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Brevi riflessioni sulle più recenti tendenze.

I tentativi di riforma del sistema bicamerale, dalla Commissione Bozzi del 1985 ai progetti al vaglio delle camere nel tempo, possono essere distinti, secondo una valutazione generale, scegliendo come crinale la riforma del titolo V della Costituzione varata nel 2001.

Infatti, i progetti della prima stagione tendevano prevalentemente a trasformare il bicameralismo da paritario in differenziato sulla base di una diversificazione funzionale tra le due camere, senza implicazioni territoriali o collegamenti con gli enti locali, mentre i progetti della seconda stagione hanno tutti un’impronta fortemente regionalista in cui la rappresentanza territoriale trova il suo epicentro nella camera

162 247 In tal senso, il progetto n. A.S. n. 2173, presentato dal sen. Cutrufo (Pdl) il 10 maggio 2010, dal titolo “Norme in materia di istituzione di un'Assemblea costituente per la revisione della II Parte della Costituzione”. Dello stesso tenore il precedente progetto A.S. n. 115, presentato dallo stesso sen. Cutrufo il 29 aprile 2008, parimenti intitolato “Norme istitutive dell'Assemblea costituente per la revisione della parte II della Costituzione”.

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alta, qualificata in quasi tutte le proposte in campo quale “Senato federale” (e non più “Senato regionale” o “Senato delle autonomie”). La tendenza principale si lega allora all’esigenza di completare la trasformazione della forma di Stato in senso federale attraverso un intervento sul Senato, investito del ruolo di trait d’union tra i diversi livelli territoriali di governo del Paese delineati dalla riforma del 2001, in attesa del conseguente definitivo adeguamento della disciplina sulla ripartizione delle competenze e dell’assetto delle istituzioni.

Dall’esame delle ultime proposte di revisione del bicameralismo si evince che la territorialità del Senato viene in prevalenza correlata alla contestualità tra le elezioni dei Consigli regionali e l’elezione del Senato: si tratta di un collegamento per certi aspetti efficace ma da solo inadeguato a dar vita ad una vera camera federale radicata nel territorio.

In altri tentativi riformistici, invece, la rappresentanza territoriale in Senato viene innestata per il tramite delle strutture periferiche delle regioni e degli enti locali attraverso un’elezione di secondo grado tra i componenti dei Consigli regionali e delle autonomie locali. Con questo metodo si rende fluida e casuale la struttura della camera alta, che non risulta più definita nella composizione e nella durata per divenire l’espressione variabile nel tempo delle diverse maggioranze regionali. Il rischio di questa trasformazione in chiave territoriale del metodo di selezione è che il Senato, quale organo perenne a formazione indiretta, non riesca a garantire una continuità nei propri indirizzi fino a perdere la stessa connotazione di organo costituzionale di rango parlamentare163.

Non mancano infine ipotesi di procedure miste che, senza discostarsi dall’alveo dell’elezione a suffragio universale diretto, integrano la composizione del Senato con delegati regionali e degli enti locali, che di regola non sono muniti del diritto di voto nelle deliberazioni parlamentari, ma che hanno il diritto di intervenire in tutte le sue attività istituzionali.

163 In tal senso, Cheli E., La riforma del Senato. Il nodo della politica nazionale, in www.astrid-

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Il tratto comune a tutte le proposte di riforma analizzate (tranne un solo caso) è la diversa distribuzione della funzione legislativa tra Camera e Senato fondata sull’attribuzione delle materie appartenenti alla legislazione concorrente, o comunque avente una forte connotazione regionale, alla potestà normativa della camera alta. Nella maggior parte dei progetti di riforma costituzionale, si tratta di una potestà legislativa prevalente e non esclusiva, residuando alla Camera dei Deputati il potere di superare la posizione difforme del Senato in virtù della maggioranza assoluta (fatte salve le materie in cui è previsto il mantenimento di una procedura di approvazione bicamerale del tutto paritaria).

Quasi tutti i progetti al momento pendenti escludono il Senato dal rapporto di fiducia con il Governo, annullando il peso politico della camera alta, col rischio di trasformarla in un organo minore164 e con un

drammatico effetto domino che amplifica il processo di crescente erosione dell’intero potere parlamentare.

La riforma del bicameralismo perfetto s’intreccia inevitabilmente con l’esigenza di rafforzare il ruolo dell’Esecutivo nella dinamica dei rapporti con il Parlamento. Ciò non testimonia necessariamente la tendenza a rivedere la forma di governo attraverso correttivi che ne snaturino l’attuale fisionomia, ed anzi l’esito referendario del 2006 scoraggia ogni tentativo di riforma globale dell’ordinamento costituzionale. Tuttavia, si muove dalla consapevolezza che a partire dagli anni ottanta, attraverso la riforma dei regolamenti parlamentari e poi a seguito delle riforme elettorali del 1993 e del 2005, si è assistito ad una significativa ridefinizione della forma di governo italiana: da una forma di governo parlamentare caratterizzata da un equilibro paritario tra Legislativo ed Esecutivo si è gradualmente approdati ad una forma di governo parlamentare a prevalenza del Governo sul Parlamento.

Si tratta di una transizione silente, senza ricadute sostanziali sulla disciplina costituzionale, quindi incompleta, che da un lato ha generato

164 Si è parlato a tal proposito di “deperimento istituzionale”. Cfr. Bonfiglio S., Elezioni presidenziali e Senato nelle proposte di riforma, in Quad. cost., 2004, p. 120 e ss.

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inefficienze nell’azione di governo e ostacoli nel perseguimento del relativo programma, e dall’altro ha indebolito il Parlamento sia nel suo precipuo potere legislativo (del quale è stato più volte espropriato attraverso la decretazione d’urgenza del Governo), sia nella sua funzione riequilibrante di controllo e condivisione dell’indirizzo politico. Da questo punto di vista, le forze politiche ritengono che sia proprio il tema della revisione delle disposizioni costituzionali a costituire il tassello mancante per assicurare finalmente efficienza alla forma di governo che continua a connotarsi come parlamentare.

Il superamento del bicameralismo perfetto si configura allora quale percorso obbligato per rafforzare l’azione di governo e accelerare i tempi delle decisioni politiche senza per questo mortificare il ruolo del Parlamento, così da non dover necessariamente procedere ad una rivoluzione copernicana delle istituzioni, né intervenire a modulare differentemente il rapporto tra le istituzioni.

Nell’ottica di una revisione della Costituzione a formazione progressiva, l’introduzione di un’asimmetria tra le due camere consente altresì di realizzare quel raccordo tra i diversi livelli di governo, interpretato come indispensabile per la piena affermazione di un sistema federale, portando alla reductio ad unitatem di differenti ed eterogenee esigenze di adeguamento delle istituzioni.

Di certo, a differenza di quanto riscontrato fino alla scorsa legislatura, le più recenti proposte di riforma postulano un bicameralismo che si colloca nella maggior parte dei casi nell’alveo di una forma di governo a carattere parlamentare e gli adeguamenti collegati all’esclusione del Senato dal circuito fiduciario vengono controbilanciati da un rafforzamento del ruolo politico della camera bassa, senza così incidere sulla funzione complessiva del Parlamento.

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