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La crisi di comunicazione rispecchia la crisi di contenuti »

1. Premesse necessarie per un’operatività efficace »

1.4. La crisi di comunicazione rispecchia la crisi di contenuti »

La buona comunicazione la si comincia a fare a monte dei processi produt- tivi e non a valle, come acefalo, quanto persuasivo, strumento per diffondere l’informazione su ciò che si è realizzato fra i potenziali ‘fruitori’. Per questo si deve capire che l’attuale crisi della comunicazione riguarda la comunicazione che si utilizza per produrre. È da qui, infatti, che scaturisce la grave crisi nella comunicazione dei prodotti finiti.

Il problema è evidente quando ci si occupa di rafforzare il rapporto fra domanda e offerta, fra fruizione e produzione. Qui le correnti di pensiero e d’azione oscillano fra chi considera il fruitore un “consumatore” che, se ben analizzato, lavorando attentamente sul suo inconscio e sulle sue più nascoste pulsioni, sui suoi meccanismi cerebrali, potrà essere convinto a comprare tutto, compresi i prodotti della ricerca e della formazione; e chi dichiara di voler vedere nel fruitore un cittadino, una cittadina i quali do- vrebbero contribuire attivamente a indirizzare la produzione assumendovi un ruolo strategico.

È chiaro che cambiare questo tipo di relazione fra domanda e offerta si- gnifica incidere pesantemente sugli assetti di potere che fino ad oggi hanno governato la nostra economia. Poiché si va a toccare quella che è la madre di tutte le battaglie, e cioè il controllo dei mezzi di produzione e le relative cono- scenze e competenze, in una concezione degli equilibri di potere, in un uso del potere stesso totalmente differente dal passato.

Se l’attuale inadeguatezza della comunicazione è un problema di qualità della produzione, rivelando quanto ormai sia manchevole il processo che uni- sce le modalità alla base della produzione stessa e quelle della relativa fruizio-

ne, la soluzione per risolverlo non può che essere trovata in un cambiamento, appunto, sistemico, e non in interventi settoriali, parziali.

Bisogna, cioè, assumere una visione alternativa rispetto al sistema attuale, vincente su tutti i fronti, decidendo di sperimentare un paradigma di comu- nicazione che si ponga, rispetto ad esso, in una posizione radicalmente anta- gonista, conflittuale. In particolare che metta tutti, ma proprio tutti i soggetti chiamati in causa, già in fase di progettazione dei prodotti, nella condizione di ‘comunicare’ al meglio i rispettivi punti di forza e di debolezza, le minacce e le opportunità che ne segnano il pensiero e l’azione.

Dopo il Consiglio di Lisbona del 23-24 marzo 2000, in cui l’Unione Europea si dava come nuovo obiettivo strategico quello di costruire un’economia e una società – purtroppo l’ordine fra società ed economia era questo, e i risultati si possono facilmente vedere – basate sulla conoscenza più competitiva e dinamica al mondo; dopo oltre dieci anni che il progetto Towards Knowledge Societies.

UNESCO World Report (2005), a firma di grandissimi personaggi della cultura,

delle scienze naturali e umane, indicava un percorso completamente differen- te che la società-mondo doveva prefiggersi, oggi siamo ancora a inseguire e a pagare i costi altissimi di una comunicazione basata sugli effetti speciali quale strumento di persuasione, di convinzione, di oscuramento dell’intelligenza, di penalizzazione delle immense potenzialità di cui disponiamo a favore – in tutti gli ambiti socio-economico-culturali – di gruppi di privilegio sempre più ristretti. Non si è compreso che porre al centro delle attività umane il primato della conoscenza, intesa come un diritto-dovere per ogni essere umano di costruire il mondo in cui vive, significa prima di tutto scardinare il paradigma della comu- nicazione fino ad ora dominante, gerarchico-trasmissivo-emulativo, favorendo l’insorgere di un modello di tipo generativo, creativo, critico, mirato alla realiz- zazione di un sistema socio-economico mai vissuto prima.

È urgente una vera “innovazione”, parola troppe volte bruciata da pratiche vecchie tecnologicamente rivisitate e riproposte. Si ha bisogno di una comuni- cazione generativa in quanto capace di agire sull’ontologia della nostra realtà materiale e simbolica, che riesca a ri-creare e creare, ex novo, soggetti concreti, astratti, materiali e immateriali, situazioni, eventi, comunità, identità, persone, spazi, mondi. Urge un’inventiva, una fantasia che produca il nuovo, appunto, e non che rimbelletti, rifaccia il trucco al vecchio che ci sta facendo morire.

Si ha necessità di nuovi contenuti, prodotti adeguati al momento storico che viviamo, di una comunicazione che sia in grado di favorirne la realizzazione.

La comunicazione dall’inizio della storia del genere umano è stata sempre fondamentale per fare, agire, intervenire sulla realtà. Le res gestae – i fatti ac- caduti – sono inscindibili dalle historiae rerum gestarum (la loro narrazione: prima, durante e dopo il fare). Non c’è azione senza racconto della stessa: si comunica per progettarla, si comunica mentre la si compie, si comunica per ricordarla, avviando così una nuova progettazione.

L’ingegneria, l’architettura, i processi, i linguaggi della comunicazione han- no una matrice profondamente culturale, politica, economica, e soprattutto

etica. Nel senso che rispecchiano e favoriscono, nelle loro peculiarità tecni- che, precise priorità e strategie valoriali. Quelle oggi vincenti sono nate da un’economia globale dominata da un neocapitalismo strettamente legato alla finanziarizzazione dell’economia, ispirato da un’ideologia neoliberale capace di espandersi con un’incisività e una velocità eccezionali. Un’operazione di por- tata storica resa possibile da una rete di sempre più potenti sistemi di automa- zione computerizzati. Quell’“Automaton”, per dirla con Castells, che garantisce all’economia globale la possibilità di espandersi sì, ma senza nessuna efficace regolazione, e sul piano politico e su quello dei valori umani.

Proporre, come si sta facendo da più parti, questa comunicazione come rimedio ai problemi in cui siamo immersi significa alimentare proprio questa crisi, rafforzandone e non mettendo in discussione gli attuali equilibri di pote- re, quelli cioè che l’hanno voluta. Un capolavoro di strategia del consenso da parte dei ricordati gruppi egemoni.

1.5. Dalla comunicazione del prodotto alla comunicazione nel prodotto.