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Uno degli argomenti su cui attuare un maggiore controllo mediatico da parte del governo russo è stato certamente quello relativo agli episodi di terrorismo che hanno devastato il paese dalla Prima Guerra Cecena in avanti. Occorre ricordare che l’ascesa di Putin fu direttamente proporzionale al modo deciso con cui seppe affrontare da subito la crisi cecena. Sono in molti ad interrogarsi sul motivo per cui il controllo e la censura governativa siano aumentati esponenzialmente durante i periodi di maggiore tensione per gli eventi ceceni e gli attentati terroristici che li accompagnarono. Mentre si può ragionevolmente pensare che il governo fosse preoccupato dal fatto che la diffusione di notizie così sensibili avrebbe potuto turbare l’opinione pubblica, creare fenomeni di panico, produrre indignazione, costituire atteggiamenti provocatori o indebolire l’immagine del governo stesso, è altrettanto ragionevole considerare il contesto russo e osservare gli avvenimenti alla luce delle sue caratteristiche distintive. Per esempio considerare la crisi cecena e il terrorismo come un’occasione imperdibile per il governo russo di imporre misure di censura e controllo dei media avendo a proprio favore una ragione più che legittima. La “Doctrine of Information Security” approvata nel 2000 è un chiaro segnale di come venisse considerata già da tempo la libertà di espressione. La scusa del terrorismo sembrava perfetta per la richiesta rivolta da Putin a tutti i media di servire il paese e di non “danneggiarlo”. Una richiesta che per molti risuonò come una minaccia. Quando Putin diede l’incarico a Sergei Yastrzhembsky (fidato esponente della vecchia “famiglia” di Eltsin) di gestire tutte le informazioni governative riguardanti la guerra cecena, dopo aver

accettato l’incarico lo stesso dichiarò: “quando la nazione mobilita le sue forze per svolgere un compito, [questo] impone obblighi su chiunque, inclusi i media”32. La “Doctrine of Information Security” e la dichiarazione di Sergei Yastrzhembsky rappresentano i due atteggiamenti tipici della società russa: quello ufficiale, e quello non ufficiale. La prima, in quanto documento politico facilmente comprensibile, implicava che le leggi che ne sarebbero derivate avrebbero seguito le sue linee guida, sempre però nel rispetto dei diritti costituzionali e delle altre leggi presenti. La seconda, indicava invece che le élites al potere avevano intenzioni che andavano ben al di là di quelle che avrebbero dovuto essere le prerogative e gli atteggiamenti di un governo democratico e rispettoso dei diritti costituzionali. Si può dire che questo fu, per l’era Putin, il momento di principale ed iniziale chiarimento su quali sarebbero stati i rapporti tra politica e mezzi di comunicazione nel futuro. Dopo questa dichiarazione, le attività di censura prese dal governo furono numerose e totalmente arbitrarie. Un chiaro esempio fu l’impedire la diffusione di informazioni riguardanti l’attacco al Dubrovka Theatre nell’Ottobre del 2002, informazioni relative soprattutto alla gestione della tragedia nel periodo successivo all’evento, agli errori commessi dalle autorità, e ai disagi patiti dai parenti delle vittime e dai sopravvissuti. Quando la stazione radio “Ekho Moskvy” pubblicò sul proprio sito l’intervista ad uno dei terroristi, seguirono minacce da parte del governo per la rimozione della stessa. Quando la rete televisiva “Moskovia TV” mostrò le immagini degli ostaggi o i corpi di cittadini russi che venivano trascinati fuori dal teatro già morti per

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G. Simons e D. Strovsky, "Censorship in Contemporary Russian Journalism in the Age of the War Against Terrorism: A Historical Perspective.", op .cit., pp. 201-202

gli effetti del gas rilasciato dalle forze speciali nell’edificio, le autorità decisero di spegnerla per 15 ore come punizione33. Questi sono solo alcuni esempi dell’atteggiamento delle autorità verso i media, soprattutto nei periodi di maggior stress sociale e politico, in concomitanza con attacchi terroristici o grandi scontri armati in Cecenia. La tendenza a nascondere informazioni, a censurare mezzi di comunicazione, a minacciare i giornalisti e ad imporre sanzioni economiche, fu la principale causa del riemergere del fenomeno dell’auto-censura34

. Questo non solo a livello nazionale e per i fatti riguardanti il terrorismo, ma soprattutto a livello regionale, dapprima in Cecenia e nelle zone circostanti, dove la censura calava su fatti relativi a violazioni di diritti umani, violazioni della legge, atteggiamenti autoritari ed arbitrari da parte delle autorità, episodi di corruzione. Successivamente la censura si è allargata, per gli stessi atteggiamenti ripetuti in altre parti del paese da uomini di potere o dalle autorità, come se tutti a quel punto fossero autorizzati ad utilizzare la scusa del terrorismo per poter arbitrariamente esercitare i propri poteri. Il conflitto ceceno è rimasto però la più grande sfida affrontata dal giornalismo russo dopo la caduta del regime sovietico. In tale contesto far sparire qualcuno, uccidere, torturare e violare i diritti umani era estremamente facile non solo per i “terroristi”, ma anche per le autorità e i soldati russi nei confronti dei cittadini ceceni e di coloro che venivano considerati “scomodi”, come spesso capitava ai giornalisti. Le cifre parlano di un numero di sparizioni compreso tra le 3000 e le 5000. Solo recentemente, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha giudicato il governo russo colpevole per la sparizione di

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G. Simons e D. Strovsky, "Censorship in Contemporary Russian Journalism in the Age of the War Against Terrorism: A Historical Perspective.", op .cit., p.203

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36 cittadini russi di origine cecena, “scomparsi” tra il 2000 e il 200635 . Molti giornalisti hanno trovato la morte in Cecenia. Molti hanno rischiato di morirvi più volte ma sono riusciti a tornare per testimoniare quale fosse stata la condotta delle autorità e il dramma sociale che in Cecenia si stava consumando. Tra quei giornalisti vi era Anna Politkovskaja.