• Non ci sono risultati.

1.4.1:Boris Eltsin e gli “oligarchi”

La situazione del sistema dei mezzi di comunicazione andò rapidamente complicandosi nella Russia nata dalla ceneri del regime comunista: dopo le riforme economiche del 1992, l’aumento di costo nella produzione dei giornali portò ad una drastica diminuzione della circolazione, soprattutto di quelli circolanti a livello nazionale, al di fuori delle aree metropolitane più grandi, e di Mosca in particolare. La perdita di circolazione colpì soprattutto i quotidiani, ma, poiché alla caduta del regime, tali tipologie di giornali erano le meno diffuse, molte testate con uscite più vicine al settimanale o al mensile riuscirono a rimanere sul mercato fino a quando la situazione non si ristabilizzò definitivamente, dopo aver assorbito lo sconvolgimento del passaggio di regime e del caos economico. Calcolando i dati

97

Si veda l’articolo “The dog days of the Soviet Union: the coup” http://opendemocracy.net/od- russia/rodric-braithwaite/dog-days-of-soviet-union-coup

statistici generali, cioè di tutti i giornali definiti in russo “gazeta”, termine che non permette di distinguere tra diversi livelli di periodicità (accomunando quindi per esempio i giornali quotidiani ai mensili), il calo risulta meno evidente per quanto accentuato, e gli anni che fecero registrare il peggior livello di circolazione furono il 1993 e il 1994, con dati rispettivamente di 580 e 577 copie per 1000 abitanti.

Per dare un’idea dell’importanza di tali dati, occorre fare un paragone con la circolazione di giornali nel 1990, prima del crollo del regime, dove ancora si registravano 1116 copie ogni 1000 abitanti, e con le cifre del 1998, di 850 copie ogni 1000 abitanti. Ma se invece si calcolano i dati dei soli giornali quotidiani e settimanali, che nel 1990 erano di 1108 copie ogni 1000 abitanti, i dati per il 1993 sono di 463, per il 1994 di 443, e la ripresa risulta molto più lenta, a tal punto che nel 199798 si arriverà a solo 580 copie per 1000 abitanti, tornando a calare successivamente, con solo 460 copie nel 2000. La circolazione dei giornali nazionali quotidiani passò dagli 80 milioni di copie del 1990, ai 5 milioni del 1998, e quella dei quotidiani regionali e locali dai 24 milioni ai 9 milioni. Anche i dati dei giornali settimanali vedono un calo dei nazionali dai 33 milioni ai 14 milioni, mentre i regionali risultano crescere dai 27 ai 48 milioni di copie. Come già detto le cause di questi cali nella circolazione dei quotidiani furono soprattutto di natura economica. Una popolazione sempre più povera (11,4% nel 1991, salito già a 23,4% nel 1992), con un costo dei giornali improvvisamente più alto per l’assenza di aiuti statali, fu la causa principale del crollo di circolazione nei primi anni. Anche la grande diffusione dei giornali con uscite spostate oltre il livello settimanale, e verso quello mensile, o anche le pubblicazioni

98

irregolari, prima del 1990 molto più rare, furono una conseguenza della crisi. La percentuale di lettori regolari di almeno un giornale calò dall’81% al 68% tra il 1992 e il 1993, e tra il 68% dei lettori regolari la frequenza dei giorni in un anno dedicati alla lettura ebbe un calo drastico, passando tra gli uomini dai 200 del 1990, ai 109 del 1994, e tra le donne dai 165 ai 95 per lo stesso periodo, proprio ad indicare che la preferenza del pubblico era diretta ormai quasi totalmente verso giornali diversi dai quotidiani. Significativo anche il dato relativo a coloro che non leggevano più alcun tipo di giornale: il 9% nel 1993, salito molto rapidamente al 22% del 1997. Nonostante il generale abbassamento delle percentuali di lettori abituali, il mercato dei giornali ebbe un’importante evoluzione dopo la caduta del regime comunista, iniziando a differenziarsi come mai era accaduto: mentre molti giornali continuavano a rivolgersi al pubblico nella sua totale genericità, altri iniziavano invece a specializzarsi nella conquista di fette di mercato specifiche, rivolgendosi a particolari minoranze o élite di lettori. Anche i giornali nazionali più importanti, nel tentativo di inserirsi in precisi mercati locali, tentavano di creare appositi inserti studiati per far concorrenza a determinati concorrenti. Inoltre, molti giornali si legarono strettamente ad alcuni gruppi politici o economici impegnati nella lotta per il potere che caratterizzò la Russia in quegli anni di incertezza. Anche il mercato delle riviste fu costretto ad aggiornarsi: molte di queste, come la rivista “Ogonek”, caduta in gravi difficoltà economiche, tali da farle perdere il 90% della circolazione posseduta durante il periodo sovietico, cambiarono radicalmente i propri contenuti, “alleggerendoli”, abbandonando la scrittura di lunghi pezzi di saggistica, per passare ad articoli brevi e precisi, cercando in tal modo di adeguarsi ai nuovi gusti del pubblico, ma tradendo i propri

lettori più fedeli. Soltanto per ciò che riguarda le agenzie di stampa, lo stato mantenne una posizione di monopolio grazie al controllo su “ITAR-TASS” e “RIA”, almeno nella prima metà degli anni Novanta99.

Un altro fenomeno riguardante tutti paesi dell’Est Europa dopo la caduta dei regimi comunisti, quello del controllo straniero dei mezzi di comunicazione, in Russia, in controtendenza rispetto ai paesi vicini, fu poco diffuso. La proprietà straniera, presente solitamente nella forma di edizioni russe di riviste di altri paesi, restò infatti limitata. Per le televisioni, invece, la legge proibiva il controllo straniero di reti televisive che coprissero almeno il 50% dell’area o della popolazione russa, e questo fattore da solo limitò drasticamente il fenomeno. Ma l’elemento della possibile influenza straniera sui media, resterà comunque fortemente radicato nell’opinione pubblica. In un periodo caratterizzato dalla corsa dei mezzi di comunicazione verso il raggiungimento di una propria indipendenza e libertà, questo sarà per il pubblico un generatore di incertezza che porterà l’indice di fiducia della popolazione nei media dal 70% del 1990, al 13% del 2000. Ma i principali elementi di fastidio provati dal pubblico nel considerare il nuovo sistema dei mezzi di comunicazione, saranno in realtà la possibile vicinanza a uomini d’affari, percepiti come corruttori, la mercificazione dei sentimenti, e la pubblicità occulta. L’esplosione numerica dei media, e l’incremento della loro libertà, erano cambiamenti che rendevano quasi automatico per il pubblico russo dubitare su chi e che cosa manovrasse i nuovi attori, abituato com’era ad avere un punto di riferimento nella stabilità e nell’organicità del sistema di media statali sovietici. Soltanto la convinzione dello stesso

99

pubblico che la grande libertà del nuovo sistema fosse comunque un elemento positivo in grado di portare nel lungo periodo ad un aumento notevole dell’obiettività dei giornalisti, compensava questo calo di fiducia100.

Privata di solide strutture istituzionali di riferimento, la Russia divenne, più di ogni altro paese occidentale, il terreno di scontro di grandi compagnie, aziende, ed in generale attori economici, che percepirono come fondamentale, per la difesa dei propri affari, e per la stabilità di un sistema economico e sociale che stava garantendo loro ricchezza, il possesso dei media. Le compagnie che controllavano i media si politicizzarono sempre più, trovando in qualche modo un ruolo come sostituti dei partiti, raccogliendo capitali per tali attività, e iniziando a rivolgersi a particolare tipologie di pubblico, come si trattasse di potenziali elettori; si svilupparono anche attività di lobby dalle quali dipendeva il variare della posizione del media stesso su molte tematiche. Il sistema dell’informazione, a ridosso dell’anno 2000, si era ormai strutturato su tre livelli più uno (il livello della “rete”): 1) il primo livello, il più importante, quello comprendente l’insieme di tutti i mass-media elettronici russi, che creava un unico grande ambiente per l’informazione del paese; a questo livello i media era controllati da capitali politicizzati o erano di proprietà statale; ne facevano parte i canali televisivi centrali, che potevano raggiungere la gran parte del paese, e la “stampa di qualità” (“quality newspapers101

) di Mosca; quest’ultima, con veri e propri “influence newspapers”, giornali che miravano ad influenzare in un determinato modo il pubblico, per quanto poco potente come estensione e circolazione, era

100

Jukka Pietiläinen, “The Regional Newspaper in Post-Soviet Russia”, op. cit., pp.126-127

101

politicamente indispensabile, perché forniva le basi argomentative quotidiane con le quali veniva alimentato anche il sistema dell’informazione televisiva che era in grado di colpire più estesamente la popolazione; 2) il secondo livello, quello di stampa e mass media elettronici di ampiezza regionale e interregionale, costituito da pubblicazioni, televisioni e radio di tipo commerciale. Esso era formato dalla stampa locale e da tutte quelle emittenti radio e televisive che non riuscivano a raggiungere un livello di comunicazione nazionale, risultando per questo meno attraenti per gli investitori politici. Nonostante ciò, in un primo periodo, fino alla fine degli anni Novanta, queste emittenti regionali attiravano molta pubblicità, e finivano talvolta per lavorare al fianco dei mezzi di informazione nazionali grazie a precisi investimenti politici; 3) il terzo livello era quello di media elettronici e stampa regionali, solitamente sotto il controllo di amministrazioni locali, elemento che rifletteva non solo il legame tra autorità e mezzi di informazione tipico del paese, ma anche la difficile situazione economica di quegli anni, più sentita lontano dalle grandi città del paese. Nelle aree regionali e provinciali si faceva sentire maggiormente il peso della distribuzione del potere reale, e la tradizione autocratica era più forte e radicata che nel resto del paese; 4) il livello di Internet rappresentava una vasta piattaforma di canali utilizzabili dal sistema di politica e media, e la percezione di questa possibilità comunicativa lo rese uno dei settori più commercializzati dalla fine degli anni Novanta102.

In un sistema di media che provava ad avvicinarsi sempre più al modello occidentale americano, ma che presentava grandi divisioni

102

Ivan Zasurskiĭ, “Media and power in post-Soviet Russia”, New York, M.E. Sharpe, 2004, pp. 107-110

non tanto tra gruppi politici, quanto tra gruppi d’affari, con capitali politicizzati in grado di controllare sempre più fette di mercato, mentre le reti televisive somigliavano sempre più a partiti politici, si venne a stabilire uno strano rapporto col potere, per cui i due più grandi magnati dei media di quel periodo, Vladimir Guzinsky e Boris Berezovsky, supportarono attivamente Boris Eltsin nelle elezioni presidenziali del 1996, creandosi una posizione di potere per la quale poterono in seguito chiedere diritti di trasmissione e privatizzazioni di canali televisivi. Con uno stato ormai troppo debole per controllare i media, questi iniziarono ad esercitare una pressione a cui difficilmente i governi potevano resistere, soprattutto durante i delicatissimi periodi elettorali. In generale, i giornalisti russi erano consapevoli di lavorare sotto un certo controllo politico e lo consideravano inevitabile. Indubbiamente vi era un pluralismo che era riuscito a frantumare le posizioni ideologiche del passato, ma si trattava per certi aspetti di un pluralismo delle posizioni di gruppi di affari e finanziari, un pluralismo non istituzionalizzato e dipendente dai contrasti o dalle alleanze presenti nel gruppo degli “oligarchi”. Anche a livello regionale e locale, dove la crisi economica si era abbattuta più duramente, ci fu un proliferare di media non originato dalla domanda del pubblico, ma dalla domanda di uomini d’affari e politici, desiderosi di avere un proprio strumento di comunicazione, soprattutto quando erano sufficientemente ricchi da poterlo mantenere in modo autonomo. Il sistema dei mezzi di comunicazione russo si confermava caratterizzato da un’assenza di volontà riformatrice da parte delle autorità accompagnata dal desiderio dello stato di non voler lasciare i media totalmente isolati, senza però volerli finanziare efficacemente. A questo si aggiungono un alto livello di corruzione e una corsa

iniziale rapidissima dei privati all’acquisto di proprietà che prima erano statali. Il sistema dei mass-media fu salvato dagli effetti della crisi economica solo per la volontà degli “oligarchi” di impadronirsene come strumento utile ai propri interessi, in un periodo politico di incertezza dominato dalla debolezza di un esecutivo che, nella figura di Boris Eltsin, con i suoi problemi di salute e la mancanza di una visione politica adeguata, finì per privatizzare selvaggiamente un sistema e creare quei gruppi di potere che guidarono la politica fino all’avvento di Vladimir Putin103

.