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Con la sua “glasnost”, l’epoca di Gorbačëv spazzò via il mondo della stampa illegale o “sommersa”, rappresentato dal fenomeno sociale dei “samizdat”, cioè della pubblicazioni in proprio, scoppiato durante la dittatura di Stalin come reazione all’evidente manipolazione delle informazioni da parte del potere. La profondità delle riforme della seconda metà degli anni Ottanta, fu tale che un fenomeno ormai ben radicato da più di trent’anni cessò di esistere. All’origine delle pubblicazioni illegali vi era stata la percezione da parte delle masse che le informazioni più importanti non avessero alcun mezzo per raggiungerli. Inoltre una parte consistente di popolazione poteva testimoniare che i fatti riportati sui giornali e le dichiarazioni dei politici erano assolutamente false, suffragando tali affermazioni con prove derivanti dall’esperienza diretta di eventi contrari o comunque diversi da quelli comunicati. Inoltre i “samizdat” erano utilizzati dalla

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gran parte degli intellettuali dissidenti, essendo questo l’unico modo possibile per comunicare idee diverse da quelle dominanti nel paese. Gli editori erano molteplici, e l’organizzazione era resa difficoltosa dai controlli e dalle aspre pene che potevano colpire chiunque producesse o anche soltanto diffondesse tali materiali. Alcune pubblicazioni però raggiunsero un livello di circolazione e organizzazione tali da farsi un nome proprio, come la “Cronaca degli Eventi Correnti”87

, uno dei più importanti giornali illegali del periodo sovietico. Nonostante la sua scomparsa alla fine degli anni Ottanta, l’importanza del fenomeno “samizdat” è stata notevole per il completarsi delle riforme di Gorbačëv: scomparse le pubblicazioni illegali, rimanevano infatti ancora vivi e attivi tutti quei dissidenti che ne erano stati gli autori, e che portarono avanti e sempre più allo scoperto le loro battaglie ideologiche e sociali, influendo sulla scelte politiche del periodo conclusivo dell’URSS e l’inizio dell’epoca successiva. Bisogna però ricordare che non si trattò mai di veri e propri giornalisti, ma piuttosto di “attivisti”(ad esempio molti confluiranno successivamente in ONG per i diritti umani), e non lasciarono quindi un contributo significativo all’evoluzione del giornalismo professionale. Inoltre non possedevano neppure la capacità e la comprensione politica che potessero consentire loro di approfittare della “glasnost” e della successiva caduta del regime per irrompere all’interno del sistema mediatico e ritagliarsi un ruolo differente88.

Per ciò che riguarda gli ultimi sviluppi degli organismi di censura sovietica, questi furono all’insegna di una sempre minore influenza in

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Si veda http://www.memo.ru/history/diss/chr/index.htm

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R. Horvath, “The Legacy of Soviet dissident. Dissident, democratization and radical nationalism in Russia”, Rutledge, Taylor & Francis Group, Abingdon, 2005, pp.2-3

una società profondamente cambiata: il primo agosto 1990 il principale organo responsabile della censura della stampa, il “Glavlit”, fu abolito nel rispetto di una nuova legge sulla stampa che diventava attiva da quella data. Fu rimpiazzato fino al luglio del 1991 dal “GUOT”(Amministrazione principale per la Protezione dei Segreti di Stato nei Mass Media”), poi subito chiuso perché, secondo una ormai fortissima opposizione, esso era contrario a quella legge sulla stampa che aveva reso illegale il suo predecessore. In particolare, dal primo agosto 1990 fu illegale proprio la pratica della censura preventiva, molto utilizzata dal “Glavlit” in precedenza, la cui specializzazione riguardava soprattutto la prevenzione della pubblicazione di materiale proibito. Il suo scopo era proteggere l’interesse dell’apparato politico sovietico, e soprattutto nell’epoca di Breznev, la lista degli argomenti che non potevano essere toccati, contenuta in un libro chiamato “Talmund” o “compendio” era molto lunga. Conteneva già allora circa 400 pagine di materiali89. Il “Talmund” era un piccolo manuale, in continuo aggiornamento, che entrava nei dettagli degli argomenti vietati, divisi in categorie proibite: 1) disastri naturali in URSS; 2) disastri causati da errori umani, difetti meccanici, problemi ed errori tecnologici in URSS; 3) dettagli riguardanti gli stipendi di membri del governo o del Partito; 4) paragoni tra la remunerazione e gli stipendi dei cittadini sovietici e il prezzo dei beni; 5) informazioni su rialzi dei prezzi di beni o servizi anche se regionali o stagionali; 6) notizie su aumenti tra gli standard di vita dei paesi non allineati al blocco sovietico; 7) resoconti sulla scarsità di scorte alimentari; 8) qualunque tipo di dato statistico non approvato dall’Ufficio Statistico Centrale; 9) il nome di qualunque agente operativo del KGB a parte il presidente

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del comitato; 10) i nomi dei lavoratori dell’ex Comitato per le Relazioni Culturali con i Paesi Stranieri, ad eccezione del presidente del comitato; 11) foto aeree di qualunque città sovietica o coordinate riguardanti qualunque centro abitato nell’URSS; 12) riferimenti di qualunque tipo al “Glavlit” e al disturbo delle emittenti radiofoniche straniere; 13) riferimenti a nomi di alcune figure politiche eliminate dal regime90. Tramite strumenti come il “Talmund”, il “Glavlit” controllava dal 1922, anno della sua fondazione, anche arte, teatro, cinema, radio e poi televisioni. Molto importante era anche il controllo su materie sensibili come il nucleare, i programmi spaziali, il settore militare. Subordinato al Consiglio dei Ministri dell’URSS, il “Glavnit” lavorava al fianco delle organizzazioni di propaganda e di diffusione delle notizie. Al di la della sua funzione primaria di censura preventiva, in realtà il “Glavlit” risultava molto meno efficace nella sua funzione di censura “attiva”: il sistema sovietico, che tramite Partito e governo entrava in ogni mezzo di comunicazione con personale politicizzato e di fiducia, riduceva le possibilità che qualcosa “andasse storto” ai livelli inferiori, e la maggior parte della censura era, essenzialmente, una auto-censura. La possibilità dell’intervento del “Glavlit” era un deterrente psicologico molto forte, ed in questo aveva la sua funzione principale di censura “attiva”, ma per il resto non era altro che l’ultima, e solitamente meno utilizzata, arma a disposizione della censura. Ovviamente, già con l’avvento della “glasnost”, anni prima della sua formale scomparsa, molti giornalisti iniziarono a considerarlo un organismo “morto”, e anche la

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Jonathon Green, Nicholas J. Karolides, “Encyclopedia of Censorship”, Infobase Publishing, New York, 2009, p.268

componente di timore psicologico che poteva suscitare nel passato, era ormai svanita91.

Quella che per il “Glavlit” fu la sentenza di morte, la famosa Legge sulla Stampa del primo agosto 1990, è stata una svolta epocale nel mondo dell’informazione sovietico. Quello che era stato rimproverato a Khrushchev, cioè di non aver fatto nulla per tradurre in legge quelle poche concessioni di trasparenza e libertà concesse durante il suo governo, fu posto in essere soltanto da Gorbačëv, dopo cinque anni di “glasnost”. Nonostante le critiche dei giornali liberali dell’epoca, che rimproveravano alla riforma di non aver minimamente intaccato il dominio economico del Partito sui media, la legge apri il mondo dell’informazione a ondate di giornali e pubblicazioni non collegate al Partito e indipendenti, o appartenenti a nuove formazioni partitiche. Dopo la caduta dell’URSS, nel 1992, il parlamento riprenderà proprio questa legge, perfezionandola ulteriormente e facendola propria. Dopo l’approvazione della legge nel 1990, iniziò ad essere considerato reato qualunque interferenza con l’attività professionale dei giornalisti. Fino a quando un giornale non avesse toccato alcuni argomenti-limite, come l’incitamento alla rivoluzione armata, pregiudizi religiosi, persecuzioni razziali, o non avesse svelato segreti di stato, sarebbe stato impossibile attaccarlo in maniera legale. Alla fine, si passò dal “pluralismo socialista” fortemente auspicato da Gorbachev, al “pluralismo liberista”, segno che la situazione era andata fuori controllo. La legge fu in definitiva percepita come una vittoria per i liberali, ma la loro contestazione iniziale sul perdurare di un monopolio del Partito su tutto ciò che riguardava le fabbriche e i macchinari per la stampa e il monopolio sulla produzione della carta,

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si fece sempre più pesante. Il Partito infatti poteva ancora bloccare le pubblicazioni dei suoi avversari semplicemente sabotandoli economicamente. Ma una legge sulla stampa non poteva da sola risolvere il problema dei principi fondamentali del regime, che non poteva ancora concepire la proprietà privata, e per il quale solo il Partito poteva appropriarsi dei mezzi di produzione. Vi era dunque una grande libertà politica, accompagnata però nella pratica dall’assenza di libertà economiche, almeno inizialmente. Ciononostante la legge ebbe altri meriti, come quello di disarticolare dai loro padroni molti giornali che fino a quel momento erano stati i portavoce di importanti organi istituzionali o di partito. Nella pratica, con la Legge sulla Stampa era stato fondato un “quarto potere” finalmente libero e indipendente92.

La “glasnost” interessò anche la struttura interna dell’Unione dei Giornalisti. Prima della riforma, l’Unione non era altro che una delle varie emanazioni del Partito, addomesticata dal potere come cane da guardia ideologico del regime. Il presidente dell’Unione era di regola l’editore della “Pravda”, e, dunque, un membro del Partito incaricato dal Comitato Centrale. All’inizio del periodo riformatore di Gorbačëv, la posizione dell’Unione era anti-“glasnost”, e totalmente favorevole alla linea conservatrice di Ligachev. Nell’arco di tempo compreso tra il 1985 e il febbraio 1991, dove, dopo il suo ultimo congresso, la vecchia struttura si disintegrò per lasciare il posto alla nuova, l’Unione affrontò un periodo di grande instabilità e cambiamento. Mentre il partito si polarizzava, anche l’Unione viveva contrasti interni tra presidenti e giornalisti, e i congressi si facevano via via più difficoltosi e i toni accesi. Tra i vari problemi messi in evidenza dai giornalisti, vi

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era la chiara ed ingiusta non corrispondenza di comportamento tra le amministrazioni locai e quelle centrali: per i giornalisti locali e i giornali più piccoli, era molto più difficile riuscire a scrivere ciò che si voleva, perché i membri del Partito locali potevano approfittare del clima di spaccatura e polarizzazione a livello centrale per abusare delle proprie posizioni conservatrici o riformiste, estremizzandole, e zittendo coloro che dal proprio punto di vista potevano costituire una minaccia o un fastidio nel territorio da loro amministrato. Dalla parte opposta della gerarchia dei giornali, stavano invece quelli di livello nazionale, che avevano assai più libertà espressiva, più di tutti il “Sovetskaya Rossiya”, controllato dal Comitato Centrale del Partito. In generale, l’aumento della diffusione delle testate maggiori a discapito di una forte diminuzione di quelle locali, fu la conseguenza di tale disparità di trattamento. Quando finalmente nel febbraio 1991 l’Unione si sciolse per rifondarsi all’insegna della “glasnost”, per la prima volta il suo presidente, Eduard Sagalaev, fu nominato tra i giornalisti attivi e non tra i membri del Partito fedeli al Comitato Centrale, di cui anzi era un chiaro avversario, manifestando pubblicamente le sue idee politiche come vicine ad una “sinistra democratica” contraria al sistema politico sovietico. Nello statuto della nuova Unione si stabiliva la sua indipendenza dai partiti e la sua organizzazione su base confederale per dare più autonomia a tutte le sue componenti regionali e locali. Sagalaev ebbe un ruolo molto professionale e attivo nel primo periodo di vita della nuova Unione: sentendosi responsabile della rappresentanza degli interessi di tutti i giornalisti, si impegnò personalmente nel risolvere sia importanti problemi economici, come il problema delle paghe dei giornalisti, sia problemi sociali, come la rielaborazione del ruolo della stampa in una

società in rapido cambiamento. Sagalaev era in prima fila ad ogni incontro con i membri del Partito per difendere l’indipendenza dei giornalisti, mentre dall’altra parte gli veniva risposto che era necessario che i giornali fossero “più precisi” nel riportare le notizie: erano gli ultimi blandi e disperati tentativi di Gorbačëv e del Partito di contenere l’impulso distruttivo-rigenerativo di un sistema di mezzi di informazione che ormai era sfuggito loro di mano. La situazione, subito dopo la caduta del regime, divenne sempre più dinamica, a tal punto che nemmeno l’Unione riuscì più ad averne una visione d’insieme: Sagalaev, dopo essersi buttato nel mondo della televisione, iniziò ad essere troppo occupato nel guidare la sua rete per poter prestare il solito interesse al rapido evolversi di un sistema mediatico dove i giornalisti iniziarono a divorarsi reciprocamente per sopravvivere, conquistare fette di mercato e sottrarre pubblico e lettori agli avversari. Già nessuno aveva più tempo da perdere con sindacati e Unione dei Giornalisti93.