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Su Poly ho recuperato un ottimo resoconto scritto da Pierre Bonassie, che è diventato anch'esso in seguito uno storico di fama, pubblicato sugli: “Annales du Midì, Revue archéologique, historique, et

a Gibelin de Grimaldi il Golfo di Grimaud. Papon, Histoire de Provence, t. II, p. 171, ha contestato l’autenticità di questa carta; ma i suoi ragionamenti contro il fatto in se stesso, non ci sono apparsi affatto conclusivi.

philologique de la France meridionale”, nel 1974.374

“ (…) La prima parte del libro: “ Dalla pace dei Franchi all'anarchia feudale”, ci porta dalla metà del IX secolo alla metà dell'XI. L'epoca si apre sulle aggressioni saracene: “ Sono state così devastatrici come si dice generalmente? L'accumulazione della paura nella coscienza collettiva non ha forse fatto ai “Mori” rapitori, un'ombra più grande del corpo?” In realtà si devono distinguere due periodi molto differenti: da una parte la metà del IX secolo (838-869) segnata soprattutto dalle razzie nelle regioni di Marsiglia e di Arles; e dall'altra parte la prima metà del X secolo che è l'età dei pirati di Fraxinetum. Fu solo nel corso di questa seconda fase che le devastazioni presero dell'importanza (diocesi di Tolone, Frejus, Antibes, Vence, Nizza, furono saccheggiate ed in gran parte abbandonate dai suoi abitanti). Ma contrariamente ad una affermazione costantemente ripetuta in seguito ad un errore di B. Guérard, la Provenza occidentale non fu attaccata. In tutte le maniere i Saraceni erano poco numerosi e i loro successi non potevano spiegarsi che attraverso le divisioni dell'aristocrazia provenzale, generatrice di guerre incessanti, che opposero in uno scatenarsi di odi feroci, il partito borgognone, installato in Provenza dall'elezione di Bosone nell'879, ai magnati autoctoni che, nel loro insieme, restarono fedeli ai carolingi.

Malgrado tutto, calamità dall'esterno e lotte intestine non dissolsero, almeno fino all'anno mille, le istituzioni tradizionali. La chiave di volta ne era la carica comitale: i conti che risiedevano o a Vaison, o ad Avignone, e si mostravano assai indipendenti dalla vacillante corona borgognona, esercitavano il loro potere su di un assai vasto territorio che si estendeva dai confini di Fraxinetum, fino alla riva destra del Rodano. Avevano ereditato questa autorità dagli antichi patrizi provenzali e continuavano a governare riunendo regolarmente delle “assemblee generali” (tre per anno) e si circondavano di collaboratori efficienti (vicedomini, vicarii, e soprattutto giudici). La giustizia conservava il suo carattere pubblico, si fondava sull'utilizzazione congiunta della prova scritta e del giuramento e fatta in larga parte dalla “legis discussio”, come a dire dall'interpretazione da parte dei giudici della “legge romana” o della “legge salica”.

In questa Provenza di prima dell'anno mille, la vita urbana, anche se era assai decaduta, non si era veramente spenta. Tre agglomerazioni almeno meritavano il nome di città: Marsiglia, Arles, Avignone. Queste continuano ad intrattenere degli scambi regolari, sia per terra, sia per mare, con l'Italia: dei mercanti greci, o amalfitani frequentavano i loro mercati, mentre delle importanti

374www.persee.fr/doc/anami_0003-4398_1974_num_86_118_4882_t1_0335_0000_1

Bonnassie Pierre. Compte rendu sur:La Provence féodale: Poly (Jean-Pierre), La société féodale en Provence du Xe au XIIe siècle: contribution à l'étude des structures féodales dans le Midi de la Gaule, 4 vol., Paris, Microéditions universitaires. In: Annales du Midi: revue archéologique, historique et philologique de la France méridionale, Tome 86, N°118, 1974. pp. 335-339.

colonie di ebrei e, sembra, prospere, risiedevano tra le loro mura (…) vi erano importazioni di spezie, sete, broccati, e “pallia” (vesti di seta), ed esportazioni di pellicce, spade, schiavi. Il sale, il legno, le pietre da reimpiego, l'olio d'oliva, e il miele, venivano a completare sul piano degli scambi locali e regionali, la lista dei prodotti commercializzati. Questi traffici alimentano i profitti legati ai pedaggi da cui il conte, l'arcivescovo d'Arles ed i grandi magnati traevano la maggior parte delle loro ricchezze.

La terra restava tuttavia, come ovunque altrove, la principale fonte di sussistenza. Sono la gestione delle grandi proprietà fondiarie che – sfuggendo la piccola proprietà largamente all'indagine, per mancanza di documenti – attira soprattutto l'attenzione di J.P. Poly. Delle grandi tenute esistevano, raggruppate attorno a dei centri dominicali, ma non si ritrovano assolutamente nel loro modo di organizzazione, i tratti caratteristici del sistema curtense.

Nel IX secolo almeno, il lavoro essenziale è affidato ad una manodopera di schiavi. Quanto alle piccole proprietà in affitto, chiamate dapprima colonicae e poi, a partire dalla fine del IX secolo,

mansi, queste non sono che raramente e tardivamente gravate da corvée, che restano sempre molto

leggere. Queste proprietà affittate sono gravate da canoni fissi (in natura prima e poi in denaro) ed in seguito su tutte le terre conquistate o riconquistate all'abbandono per la coltivazione, nel X e XI secolo, di affitti in percentuale sui frutti del raccolto.

Sul totale, verso l'anno 900, la terra provenzale sembra ripartita in due grandi gruppi equilibrati: proprietà “fiscali” e proprietà private (proprietates). Le prime si estendono soprattutto nella Provenza occidentale e fanno parte sia del patrimonio del conte sia di quello della Chiesa: comitatus ed episcopatus sono qui difficili da distinguere e le terre che sono di loro competenza sembrano per lungo tempo intercambiabili.

Gli allodi delle grandi famiglie sono piuttosto concentrati nella Provenza orientale. Questo equilibrio relativo si trova sconvolto nel corso del X secolo, sotto l'effetto da una parte dell'arrivo dei “Borgognoni”, dall'altra parte dalle imprese di riconquista lanciate nel “lontano oriente” contro i Saraceni di Fraxinetum. Si assiste allora ad una vera e propria “fiera dell' usurpazione” dove sparisce la nozione stessa di proprietà pubblica. Le grandi famiglie si accaparrarono le terre del “fisco regio” e si spartirono in immense tenute, le zone costiere riconquistate.

È in questo contesto che si instaura la signoria bannale, istituzione alla quale l'autore attribuisce molto giustamente un posto capitale nell'evoluzione sociale.

Poly ne studia lungamente le origini: il trasferimento dei diritti pubblici tra le mani dei grandi feudatari – delle “podestats”, come si dice in Provenza – non può risultare dalla concessione di immunità, non può non più derivare solamente dall'appropriazione da parte dell'aristocrazia delle proprietà del fisco regio e comitale. In realtà è il castello che costituisce il centro della signoria bannale. Ora, se si constatano già nella seconda metà del X secolo i primi segni di una

privatizzazione dei castelli, è nel periodo tra il mille e il 1040 che si vede lo svolgersi dei cambiamenti decisivi. Allora la Provenza si coprirà di fortezze, tutte ormai allodiali, ed è a partire da queste fortezze che i potenti imporranno il loro potere di banno alle popolazioni limitrofe.

Fatto caratteristico è che solo da dopo l'espulsione dei Saraceni da Fraxinetum si vede l'apparire di queste fortificazioni. In effetti l'autorità pubblica ha potuto mantenersi solo fintanto che è durato il pericolo: poi crolla quando il pericolo è cessato. “ Nello spazio di una generazione la signoria bannale lottizza il paese e riduce quasi a nulla il potere del conte”. (p. 266)