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Breve bilancio provvisorio: aspetti positivi e criticità

Nel documento Theatre Teaches (pagine 57-62)

La Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana, nel panorama universitario svizzero

5. Breve bilancio provvisorio: aspetti positivi e criticità

A questo punto, propongo alcune considerazioni in merito all’esperienza fin qui effet- tuata, limitandomi a taluni aspetti di valenza positiva, contrappuntati con riflessioni sul ver- sante delle criticità, pur consapevole che ve ne possano essere molti altri suscettibili di en- trare in ordine di conto per una simile analisi, che qui tralascio.

5.1 Impatto, ricadute delle offerte formative del SEDIFO

Dopo alcuni anni di attività credo si possa affermare che vi è stata una certa sensibilizza- zione da parte del corpo docente e dell’istituzione nel suo complesso in merito alle questioni della pedagogia e della didattica. Ne sono un indice l’accoglienza e la “pubblicità” sostan- zialmente positive manifestate da coloro che hanno frequentato i nostri corsi, alcuni dei quali si sono prestati in guisa di testimonial per patrocinare le edizioni successive. La scelta di poli- tica istituzionale di richiedere per le posizioni chiave dell’organico strutturale della SUPSI una preparazione specifica nel campo della didattica universitaria ha prodotto un parziale rie- quilibrio del rapporto – ancora peraltro alquanto sbilanciato – tra ricerca e formazione. Inoltre, per ora, le valutazioni e i feedback espressi al termine dei percorsi formativi erogati dal SE- DIFO attestano un grado di soddisfazione piuttosto elevato e lusinghiero.

A fronte di tale “successo”, sicuramente gratificante, permane un risvolto problematico di non poco conto: come “misurare”, o meglio monitorare il reale impatto/beneficio delle nostre formazioni sull’effettivo rinnovamento/dinamismo delle azioni didattiche concreta- mente condotte. Per il momento non siamo ancora riusciti ad approntare un dispositivo soddisfacente, capace – senza attivare un apparato eccessivamente pesante, burocratico e meramente quantitativo – di cogliere le reali ricadute migliorative sulle pratiche d’aula, sia nella prospettiva della docenza (efficacia delle modalità d’insegnamento) sia in merito alla reazione/rispondenza del corpo studentesco (facilitazione dell’apprendimento).

5.2 Conferire continuità a interventi che rischiano di rimanere sporadici

In merito agli interventi puntuali da noi promossi giova chinarsi su un problema o porsi una domanda: come dare continuità a questi eventi, per far sì che non rimangano alla stre- gua di episodi circoscritti e un po’ a sè stanti, senza seguito o la cui spinta propositiva e motivazionale si esaurisca velocemente?

Così si è pensato, per quanto attiene al CS Award for best teaching, di procedere alla presentazione dei progetti vincitori in circostanze tese a promuovere la didattica nel settore terziario, allo scopo di mostrare concretamente che l’innovazione in questo dominio è pos-

sibile. Si ritiene infatti che appoggiarsi a “best practices” sperimentate all’interno del pro- prio Istituto d’affiliazione possa accreditarne la credibilità realizzativa, fugando reazioni del tipo “ma da noi ciò non è fattibile o praticabile”.

Per garantire un seguito alla Giornata della formazione SUPSI si è previsto di continua- re a lavorare sul tema centrale individuato per il 2019, vale a dire la Valutazione, facendolo diventare un filone di ricerca (interna), con l’intento di favorire dei terreni di sperimenta- zione in seno a taluni corsi di laurea attivati dai vari dipartimenti, da seguire e monitorare con spirito scientifico.

Sul fronte dei SEDIFO-Apéro si sta operando la scelta di utilizzare questi incontri e scambi brevi per sondare la presa di determinati argomenti rispetto a bisogni e desiderata dei docenti, in vista di rilanciarli sotto forma di Seminario di mezza giornata. Qualora, poi, si manifestasse l’intenzione di un successivo approfondimento più consistente, l’auspicio è che il tutto possa sfociare in un Corso di formazione continua vero e proprio, andando ad incrementare l’offerta del SEDIFO. In tal modo si vorrebbe creare una progressione propo- sitiva e proficua, cercando di coniugare stimoli proattivi indotti dal Servizio con le spinte motivazionali dei diretti interessati.

In termini più generali, si sta pensando di sviluppare una vera e propria ‘cultura della formazione continua’ presso la classe magistrale accademica, affinché la motivazione al perfezionamento professionale non si esaurisca al momento della certificazione dei singoli corsi o con l’ottenimento della Qualifica didattica, ma si dipani sull’arco dell’intera vita attiva (“lifelong learning”) sotto forma di aggiornamento permanente volto allo sviluppo costante delle proprie competenze pedagogiche, didattiche e scientifiche, che costituisce la missione prioritaria del SEDIFO.

5.3 Disciplinarità/interdisciplinarità, trasversalità/specificità

Come riportato in precedenza, una delle peculiarità più significative del CAS in didatti- ca e del Corso introduttivo alla formazione terziaria universitaria, particolarmente apprezza- ta dai diretti interessati, è stata l’eterogeneità interdipartimentale, interdisciplinare, interge- nerazionale di chi vi partecipa.

Su questo aspetto merita segnalare come la variegata composizione dei gruppi succedu- tisi in questi anni, se da un lato è portatrice d’indubbio arricchimento nel confronto recipro- co, dall’altro provoca non poche difficoltà nel trovare un minimo comune denominatore circa interessi convergenti, esemplificazioni pedagogiche e occasioni esperienziali capaci di attagliarsi alle diverse appartenenze disciplinari e dipartimentali degli iscritti. Ciò si traduce non di rado in richieste di prestare maggiore attenzione alle tipicità e alla trasferibilità dei contenuti presentati, in relazione alle proprie realtà peculiari d’intervento.

Pertanto, occorre prestare la massima attenzione e cura alla complementarità e al bilan- ciamento di formazioni a carattere più “generalista” – finalizzate alla costituzione di una ‘cultura generale’ condivisa sulle questioni legate alla pedagogia universitaria – e interventi più puntuali declinati alle aree disciplinari afferenti ai diversi curricoli, per rispondere alle esigenze di indicazioni didattiche più mirate che si integrino coerentemente e conveniente- mente con l’approccio per competenze, nella costante dialettica: trasversalità ↔ specificità. In codesto quadro discorsivo è bene richiamare anche la figura dei Tutor, che all’interno dei singoli dipartimenti fungono da persone risorsa per curare/presidiare gli aspetti scienti- fici e metodologici di ordine disciplinare, da concepire in veste di “amici critici” nell’ac- compagnamento di chi segue il CAS in didattica, lungo l’intero arco del suo svolgimento. Questa figura, sganciata da qualsiasi incombenza valutativa o certificativa e avvalorata da una conoscenza intrinseca del sistema curricolare in cui opera il corsista, non è imposta ma semplicemente proposta a quest’ultimo, il quale ha la facoltà di attivarne o meno l’aiuto o i

servigi a propria discrezione. I Tutor – scelti dentro le varie realtà dipartimentali in virtù della loro esperienza, credibilità e vicinanza alla didattica – permettono d’introdurre un certo equilibrio fra la valenza trasversale/globale e quella specialistica/settoriale. Per razio- nalizzare le risorse ed evitare una parcellizzazione troppo marcata si è proceduto al loro reclutamento per aree disciplinari e non per singola materia, così da incentivare la propen- sione alla collaborazione/visione interdisciplinare.

È opportuno qui accennare al non secondario problema relativo al tipo di comunicazio- ne da adottare per consolidare un rapporto autentico e proficuo di fiducia e scambio (o semplicemente una effettiva comprensione) fra le scienze dell’educazione, da un lato, e le discipline accademiche e i loro cultori, dall’altro.

La questione del linguaggio si rivela centrale nel confronto/scontro fra i due fronti, in quanto sovente – anche alla luce di un gergo fumoso o di terminologie specialistiche astruse impiegati dagli addetti ai lavori: denominato spregiativamente da taluni “pedagoghese” – l’incontro non avviene o risulta fallimentare poiché inficiato di sospetto, diffidenza, resi- stenza piuttosto che sorretto e favorito da fiducia e apertura reciproche.

In effetti, molti colleghi provenienti dalle scienze dure/esatte dichiarano la grande diffi- coltà di entrare nel lessico gergale delle scienze dell’educazione e di coglierne il significato – ritenuto alquanto criptico ed arzigogolato –, comprendendone con fatica i concetti e la semantica soggiacenti.

A questo punto si può tessere un’analogia o un collegamento con la dimensione inter- culturale: il dialogo o il confronto fra le diverse discipline e le aree di sapere (le “regioni ontologiche” di conoscenza) è simile al rapporto o alla comunicazione fra culture diverse, con l’avvento o il subentrare di preconcetti, pregiudizi, aperture/chiusure, meccanismi di difesa, processi di assimilazione, integrazione, rapporti di potere…

5.4 Relazione tra ricerca e formazione

Di recente ci si è occupati di ridurre il divario esistente nel rapporto tra Ricerca e For- mazione: due poli che sappiamo essere alquanto squilibrati, in ambito accademico, a favore del primo. In particolare, oltre ad investire nel rafforzamento e nel coordinamento istituzio- nale della formazione puntando sul miglioramento della qualità dell’insegnamento imparti- to, si sono erogate delle risorse per perorare un circolo virtuoso tra i due “mondi”, soste- nendo progetti interni di ricerca, che si sono poi tradotti in percorsi formativi messi a dispo- sizione dei docenti, come nel caso della Flipped classroom. Un altro soggetto attorno al quale si stanno profondendo sforzi in tal senso è lo studio delle possibili ricadute della digi- talizzazione nel novero della pedagogia universitaria.

Abbiamo tuttavia riscontrato che talune ‘novità’ – ma in qualche caso si potrebbero chiamare ‘mode’ nella misura in cui seguono tendenze e terminologie dominanti nei circuiti comunicativi più diffusi e pregnanti, dove finiscono per diventare dei “must” e dei “leitmo- tiv” ritenuti “imprescindibili” perché tutti ne parlano e li citano – suscitano grande interesse o addirittura entusiasmo in partenza, ma svaporano in fretta a fronte dell’investimento in tempo ed energie per portarle a realizzazione. In altre parole, se inizialmente possiamo pro- vare attrazione per nuove idee progettuali o/e metodologiche, allorché dal piano conoscitivo ci spostiamo su quello dell’applicazione effettiva nelle proprie prassi insegnative, subentra una certa disillusione e la carica volitiva di partenza si dissolve spegnendosi nella routine consolidata e rassicurante.

In sostanza, però, al di là delle buone intenzioni e di qualche passo in avanti, permane la difficoltà di coniugare la polarità ‘ricerca’ con il comparto ‘formazione’, nel senso di creare un’autentica circolarità virtuosa fra i due settori in cui uno dei poli non prevalga massic-

ciamente sull’altro, ma vi sia un’effettiva – e non fittizia o posticcia – interfecondazione a beneficio di entrambi i campi.

Sussiste altresì la necessità, come espresso precedentemente, di abbattere barriere di sospetto, reticenza, refrattarietà fra disciplinaristi, da un canto, e cultori delle scienze del- l’educazione, dall’altro, tanto da prefigurare una complementarità e collaborazione creativa e costruttiva, piuttosto che contrapposizione o indifferenza.

5.5 Opzione preferenziale per l’apprendimento esperienziale

In questi anni – e non solo nello svolgimento dei corsi organizzati dal SEDIFO – ci sia- mo avvalsi e abbiamo beneficiato di una sorta di ‘metodo esperienziale-sperimentale’, con un’attitudine intrinseca al Servizio stesso nell’apprendere “en cours de route” anche sul versante ideativo-progettuale globale: provando e riprovando e facendo tesoro dagli errori per apportare quei correttivi idonei per migliorare costantemente il nostro operato.

Una simile postura si attaglia bene al lavoro di sensibilizzazione, promozione e orien- tamento relativo alla pedagogia e didattica universitaria, il quale non si produce all’insegna di un cammino lineare e armoniosamente progressivo, giacché il suo svolgimento si esplica piuttosto alla stregua di traiettorie spesso imprevedibili e alquanto tortuose, su strade talvol- ta accidentate e non prive di ostacoli.

Solo per citare alcuni esempi di aggiustamenti messi in atto: la procedura certificativa per il CAS in didattica, se all’inizio avveniva modulo per modulo ora si traduce in un unico processo, secondo una visione unitaria e sistemica, senza segmentazioni. Questa soluzione ci sembra più consona e coerente con l’approccio per competenze che stiamo cercando di implementare.

Altro esempio: l’idea formativamente audace, ma assai promettente, di spingere i corsi- sti del CAS in didattica a procedere a una videoregistrazione di una propria lezione per poi riflettervi alla luce degli apporti teorici e metodologici forniti. La richiesta ha suscitato al- l’inizio non poche reazioni di resistenza o di scetticismo, per poi sfociare spesso, una volta portato a termine l’esercizio, in grande apprezzamento per aver compreso – per il tramite di questa via – tutta una serie di proprie particolarità, inclinazioni o idiosincrasie assai utili da appropriarsene in funzione di un orizzonte di perfezionamento delle proprie performance nella docenza. Una delle risultanze da noi riscontrata nel cimentarsi in tale operazione auto- osservativa è stata di scoprire quanto siamo autocritici nei confronti di noi stessi in queste circostanze, trovando tutta una serie di fattori che “non mi piacciono di me”, come la postu- ra, la mimica facciale o la gestualità, il tono di voce, la qualità dell’argomentazione …

Alla luce di una propensione del genere al perfezionismo con l’accentuata difesa di un’immagine smagliante di sé (verosimilmente sulla scorta di una rappresentazione “alta/ aulica” del modello idealtipico del docente universitario proveniente da un dato immagina- rio collettivo), non ammettendo forme di debolezza o alcuna sbavatura, non stupisce quanto sia difficile entrare nelle aule universitarie come osservatore esterno o promuovere un’in- tervisione fra colleghi, più a loro agio nel muoversi tutti soli nei propri spazi d’azione dove si è signori e padroni.

5.6 Digitalizzazione: potenzialità e possibili derive

Attualmente, come accennato, una delle sfide prioritarie è stata identificata nel fornire risposte pedagogicamente adeguate all’impulso o all’imprescindibile chiamata della digita- lizzazione, la quale potrebbe effettivamente rivelarsi una stimolante opportunità per una trasformazione sostanziale delle pratiche insegnative e apprenditive a livello accademico.

Infatti, al cospetto della larga diffusione e condivisione della conoscenza mediante tutta una serie di dispositivi e vettori tecnologici (vedi e-learning, blended learning, MOOC- Massive Open Online Courses, ecc.), il sapere non è più appannaggio o monopolio delle università, le quali non possono più tergiversare nel confrontarsi con il magmatico universo delle sempre più pervasive e sofisticate tecnologie elettroniche.

Un riscontro curioso da noi constatato è il fenomeno per cui la messa a disposizione di risorse aggiuntive e dedicate per sostenere le TIC nella didattica (per es. con l’assunzione di una specialista che affiancasse i formatori per risolvere tutta una serie di problemi tecnici e procedurali come la realizzazioni di video da utilizzare nelle lezioni), ha comportato non solo ampia accettazione o entusiasmo, ma pure una certa polarizzazione tra il fronte dei ‘motivati e convinti’ contenti di beneficiarne, verso gli ‘scettici e i resistenti’, ulteriormente radicalizzatisi nel trincerarsi dietro una sorta di rifiuto di utilizzare dispositivi tecnologica- mente all’avanguardia.

Giova comunque introdurre una nota di problematizzazione di tutta questa materia così enfatizzata allo stato attuale: oltre al rischio di un monolitico ‘pensiero unico’ contrassegna- to da roboanti e acritici discorsi inneggianti alla digitalizzazione come epica panacea dei nostri tempi, vi è quello di un’occasione mancata, allorché ci si concentrasse essenzialmen- te sulla dimensione tecnico-strumentale, senza un’analisi di fondo dal profilo epistemologi- co e metodologico. A parer mio, solo prendendo in considerazioni – in aggiunta e paralle- lamente agli aspetti meramente tecnologici – i numerosi risvolti e le varie implicazioni psi- co-sociali e antropologico-culturali è plausibile alimentare la speranza in un rinnovamento sostanziale, e non solo di facciata, degli assetti curricolari esistenti (bachelor e master). 5.7 Status e prospettive delle SUP

Concludo questa parte con qualche considerazione di ampio respiro circa lo statuto caratterizzante le SUP. Come abbiamo visto, esse si distinguono, nel panorama univer- sitario, per alcuni tratti differenziali che ne fanno la loro forza, come il legame con il territorio di riferimento, nonché la propensione alla professionalizzazione dei propri curricoli, dove si alternano complementarmente e virtuosamente formazioni in aula (la teoria) e periodi di contatto diretto con le realtà professionali mediante stage e progetti in situazione (la pratica).

Ciò conferisce alle SUP delle caratteristiche peculiari che sinora ne hanno decretato la fortuna, ma che non sono date per scontato, tenuto conto dell’estrema mobilità e costante trasformazione del contesto socioeconomico e culturale globale.

Si tratta, in effetti, di vigilare al mantenimento di un’identità attrattiva e competitiva nello scenario istituzionale-formativo complessivo, con la dovuta premura a rivedere sem- pre di nuovo i propri tratti distintivi in maniera da evitare un eventuale dissolvimento, sia in un accademismo manierato e pomposo (più anelato idealmente che realisticamente applica- bile, che nemmeno le università di grido perseguono ormai più), sia in un pragmatismo pa- rossistico a rimorchio di una società dei consumi.

Le due eventuali derive antitetiche, le quali porterebbero a snaturare il corpus fondante e qualitativamente pregiato delle SUP, sarebbero dunque: lo scadimento in una sorta di mera ‘funzionalizzazione’ pragmaticistica ai dettami dei trend dominanti nel terreno economico, tecnico e produttivo, vale a dire un mero assecondamento del mercato del lavoro, ponendosi all’esclusivo servizio delle sue esigenze occupazionali. In tal caso, fra l’altro, vi sarebbe il pericolo di non più distinguersi dalle scuole di specializzazione del settore terziario superio- re, finendo per dissolversi nelle stesse.

Di converso, aleggia il fantasma di una ‘accademizzazione’ spinta alla rincorsa spa- smodica e chimerica di modelli fulgidi e “prestigiosi”, anelando a creare comunità scien-

tifiche capaci di sfornare ricerche sofisticate ad alto tasso di competitività e pubblicazioni a profusione da sottoporre alle riviste internazionali più accreditate. Ciò significherebbe accentuare il divario fra il versante della ricerca (in cui investire massicciamente) e quel- lo della formazione, che ritornerebbe a fungere da anello debole (cenerentola) dell’intero sistema accademico.

Nel documento Theatre Teaches (pagine 57-62)