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Brevi osservazioni conclusive anche alla luce dei più recenti dati »

Proprio nei giorni in cui ci accingevamo a chiudere il presente scritto, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Inapp, ex Isfol) ha pubblicato il XVII Rapporto sull’apprendistato realizzato in collaborazione con l’ Inps e contenente i dati relativi al triennio 2014-2016.

La principale novità emergente dal Rapporto è rappresentata dalla net- ta inversione di tendenza riguardante l’utilizzo dell’apprendistato nell’ultimo anno preso in considerazione. Il trend fortemente negativo segnato a partire dal 2010 e il cui picco era strato registrato in corrispondenza della Legge di Stabilità 2015, con la quale si era riconosciuto al datore di lavoro un esonero triennale totale dei contributi dovuti per le assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato, è stato invertito nel 2016, anno in cui i dati attestano un aumento del ricorso all’apprendistato del 32% rispetto all’anno precedente. Questa inversione appare strettamente legata alle regole previste nella legge di Stabilità 2016 che ha segnato il ritorno dell’apprendistato al vertice delle opzioni più favorevoli economicamente per il datore.

I dati confermano, poi, la schiacciante prevalenza, tra le tre diverse tipologie, di quella a minor contenuto formativo, l’apprendistato professionalizzante, con un peso che nel 2016 raggiunge il 96,5% del totale. A tal riguardo, nel Rapporto si evidenzia, opportunamente, che “i datori di lavoro, percependo l’apprendistato

44 D.M. del 12 ottobre 2015, art. 7. 45 D.M. del 12 ottobre 2015, art. 5.

prevalentemente come un contratto di inserimento, sono spinti a valutare innan- zitutto il risparmio conseguito rispetto ad altre forme contrattuali e considerano soltanto in subordine l’opportunità di formare prevalentemente all’interno delle imprese le professionalità necessarie per sviluppare la propria attività”.

L’apprendistato di alta formazione e ricerca resta, all’opposto, il fanalino di coda con lo 0,3%. È di particolare interesse notare, però, che un simile dato appare sensibilmente influenzato dai risultati negativi relativi alla gran parte delle regioni italiane. La quasi totalità dei rapporti di quest’ultimo tipo, infatti, sono concentrati in tre regioni, Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna che più delle altre, e in stretta collaborazione con alcuni dei loro atenei, hanno di- mostrato che l’impegno nel definirne i profili attuativi e promuoverne l’utilizzo può condurre a risultati tutt’altro che irrilevanti.

Avviandoci a concludere, è opportuno sottolineare come non vi sia dub- bio che, tra le varie figure contrattuali contemplate dall’ordinamento italiano, l’apprendistato costituisca lo strumento ideale d’impiego dei giovani che si af- facciano per la prima volta alle porte del mercato del lavoro. La presenza della componente formativa e la connessa possibilità per l’apprendista di acquisire o arricchire le proprie competenze professionali attraverso l’impiego sul campo, rappresentano gli elementi valoriali che contraddistinguono l’istituto da ogni altro strumento contrattuale non-standard d’impiego della manodopera.

Sul piano della sua diffusione e del suo corretto utilizzo, in termini genera- li, l’apprendistato sconta una serie difficoltà, nonostante consenta al datore di realizzare, in termini comparativi, un consistente risparmio economico. Ai pro- blemi di conoscibilità stessa della disciplina, dovuti alla sovrapposizione e al complicato intreccio di norme provenienti da diverse fonti regolative, sui quali pure si è tentato d’intervenire negli ultimi anni, si aggiungono profili critici di diversa natura. In particolare, si pensi alla scarsa richiesta di manodopera qua- lificata da parte delle imprese e, nonostante ciò, alla comunque insufficiente risposta del sistema formativo. O, ancora, alla concorrenza delle altre forme contrattuali d’impiego flessibile del personale che, essendo prive di obblighi formativi, sono molto meno impegnative per la parte datoriale.

Tra le diverse tipologie di apprendistato, poi, quello di alta formazione e ricerca, già dalla natura fortemente elitaria, ha dato prova, purtroppo, di scon- tare le maggiori difficoltà di diffusione. Non mancano, tuttavia, come si è avuto modo di evidenziare supra, valide ragioni per continuare a scommettere sull’i- stituto e a valutare ed attuare le strategie migliori di promozione.

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DEGLI ENTI DI RICERCA

Luca Toschi*

Sommario: 1. Premesse necessarie per un’operatività efficace. – 1.1. Cambiare non