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Comunicare servizi alla carriera, trasferimento tecnologico, Terza Missione? »

1. Premesse necessarie per un’operatività efficace »

1.2. Comunicare servizi alla carriera, trasferimento tecnologico, Terza Missione? »

Queste mie note, che hanno come riferimento operativo l’altro saggio pre- sente in questo volume a firma di Viola Davini e Marco Sbardella, entrambi

ricercatori del Center for Generative Communication dell’Università di Firenze, si basano su una semplice quanto ferma convinzione.

La ricerca non si limita a svelare il mondo come è, la formazione non è un banale passaggio di conoscenza, la quale va accumulandosi anno dopo anno, generazione dopo generazione. Ricerca e formazione contribuiscono a costru- ire il mondo. In un’interazione continua fra rappresentazione simbolica ed esperienza fisica, ricercando e insegnando e apprendendo si agisce sulla realtà sociale, economica e culturale spingendola verso una direzione piuttosto che verso un’altra.

Una prospettiva questa in cui il territorio socio-economico interessato non è uno spazio di prossimità fisica, economica, amministrativa preesistente, og- gettivamente dato, da difendere come un’area di pertinenza esclusiva, in cui trasferire conoscenze, competenze, pratiche più o meno avanzate. È, al con- trario, un soggetto attivo, in continua trasformazione, che quotidianamente si rapporta e interagisce con la ricerca e la formazione, ponendo a sua volta domande, manifestando necessità, offrendo e creando, così, conoscenza.

La stessa prospettiva qui definita per il territorio va assunta anche quando si decide di innovare ricerca e formazione. Nessuna, infatti, di queste tre realtà costituisce una dimensione spaziotemporale separata dalle altre, pur essendo soggetto che si distingue per la priorità degli obiettivi e i relativi processi che ne caratterizzano l’attività. Obiettivi e processi che, appunto, agiscono nella duplice direzione sia di valorizzazione della propria diversità, di entità speci- fica, ben distinta, sia, necessariamente – pena un inevitabile scadimento della formazione, della ricerca e del livello socio-economico di un territorio –, di costruzione di relazioni con la diversità, specificità delle altre due.

Queste tre dimensioni dell’attività culturale, sociale, economica – territo- rio, formazione e ricerca – agiscono reciprocamente senza sosta, con compiti, doveri, diritti, responsabilità diverse, e così facendo costruiscono i propri spe- cifici. La comunicazione alla base di questo agire comune, che garantisce sia i processi relazionali interni sia quelli verso le altre realtà, definisce il valore e le rispettive aree d’influenza che segnano le loro dinamiche interattive.

Perché il sistema di forze della comunicazione è sempre indice e strategia di equilibri di valore, di potere. La comunicazione è espressione sempre di una visione e di un progetto socio-economico ben preciso; al tempo stesso, ne determina l’affermazione e il consolidamento. Tutto questo può essere esplicitato o inespresso, nostro o di altri; bello o brutto. Scelto o imposto. Ciò che muove questo sistema di forze è sempre una visione della realtà e il testo di un progetto, un copione dove le parti, i compiti, gli obiettivi sono chiaramente distribuiti.

Ed eccoci al punto: ma progetti come “Orientamento e Placement”, e in genere i servizi alla carriera, e il trasferimento tecnologico come sono comuni- cati? In particolare, ponendoci questa domanda, cosa esattamente intendiamo per “comunicati”?

1.3. I progetti, i prodotti comunicano, non sono comunicati.

Per fare chiarezza cominciamo subito con il dire che un progetto, tanto più se riguarda settori così strategici per l’intera società, non ‘è comunicato’ ma ‘comunica’.

È attore attivo, cioè, e non semplice oggetto del pensare e dell’agire comu- nicativo. Questo significa che se davvero vogliamo raggiungere dei buoni ri- sultati, dopo averlo ideato gli va riconosciuta un’autonomia di valutazione e di azione tale da garantirci la possibilità di essere capaci di individuare compagni di progetto – persone e cose – coerenti, in linea con il progetto stesso, al di là dei soliti, vecchi equilibri di potere, mettendo da parte una cultura d’impresa oggi in contrasto con gli obiettivi che dobbiamo darci.

Il progetto, infatti, è soggetto nel senso che ‘costruisce’ le comunità di pensieri e di pratiche, la parte di società che è interessata dalla sua realizza- zione attribuendo a tutti i soggetti i relativi ruoli, compiti, pesi, responsabilità; favorendo o osteggiando interessi, esigenze, diritti etc. etc. Cioè coinvolge, in forme, con funzioni diversissime, ogni attore sociale, economico, sia esso indi- viduale o collettivo, definendo l’interesse che ne può ricavare; il potere che gli è riconosciuto.

Per questo ogni progetto per svilupparsi coerentemente ha bisogno della sua, specifica comunicazione. La comunicazione, quindi, deve essere presente fin dall’inizio del processo progettuale e non solo dopo che il prodotto è finito.

Quando si sostiene che ricerca e formazione hanno un “problema di co- municazione” verso il territorio di riferimento urge chiarire che questo NON sta a significare che manca ai “prodotti” formativi e della ricerca una buona confezione, un efficace package comunicativo. Quello che difetta, piuttosto, è una ‘forma’ comunicativa capace di richiamare l’attenzione di possibili portato- ri d’interesse, di riuscire a coinvolgerli così da suscitare da parte loro aperture al dialogo, offerte di collaborazioni di varia natura: dai semplici, ma importan- tissimi, stage, fondamentali per la formazione ma anche per la ricerca, fino alla realizzazione di network nazionali e internazionali che promuovano la trasfor- mazione produttiva della conoscenza, il suo utilizzo da parte delle imprese e delle organizzazioni in genere.

È necessario un salto di sistema comunicativo, il che significa una tra- sformazione totale, radicale del modo di intendere e di fare comunicazione. È necessario, cioè, che si affermi un paradigma di comunicazione non più tradizionalmente gerarchico, trasmissivo, emulativo – rivelatosi degenerativo – ma generativo, e in questo senso sostenibile finalmente, in quanto capace di comprendere, ideare e intraprendere la realizzazione di un mondo che, fino ad ora, non è riuscito a nascere, ad affermarsi, perché ritenuto da tutti basato su valori poco praticabili.

E questo vale anche di più per quei settori che rivestono un ruolo fonda- mentale per tutti noi, fra i quali primeggiano proprio la ricerca, la formazione e l’impresa. Le quali, appunto sono in attesa di questo “nuovo” paradigma co-

municativo, che ancora non è stato adottato o, se lo è stato, lo è stato per poco tempo e in settori secondari, che non hanno inciso a livello di sistema.

Perché qui per “nuovo” non s’intende un “uso diverso” della solita comu- nicazione. Né ci si riferisce alle cosiddette “nuove tecnologie” della comunica- zione, poiché la tecnologia di per sé, per il solo fatto di essere più potente nel creare collegamenti e scollegamenti fra persone e cose, non cambia il paradig- ma comunicativo. Anzi, può, come sta per lo più accadendo, rafforzare vecchi, vecchissimi modi di comunicare.

“Nuovo” sta ad indicare, infatti, qualche cosa caratterizzata da una discon- tinuità sistemica rispetto al passato. Qualcosa che non rispecchi più l’orizzonte d’attesa culturale condiviso da tutti. Una divergenza, una rottura di equilibri consolidati, la fine di un sistema e la nascita di un nuovo sistema mai speri- mentato prima, che segni l’inizio di un mondo tutto da progettare, da esplorare, sperimentare.

E questa “divergenza” consiste nel fatto che la nuova comunicazione non vuole più limitarsi a ‘trasferire’ contenuti, dopo averli ben impacchettati con accattivante design; essa aspira, viceversa, a liberarsi della tradizionale “con-

duit metaphor” che la identifica da sempre, quella metafora che tutti dicono

superata, affermando di perseguire, al contrario, una comunicazione proattiva, bidirezionale, interattiva etc. etc., ma che tutti continuano ad usare, adoprando ambienti di ‘trasferimento’ sempre più tecnologicamente efficaci.

La “nuova comunicazione” si presenta, cioè, come l’ambiente creativo, ge- nerativo per eccellenza di contenuti, volendo contribuire in maniera fenome- nale a individuare obiettivi, a costruire politiche, economie, radicalmente, si- stematicamente diverse dal passato. Una comunicazione, finalmente, capace di ideare, progettare, sviluppare, realizzare e poi monitorare una realtà culturale e socio-economica ‘altra’ da quella in cui tutti noi siamo stati, siamo immersi; pubblicamente e privatamente. E che ci ha portati, con la sua pochezza e me- diocrità, a questo punto di totale insostenibilità.

Perciò si può sostenere che la crisi, diffusa a livello nazionale e interna- zionale, che attraversa l’area dell’Orientamento e del Job Placement, e più in generale della Terza Missione dell’Università, non sta nelle difficoltà incontrate nel comunicare i vari prodotti, ma nella modalità, nella natura della produzio- ne degli stessi. Essa dipende, cioè, da come sono ideati, progettati, realizzati, offerti, fruiti. È crisi di prodotto non di comunicazione. Poiché la qualità della comunicazione ‘finale’ di un prodotto affonda le sue radici già nella fase della sua ideazione, progettazione, realizzazione, in una visione unitaria del proces- so che ne comprende l’intero ciclo di vita facendo dell’ideazione e dell’uso del prodotto i due momenti estremi ma fortemente interattivi di un unico processo relazionale. Continuo, incessante, impossibile a definirsi in termini di fasi indi- pendenti e autonome rispetto alle altre.

Per esempio, se vuoi ‘promuovere’ un prodotto formativo, prima di chie- derti se l’ufficio comunicazione dell’Ateneo fa bene il suo lavoro – a cominciare dal tormentone della presenza sui Social – domandati come è nato quel prodot-

to formativo, con chi lo hai ideato e progettato, con quali obiettivi sviluppato. Domandati quali contenuti offre, quali docenti, quale comunicazione formativa hai adottato nel costruire quella comunità d’apprendimento, come hai proget- tato il rapporto fra sapere e saper fare, come funziona rispetto ad esso la parte amministrativa e tutti quei servizi che devono rapportarsi a ogni prodotto della formazione come parte integrante.

Questa impostazione, che chiamiamo generativa, risponde ad una logica di sistema, per cui all’interdipendenza dinamica di tutti i diversi soggetti coin- volti si affianca la convinzione che ognuno di essi è portatore delle proprietà dell’intero sistema, secondo un’idea dell’Università e in generale della società vista come un grande organismo vivente.

E se così è, la loro interazione deve tener conto anche di altre possibili relazioni da costruire con altre Università italiane e, andando oltre gli attuali progetti di mobilità internazionale assai deboli, con Università europee e stra- niere in generale. E i relativi territori socio-economici.

Universitas è parola che ancora non abbiamo saputo interpretare adegua-

tamente.