• Non ci sono risultati.

Una prima difficoltà è data dalla varietà – e dalla numerosità – dei soggetti con cui occorre relazionarsi.

Occorre instaurare relazioni con soggetti aventi dimensioni estremamente differenti (microimprese, PMI, grandi imprese nazionali, imprese multinaziona- li o globali), che operano in diversi settori (e.g. nuove tecnologie, biomedicale, farmaceutico, manifatturiero, bancario-assicurativo, etc.). Vi sono differenze nei

modelli organizzativi, tali da implicare che in taluni contesti sia consigliato attivare e mantenere contatti diretti con più referenti di una stessa organizza- zione (e.g. direttore generale, responsabile personale, responsabile R&S, etc.), in funzione dell’esigenza (reclutamento, trasferimento tecnologico, contratti di ricerca, consulenza). Capita che le large corporation abbiano manager specifi- ci (e.g. University Relations Manager di IBM Italia, di Centro Ricerche Fiat, di Telespazio, solo per fare qualche esempio), che hanno il compito di gestire in modo centralistico le relazioni con le università. È indispensabile che in pre- senza di queste figure, il canale di contatto sia debitamente presidiato, e che le comunicazioni proveniente da parte delle periferie dell’Ateneo avvenga nel rispetto degli accordi presi e coerentemente con il fine istituzionale.

Oltre al settore economico di riferimento, per rendere più efficace il proces- so di trasferimento dei laureati è necessario valutare quale sia l’ambito geogra- fico di rifermento, e il raggio di azione dell’impresa. Alcune figure professionali (e.g. la geologia mineraria) sono richieste in settori così specifici (e.g. le imprese petrolifere di Stato o le concessionarie private), per cui è relativamente facile connotare l’ambito geografico e il raggio di azione (e.g. Nord Africa, Oriente, Sud America). In alcuni casi, le attività sono talmente rarefatte che gli interlocutori corrispondenti non sono presenti sul territorio regionale o nazionale. Queste relazioni si configurano da subito per lo spiccato carattere di internazionalità; il linguaggio da impiegare nelle comunicazioni, nella stesura di accordi quadro, è obbligatoriamente il business english. Questo richiede competenze che sono infrequenti tra il personale amministrativo che opera in tali strutture. Possono insorgere esigenze di formazione dei referenti di tali strutture. In altri casi, le figure professionali sono richieste trasversalmente. I settori di interesse hanno una maggiore diffusione (e.g. società e studi di architettura, software house) e quindi è relativamente agevole – anche lavorando in prossimità – sviluppare un numero di contatti congruo a far sì che la mancanza di uno di essi (e.g. a un evento, in risposta a una call per un bando, per un progetto, etc.) non sia – di per se – critica, esistendo le alternative. Occorre infine valutare il livello di autono- mia decisionale di cui dispongono i referenti locali – if any – degli stakeholder. La presenza – in prossimità di sedi universitarie e centri di ricerca – dei centri decisionali dello stakeholder può influenzare significativamente la rilevanza di una relazione. Alcune scuole e filoni di ricerca dell’Università di Firenze si sono sviluppati grazie alla presenza sul territorio di specifiche eccellenze industriali, sia individuali (e.g. Nuovo Pignone, Galileo, Eli Lilly) che di distretto e filiera (e.g. filiera tessile e della moda, distretto della nautica). Nel caso in cui la multinazio- nale mantenga all’estero i centri decisionali incaricati di plasmare le collabora- zioni con le università, di stabilire e attuare le politiche di reclutamento, i centri di R&D delegati allo sviluppo di progetti di ricerca, lo sviluppo di un rapporto

trusted risulta – in genere – più complesso. Se localmente l’interlocutore è il

country manager responsabile di una subsidiary in cui si sviluppano attività di natura prettamente amministrativa, commerciale e di customer support, lo spet- tro di competenze richieste è certamente più limitato.

Riferimenti bibliografici.

Bercovitz, J., Feldman, M.P. (2006). Entrepreneurial universities and technology tran-

sfer: a conceptual framework for understanding Knowledge-based economic Development,

«Journal of Technology Transfer», 31: 175-188.

Chesbrough, H. (2011). Bringing open innovation to services, «MIT Sloan Management Review», 52: 85-91.

COM, (2006). Communication from the Commission —Delivering on the modernisation

agenda for universities: education, research and innovation. COM (2006) 208 final.

Edvardsson, B., Tronvoll, B., Gruber, T. (2011). Expanding understanding of service

exchange and value co-creation: a social construction approach, «Journal of the Academy of

Marketing Science», 39: 327-339.

Ivanova, I. (2014). Quadruple helix systems and symmetry: a step towards helix innova-

tion system Classification, «Journal of the Knowledge Economy», 5: 357-369.

Klofsten, M., Heydebreck, P., Jones-Evans, D. (2010). Transferring good practice beyond

organizational borders: lessons from transferring an entrepreneurship programme, «Regio-

nal Studies», 44: 791-799.

OU-I. (2015). Osservatorio Università-Imprese, Roma: Fondazione CRUI.

Miller, K., McAdam, M., McAdam, R. (2014). The university business model: evolution

and emergence from a stakeholder Perspective, «R&D Management», 44: 265-287.

Mitev, N., Venters, W. (2009). Reflexive evaluation of an academic-industry research

collaboration: can mode 2 management research be achieved?, «The Journal of Management

Studies», 46: 733-749.

Prajapati, V., Tripathy, S., Dureja, H. (2013). Product lifecycle management through pa-

tents and regulatory strategies, «Journal of Medical Marketing», 13:171-180.

Swan J., Bresnen, M., Robertson, M., Newell, S., Dopson, S. (2010). When policy meets

practice: colliding logics and the challenges of ’Mode 2’ initiatives in the translation of aca- demic knowledge, «Organization Studies», 31.

Urbano, D., Guerrero, M. (2013). Entrepreneurial universities: socioeconomic impacts

of academic entrepreneurship in a European context, «Economic Development Quarterly»,

Emanuele Rossini*, Fabio Sola

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La collaborazione delle aziende nella definizione dei programmi accademici. – 3. La partecipazione degli studenti ai progetti operativi delle aziende. – 4. Conclusioni.

1. Introduzione.

Fino a pochi anni fa il rapporto fra università ed imprese era assolutamen- te sporadico ed occasionale. Università e imprese erano due mondi separati, ognuno con i propri obiettivi: da una parte la formazione dei giovani ai valori della cultura e dall’altra la ricerca del profitto.

Le Università infatti avevano l’obiettivo di formare le classi dirigenti del pa- ese ed erano gli stessi docenti ad elaborarne i programmi ed a decidere quale fosse era la conoscenza da trasmettere alle nuove generazioni. I laureati, che erano una esigua minoranza della popolazione, andavano a ricoprire posizioni di rilievo in istituzioni economiche, politiche e culturali.

Dall’atra parte, le aziende di tradizione fordista avevano pochi laureati nei loro organici, ma questi erano inseriti nei posti strategici, quali ingegneria o fi- nanza. Vi era poi un gran numero di lavoratori per i quali il livello di istruzione era assolutamente secondario, se non per alcuni tecnici e amministrativi, per i quali però era più che sufficiente un diploma di scuola media superiore. Gli altri, per lo più operai addetti alle linee di produzione, invece, venivano formati in azienda con il learning by doing (guarda, fai e impara!).

Di fatto università e imprese viaggiavano su due binari paralleli e nessuno aveva quasi bisogno dell’altro.

* Emanuele Rossini, Direttore Risorse Umane di Ruffino S.r.l. (storica società leader nel settore vinicolo)

e Presidente del Gruppo Regionale Toscana AIDP - Associazione Italiana per la Direzione del Perso- nale, inizia la sua carriera in Logitron (ora Gilbarco) dove inizialmente si dedica all’amministrazione e finanza. Dal 2003 passa alle Risorse Umane, occupandosi di tutti gli aspetti della gestione del per- sonale. Nel 2012 entra in Ruffino dove crea la funzione risorse umane.

Fabio Sola, Coordinatore Nazionale della divisione Risorse Umane di Praxi S.p.A. (società leader nella consulenza aziendale) e Director del network internazionale PraxiAlliance, ha una ventennale esperienza come consulente risorse umane nei confronti di aziende italiane ed internazionali. Il know-how maturato si concentra soprattutto nell’executive search e nelle strategie di recruitment delle aziende. Collabora con il mondo universitario sia come docente in Master sulle Risorse Umane che nelle attività di supporto al Placement.

Le esperienze personali hanno spinto i due autori a concentrare la propria attenzione su testimonian- ze raccolte in prima persona e fenomeni attuali, registrati nella propria attività quotidiana. Anche i riferimenti bibliografici sono volutamente legati all’attualità (ricerche recenti, pubblicazioni web, ecc.)

Dalla fine degli anni Novanta lo scenario è cambiato e le università non possono più disinteressarsi dell’occupabilità dei loro laureati, ma devono por- si il problema di migliorare le possibilità di impiego dei giovani tramite lo sviluppo di percorsi che rispondano alle esigenze delle imprese. Tale ten- denza si è ancora più manifestata con la crisi economica esplosa nel 2008 e con la necessità di rispondere a pieno alle poche necessità che le imprese manifestavano.

Da parte loro le imprese si sono ritrovate in un’economia sempre più glo- balizzata e pertanto le loro scelte non possono prescindere da competitività e conoscenza.

Nasce quindi l’esigenza di conoscersi e di imparare a capirsi, abbandonan- do i pregiudizi e gli stereotipi che ciascuno aveva dell’altro1.

Non possiamo però tacere in questo saggio che fino ad alcuni anni fa gli stessi studenti si sono rivelati diffidenti verso l’incontro tra azienda ed univer- sità, quasi che la presenza delle aziende nell’università andasse ad “inquinare” la diffusione della cultura.

Di fatto però il rapporto tra aziende ed università é cresciuto e queste isti- tuzioni hanno imparato a conoscersi ed a rispettarsi.

Questo rapporto talvolta si può inquadrare all’interno della Corporate So- cial Responsibility e più in particolare con Giving Back: la restituzione al terri- torio una parte della ricchezza prodotta.

Quest’ottica risulta però ‘monodirezionale’ e principalmente legata a ‘spon-

sorship’:

• finanziamento in generale

• finanziamento di progetti di ricerca • dottorati2

• borse di studio.

Altre volte le aziende sono interessate anche ad un ritorno di immagine: • in termini generali (istituzionale, brand awareness, ecc.)

• in termini di posizionamento competitivo (quando sul territorio siano concentrati anche un numero significativo di potenziali clienti)

• in termini di employer branding (per attrarre le risorse più qualificate) Nel caso di Ruffino3 la collaborazione con l’università è stata ben più am-

pia di quanto spesso riscontrato ed è consistita in testimonianze, stage, ricerca scientifica e supporto alle attività di placement.

1 Regini, M. (2007). “Il difficile rapporto fra università e imprese”, Impresa e Stato, 80:36.

2 L’esperienza dei dottorati di ricerca risulta però particolarmente complessa in Italia, con riguardo alle

potenzialità di collaborazione con le aziende. Cfr. Gaeta, G.L., Lavadera, G.L., Pastore, F. (2016). Non

è un paese per dottori di ricerca, www.lavoce.info, 16.09.2016.

3 Ruffino è stata fondata nel 1877 dai cugini Ilario e Leopoldo Ruffino a Pontassieve, alle porte di Fi-

renze. Oggi Ruffino è leader nella produzione di vini toscani ed esporta i suoi prodotti in 90 paesi nel mondo. Il vino Ruffino è arrivato negli Stati Uniti già alla fine dell’800 ed oggi è il Chianti più venduto negli USA. Nel 2011 è stata acquisita da Constellation Brands, multinazionale americana leader nella produzione e commercializzazione di vini, liquori e birra.

A tali progetti sono state dedicate risorse ad hoc, aggiuntive a quelle in- vestite nelle attività interne ed ‘ordinarie’; le iniziative hanno rappresentato un contributo aziendale alla formazione delle nuove classi dirigenti.

La partecipazione di figure aziendali alle attività didattiche apporta un punto di vista, talvolta più pratico e concreto, che mira a contestualizzare quan- to è stato precedentemente spiegato dal docente nell’ambito del normale pro- gramma didattico.

A titolo di esempio, le testimonianze di chi scrive si sono concentrate in modo prevalente sull’organizzazione aziendale, nonché sul supporto alle attivi- tà di placement. Abbiamo raccontato del passaggio dell’azienda da una famiglia di imprenditori ad un grande gruppo multinazionale, e degli impatti a livello di organizzazione che ci sono stati in Ruffino. Un focus particolare è stato dedica- to al Lean Manufacturing che da ormai due anni è parte della cultura aziendale.

Un’altra forma di collaborazione, ormai sperimentata con successo in Ruffi- no, è costituita dagli stage, sia curriculari che post-laurea. I due strumenti, sep- pur con forme e durata diverse, hanno comunque offerto ai ragazzi l’opportu- nità di vedere un’azienda ‘dal di dentro’ e di ‘mettere le mani in pasta’ in quella che sarà la loro attività professionale del futuro. L’azienda, invece, ha avuto la possibilità di mettere alla prova dei giovani in uscita o già usciti dal percorso universitario e per alcuni di essi il loro rapporto con Ruffino non si è esaurito al termine del periodo di stage, ma si è trasformato in un contratto di lavoro.

È ampiamente dimostrato che le università rappresentano un’importante fonte di conoscenze scientifiche e tecnologiche. Per Ruffino in particolare la ricerca si è concentrata all’interno del controllo qualità. Laddove si debbano infatti svolgere delle analisi che non sono reperibili sul mercato o che sono ritenute non soddisfacenti per le esigenze richieste, si è attivata una collabo- razione con l’Università che mira ad approfondire i vari aspetti sia scientifici che metodologici per lo sviluppo e la messa in routine di un nuovo metodo di controllo. Una delle esperienze più significative e che in Ruffino abbiamo in essere è il progetto relativo alla tracciabilità dei nostri vini. Questo progetto, che ha il fine di definire con la massima precisione la zona di origine dei nostri vini, aggrega aspetti di analisi chimica e analisi statistica dei dati. In sostanza sui campioni di vino vengono eseguite delle indagini chimiche ed i risultati sono oggetto di una analisi statistica che li correla alla zona di provenienza. Il progetto ha definito un metodo di analisi robusto ed affidabile che restituisce dei valori che, analizzati statisticamente da un software realizzato ad hoc, per- mette di individuare, con percentuali di precisione superiori all’80%, la zona di provenienza delle uve. Proprio per questi due ambiti così differenti (l’analisi chimica e l’analisi statistica) la ricerca è stata effettuata da due università diver- se che hanno collaborato con noi e tra di loro per la risoluzione del problema. Il supporto nelle attività di placement comprende invece tutte quelle te- stimonianze che hanno come unico obiettivo la preparazione dei giovani ad affacciarsi al mercato del lavoro. Ovviamente la direzione risorse umane è in prima linea in queste attività, per la propria competenza diretta da un lato

ad informare gli studenti su come si scrive un Curriculum Vitae o su come si affronta un colloquio di selezione. Ciò è importante per approcciare corretta- mente il mondo del lavoro, evitando il rischio di fallire una prova importante solo per emozione o per scarsa preparazione.

Dall’altro lato per l’azienda è importante sulla lavorare sulla brand aware-

ness e sull’employer branding, trasferendo ai potenziali dipendenti di domani le

informazioni sull’azienda e sui suoi valori, in modo da attrarre i migliori talenti.

2. La collaborazione delle aziende nella definizione dei programmi