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La critica delle fonti ecclesiastiche e delle “carte false”

Tutti gli autori che abbiamo incontrato, con le dovute precauzioni, basano le loro redazioni su Liutprando, Flodoardo, Ekkeardo e Widukindo. Si é visto che gli autori ottocenteschi accettavano le fonti di origine ecclesiastica posteriore senza troppe reticenze, a partire dalla Cronaca della Novalesa fino agli Acta Sanctorum dei Bollandisti.

Con Poupardin la critica delle fonti ecclesiastiche si fa più intransigente e ad esempio si trova costretto a ridimensionare l'attacco saraceno al monastero di San Gallo, in Svizzera, riportato da Ekkeardo e trasmesso tale e quale dal Reinaud, come si può constatare in appendice: “un po' più tardi una delle loro bande arrivò fino al monastero di San Gallo, e lanciò qualche nugulo di frecce sui monaci che stavano celebrando una processione intorno all'abbazia, ma senza causare gravi danni, e la truppa non sembrava essere stata troppo temibile, perché fu in parte sterminata dai contadini armati e diretti da qualcuno dei dignitari del monastero”102. La difficoltà oggettiva dichiarata nel datare quest'altra incursione fa emergere l’attitudine dell’autore a verificare l’esattezza delle informazioni e continua a crescere la tendenza a moderare le notizie sui Saraceni, della loro ferocia e pure della loro invincibilità. In altra occasione esclude la possibilità di un serio utilizzo storico della Vita Sancti Bobonis che elimina dalle fonti, giudicandola:

“un testo molto posteriore e di carattere nettamente leggendario”103.

Sempre per il Poupardin ci sono anche nel Chronicon Novaliciense, a partire dal periodo delle prime incursioni fino all’espulsione da Fraxinetum, troppi aneddoti di carattere leggendario perché li si possa accettare senza riserve. Certi aspetti del racconto del monaco della Novalesa, ad esempio la vendetta di Ajmone in seguito alla storia della sua donna sedotta dal capo saraceno, si avvicinano troppo a quelli che si trovano nella “Vita di San Bovo”: per il Poupardin si potrebbe credere che i due redattori abbiano attinto ad una stessa tradizione anedottica.

La medesima tendenza revisionista la si trova in occasione dell’ ambascieria del monaco Giovanni di Gorze presso il califfo di Cordova, inviata da Ottone I104 e che fu un fallimento diplomatico.105

100 Ibidem, p. 90, nota 2: Cipolla, Monumenta Novalicensia vetustiora... cit., t. II, pp. 260-261. 101 Ibidem

102 Poupardin, Ibidem, p. 93: Ekkehard, Casus Sancti Galli, c.15, Mon. Germ. SS, t.II, p. 137; éd. Hans F. Haefele,

Darmstadt," Ausgewählte Quellen", 1980.

103Ibidem, p. 90, nota 5: AA.SS. Boll., 22 maggio, t.V, p. 185. 104Ibidem p. 94: Liutprandus, Antapodosis, l. VI, c. 6.

L'autore ci tiene a precisare, molto opportunamente, che “La vita di Giovanni da Gorze” è il solo testo che si possieda su questo soggetto, e che risulta alquanto tendenzioso, in quanto può sembrare singolare che i musulmani di Spagna, abituati a vivere a contatto con i cristiani ed in buoni termini con loro, si siano mostrati così intransigenti in quel caso, come lo racconta il biografo di Giovanni da Gorze, preoccupato di rappresentare il suo eroe come partito a cercare il martirio nelle terre degli infedeli.

Si deve aggiungere che a tutti questi testi più o meno apocrifi relativi all'espulsione dei Saraceni, come la Vita S. Bobonis, di nessun valore storico, anche la carta attestante il ruolo giocato in questi avvenimenti da Gibelin de Grimaldi. Questo atto è stato pubblicato dal Ruffi,106 e poi dopo di lui dal Bouche107; la sua autenticità è già stata contestata dal Papon108, difesa dal Reinaud, ma per il De Rey ed anche per il Poupardin non sarebbe ammissibile.

Altrettanta prudenza viene consigliata a proposito dei racconti degli storici locali, riguardanti la distruzione delle zone della Provenza tra Marsiglia, Sisteron e Manosque: per l’autore è opportuno fare “la tara” a queste storie che appaiono esagerate, specialmente quando adottano espressioni tratte dalle Sacre Scritture. Poupardin quindi, a differenza del Reinaud e del De Rey che riportano questi racconti, ha delle chiare riserve a proposito e non attribuisce un valore generale alle espressioni usate dagli agiografi e dai redattori di carte posteriori: è il caso dei testi che sembrano affermare che tutto il regno di Borgogna avrebbe subito le stesse devastazioni e sarebbe ovunque stato trasformato in un deserto. Nella realtà la parte meridionale delle Alpi fu davvero molto provata, basta ricordare gli incendi dei monasteri della Novalesa, e forse anche la possibile distruzione del monastero di Oulx e della città episcopale di Embrun.

Il Reinaud e il De Rey hanno riportato che da alcune fonti si poteva credere che un certo numero di Saraceni non ancora convertiti, si fossero mantenuti per qualche tempo nelle valli alpine, dove all'inizio dell' XI sec. Bernardo di Menthone ne avrebbe convertito qualcuno109. I biografi del santo, non affidabili dal punto di vista storico, parlano solo di culto di un idolo: l'informazione è sospetta, e non specifica se si tratta di musulmani, mentre potrebbe essere stato solo il caso di pratiche superstiziose, che Bernardo avrebbe contribuito ad abolire110.

Per terminare il paragrafo dedicato all'analisi delle fonti del Poupardin non possiamo sorvolare sul colpo di rasoio da lui portato a tutte quelle fonti archeologiche e architettoniche, per le citazioni di opere costruite, militari o civili che siano, arricchite del predicato “saraceno”: nessuna prova inconfutabile era stata fornita secondo l’autore a questo soggetto, fino ai suoi tempi.

105 Ibidem, pp. 95- 96: Vita Johannis Gorziensis, c. 130, p. 375, e c. 118 e segg. 106Poupardin, ibidem, p. 102, nota 2: Ruffi, Histoire des comtes de Provence, p. 51. 107Ibidem, p. 102, nota 2: Bouche, Histoire de Provence, t.II, p. 4.

108Ibidem, p. 102, nota 2: Papon, Histoire de Provence, t. II, p. 171. 109Ibidem, p. 110, nota 5: Reinaud, op. cit., p. 195.