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perché alla fine dell'atto la data viene riportata, dal Bouche, nella maniera seguente: L'An de

I Saraceni di De Rey

2) perché alla fine dell'atto la data viene riportata, dal Bouche, nella maniera seguente: L'An de

l'incarnation DCCCCLXXX, Ind. X, au mois de septembre, sous le régne de Conrad; e Ind. X non corrisponde all'anno 980, data dell'atto, che dovrebbe invece essere Ind. VIII.

3) perché Gibelin viene detto de Grimaldi, mentre a quell'epoca la particella de non era ancora in uso.

Lo storico M. de La Plane, partendo da questa ultima osservazione del Papon, si è ancor più sbilanciato, e in un approfondito studio sull'origine dei nomi di famiglia,72 ha dimostrato che, caduto l'uso della particella in abbandono dopo l'invasione dei Barbari, era ancora completamente sconosciuto nel X sec., e riprese ad essere usata solo dopo l'instaurazione del sistema feudale. Quindi non esita a dichiarare che la carta di Gibelin Grimaldi sia opera di un falsario.

Per il De Rey la miglior prova che questa carta sia stata fabbricata a posteriori, per sostenere le pretese genealogiche della famiglia Grimaldi, sarebbe nella donazione stessa a Gibelin del golfo e delle terre che formano la riviera di Saint-Tropez. Queste terre in effetti furono il bottino conquistato ed ottenuto non da questo eroe leggendario,ma dai visconti di Marsiglia e con metodo efficace e scientifico, ne riporta le sue fonti:

Il Cartolario di San Vittore contiene una serie di titoli dell'XI sec., attraverso i quali i suddetti signori cedettero all'abbazia ogni bene loro appartenente in quel di Fraxinetum, ovvero nel golfo di Saint-Tropez.

● Nel 1008, il vescovo Pons, figlio del visconte Guglielmo, donò a San Vittore: In Fraxeneto,

in villam quam vocant Ad Molam, et in apendiciis, et in territorio eius, omnem partem meam.(Ch.18)

● Nel 1014, il visconte Guglielmo I aggiunse alla donazione precedente di suo fratello, la sua parte dello stesso villaggio. (Ch.110)

● Nel 1055, Pons II, Guglielmo III e Geoffroi, figli di Guglielmo II, in concerto con loro zio Foulque, cedettero all'abbazia: Ecclesiam S.Torpetis martiris, quae est sita in comitatu

Forojuliensi, in territorio quod vocatur Fraxineto, juxta mare … et ipsum mare. (Ch. 596)

● L'anno seguente, Foulque confermò questa donazione: Ecclesiam S. Torpetis … et ipsum

mare similiter donamus, cum omnibus quae ibi habemus, sicut ripa ejusdem Sancti Torpetis vadit, et homo in pelagus navigare potest, ad proprium alodem. (ch. 595)

● Nel 1058, Foulque e i suoi nipoti donarono quello che possedevano a Fraxinetum, nel villaggio di Grimaud. (ch. 590)

Per l’autore si possono anche omettere altre carte, da cui risulta ancora che trenta anni dopo la distruzione di Fraxinetum, i visconti di Marsiglia possedevano la regione che si stende da La Mole alle rive dell' Argens e al mare, ovvero tutta la Riviera di Saint-Tropez, e che la carta apocrifa del conte Guglielmo avrebbe ceduto al preteso vincitore dei Saraceni. Infine il castello stesso di Grimaud, di cui il nome farebbe ipotizzare una relazione diretta con tale Gibelin, era ugualmente proprietà dei visconti di Marsiglia.

Dunque per il De Rey si deve relegare tra le leggende e le favole tutto quello che è stato detto e scritto su questo Gibelin de Grimaldi, e la parte di gloria che si è voluto accreditargli nella conquista di Fraxinetum, deve essere messa in conto ai visconti di Marsiglia, perché sono loro che, in ricompensa della loro spedizione, ricevettero tutte le terre che i Saraceni avevano occupato per quasi un secolo.73

Seguendo l’evolversi della narrazione dell’autore si é arrivati alla liberazione del territorio di

Fraxinetum esclusivamente per via di terra: sarebbe invece opportuno incominciare a riflettere se il

fatto che non si sia concordata una presenza di forze navali, da parte dei conti di Provenza in occasione della definitiva liberazione della Provenza, non abbia permesso a parte delle truppe saracene di imbarcarsi, con il bottino frutto di anni di saccheggi, e di mettersi in salvo presso le terre del califfo di Cordova. E se in effetti, visto che le fonti sulla conquista sono piuttosto leggendarie, ci sia stata veramente una battaglia decisiva, e non piuttosto un abbandono ed una ritirata strategica via mare da parte dei vertici saraceni, lasciando i ranghi inferiori in balia della loro sorte.

È necessario continuare con la sintesi del racconto del De Rey perché tratta della riorganizzazione fondiaria della Provenza in maniera più approfondita del Reinaud: dunque i vincitori si erano ritrovati con molte terre senza padroni, perché i Saraceni, da quasi un secolo, avevano massacrato o messo in fuga gli antichi proprietari. Queste terre sarebbero appartenute, di diritto, al re d'Arles, Corrado il Pacifico, ma le aveva lasciate al conte Guglielmo, come dice una carta di San Vittore:

Domine Comes, ecce terra, soluta a vinculo paganae gentis, tradita est in manu tua donatione regis. (Ch. 77)

Secondo il nostro autore il conte le distribuì tra i suoi compagni d'armi, in ricompensa dei loro servizi. La presa di possesso non ha avuto sempre luogo in una maniera irreprensibile da parte dei donatori: ci sono stati, infatti, diversi casi di usurpazione, perché le campagne diventavano possesso del primo occupante, e ognuno prendeva quello che gli sembrava conveniente, e i nuovi proprietari, allargandosi oltre ai confini che erano stati loro assegnati, si sottraevano i possessi gli uni agli altri.

Traduco quanto è scritto in un documento del Cartolario di San Vittore: “Infine quando i pagani furono stati scacciati dalle terre che occupavano, ovvero da Fraxinetum, e che la regione di Tolone cominciò ad essere distribuita in feudo e ad essere coltivata, ognuno, secondo le proprie forze, occupò altri terreni, oltrepassando i confini delle sue proprietà; ed era a causa delle lotte scatenatesi tra i feudatari più potenti, che usurpavano le terre a loro piacimento, come ad esempio il visconte Guglielmo e Pons di Fos”. (Ch. 77)

Secondo il De Rey il conte aveva molto da fare per impedire le usurpazioni: era obbligato a rendersi sul posto ed a regolare di persona i dissidi: ma a questo punto non si capisce chiaramente se Guglielmo il Liberatore fosse più impegnato ad usurpare le terre appartenute un tempo alla chiesa, o a dirimere le numerose cause di usurpazioni minori.

“Ben presto, montando a cavallo, si rendette a fare giustizia. Ed essendo giunto nel territorio del villaggio di La Cadiere, cominciò a cercare i nomi delle montagne e delle valli, dei ruscelli e delle sorgenti. Ed essendo stato informato, posò i termini di confine, etc.”. (Ch.77)74.

A volte la sua stessa autorità veniva disconosciuta: nei cantoni dove non aveva guerreggiato personalmente, là dove gli abitanti si erano sollevati spontaneamente contro i Saraceni e li avevano vinti con le loro sole forze, i capi e i nobili che avevano preso la direzione del movimento, non sempre aspettarono che il dono delle terre libere fosse loro concesso, e si arrogarono da soli il potere sovrano. È quello che notoriamente avvenne nel territorio di Castellane, se si può credere allo storico locale, dove le terre furono distribuite da un discendente degli antichi governatori romani, che sarebbe il progenitore della famiglia di Castellane, il quale dopo aver scacciato gli infedeli, fortificò la regione circostante, e si rese indipendente. Questa origine, attribuita ai baroni di Castellane, non si basa, veramente, su alcun titolo; ma è un dato di fatto che per diversi secoli si rifiutarono di riconoscere come superiori feudali i conti di Provenza. Dicevano di detenere i loro diritti solo grazie alla loro spada, per aver tolto loro stessi la regione ai Saraceni, e affermavano che gli imperatori, re d'Arles, avevano donato loro direttamente l'investitura. Furono costretti con la forza a rendere l'omaggio feudale al conte di Provenza solo nel 1189.75 Secondo il De Rey la divisione delle terre tra i diversi signori che avevano cooperato all'espulsione dei Saraceni ebbe un risultato immediato: fu quello di sviluppare in Provenza il sistema feudale, che la potente organizzazione municipale aveva fermato fino ad allora. I conti avevano già potuto infeudare qualche comune a loro parenti e ai grandi della loro corte; ma avevano fatto di loro dei governatori privati piuttosto che dei signori vassalli della corona. Guglielmo I, signore per diritto di conquista delle terre liberate e dei villaggi abbandonati dai loro abitanti, ne investì i suoi ufficiali che avevano servito sotto di lui, riservandosi tutti i poteri feudali.

74 De Rey,ibidem, pp. 189 e segg. (per tutte queste carte di San Vittore). 75 Ibidem p. 191, nota 1: Bouche, op. cit. t.II.

Il feudalesimo fu quindi introdotto in Provenza, e con tutti i suoi livelli: ai servi, già esistenti, il conte aggiunse tutti i Saraceni che non erano stati passati a fil di spada, o che erano fuggiti. Molti di loro, residenti da molto tempo nella regione, avevano rinunciato alle abitudini guerriere della loro razza, si erano sposati, e coltivavano le terre di cui si erano impossessati: furono ridotti in schiavitù, e la loro discendenza restò nella stessa condizione, come si può vedere dal testamento di Romée di Villeneuve, che, nel 1250, ordinò la vendita dei Saraceni che gli appartenevano: Item volo quod

omnes Sarraceni et Sarracenae de Villanova vendantur.76

Ma fondando in Provenza un ordine sociale e politico nuovo, il conte doveva anche organizzare i diritti degli abitanti che non erano fuggiti di fronte all'invasione araba, ed avevano mantenuto il possesso dei loro beni, ed anche mettere fine alle usurpazioni, risultato inevitabile della confusione creatasi durante l'ultimo secolo.

I monasteri e le diocesi possedevano prima dell'invasione delle numerose proprietà: ne rivendicavano ora il possesso, ma tutti i titoli di proprietà erano stati distrutti nel disastro dell'invasione, ed i monaci e i vescovi non avevano altro mezzo per provare i loro diritti di proprietà che il giuramento, e la testimonianza degli anziani, che avevano conoscenza dell'antico stato delle cose. In certe zone, la confisca derivata dall'invasione saracena era così antica, che nessuno era più in grado di distinguere i beni della Chiesa da quelli dei privati. È quello che era successo notamente per il territorio di Frejus.

Riassumendo, il De Rey assume,un profilo più determinato e moderno del Reinaud:

● contesta certe fonti ecclesiastiche, caratterizzate da accuse spropositate nei confronti dei Saraceni, e non suffragate da prove: posizione diversa dal Reinaud.

● ipotizza che i reali autori di numerose scorrerie fossero gli Ungari piuttosto che i Saraceni, si smarca dal Reinaud, che aveva citato le disgrazie causate dagli Ungari, ma non che fossero gli autori di saccheggi attribuiti a Saraceni: con questo punto incomincia il ridimensionamento del ruolo attribuito ai Saraceni.

● Dichiara che dei cristiani collaboravano ed interagivano con i Saraceni durante le loro incursioni: stringevano alleanze, assoldavano guide, pagavano traditori77.

● Afferma che i Saraceni non avevano organizzato la loro potenza in una maniera stabile e regolare: non avevano costituito un nuovo governo, come in Spagna; non esigevano imposte e non amministravano la giustizia: in effetti erano come accampati in Provenza, e non deposero mai le armi e ipotizzando che se alcuni di loro si dedicarono all'industria e all'agricoltura, lo fecero mescolandosi alla popolazione sottomessa e quasi confondendosi con essa; ed invece di imporre ai vinti le leggi arabe, avevano in parte adottato i costumi

76 Ibidem p. 192, nota 1: Ibidem, p. 257. 77 Ibidem, p. 117.

cristiani.

● Precisa che l'autorità del re di Arles78 era sempre ufficialmente riconosciuta in Provenza, e

gli atti erano datati in base agli anni del loro regno; ma in effetti conservavano del potere solo lungo la valle del Rodano, ad Arles, e Avignone.

● Opta per un moderato ridimensionamento delle responsabilità saracene: accetta il giudizio di Liutprando che i Saraceni non erano il problema minore di re Ugo.

● Tentenna nel rifiuto delle leggende sull’espulsione dei Saraceni: pur dimostrando prudenza, citandole, offre a delle storie non suffragate da prove irrefutabili, ma basate principalmente sulle tradizioni popolari, un palco ed un pubblico che le tramanderà per generazioni.

Capitolo IV