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L'opera scritta da Bruno Luppi I Saraceni in Provenza, in Liguria e nelle Alpi occidentali è una monografia interamente dedicata ai Saraceni di Fraxinetum, e copre ampiamente le loro attività su entrambi i versanti delle Alpi. Nella prefazione firmata da Ubaldo Formentini, il quadro geopolitico viene tracciato con precisione, in modo da permettere al lettore di costruirsi un'idea complessiva del contesto in cui operarono i pirati di Fraxinetum. Rispetto ai lavori pubblicati in Italia in precedenza, come nel caso del Patrucco nel primo Novecento, di cui segue ampiamente lo schema storiografico, in questo caso emerge naturalmente una struttura dell'opera più moderna e con obiettivi allargati, che sarebbe rimasta comunque un punto di riferimento per le successive generazioni di storici di

233 Ibidem. 234

F. Cognasso, Il Piemonte nell’età sveva, Torino, 1968, citato da Settia, I Saraceni sulle Alpi cit. p. 263 F. Cognasso, (1886-1996) Professore di Storia Medioevale presso la facoltà di Lettere dell' Università di Torino, nel secondo dopoguerra divenne presidente della Deputazione subalpina di storia patria, direttore del Bollettino storico-bibliografico

subalpino e consigliere del Centro italiano di studi sull'alto medioevo. Tutta la sua produzione lo vide sempre

impegnato in modo particolare nello studio dei documenti medioevali. Cognasso, Il Piemonte...cit., pp. 45-46.

queste regioni, non ostante le riserve avanzate mezzo secolo dopo da Aldo A. Settia, per l'eccessiva indulgenza verso “ le discutibili tradizioni locali sul valore delle quali ” è invece calata la sua impietosa mannaia.

Accettata la recente opposizione del Settia235, sulla troppo grande benevolenza del Patrucco e del Luppi verso gli improbabili aspetti etnografico-folcloristici delle tradizioni locali,se purgata l'opera di quest'ultimo di quei capitoli incriminati, rimarrebbe al lettore un lavoro sufficientemente chiaro, preciso, complessivo e fornitore di tutte le fonti necessarie per l'ottenimento di un quadro ragionevolmente esaustivo (per l'epoca) della situazione creatasi con l'insediamento dei Saraceni in quel di Fraxinetum, e che potrebbe essere una buona base di discussione su tutti gli aspetti controversi dell’argomento.

A differenza degli eccellenti ed ormai imprescindibili lavori dei francesi Poupardin (precedente) e Poly (posteriore), che hanno trattato il nostro argomento “di sponda”, inserendolo tra le altre vicende del Regno di Borgogna-Provenza, il Luppi si è posto come obbiettivo di redigere una monografia la più completa possibile sulle vicende di questo nucleo saraceno, che contemplasse il suo progressivo evolversi dal punto di vista politico, militare, sociale ed economico, e contemporaneamente il suo inserimento nel contesto storico generale del X secolo.

Pur apprezzando le precauzioni prese dall'autore, come citerò tra poche righe, un lettore particolarmente critico potrebbe rimproverare al Luppi una eccessiva fiducia accordata alle fonti ecclesiastiche, notamente quelle benedettine, che al giorno d'oggi sono prese maggiormente con “le pinze”.

Il primo capitolo è dedicato alle fonti pervenuteci, ed opportunamente l'autore ricorda che sul nostro argomento: “fin dai primi lustri dopo il suo tramonto (della presenza saracena) … spesso la verità è travisata e addomesticata per ragioni campanilistiche, per passioni di parte e, soprattutto, per influenza di errate tradizioni popolari”. Come dargli torto, quando abbiamo già potuto constatare presso gli autori francesi sopra citati, che certe fonti avevano esagerato la vastità dell'area delle incursioni, che si era sbagliata la geo-localizzazione di Fraxinetum, che si erano confusi gli obiettivi degli incursori, e si “è arricchito di prodigiose favole ogni semplice episodio di lotta tra Saraceni e cristiani”.

È particolarmente interessante, a proposito di fonti, la segnalazione apportata dall'autore dell'assenza totale di notizie sul nostro insediamento saraceno da parte di autori o cronisti bizantini, e questo qualche decennio prima che ne scrivesse il Sénac, quando è storicamente provato che la flotta bizantina sorvegliava le acque del Mar Ligure e della Sardegna, e che aveva partecipato

235

sicuramente almeno alla spedizione del 942 di re Ugo di Provenza: molto probabilmente questa “non-notizia” ci dice quanto fosse irrilevante agli occhi della corte di Costantinopoli quel nido di pirati arroccati in un angolo della Provenza, in confronto ad altre preoccupazioni prioritarie e ben più impellenti, concernenti provincie ancora sotto il diretto controllo dell'Impero d'Oriente.

Luppi ci è utile per il lavoro eseguito sui controlli incrociati tra le differenti fonti ed é il caso di verificare le sue posizioni sui principali della presenza musulmana sui due versanti delle Alpi:

● dopo un’analisi di tutte le fonti disponibili alla sua epoca, l’autore conclude senza esitazione che Fraxinetum si trovasse nel golfo di Saint-Tropez, che designasse non solo un villaggio, ma tutto il l’entroterra fino alla catena del Massif des Maures inclusa. Ritiene che la principale roccaforte fosse il castrum di La Garde-Freinet236.

● Reputa che la data del primo sbarco ed insediamento sia da collocarsi nell’889, basandosi sulla fonti portate dal concilio di Valence dell’890.237

● Ritiene che non sia avvenuto per un caso fortuito, la tempesta di Liutprando, ma per avere una base stabile in Provenza da cui lanciare le loro incursioni nell’alto Mar Tirreno.238

● Sull’etnia dei Saraceni di Fraxinetum rimane sul vago, considerandoli Arabi in senso lato, probabilmente, degli autori transalpini, non era ancora a conoscenza delle teorie del Levi- Provençal, ma si basava principalmente sul Poupardin.

● Rimane fermo alla cronologia della Cronaca della Novalesa, ed ad altre cronache, che parlano di incursioni a partire dai primi anni del X sec.

● Riporta nel dettaglio tutte le cronache di incursioni verso la Liguria ed il Piemonte, citate dagli autori che lo hanno preceduto, anche quelle su cui non esistono prove inconfutabili. ● Ricorda che le incursioni verso terre piemontesi passarono anche per via di mare, per le

riconosciute dotazioni navali dei Saraceni: i punti di sbarco sarebbero stati principalmente Albenga e Porto Maurizio, e l’isola della Gallinara sarebbe stata una “importante base di approdo della loro flottiglia”.

● Prosegue affermando che i Saraceni avevano il controllo di tutta la costa fino ad Albenga, e che una loro colonna giunse a Tortona dove si insediò e si fortificò per restare negli anni: tuttavia non si spinge ad ipotizzare, come altri han fatto, che vi abbiano costituito un vero e proprio stato.

● Una leggera confusione l’autore la fa quando parlando dell’ascesa alla corona reale di Provenza da parte di Ugo d’Arles: che di fatto Ugo d’Arles fosse l’uomo più potente di Provenza, tutti gli storici concordano, ma purtroppo per lui, non fu mai nominato re di

236

Luppi, op. cit., pp. 101-102. Non condivido questa localizzazione e argomenterò la mia opinione nelle conclusioni.

237

Ibidem pp. 103-104.

238

questo ducato.239

● Accetta la notizia data da Frodoardo negli Annales Rhemensis riguardante l'anno 931, che concerne una spedizione di una flotta bizantina contro Fraxinetum. Giustamente il Luppi fa notare che questa notizia non coincide con la cronologia proposta da Liutprando, che parla solo dell'intervento del 942, concertato con re Ugo. Secondo la sua ipotesi, molto probabilmente, vi furono due spedizioni bizantine, una nel 931 e la seconda nel 942.

● Sfruttando il fatto, in effetti possibile, che vi fossero diversi insediamenti chiamati indifferentemente Fraxinetum, ipotizza che il soggiorno di re Adalberto non fosse obbligatoriamente in quello nel Golfo di Saint-Tropez, ma comunque in territorio transalpino: su che documenti, oltre ai classici già citati che non hanno spinto nessun altro autore a sortire queste ipotesi, non ci é dato di conoscere.

● Data l’assenza di fonti sulle prerogative regali, come il legiferare, coniare moneta etc. ne deduce che “mai i Saraceni organizzarono un vero e proprio stato inteso nel suo ordine politico, sociale ed amministrativo”. E questo lo porta già a differenziarsi dal Patrucco. ● Ci dà la spiegazione più argomentata sulla polemica dell'itinerario seguito da Maiolo di

Cluny prima del suo rapimento240, a Orsières sur Dranse, nel Vallese.

Nell’opera di Luppi è riunita un’enorme quantità delle notizie che hanno fornito gli autori precedenti: il lavoro necessario è lo “sfalcio” di tutte le notizie non documentate, e di quelle documentate ma da fonti non “affidabili”, per vizi di propaganda e d’interesse particolare.

Lascia a questo proposito molto perplessi nel Luppi una “derapata” sull'accettazione delle fonti: trattando del Cartolario di San Vittore di Marsiglia commenta un documento: “ed in special modo l'atto di donazione di Guglielmo d'Arles a Giballino di Grimaldi”; nella nota corrispondente: “l'atto è riprodotto quasi integralmente al cap. I, p. 45” ma a p. 45 non viene citato il Giballino di Grimaldi, e poi prosegue nella nota: “È l'unico di provata autenticità che parla della lotta combattuta nel golfo di Tropez per cacciare dal luogo i Saraceni. Collegando ad esso le descrizioni delle carte di S. Victor e dei testi narrativi, scompare ogni dubbio sulla reale ubicazione di Frassineto”.

239 Luppi, ibidem p. 115, afferma che: “Alla morte di Ludovico il Cieco (923) riuscì a spodestare dal trono della Bassa

Borgogna e di Provenza il legittimo erede Carlo Costantino, ed a farsi proclamare re in sua vece”. Saranno dettagli, per molti studiosi anche insignificanti, ma la legittimità di Carlo Costantino era già stata contestata dal Poupardin e dal Manteyer, e Ugo d’Arles non fu mai proclamato re di Bassa Borgogna o di Provenza, ma lo sarà d’Italia, qualche anno dopo.

240Ibidem, p. 144 e segg.; il luogo della cattura è chiaramente indicato da Siro, nella Vita di San Maiolo, a Orsières sur

Dranse, nel Vallese, circoscrizione d'Entremont. L'altro biografo del Santo, Nagoldo, lavorando sulle fonti di Syrus e mal interpretandole, dice che la cattura avvenne prima di Orsières. Basandosi su Nagoldo, il Reinaud e poi il Sénac hanno detto che l'itinerario seguito da Maiolo passava per il Monginevro e la cattura presso Orcières sul Drac, nelle Alte Alpi, nella circoscrizione di Embrun, dove passava una strada romana di secondo ordine. Ma Syrus aveva anche citato il passaggio della carovana dell'Abate attraverso il Mons Jovinus, oggi conosciuto sotto il nome di Gran San Bernardo, notizia di cui i suddetti storici non hanno tenuto conto.

Queste note del Luppi sono di importanza capitale per la conclusione di questa tesi perché contengono delle informazioni che, pur andando esattamente all'opposto delle prospettive dell'autore ligure, servono a noi per poter affrontare l'argomento forse più provocatorio fin qui affrontato. Innanzi a tutto schiere di storici si oppongono all'accettazione dei documenti riguardanti il personaggio di Giballino di Grimaldi, considerandoli dei falsi assai posteriori ai fatti narrati. E stupisce che il Luppi voglia affrontare un nutrito “fuoco di sbarramento” da parte di professionisti della storia, per un argomento che non meritava assolutamente una forzatura tale: la collocazione di

Fraxinetum nel golfo di Saint-Tropez.

Ma a noi interessa piuttosto una asserzione scritta in queste note dal Luppi: quell'atto, sulla cui falsità non osiamo opporci alla maggioranza degli storici come ha fatto il nostro autore, è considerato l'unico che parli della lotta combattuta per la liberazione di Fraxinetum dai Saraceni.Non esistono, salvo prova contraria, documenti autentici che provino che ci fu una lotta per scacciare i Saraceni da Fraxinetum. Non ci sono prove irrefutabili concernenti la battaglia di Tourtour, nessuna su di una battaglia nel golfo di Saint-Tropez nel 972, quando addirittura il Sénac ipotizzava un intervento di una flotta, di cui nessuno parla, in nessun documento. L'unica prova che ci furono degli scontri, indiretta, ma accettabile, concerne l'accertata presenza di numerosi schiavi musulmani, molto probabilmente originari dell'enclave saracena di Fraxinetum, e delle loro progenie.

Se vi fosse stata una battaglia sanguinosa, e per di più vittoriosa, le cronache pullulerebbero di questa notizia: la Provenza intera, il regno di Borgogna, il regno d'Italia con i suoi marchesati frontalieri, e perfino le cronache bizantine, magari non quelle andaluse, ne avrebbero parlato in tutte le lingue dell'epoca. Invece nulla ci è pervenuto.

Là dove il Luppi espone il fianco alle critiche è nel secondo capitolo della sua opera, che tratta delle “tradizioni e leggende”. La posizione dell'autore è che “anche se le leggende e le tradizioni raccontano l'inverosimile ed il fantasioso, offrono sovente allo storico, ricercatore attento, elementi di certa utilità e fondatezza.”

Questa posizione non è accettata dal Settia, che pur citando e rimandando i suoi lettori all'opera del Luppi, verificando i suoi scritti, nel suo articolo Gavi, i Saraceni e le “infantili tradizioni” afferma di averlo colto in fallo per il seguente passaggio: “Dalla parte delle Alpi Marittime e dell'Appennino ligure-piemontese, seguendo l'itinerario percorso intorno al '900, (i Saraceni) occuparono colli e valichi importanti (Col di Tenda, Passo della Mezzaluna, Viozene, Ormea, ecc.), risalirono le valli della Roia, dell'Argentina e del Centa, e posero presidi fortificati sui principali passaggi onde essere facilitati nelle scorrerie verso l'interno del Piemonte”. Il Luppi rimanda per queste sue affermazioni

all'opera di G. De Simoni, Annali storici della città di Gavi241, ed il Settia andando a verificare non

vi ha trovato alcun riscontro a tali affermazioni.In questo caso il Settia, non accettando incursioni saracene prima del 920 e che che si fossero presidi stabili e duraturi sulle Alpi Marittime, utilizza ogni dettaglio per indebolire le tesi di chi ha affermato il contrario. D’altronde il pensiero di quest’ultimo sul Luppi è ben riassunto in questa frase: “Questo (il Luppi), non è criticamente molto migliore del Patrucco, del quale ricalca in gran parte l’impianto generale; gli sfugge, inoltre, del tutto l’importanza del Desimoni, cui attribuisce affermazioni che egli non aveva mai fatto”.242

Vi è una frase del Luppi che sono obbligato a riportare perché, essendo non proprio politically

correct oggi sarebbe improbabile di vederla scritta in un libro su questo argomento, ma che

evidentemente nell’immediato secondo dopoguerra non suscitava scalpore: “fermati nei loro stati, restava pur sempre agli Arabi del Mediterraneo un’ infrenata vitalità, un sentito bisogno di espansione e di rapina, evidenti manifestazioni della natura avida e violenta del musulmano e, per certi aspetti, della sua religione”.243

241 C. Desimoni, Annali storici Della città di Gavi e delle sue famiglie (dall' anno 972 al 1815), stab. tip. G. Jacquemod

Figli, Alessandria, 1896.

242 A.A. Settia, Gavi, i Saraceni e le “infantili tradizioni”, in Barbari e infedeli cit., p. 291. 243 Luppi, Ibidem, p. 100.

Capitolo XI