Le principali caratteristiche dei mezzi di comunicazione sovietici si possono quindi rintracciare soprattutto nei primi anni del periodo rivoluzionario, fortemente influenzate dal pensiero di Lenin e da una situazione di grande instabilità e sperimentazione durante il Comunismo di Guerra e la NEP. Soprattutto dopo l’inizio di quest’ultima, oltretutto, gran parte delle misure repressive del Decreto sulla Stampa imposto da Lenin non trovarono più giustificazione, essendosi ormai esaurita la situazione di emergenza precedente, e la libertà di espressione permise allora apertura prima impensabili.
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Quello che Lenin non fu in grado di prevedere, fu lo sviluppo successivo di un giornalismo che lui stesso volle legare strettamente al Partito Comunista, e che dunque rispecchiava anche le minime variazioni politiche negli equilibri interni dello stesso, in particolar modo, l’affacciarsi al potere di una personalità come quella di Stalin. Quando iniziò la sua inarrestabile ascesa, a partire dal 1920, le sue doti di organizzazione, di spietatezza e la sua capacità politica sovrastarono ampiamente quelle di rivali come Trotsky e Bukharin al punto che, lo stesso Lenin, poco prima di morire nel 1924, considerò disastrosa la leadership di un uomo così rude e spietato. La rapidità con cui Stalin riuscì ad avere il pieno controllo dei mezzi di comunicazione sovietici, è direttamente proporzionale a quella con la quale impose la sua guida all’interno del Partito. Partito e mezzi di comunicazione erano infatti strettamente connessi dal periodo leninista; la censura voluta da Stalin, non solo bloccava ogni voce di protesta nella società, ma si ritorceva contro lo stesso Partito Comunista, eliminando ogni forma di pluralismo interno: “La stampa era sorda non solo alle critiche e alle diffamazioni dei nemici, il che era abbastanza comprensibile, ma anche alle critiche provenienti dal Partito sulle perversioni politiche, economiche e culturali che abbondarono negli anni del culto…Egli rivolse il monopolio sulla stampa del Partito contro il popolo e il Partito stesso.”54
Le qualità socialmente utili della stampa, pur nei limiti della censura sovietica, sotto Stalin furono interamente strumentalizzate col fine di migliorare la sua personale presa sul potere. Quella funzione di denuncia tramite la quale la stampa poteva criticare la mancata applicazione delle politiche sovietiche, scomparve. Venne a mancare
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anche la possibilità per i lettori dei giornali di risolvere i propri problemi quotidiani rivolgendosi agli editori. Quell’avvicinamento ad un qualche forma, seppur controllata, di trasparenza, di “glasnost”, che anche lo stesso Lenin si augurava (non si tratta del solito concetto politico espresso successivamente da Mikhail Gorbachev), si interruppe. Lenin infatti, pur tra mille difficoltà, e pur predicando un severo controllo dei media, aveva dichiarato: “Il nostro primo e principale mezzo per accrescere l'auto-disciplina dei lavoratori e per superare i vecchi e inutili metodi di lavoro, […]deve essere la stampa, rivelando le carenze nella vita economica di ciascuna comunità lavoratrice, marchiando spietatamente queste carenze, mettendo a nudo con sincerità tutte le piaghe della nostra vita economica, e quindi richiedendo all'opinione pubblica dei lavoratori una cura di queste piaghe.”55
Al contrario di Lenin, Stalin uniformò tutto il sistema dei media alla sua volontà. la sua, che al contempo divenne l’unica rilevante all’interno del Partito Comunista. Le differenze tra i vari giornali, che avevano caratterizzato i media in un quadro più pluralistico, finirono per sparire: il giornale “Izvestiya”, per esempio, che rifletteva la linea ufficiale del governo sovietico, cominciò a diventare sempre più simile alla “Pravda”, il principale giornale del Partito Comunista. Mentre Lenin aveva usato la stampa per migliorare l’immagine dello stato sovietico e potenziare i contatti tra lavoratori e Partito, Stalin usò i media per costruire il culto della sua personalità56.
I famosi corrispondenti del mondo dei lavoratori o del mondo rurale che lavoravano per la stampa, i “rabselkor” che avrebbero dovuto
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Brian McNair, “Glasnost, Perestroika and the Soviet Media”, op. cit., p.23
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garantire un contatto tra Partito e popolo, incentivando i metodi virtuosi di organizzazione e produzione nell’industria, nell’agricoltura e nell’amministrazione pubblica, furono trasformati in agenti della polizia di stato: il loro compito divenne quello di sradicare i “nemici del popolo” anche negli ambienti lavorativi dove erano infiltrati, all’occorrenza fingendosi comprensivi con i compagni che avessero idee divergenti da quelle del Partito per denunciarli successivamente alla polizia con il maggior numero possibile di loro “complici”. I “rabselkor” del periodo stalinista iniziarono ad essere soprannominati “izherabselkor” o “bugiardi-rabselkor”57
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Stalin tentò di rendere il partito una “organizzazione monolitica”. All’interno dello stato e della società, tutto doveva dipendere da esso, e si fece in modo che già nel 1930 non esistessero più voci discordanti dalla sua. L’uniformità stilistica dei giornalisti era ormai totale per paura dell’atmosfera repressiva e fortemente ideologizzata che permeava tutto. Anche cambiare semplicemente il linguaggio col quale si scriveva un articolo, in un contesto totalmente omogeneo, sarebbe stato immediatamente notato dalla censura sovietica, ed era per un giornalista qualcosa di equivalente ad una auto-denuncia. In questo nuovo clima gli eventi negativi smisero di diventare notizie, semplicemente sparivano dai media come se non fossero avvenuti a meno che non avessero un’utilità politica diretta per Stalin o i suoi collaboratori. In questa atmosfera oppressiva, Stalin continuava a celebrare pubblicamente il suo appoggio alla trasparenza al fine di guadagnare posizioni e consensi nella lotta intra-partitica. Ma quella “glasnost” auspicata prima da Lenin, acquisiva ora segretamente un significato deformato, diventava strumento utile al regime per scoprire
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i propri nemici ed eliminarli sistematicamente. I media persero gran parte della loro funzione di denuncia del malfunzionamento del sistema produttivo socialista, diventando soprattutto un mezzo per scoprire screditare pubblicamente gli avversari. Per questo fu coniato anche uno specifico e grottesco linguaggio fatto di insulti sempre aventi come riferimento denigratorio gli avversari. Era con appellativi come “trotskista” o “bucharinista”, e l’aggiunta di aggettivi ben precisi come “degenerato”, “deviato”, “ultrasinistroide”, “sabotatore”, che veniva screditata sui giornali l’immagine pubblica di un rivale all’interno del Partito, associandola a quella dei precedenti avversari già eliminati58. Importantissima fu la pubblicazione sulla stampa dei processi farsa con i quali periodicamente Stalin si sbarazzò dei suoi nemici interni: si trattava di veri e propri eventi pubblici, dove i giornalisti avevano un ruolo fondamentale nel preparare l’opinione pubblica all’evento, che si manifestava nel loro stretto rapporto con il partito ed i giudici. Per un giornalista era impensabile anche solo dubitare delle correttezza di un processo e di una sentenza “politica” contro un “nemico del popolo”. Un’altra funzione dei media divenne in quel periodo tenere calma la popolazione spiegando con persuasione i motivi delle purghe e la severità dei provvedimenti del governo. Inoltre, con la fine della NEP, la collettivizzazione dell’agricoltura e l’avvio di un’industrializzazione su larga scala del paese, la stampa cominciò a occuparsi di statistiche e cifre relative agli aumenti di produzione. Si insisteva sul rispetto delle scadenze imposte dal partito, sull’assenza di ritardi nella produzione, sulla fiducia in un progresso, sui ritmi accelerati che in generale venivano dati allo sviluppo del paese grazie alle politiche di Stalin. Ovviamente
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statistiche e dati erano falsamente manipolati qualora non fossero stati corrispondenti alle previsioni del governo perché chiunque avesse diffuso messaggi di sfiducia sarebbe stato considerato come un “nemico del popolo”. Lo “stachanovismo” era la nuova linea di sviluppo imposta ai lavoratori e celebrata ovunque dalla stampa. Spesso i dirigenti di industrie cercavano tra i propri lavoratori uno “Stakhanov”, un eroe del lavoro, da consegnare alla stampa affinché questa lo potesse pubblicamente celebrare in modo tale da coprire i propri insuccessi nella gestione della produzione o per nascondere gravi problemi negli standard di vita dei propri lavoratori. Tutta impegnata nella ricerca di “eroi del lavoro”, record statistici di produzione, e invenzioni di falsi dati economici, la stampa divenne un’entusiasta sostenitore del governo, cercando di trasmettere questo entusiasmo alle masse lavoratrici favorendo un’atmosfera di competizione nel raggiungimento di migliori risultati economici. Per i giornalisti in molti casi fu particolarmente difficile seguire la volontà politica di descriver un mondo immaginario dominato dalla fede nell’ideologia e nel progresso sovietico. La realtà degli eventi che la stampa si trovò di fronte in quegli anni era infatti molto differente, soprattutto in occasione delle proteste popolari degli anni Trenta contro le strategie di collettivizzazione. L’esempio più clamoroso di tale resistenza fu la lotta nelle campagne ucraine di milioni di contadini a cui il governo centrale sequestrò sistematicamente i raccolti, producendo, forse tramite una carestia programmata (non vi sono ancora sufficienti prove per stabilirlo) uno dei più grandi disastri della storia sovietica(“Holodomor”59, letteralmente “portare la morte attraverso la fame) tra il 1932 e il 1934 in Ucraina, che interessò
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diversi milioni di persone, causando un numero di vittime ancora incalcolabile con certezza. A contrario della carestia che colpì il paese nel 1921-22 a causa degli anni di mala gestione delle risorse causata dal Comunismo di Guerra, alcuni autori parlano della carestia degli anni ’30 in Ucraina come di un vero e proprio genocidio programmato (altri rigettano l’ipotesi del genocidio, parlando piuttosto di crimine contro l’umanità60
). Alla luce di questa sua probabile natura calcolata, è comprensibile come per tale carestia, al contrario della precedente, non sia stata prodotta alcuna notizia né analisi dai media dell’epoca. Il fenomeno di totale assenza di copertura giornalistica si inserisce comunque nella normale procedura di selezione delle notizie di quegli anni, per la quale vigeva una sorta di regola non scritta, che si può riassumere nella formula “una brutta notizia non è una notizia”61
. Molte altre caratteristiche del linguaggio giornalistico di quegli anni devono essere comprese alla luce della strategia comunicativa di forzato ottimismo che caratterizzava l’intero sistema. Si diffusero ad esempio specifiche pratiche giornalistiche di celebrazione della figura di Stalin, dipinto spesso come una celebrità o una divinità, e facenti parte di quella programma mirante alla creazione del culto della personalità. La disumanizzazione del personaggio trasformato in idolo, avveniva tramite tecniche di sistematico inganno dei lettori, per esempio ricorrendo a falsificazioni di lettere pubblicate sui giornali da inesistenti lavoratori che si rivolgevano direttamente a Stalin con un linguaggio assurdamente adulatorio. Anche qui le espressioni rituali, come per gli insulti contro i nemici, sembravano seguire regole precise e codificate: Stalin era quindi “guida dei popoli”, “padre e
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Si veda http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&reference=P6-TA-2008- 0523&language=EN
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maestro” o “ispiratore e organizzatore delle nostre vittorie”. Grande risonanza era data alle notizie relative ai cambi di nome di luoghi pubblici, città, fabbriche, musei, soprattutto quando in questi nuovi nomi era presente la parola “Stalin”(per esempio quando la città di “Carycin”, oggi chiamata “Volgograd”, fu ribattezzata “Stalingrado”, nel 192562). Nella cura dell’immagine del leader enorme importanza avevano anche le foto a tal punto che i negativi di quelle che lo ritraevano venivano analizzati da lavoratori specializzati con l’ausilio di lenti di ingrandimento per rintracciare qualunque imperfezione nella sua figura, che avrebbe dovuto essere corretta prima di essere pubblicata, oppure essere sostituita da foto migliori.
Paradossalmente la Seconda Guerra Mondiale, fu per la stampa, il momento di maggiore libertà dell’epoca stalinista. L’attenzione del governo, soprattutto nei primi anni di guerra, fu tutta concentrata sullo spostamento di industrie nel cuore della Russia, e il riassestamento del sistema produttivo, mentre al contempo si cercava in tutti i modi di fermare la Blitzkrieg tedesca che puntava dritta verso Mosca, Leningrado e il Caucaso. Tentare di mentire sull’entità delle sconfitte iniziali era cosa vana, tanto era lampante l’enorme perdita di vite umane, mezzi e territori durante i primi mesi dell’Operazione Barbarossa. I giornali ricominciarono a dare “notizie”: si informavano le popolazioni delle città circa le perdite causate dai raid aerei tedeschi, si calcolavano le perdite tra i soldati e tra i volontari, si parlava di eventuali agenti infiltrati e dei tentativi di sabotaggio, si riportavano le date degli scontri e le cifre dei soldati coinvolti. Ovviamente tutta questa “verità” veniva somministrata dalla stampa al fine di aumentare il patriottismo e la resistenza del popolo sovietico, e
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per alzare il morale delle truppe63. Dal punto di vista dei mezzi di comunicazione, il periodo della guerra non fu però molto florido: innanzitutto, un minor controllo da parte del governo, non significò comunque la fine della paura di essere considerati “nemici del popolo” da parte dei giornalisti, che anche quando non censurati attivamente, preferivano limitare da soli il proprio spirito critico. Inoltre la campagna dei media tutta all’insegna del patriottismo fu decisamente voluta dagli stessi giornalisti, senza necessità di stimoli dall’alto, e per quanto il clima permettesse loro di liberare un minimo di creatività fino ad allora duramente repressa, il linguaggio preferì codificarsi ancora in formule semplici e ripetute. Nel periodo della guerra, si ebbe, ovviamente, un netto crollo dei lettori come della circolazione dei giornali, e i livelli pre-guerra furono raggiunti nuovamente solo nel 195164. Alla fine del conflitto la situazione ritorno ai livelli di controllo precedenti, e l’ultima ondata di repressione che andò dal 1948 al 1953 riportò quell’atmosfera di paura che impedì al giornalismo investigativo di svilupparsi, al linguaggio di evolversi. Dai giornali il paese risultava nuovamente essere in pieno sviluppo economico, mentre le macerie della guerra, i morti, il problema dei prigionieri e i movimenti di resistenza dei paesi occupati dall’Armata Rossa e guidati da governi fantoccio semplicemente non erano mai presi in considerazione. La stampa era così obbediente da diventare auto-censoria: la capacità dei media di auto-regolarsi, per non essere colpiti dalla censura degli organi preposti al controllo, si era così
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John Murray, “The Russian Press From Brezhnev To Yeltsin”, op. cit., p.22
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affinata da rendere il Glavlit (l’Agenzia appunto preposta alla censura) quasi superfluo65.