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Le proposte alternative alla c.d bozza Calderoli.

2. La tentata rivoluzione copernicana dell’ordinamento (c.d bozza Calderoli).

2.1 Le proposte alternative alla c.d bozza Calderoli.

Il fermento riformistico sviluppatosi nel corso della XV legislatura sollecitò soluzioni alternative a quelle elaborate nel c.d. progetto Calderoli e ispirate a metodi di composizione mista del Senato, attraverso la sperimentazione di formule innovative avallate anche da autorevole dottrina.

Al progetto dell’allora maggioranza parlamentare fu infatti opposto un progetto d’iniziativa della minoranza di centro-sinistra che proponeva una fisionomia del Senato mutuata dal modello statunitense.

Nel tentativo di conferire alla camera alta una prevalente derivazione regionale, così da affermare un modello di federalismo fondato principalmente su due livelli (Federazione e Regioni), il d.d.l. cost. Villone-Bassanini98 prevedeva un sistema misto, in cui l’accesso alla

carica senatoriale veniva assicurato di diritto ai Presidenti delle Giunte regionali e ai Sindaci dei Comuni capoluogo di Regione, contemplando altresì l’elezione di 200 senatori a suffragio universale diretto su base regionale e con metodo proporzionale. Ad ogni regione si attribuivano 4 seggi senatoriali, con l’eccezione della Valle d’Aosta e del Molise (con un solo senatore ciascuna), mentre i restanti seggi si ripartivano in proporzione alla popolazione di ciascuna Regione risultante dall’ultimo censimento.

Nelle intenzioni dei proponenti il meccanismo di reclutamento dei senatori, che escludeva tanto il suffragio indiretto quanto il modello di camera alta tedesca, avrebbe consentito al Senato di svolgere un doppio ruolo, essendo chiamato sia a rappresentare il territorio, sia a mantenere una funzione di garanzia, riconducendo ad unità gli interessi locali.

98 Il progetto di legge costituzionale A.S. n. 2507 presentato il 26 settembre 2003 su iniziativa dei senatori di minoranza Villone, Bassanini, Mancino, Dentamaro, Turroni s’intitolava “Modifica degli articoli 57, 59, 60, 63, 69, 70, 76, 77, 82, 88, 92, 94, 95, 104, 116, 117, 120,

126, 127 e 135 nonche' introduzione di un nuovo articolo 57-bis della Costituzione, in tema di composizione e funzioni del Senato della Repubblica, forma di governo, revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione, e composizione della Corte costituzionale”. Venne

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Altre interessanti ipotesi elaborate dalla dottrina, muovendo dal rilievo dell’inadeguatezza di ogni possibile contestualità nell’elezione di senatori e consiglieri regionali nel senso prospettato dalla c.d. riforma Calderoli, suggerivano invece un Senato composto in eguale numero da senatori e rappresentanti effettivamente regionali99, ovvero la

presenza dei Presidenti delle Giunte regionali e di una quota di senatori eletta dai Consigli regionali, accanto ad una consistente componente di senatori ad elezione diretta100.

A fronte di questa tendenza, veniva invece rilevato come una composizione mista non fosse idonea a rendere “territoriale” la

rappresentanza, perché, in assenza di una significativa

regionalizzazione dei partiti politici, tale sistema finiva comunque per privilegiare la componente eletta a suffragio universale diretto.

Anche la composizione mista dunque conduceva alla netta prevalenza della rappresentanza politica sulla rappresentanza territoriale in seno al Senato, con l’aggravante ulteriore, rispetto alla situazione attuale, che quest’ultimo, pur rimanendo di fatto una camera politica, risultava però sganciato dal meccanismo del rapporto fiduciario tra il Parlamento ed il Governo.

Sulla scia di queste riflessioni, era stata teorizzata da parte della dottrina una soluzione più marcatamente regionalista circa la

composizione del Parlamento, fondata sulla considerazione

dell’inadeguatezza dell’elezione diretta dei senatori, ritenuta responsabile dell’omologazione delle due camere e della loro sovrapposizione al sistema delle autonomie territoriali.

Era stato così proposto101 un Senato composto prevalentemente dai

rappresentanti degli esecutivi regionali (da 6 a 12 membri, in base alla popolazione), per ricoprire almeno la metà dei seggi sul totale e, per la rimanente parte dei seggi, dai delegati degli esecutivi provinciali e comunali, eletti in ogni Regione a maggioranza assoluta dal Consiglio

99 GUZZETTA G., Una proposta per il Senato “federale”, in Quaderni costituzionali, 1, 2004, pag. 119.

100 LIPPOLIS V., Il bicameralismo e il Senato federale, in Calderisi P., Cintioli F., Pitruzzella G. (a cura di), La Costituzione promessa. Governo del Premier e federalismo alla prova della

riforma, Catanzaro, Rubettino, 2004, p. 82.

101 BONFIGLIO S., Elezioni presidenziali e Senato nelle proposte di riforma, in “Quaderni costituzionali”, n° 1, 2004.

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delle autonomie locali (non più organo di mera consultazione, ma destinatario di una funzione elettiva). Questo particolare metodo di composizione del Senato avrebbe consentito di filtrare in modo più efficace gli interessi locali nel circuito delle decisioni politico- parlamentari, anche perché imponeva ai senatori un vincolo verso gli indirizzi dei governi regionali e locali mandatari102, senza con ciò

incidere sul funzionamento del sistema di governo, stante l’assenza di un legame fiduciario tra Governo e Senato.

Sul fronte della ripartizione delle competenze legislative la soluzione in esame individuava un nucleo di materie per le quali la funzione sarebbe stata esercitata collettivamente (salva, in ultima ipotesi e in caso di persistente impossibilità di accordo, la decisione definitiva della Camera)103, cui dovevano aggiungersi le leggi costituzionali e di

revisione costituzionale (in cui il Senato continuava a godere di una posizione di perfetta parità). Per tutti gli altri disegni di legge, l’esame era assegnato alla Camera dei Deputati che, dopo aver approvato il testo normativo, lo avrebbe trasmesso al Senato federale; lo stesso avrebbe potuto proporre emendamenti, entro un breve termine, ma la decisione definitiva sarebbe spettata alla Camera, che avrebbe deciso a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

La tesi, suggestiva per il particolare metodo di collegamento tra Senato e governi locali, tuttavia, non consentiva al Senato di esercitare alcun veto sospensivo di effettivo peso nell’ambito della funzione legislativa, risolvendo il suo ruolo a mera assemblea di opposizione politica.

102 In tal caso, per i senatori non dovrebbe valere il c.d. libero mandato che, come emerge dall’esperienza austriaca, rende i membri della camera alta più sensibili alle direttive provenienti dal partito di appartenenza che agli interessi dei Laender. In tal senso, cfr. PALERMO F., Germania ed Austria: modelli federali e bicamerali a confronto. Due

ordinamenti in evoluzione tra cooperazione, integrazione e ruolo delle seconde Camere,

Quaderni del Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università degli studi di Trento, 1997, n° 18, pag. 473.

103 Si faceva riferimento, ad esempio, alle materie di legislazione concorrente di cui all’art. 117, comma 3, Cost. o ad alcune materie di cui all’art. 117, comma 2, Cost (perequazione delle risorse finanziarie, funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale) o ancora alle leggi sul sistema elettorale di Camera e Senato. Ad esse si aggiungevano le leggi costituzionali e di revisione costituzionale (in cui il Senato è in posizione di perfetta parità). Cfr. Bonfiglio S., Il Senato in Italia, Riforma del bicameralismo e

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Tuttavia, queste considerazioni e le sperimentazioni di formule istituzionali più congeniali alle esigenze territoriali avevano costituito la premessa per la formulazione di nuovi progetti di riforma della Costituzione che sarebbero stati trasfusi anche nelle proposte della legislatura successiva, conferendo così portata trainante alla modifica del bicameralismo nel processo di rinnovamento delle istituzioni.

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