Le modalità di collaborazione atenei-imprese sopra descritte (fase proget- tuale e fase didattica) vedono lo studente ancora ‘passivo’, destinatario delle iniziative sorte con tale partnership.
L’ulteriore step è costituito da una modalità ancora non molto esplorata, che vede invece gli studenti protagonisti attivi. Ci riferiamo alla partecipazione di studenti universitari a progetti operativi delle aziende.
Se il tirocinio curriculare (pre-laurea) e lo stage post-laurea hanno ormai una significativa diffusione, essi consistono il più delle volte nella mera ‘fre- quentazione’ da parte dello studente di un contesto aziendale, con l’inserimento nelle attività day-by-day di un ufficio o dipartimento. Sicuramente rappresen- tano un’ottima opportunità di affacciarsi ad un contesto lavorativo acquisendo se non altro una familiarità con l’ambiente.
Paradossalmente le aziende che vivono tale fase con un approccio strategi- co sono ancora la minoranza (conservando un atteggiamento Give Back, come se lo stage fosse ‘un favore’ alla persona o al territorio), ma gli stage costituisco- no comunque una fonte di recruitment statisticamente rilevante.
Senza sottovalutare l’utilità di un generico periodo di stage, che rappresen- ta comunque un’ottima esperienza che sarà utile dopo la laurea, l’internship curriculare (forse ancora più che lo stage post-laurea) può risultare ancora più proficua qualora veda lo studente inserito in un progetto preciso.
Lo sviluppo di un nuovo ‘progetto speciale’, che rappresenta una ‘rottura’ ri- spetto al modello di business o ai processi operativi aziendali, richiede solitamente un’attenzione ‘ad hoc’ rispetto ad uno incrementale nel quale si tratti ‘solo’ di per- seguire il miglioramento o la modifica di uno degli elementi. Tali progetti speciali vengono solitamente sviluppati con modalità diverse in funzione delle dimensioni:
• le Big Corporation multinazionali sono in grado di creare gruppi ad hoc, con risorse completamente dedicate;
• le grandi aziende (imprenditoriali o quotate) hanno spesso figure dedi- cate di Strategic Project Manager, in staff alla direzione, al consiglio di ammini- strazione o alla proprietà, che fanno da pivot per questi progetti (avvalendosi funzionalmente di risorse allocate nelle diverse direzioni aziendali);
• le medie aziende sono costrette ad affidare questi progetti a figure che li gestiscono on top rispetto al loro ruolo ordinario e ciò spesso rende difficile il rispetto dei tempi e il raggiungimento degli obiettivi di progetto.
È dunque chiaro che – a maggior ragione nelle medie aziende, ma non solo – in questa fase una risorsa, anche molto junior, che possa essere dedicata al 100% rappresenta un’opportunità enorme (anche se nelle fasi iniziali il suo supporto può essere limitato a poche fasi molto operative). D’altro canto an- che il giovane coinvolto in un progetto ex-novo ha solitamente la possibilità di ritagliarsi un ruolo molto più ‘esposto’ rispetto a quello di mero osservatore in cui talvolta sono relegati i tirocinanti quando il processo che seguono è quello caratteristico e consolidato dell’azienda (se non altro perché le attività sono già allocate e l’azienda non può correre rischi passando l’ownership di fasi rilevan- ti ad un giovane outsider).
Tra gli altri elementi a favore di tale soluzione dobbiamo anche citare le caratteristiche operative dei progetti trasversali in azienda. Si tratta infatti di fasi particolari, nelle quali strumento tipico di teamwork è il brainstorming (adatto dunque anche all’interazione di figure meno esperte); inoltre in tali mo- menti possono essere utili punti di vista diversi: ‘più esterni’ rispetto alla storia aziendale, ‘più giovani’ rispetto all’età anagrafica dei dipendenti, ‘più digitali’ in termini tecnologici. Tutte ragioni che rendono particolarmente proficuo l’in- serimento di un Millennial in un team di progetto, anche per il miglioramento dell’output.
Solo per fare qualche esempio, negli scorsi anni una media azienda avreb- be potuto trarre beneficio dall’inserimento di un giovane laureando come ti- rocinante su un progetto per l’implementazione dell’e-commerce (tema ormai pressoché maturo nel mondo del lusso, ma ancora ongoing nella grande distri- buzione alimentare), oppure di criteri della lean organization (metodiche or- mai prevalenti in molti settori manifatturieri). È facilmente intuibile quanto un giovane che avesse svolto un tirocinio su un argomento del genere solo pochi anni fa – magari discutendovi poi la tesi di laurea – sarebbe risultato appetibile sul mercato del lavoro all’uscita dagli studi universitari8.
Un ulteriore inciso sui periodi di internship in azienda durante gli studi (da sempre praticati nel mondo anglosassone) è la possibilità che essi rendano più trasversali – e soprattutto meno vincolanti – i percorsi di studio. Le statisti- che evidenziano una triste realtà con riguardo alla ricettività delle aziende nei confronti delle cosiddette ‘lauree deboli’, in particolare quelle umanistiche; in molti casi i laureati di tali facoltà trovano spazio – in misura comunque limita- ta – quasi esclusivamente nelle direzioni del personale, nel marketing e nella comunicazione.
La situazione potrebbe mutare significativamente se i rapporti università- impresa dessero l’opportunità di pianificare un tirocinio di quelli sopra de-
8 Ad onore del vero non tutti i progetti strategici e innovativi avviati negli anni scorsi hanno avuto
un reale seguito. Il rischio di farsi un’esperienza in azienda non direttamente spendibile (comunque limitato) è comunque ampiamente compensato dal fatto di arrivare sul mercato del lavoro già in pos- sesso di un background comunque spendibile (pur “come esperienza di vita in azienda” più che per le competenze tecniche effettivamente maturate.
scritti anche a studenti con percorsi ‘umanistici’: per progetti specifici una for- mazione di quel tipo potrebbe risultare addirittura preferibile9 o – al minimo
– un ostacolo meno insormontabile. E, dopo un primo ingresso ‘soft’ nel mon- do aziendale, sarebbe senza dubbio più semplice un consolidamento guidato dall’esperienza già svolta.
Ultimo punto da considerare come positiva conseguenza dell’impegno dei giovani su progetti operativi in azienda è legato allo sviluppo delle soft skills. Come già richiamato (v. nota 4), le aziende non soffrono solo carenze legate al know-how tecnico (generico, non aggiornato, non allineato alle esigenze del contesto), ma anche la scarsa abitudine ad utilizzare le cosiddette competenze trasversali. La già richiamata ricerca “Le soft skills dei neolaureati all’ingresso nel mondo del lavoro” condotta in collaborazione con il Gruppo AIDP Toscana ha individuato le seguenti principali lacune:
• Problem solving
• Proattività e intraprendenza • Orientamento ai risultati • Comunicazione e ascolto • Team work
• Capacità di rispettare i ruoli e comprendere le situazioni.
Pur plaudendo al lodevole sforzo di alcuni atenei per inserire anche tali competenze nel percorso accademico, pare evidente che si tratta di aspetti dif- ficilmente acquisibili sui libri e difficilmente misurabili in una prova d’esame. Se in teoria ciascuna delle capacità elencate vengono sviluppate negli anni universitari, nella pratica è il team work che può essere maggiormente svilup- pato ad hoc, favorendo un maggior numero di attività di gruppo (seminari, esercitazioni, ecc.).
Ben più ‘allenante’ risulta una ‘palestra’ reale, vissuta direttamente in azien- da nell’ambito del percorso formativo. E il ritorno di questo investimento è im- mediatamente misurabile, non appena il giovane laureato si trovi a confrontarsi con le prime esperienze lavorative.