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La figura di Ugo d’Arles, re d’Italia

Se il Reinaud si era astenuto dal commentare e giudicare l’azione politica di re Ugo, lasciando parlare Liutprando in occasione dell’impresa contro Fraxinetum del 942, il De Rey incomincia a tratteggiare la sua figura, come visto nel capitolo precedente, apprezzando le sue grandi qualità, senza sorvolare sull’eccessiva ambizione.

Nei suoi lavori, pur senza essere esplicito nella condanna dell’operato di re Ugo, il Poupardin fa intendere la sua critica, evidenziando che la priorità di re Ugo sono gli interessi personali, che tenne così tanto ai suoi possedimenti in Italia, che per conservare una corona assai precaria, arrivò ad abbandonare la Provenza ai suoi vicini: Raoul, re di Francia, e Rodolfo II della Borgogna Transgiurana.

Il Manteyer su Ugo d’Arles ha invece un giudizio elogiativo: innanzitutto evidenzia la grande abilità diplomatica che si basava anche su di una spregiudicata politica matrimoniale111, che non possiamo affrontare in questa sede, ma che coincise con uno dei momenti di minor prestigio della Chiesa apostolica romana. Ricorda pure che le cessioni della Provenza e del Viennese, che tra l’altro non gli appartenevano, non diminuirono in nulla le sue enormi proprietà personali, allodiali, nelle due regioni, e non modificarono nemmeno il ruolo dei membri del suo clan, che rimasero ai loro posti, come l’arcivescovo d’ Arles Manasse,ed i conti di Arles e di Avignone.

Riportando le parole di Liutprando, Ugo viene “definito intelligente e sensuale, era proprio l’uomo giusto per governare l’Italia”112. Questa opinione del Manteyer era già stata espressa nella sua opera del 1897, e venne anche adottata dal Poupardin nel 1901.

Per capire con precisione il lavoro svolto dal Manteyer ad esempio, si può citare l’esempio in cui si smarca dal Poupardin su di un dettaglio, nemmeno importantissimo, ma che riguarda la nostra trattazione: l’autore considera che il viaggio in Italia di Ugo d’Arles nel 912, duca di Provenza appena da un anno,fosse una spedizione militare e non una missione diplomatica pacifica, come la riteneva il Poupardin, che ritardava l’intervento militare in Italia di un buon decennio113. Il fatto che la spedizione di Ugo d’Arles sia finita male, nulla toglie al fatto che invece di preoccuparsi di debellare i Saraceni, mirasse già ad avventure al di là delle Alpi.

Il nostro autore ci è utile per chiarire il “balletto” di titoli che vengono attribuiti dai vari autori precedenti ad Ugo d’Arles e Guglielmo il Liberatore: quando nel 911, il conte Ugo d’Arles viene definito dalle carte del placito imperiale, da parte del vescovo di Valence, “duca di Provenza e marchese del Viennese”, si ha la prova concreta che è riuscito ad imporsi come “reggente” per

111 Manteyer, La Provence… cit., p. 115.

112 Ibidem, pp. 121-122; Poupardin, Le royaume de Provence...cit. p. 222. 113 Poupardin, ibidem, p. 119, ed ivi nota 1.

conto del re ed imperatore Ludovico III il Cieco114.

La differenza tra il lavoro del Manteyer e quello degli storici dell’ ‘800 che abbiamo trattato è che loro ci raccontano che il duca Ugo di Provenza governò per conto di Ludovico il Cieco, il Manteyer ce lo prova e dimostra, apportando le date, i protagonisti e l’evoluzione del percorso politico, seguendo il succedersi dei documenti delle diverse cancellerie. Inoltre grazie a questo tipo di analisi, ci informa che il titolo di duca e di marchese erano nei fatti equivalenti, ma non nel prestigio, e questo spiega perché Ugo preferisse firmare le carte con il titolo di duca.

Mi sono soffermato su quello che sembrerebbe un dettaglio, per una ragione eminentemente politico-amministrativa: la “marca” è un distretto di frontiera organizzato militarmente, a difesa di possibili attacchi provenienti dall’esterno. Nel 911 nel momento in cui il conte d’Arles, Ugo, diventa marchese del Viennese, significa che le preoccupazioni per il regno di Ludovico il Cieco provenivano forse da Nord, da Est, o da Ovest, quindi da regni cristiani, e non da sud, dove invece la Provenza, anche per le maggiori dimensioni, aveva diritto ad un duca. Prova che la presenza dei Saraceni di Fraxinetum era considerata dalle gerarchie del regno di Borgogna-Provenza, Ugo ed il suo entourage borgognone, un aspetto non preoccupante, se non addirittura un’opportunità115, per

nulla ostacolata dalla differenza di religione.

Per quale motivo i Saraceni venissero trascurati dal duca Ugo, l’autore ce lo dimostra anche procedendo all’analisi dei diritti di successione alla corona di Borgogna-Provenza alla morte, nel 928, di Ludovico III il Cieco116.

Concordando con il Poupardin sul fatto che l’imperatore decaduto avesse avuto un figlio, Carlo- Costantino, da una donna non di rango adeguato, oppure frutto di un matrimonio che oggi si direbbe morganatico, il Manteyer ne evidenzia la conseguenza concretizzatasi nel fatto che il figlio non poté ereditare la corona reale dal padre. L’erede più prossimo era Rodolfo di Borgogna, re di Francia, cugino di primo grado di Ludovico il Cieco, essendo il figlio di Riccardo il Giustiziere, fratello di Bosone, primo re del regno di Borgogna-Provenza. Constatiamo che gli eredi di questi due nobili borgognoni avevano fatto una grande carriera, arrivando a cingere rispettivamente la corona di Francia e quella imperiale con quella d’Italia, e ricordiamo che in seguito il duca Ugo di Provenza, anch’esso parente, dal luglio 926 diventerà anche lui re d’Italia.

Ugo, re d’Italia e Rodolfo, re di Francia, trovarono un compromesso: al re di Francia spettò la marca del Viennese, e Carlo-Costantino, figlio di re Ludovico III, conte di Vienne, dovette inchinarsi al re di Francia, mentre ad Ugo restò la Provenza con il titolo di duca, ma senza il titolo di re, restato vacante dal 928 al 934, circa: Ugo, pur non avendo alcuna autorità legale effettiva sulla corona di Borgogna-Provenza, usufruì del potere in quanto duca di Provenza per cederla nel 934,

114 Ibidem, pp. 104 e segg. 115 Manteyer, ibidem, p. 110. 116 Ibidem, p. 127.

sempre circa, a Rodolfo II che minacciava di contendergli di nuovo la corona d’Italia117.

Questo excursus, che Manteyer sviluppa magistralmente, serve per ridefinire nella giusta dimensione il ruolo svolto dai Saraceni, dalle loro incursioni, nel quadro politico delle regioni che vanno dal Mediterraneo alla attuale Svizzera, considerando entrambi i versanti delle Alpi.

In periodi in cui le marche e le contee venivano scambiate in cambio di promesse di non-ingerenza su altri teatri, i Saraceni, evidentemente, non rappresentavano un serio problema per i vertici del potere dei regni cristiani.