintassi del periodo: come nota Fenzi, Bene da Firenze (che riprende alla lettera la definizione erenniana in Candelabrum, i, xv, 1 e v, vi, 2) definisce la compositio anche come «complexio dictionum, per cola, et comata periodosque distincta et a constructionis ordine separata» (v, vi, 2), e aggiunge norme per l’equilibrio delle varie parti del periodo e per le clausole ritmiche; tratta poi «de venustate et ordinatione verborum», dando regole per la trasposizione delle parole secondo l’ordo artificialis.97
Tornando al De vulgari, l’esempio «Aristotiles phylosophatus est tempore Alexandri» con- tiene «quinque [...] dictiones compacte regulariter» (Dve ii, vi, 2), che formano cioè una frase corretta ma priva di ornamenti, costruita sull’ordine naturale di soggetto, verbo e complemen- to. Una volta definito l’oggetto del discorso, Dante specifica che esiste una constructio congrua e una incongrua, ma che, poiché «sola supprema venamur, nullum in nostra venatione locum habet incongrua, quia nec inferiorem gradum bonitatis promuerit» (ii, vi, 3). Già a partire da questo paragrafo si comprende come la gerarchia stilistica dei diversi gradi di costruzione
nare ne vitium quod dicitur cachosinteton incurrat, id est malam verborum dispositionem”» (Tavoni, Chersoni, Ipotesi d’interpretazione, p. 132).
95«Oratio est ordinatio dictionum congrua, sententiam perfectam demonstrans» (Institutiones, ii, xv, 1). Su
Dante e Prisciano, e sulla fortuna di questi nel Medioevo, si veda Pézard, Dante sous la pluie, pp. 133-50. Sulla nozione di constructio in Prisciano e nella grammatica medievale, e segnatamente modista, rimando alle det- tagliatissime pagine di Kneepkens, On medieval syntactic. Lo studioso chiarisce che tale nozione era talmente presente negli ultimi due libri delle Institutiones, che questi venivano spesso indicati, oltre che come Priscianus minor, anche con il titolo De constructionibus; al tempo stesso, non sembra che l’opera contenga una definizione chiara del termine, che viene usato in modo piuttosto polisemo (ivi, in part. p. 143). È nota la posizione, oggi per lo più rifiutata, di Corti, secondo cui la supprema constructio dantesca si ispira a Boezio di Dacia molto più che a Prisciano (Dante, pp. 68-9).
96«La “constructio” dantesca è più affine a ciò che i classici indicarono col vocabolo “compositio”, col quale essi
si riferiscono all’espressione oratoria che si rivela specialmente nell’armonica disposizione delle parole e nella forma di strofe libera che il periodo assunse nell’eloquenza greca e romana. La sostituzione di “constructio” a “compositio” è probabile che sia dovuta all’influsso di un passo dell’Auctor ad Herennium ove si legge “compositio est verborum constructio quae facit omnes partes orationis aequaliter perpolita”. Dante, in questa definizione, trovò l’addentellato per riunire in un solo vocabolo l’aspetto grammaticale e quello retorico della costruzione. Senonché l’Alighieri considerò la “constructio” anche in relazione al pensiero, perciò ne distinse vari gradi, nei quali, in corrispondenza all’elevarsi del pensiero e all’accendersi della fantasia, anche l’espressione acquista una forma più colorita, più elaborata, più artistica» (Di Capua, Insegnamenti retorici, pp. 326-7).
97Un’estesa trattazione dell’ordinatio artificiosa fondata sul ritmo si trova anche nel Boncompagnus di Boncom-
pagno, e sulla venustas e l’ordo artificialis si concentrano parti della Summa dictaminis di Guido Faba edita da Gaudenzi.
che verrà sviluppata nei paragrafi successivi si fondi su un discorso sintattico originariamente grammaticale, combinato però soprattutto con considerazioni retoriche tipiche dei trattati di ars dictaminis: perciò mi sembra leggermente sovrastimata l’originalità che Scaglione attri- buisce a Dante in questo sincretismo disciplinare,98 che, come testimonia il passo di Bene già
citato, esisteva già nei trattati di prosa epistolare. In questo senso, mi sembra che il ii libro del De vulgari, pur fondandosi in qualche modo su tale sincretismo di grammatica, retorica e poe- tica, sia piuttosto teso, con Tavoni e Chersoni, verso un’ottica «retorica, altamente retorica»,99
i cui sviluppi teorici e i cui domini di applicazione sono però soprattutto quelli del dictamen. Il criterio della congruitas autorizzava questa mobilità tra domini disciplinari diversi: pur es- sendo un concetto fondamentale nella dottrina grammaticale,100poteva investire anche quello
retorico, probabilmente grazie alla mediazione dei commenti medievali all’Ars poetica, che ne facevano uno dei cardini della dottrina dei sei vitia, estrapolati e sistematizzati dai glossatori. Lo sconfinamento nel campo della retorica è testimoniato dall’importanza che le definizioni del dictamen assegnavano alla congruitas:101ed è ragionevole che così fosse, dal momento che
molti dei precetti della prosa epistolare operano sull’ordine delle parole per ottenere effetti ritmici e semantici raffinati, e presupponevano dunque un ottimo controllo della sintassi del periodo più semplice e corretta. In parole povere, la norma grammaticale della frase congrua è solo il punto di partenza per una gerarchia retorico-stilistica che si sviluppa invece in un crescendo di infrazioni rispetto ad essa: l’evoluzione concettuale è del tutto analoga al caso dei tropi, dove è necessario padroneggiare il grado zero della proprietà linguistica prima di poter fare un uso consapevole delle traslazioni improprie.102
98«Compositio, however, was not part of grammar, as constructio was, but of rhetoric, and precisely a major
subdivision of the theory of elocution – usually divided into diction or vocabulary, composition, and ornatus (theory of figures). This is characteristic of Dante’s original and, to an extent, idiosyncratic way of bringing together traditional grammatica, rhetorica, and poetica or poetria. Some degree of syncretism was more frequent than one might think, but it usually involved no more than two disciplines, and in a partial manner. What Dante achieved in the De vulgari eloquentia was a bold and unprecedented fusion of these three disciplines, which he, furthermore, applied to both Latin and the vernaculars, both verse and prose» (Scaglione, Dante and the Rhetorical, pp. 254-5).
99Tavoni, Chersoni, Ipotesi d’interpretazione, p. 139.
100«La prima infusione di una regola nel susseguirsi delle parole, nel linguaggio cioè, è data dalla grammatica,
perciò Dante divide la costruzione in congrua e incongrua, intendendo con “constructio congrua” un discorso che ubbidisce alle regole grammaticali e con “constructio incongrua” un componimento sgrammaticato» (Di Capua, Insegnamenti retorici, p. 327).
101I commenti al De vulgari riportano in particolare la definizione di Giovanni del Virgilio: «dictamen est
de unaquaque materia et congrua et decora locutio» (Kristeller, Un’“Ars dictaminis”, p. 193), che riprende da vicino l’incipit del Candelabrum citato poco fa.
102È per questo motivo che la gerarchia dei gradus constructionum è ascendente e non, come la teoria degli stili,
discendente. Nota infatti Folena che «le due teorie, quella dei tre stili poetici e quella dei tre diversi gradi retorici di costruzione, sono nel De vulgari eloquentia originalmente integrate. Entrambe costituiscono in sostanza un’unica teoria dell’eccellenza linguistica e poetica in base alla scelta dei vocaboli e dei costrutti (compago verborum), degli ornamenti e del legame musaico, e ci presentano una concezione pluristilistica rigorosamente verticale; con un movimento che è discendente nel caso degli stili e ascendente nel caso dei costrutti. E si capisce perché: l’ordine degli stili è stabilito deduttivamente dalla gerarchia dei valori, l’ordine dei costrutti invece è riferito alla lingua d’uso, alla più elementare unità sintattica, che corrisponde al “grado zero” dello stile» (Folena, Dante e la teoria, p. 217).
Procedendo con ulteriori divisioni, Dante specifica che anche tra le costruzioni congrue ci sono diversi gradi di urbanitas, e distingue quattro gradus constructionum. Ciascuno è indi- viduato da alcuni aggettivi ma non ulteriormente definito se non tramite un esempio latino forgiato da Dante all’occasione, e il procedere dei gradi è un crescendo di raffinatezza sintat- tica e stilistica; vengono poi allegati ben undici esempi – la catena più lunga del trattato – di canzoni eccellenti composte in lingua d’oc, d’oïl e di sì. Il capitolo si chiude, infine, con una difesa del valore degli esempi sulla teoria e con il suggerimento di frequentare assiduamente i poeti regolati – ma su questo aspetto tornerò più avanti: vediamo ora brevemente i quattro gradi e i rispettivi esempi latini.103
Il primo gradus è quello insipidus, che appartiene ai rudes: il pedestre esempio «Petrus amat multum dominam Bertam» rappresenta un periodo costruito secondo la norma grammatica- le dell’ordo naturalis, quasi a imitazione di una conversazione comune e insignificante o di un esercizio scolastico, in cui perfino i nomi propri impiegati sono popolari in maniera anto- nomastica. Con il secondo grado, definito sapidus in opposizione al primo, Dante supera la semplice correttezza grammaticale e comincia a introdurre un modesto ornamento retorico: «piget me cunctis pietate maiorem, quicunque in exilio tabescentes patriam tantum sompnian- do revisunt». Il periodo è creato per esemplificare la prassi «rigidorum scolarium vel magi- strorum»,104in primo luogo tramite l’ordo artificialis che regola la distribuzione dei sintagmi,
e in secondo luogo tramite il cursus tripartito.105
Dopo questo primo assaggio di bellezza artificiale, Dante propone per il terzo grado, quello sapidus et venustus,106 il seguente esempio: «laudabilis discretio marchionis Estensis, et sua 103Nelle osservazioni che seguono prendo spunto dai commenti al De vulgari di Marigo, Mengaldo, Tavo-
ni e Fenzi, da Mengaldo, Idee dantesche, oltre che da Scaglione, Dante and the Rhetorical e da Di Capua, Insegnamenti retorici.
104Di Capua aggiunge che «scolaris nel medioevo fu detto chi, avendo frequentato le scuole universitarie, pos-
sedeva una vasta cultura nelle lettere e nelle scienze, nelle dottrine del Trivio e del Quadrivio [...] Non senza ragione Dante aggiunge l’aggettivo rigidus, che è da riferire sia a scolares sia a magistri, perché i dotti usavano lo stile romano quando parlavano o scrivevano con rigida compostezza» (Di Capua, Insegnamenti retorici, p. 332).
105La teoria del cursus è estremamente interessante e fondamentale per lo sviluppo di norme sulla prosa latina
tra XII e XIII secolo, ma non c’è spazio di affrontarla qui; una sintesi utile per i presenti scopi: «l’utilisation systématique du cursus sera encore présentéee dans les traités rhétoriques du XIVesiècle comme le shibboleth
qui distingue l’écriture en prose libre, à la manière des anciens, de l’écriture en prose ornée des modernes, condi- tionnée par les préceptes de l’ars. Ce changemente de perspective théorique a plusieurs implications concernant la perception de l’ars dictaminis après 1200. Il contribue à structurer la réflexion sur le statut “poétique” de la prose ornée, en facilitant sa mise en relation avec les formes métriques et rythmiques en tant que langage “artifi- ciel”, entendu comme une forme supérieure du discours opposée à l’imperfection du langage naturel. Dans cette logique, il suggère une série de rapprochements conceptuels avec la pensée et l’exécution de la musique [...] L’e- xaltation de la structure des proses rythmées du dictamen aidera ainsi les dictatores à inscrire leur discipline dans l’horizon d’une pensée du latin structuré, langue normée, reflétant dans sa complexité et son harmonie l’organi- sation cosmique du monde, en écho linguistique à la création de la norme juridique» (Grévin, L’ars dictaminis, discipline, pp. 33-4).
106Per i termini sapidus e venustus, i commentatori rimandano a Quintiliano, Inst. or. vi, iii, 18-9: «venustum
esse quod cum gratia quadam et venere dicatur apparet [...]. Salsum igitur erit quod non erit insulsum, velut quoddam simplex orationis condimentum, quod sentitur latente iudicio velut palato, excitatque et a taedio de- fendit orationem. Sales enim, ut ille in cibis paulo liberalius adspersus, si tamen non sit inmodicus, adfert aliquid propriae voluptatis, ita hi quoque in dicendo habent quiddam quod nobis faciat audiendi sitim».
magnificentia preparata, cunctis illum facit esse dilectum». Come è stato notato, anche in questo caso il periodo si divide in tre membri non isosillabici, formando un cursus planus, velox e poi di nuovo planus; ci sono altri artifici minori, ma sembra di poter affermare che ciò che lo distingue dall’esempio precedente è soprattutto l’ironia antifrastica con cui si parla di Azzo d’Este, accentuata dal fatto che nel primo libro il marchese era stato oggetto di una feroce invettiva.107Dunque la conversio che regola l’ordine delle parole, appartenente all’ornata
facilitas, viene qui integrata dalla figura della permutatio ex contrario.108
L’ultimo grado, infine, è quello «sapidus et venustus etiam et excelsus», degno dei «dic- tatorum illustrium». L’esempio dispiega tutti gli artifici più raffinati prescritti dai trattati di ars dictaminis: «Eiecta maxima parte florum de sinu tuo, Florentia, nequicquam Trinacriam Totila secundus adivit». Sono infatti impiegati l’abbreviatio del primo sintagma con l’abla- tivo assoluto, l’apostrofe, la personificazione, l’iperbole, l’antonomasia, il gioco onomastico e l’allitterazione, la metafora, oltre al cursus raffinato (velox, tardus, tardus, planus); il lessi- co è raffinato, le immagini sono intense, la costruzione è virtuosisticamente complessa.109 In
sintesi, con Di Capua:
nel primo grado è l’espressione comune appena regolata dall’accordo gram- maticale; nel secondo grado, sapidus, l’elemento ritmico e musicale compare nel- l’ordinare e regolare l’espressione; nel terzo grado, venustus, all’elemento fonico s’unisce quello cromatico, che dà colorito e vivezza al linguaggio; nel quarto, ex- celsus, all’elemento fonico e cromatico si accoppia quello fantastico, congiunto a raffinatezze verbali e a simbolismo di concetti, in modo che il pensiero si mostri chiuso e parvente nella luce dell’espressione.110
La progressione restituisce anche una qualche testimonianza del progresso che un discente nelle artes sermocinales poteva sperimentare nel corso dei propri studi, tra scuole di gramma- tica e insegnamenti di retorica e dictamen. Perciò la scelta di elaborare gli esempi in latino e in prosa, nonostante l’oggetto privilegiato di questa parte del De vulgari sia la poesia volgare, dipende non solo dalla volontà di legare in un nesso ancora più stretto le due forme e le due lingue, ma anche di esaltare la competenza di Dante in entrambe le pratiche di scrittura: la pre- cisa gerarchia dei diversi gradi implica che Dante è in grado di padroneggiarli virtuosamente tutti, ma al tempo stesso il punto d’arrivo è l’ultimo, tant’è che solo a questo si riferiscono gli
107«Racha, racha. Quid nunc personat tuba novissimi Frederici, quid tintinabulum secundi Karoli, quid cornua
lohannis et Azonis marchionum potentum, quid aliorum magnatum tibie, nisi “Venite carnifices, venite altriplices, venite avaritie sectatores”?» (Dve i, xii, 5)
108Così definita nella Rhetorica ad Herennium: «permutatio est oratio aliud verbis aliud sententia demonstrans.
Ea dividitur in tres partes: similitudinem, argumentum, contrarium. [...] Ex contrario ducitur sic, ut si quis hominem prodigum et luxuriosum inludens parcum et diligentem appellet» (Ad Her. iv, 46).
109Analisi più dettagliate si trovano, oltre che nei commenti al De vulgari, in Scaglione, Dante and the
Rhetorical, pp. 262-3; Forti, La magnanimità, pp. 114-6.
esempi volgari.111 Il ruolo fondamentale accordato alla personalità di Dante, per di più, emer-
ge ulteriormente, anche se sotto traccia, quando si considerano gli argomenti affrontati negli esempi dei tre gradi superiori: il motivo principale è quello politico e dell’esilio, così cruciale nell’esperienza di Dante e declinato in una tensione patetica montante, che Marigo ha definito «un crescere di passione, dalla malinconia allo sdegno e ad un accoramento senza pace».112
Tavoni, sviluppando le stesse considerazioni, propone acutamente di riconnettere i tre diversi esempi ai tre stili elegiaco, comico e tragico,113 e di individuare in essi un costante appello al
pubblico bolognese, dal momento che Bologna è il contesto più vicino agli episodi e ai per- sonaggi nominati.114 In ragione di questa intima risonanza emotiva e personale si possono 111Infatti «hunc gradum constructionis excellentissimum nominamus, et hic est quem querimus cum suppre-
ma venemur, ut dictum est. Hoc solum illustres cantiones inveniuntur contexte» (Dve ii, vi, 5-6). La grande padronanza dimostrata da Dante nel maneggiare i colori retorici gli venne del resto riconosciuta dai lettori con- temporanei, come è testimoniato dal commento dell’Ottimo al passo purgatoriale in cui compare Bonagiunta: «Dice qui Bonagiunta all’Autore: Io veggio ora il modo, che tenne legato il notaro Giacomo da Lentino, e Guit-