Il Sistema dei partiti in Russia è nato all’insegna del pluralismo, in radicale contrasto con la situazione ereditata dal regime sovietico. Proprio per questa rivoluzionaria rottura col passato, ha seguito un percorso particolarmente accidentato che ha causato ulteriori sconvolgimenti tra gli anni Novanta e la fase successiva al 2000 segnata dalla presidenza di Vladimir Putin. La natura presidenziale del sistema russo è da subito sembrata assai diversa da quella di altri sistemi presidenziali democratici, avendo un processo di elezioni e legittimazione posto fuori dalla logica stessa del sistema partitico: invece di una scelta di candidati alla presidenza interna ai partiti, con conseguente competizione a livello nazionale, in Russia si verifica il fenomeno per cui sono gli stessi partiti ad emergere attorno a guide forti, rimanendovi successivamente legati e dipendenti. E mentre nella maggior parte dei regimi presidenziali i leader sono connessi almeno formalmente ai partiti ed al loro funzionamento, in Russia i partiti legati a tali leader sono formati velocemente subito prima delle elezioni, e tutto il loro funzionamento e la loro legittimazione politica dipendono fortemente dal candidato presidente1.
Il sistema partitico precedente all’avvento di Putin si caratterizza dunque per la grande frammentazione e per la rapida composizione di partiti attorno ad élites, piuttosto che partendo da concrete fratture socioeconomiche. L’assenza di una società e di un elettorato sicuri di sé, ma anzi confusi ed incerti, contribuisce al formarsi di nuovi partiti
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Si veda articolo di Evald Mikkel “The Russian party system” presente sul sito http://www.ut.ee/ABVKeskus/?leht=prognoosid&aasta=2006&keel=en&dok=partysys
ad ogni tornata elettorale e soprattutto a decentralizzare il potere a livello locale, dove élites e gruppi in grado di sostenersi e trovare risorse al di fuori dei partiti possono dominare incontrastate. Per molti osservatori questo era il quadro di una situazione politica in rapida evoluzione, e quindi destinata a non poter durare per molto tempo. Questo è il motivo per il quale a molti, dal 2000, sembrò che l’avvento di Putin potesse finalmente soddisfare quella domanda di centralizzazione e di creazione di nuove élites federali che potessero rendere finalmente stabile l’intero sistema permettendo ai partiti di avere un ruolo più importante e di iniziare a formare politiche di coalizione in un contesto competitivo.
Ma se è vero che la centralizzazione e la stabilizzazione furono al centro del primo mandato di Putin, non si può dire lo stesso riguardo al livello di competizione tra i partiti. Si assistette piuttosto all’aumento spropositato dell’influenza del potere presidenziale e alla creazione di un monopolio da parte di quel partito che di volta in volta reggeva l’intero sistema grazie al supporto del presidente, ottenendo un vero monopolio del potere, il cosiddetto “party of power” (“partito di potere”). In realtà la presenza di “partiti di potere” era già stata riscontrata durante la presidenza di Eltsin, ma nelle elezioni del 1993 e del 1995 questi partiti non furono in grado di ottenere una maggioranza significativa, non diventarono protagonisti della scena politica, e finirono ogni volta per disintegrarsi alle successive elezioni parlamentari. La situazione si stabilizzò soltanto nelle elezioni parlamentari del 1999, quando i candidati a tale ruolo di “potere” furono identificati nella coalizione “Fatherland – All Russia”, che ruotava soprattutto intorno alle figure di governatori regionali, e nel partito “Unity”, sostenuto dal governo e quindi dalla “famiglia” di
sostenitori di Eltsin. “Unity” ebbe una crescita esplosiva, anche grazie alla martellante offensiva mediatica contro il rivale, capitanata tra gli altri da Boris Berezovsky, ottenendo un 23,3% dei voti a dispetto del disastroso 13,3% di “Fatherland – All Russia”. Le pressioni della “famiglia” risultarono decisive anche nella successiva elezione presidenziale di Vladimir Putin, dove gli avversari vennero schiacciati a tal punto da essere inglobati alla fine del 2001 nel partito “Unity”, dando vita al nuovo partito politico “United Russia”, che, grazie al supporto di Putin, da quel momento (e fino ai giorni nostri) diventerà l’unico vero “partito di potere”, consacrato ufficialmente a tale ruolo dopo il risultato delle elezioni parlamentari del 20032.
Dunque le caratteristiche dello sviluppo del sistema russo diventano più evidenti alla luce del contesto di rafforzamento dei poteri presidenziali. Il percorso di formazione del “partito di potere” inizia ad emergere con Eltsin, ma si interrompe per i contrasti del presidente con il parlamento. In tale periodo Eltsin preferì spesso ignorare il parlamento lasciando ad esso ed al partito un ruolo marginale. Si verificavano così fenomeni come la mancanza di corrispondenza tra i seggi in parlamento e la scelta del primo ministro e dei membri del governo. Questo disinteresse del presidente per i partiti permise però agli stessi di preservare un certo grado di pluralismo nel sistema, ed iniziarono ad emergere legami tra la base dei votanti e i partiti che cercavano di rappresentali. In qualche modo questo avvicinamento tra base e partiti provò anche a cercare legami ideologici e i partiti si schierarono nuovamente sugli assi destra-sinistra, spaziando da forze democratiche alla ricerca di cambiamento e riforme, fino ad andare
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Si veda documento “Russian Analytical Digest No 19/2007”, pp. 2-4 presente sul sito http://www.css.ethz.ch/publications/pdfs/RAD-19-12-14.pdf
verso i nostalgici della vecchia ideologia sovietica. Vi erano dunque premesse per le quali la situazione politica avrebbe potuto svilupparsi diversamente da come avvenne in realtà dopo le dimissioni di Eltsin, soprattutto per la mancanza di iniziali e chiare manifestazioni da parte di Putin del proprio progetto politico, principale causa delle illusioni di molti osservatori sulla possibilità che ad una stabilizzazione si accompagnasse anche un buon livello di competizione. Ma anche se in una prima fase della sua presidenza egli non sembrava possedere un’idea chiara degli obbiettivi verso i quali esercitare il suo potere, successivamente si manifestarono piani più precisi, soprattutto in seguito allo scadere del suo secondo mandato nel 2008, che Putin stesso ritenne inevitabile nel rispetto della scadenza prevista dalla Costituzione. Prima dello scadere del suo mandato il suo obiettivo fu chiaramente quello di cercare modi alternativi di esercitare il potere. La sua scelta si concretizzò negli sforzi atti a stabilire un sistema dove un partito dominante avrebbe monopolizzato sia il potere esecutivo sia quello legislativo. Il leader di questo partito, oltre a poter raggiungere altri posti chiave del potere nel paese, sarebbe stato in grado di ritagliarsi ampi margini di intervento sui processi politici decisionali riguardanti argomenti critici. Il primo cambiamento di fondamentale importanza ottenuto dall’avvento al potere di Putin è stato dunque una drastica diminuzione del numero dei partiti. Il partito dominante (“party of power”) è ovviamente il perno attorno a cui ruotano gli altri partiti, quasi privi di potere rispetto ad esso. Fondamentale è però la loro presenza per legittimare l’intero sistema come democratico: almeno due o tre partiti principali sono indispensabili per creare un’illusione di democrazia. La combinazione migliore per creare questa percezione è quella che si traduce nella competizione tra un
partito di centro, uno di centro-sinistra e uno di centro-destra. Occorrono inoltre alcuni meccanismi per raggiungere lo scopo: 1) mettere in pratica un controllo efficace e nascosto dei partiti e delle legge elettorali per limitare le opportunità di accesso dei partiti minori e impedirne la creazione di altri; 2) il supporto e lo schieramento del presidente per alcuni partiti simpatizzanti; 3) forzare il sistema dei mezzi di comunicazione, soprattutto di quelli nazionali televisivi, a concentrare la propria attenzione solo sui partiti “favoriti”; 4) imporre limitazioni ai poteri regionali, come avvenuto con la legge voluta da Putin per la nomina presidenziale dei governatori al posto della precedente nomina con elezione diretta.
Le politiche di Putin si sono quindi concentrate nell’utilizzare al meglio questi meccanismi, creando già dal suo primo mandato una drastica riduzione del numero di partiti e una concentrazione di potere e popolarità attorno al suo “partito di potere”. I dati di questo calo sono rappresentati dal contesto delle elezioni del 2007, dove solo 10 partiti con influenza nazionale si sono potuti qualificare come reali partecipanti nella gare elettorale, in netto calo rispetto ai 23 partiti del 2003, ai 26 del 1999 e agli addirittura 43 del 1995. Nel garantire questi risultati, sono stati molto importanti i cambiamenti legislativi dell’era Putin, che tra le altre cose hanno portato al requisito di soddisfacimento di una quota minima di almeno 50000 membri iscritti per poter rendere legale un partito, hanno introdotto una soglia di sbarramento del 7% e il divieto di formare coalizioni. Inoltre ancora più fondamentale è stato il supporto indiretto del presidente verso alcuni partiti, e il controllo presidenziale sempre più forte sulle autorità regionali. Il risultato delle politiche di Putin è stato dunque quello di un potenziamento dei controlli governativi. Per rafforzare
queste modifiche, Putin ha inoltre puntato molto sulla mobilitazione extra-partitica portata avanti da organizzazione giovanili aventi l’obiettivo di supportare il “partito di potere” del presidente, United Russia (Russia Unita). La capacità di Vladimir Putin di creare un meccanismo che supportasse al meglio le sue personali idee politiche si è dunque perfezionata nel corso degli anni, e se nel 1999 egli fu certamente aiutato dalla “famiglia” di consiglieri e “oligarchi” facenti riferimento a Eltsin, dalle elezioni del 2003 si può constatare come tutto il contesto partitico fosse già stato in gran parte rivoluzionato e poi stabilizzato a suo piacimento nel breve lasso di tempo del suo primo mandato presidenziale. Per fugare ogni dubbio che il principale partito di centro sinistra (il Partito Comunista), potesse in qualche modo aspirare a diventare guida di un’opposizione compatta contro il suo “partito di potere”, Putin manifestò più volte il suo supporto per partiti alternativi di centro-sinistra che tendevano ad appoggiare politiche nazionaliste care agli alleati di Putin. Partiti di questo genere furono per esempio “Rodina”, più propensi al compromesso rispetto al Partito Comunista. Nelle elezioni del 2003 per il parlamento, Putin marginalizzò fortemente i partiti di destra che erano stati moderatamente critici del suo operato accusandolo di eccessivo autoritarismo, come Union of the Right Forces (Unione delle forze di destra) e “Yabloko”, e lasciò intuire che altri partiti come “Rodina” avrebbero potuto competere per ottenere il suo supporto, anche se in realtà Putin continuò successivamente ad appoggiare fortemente “United Russia”3
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Questo sistema partitico è stato definito da alcuni “Dresden Party System”: si tratta di un doppio riferimento, sia alla Repubblica
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Democratica Tedesca (RDT), sia al fatto che Putin conoscesse molto bene quel contesto durante il suo servizio a Dresda per conto del KGB negli anni Ottanta (sul quale nei media è stata fatta molta propaganda4). La RDT aveva infatti un sistema dominato dal Partito Socialista Unificato di Germania, totalmente dipendente dal controllo sovietico, ma immerso in un contesto politico che le autorità cercavano di far apparire democratico, dove altri partiti fingevano di competere tra loro per l’ottenimento del potere, mentre in realtà erano formati da politici che supportavano comunque lo status quo senza costituire una reale minaccia per chi deteneva il potere. I tentativi di Putin di creare o appoggiare nuovi soggetti politici che invece di competere attivamente finiscono per ruotare attorno al “partito di potere” United Russia, appare a molti come la prova che durante il suo lavoro per il KGB a Dresda egli abbia compreso bene come manipolare la realtà facendola apparire democratica senza che lo fosse realmente5.
La creazione di un partito, normalmente, è il modo in cui i politici cercano di raggiungere il potere democratico attraverso il voto popolare. In Russia, la creazione di un “partito di potere” è invece un modo per chi il potere democratico lo ha già, di raggiungere un potere non democratico, introducendo un elemento di controllo potentissimo in un sistema partitico, alterandone gli equilibri, e falsificando le future competizioni. Il “partito di potere” ha tre particolarità: 1) ha un’organizzazione a “guida esterna”, da parte del governo, cioè non è guidato in realtà dai membri o dalle élites che lo compongono, ma da
4 Si veda l’articolo di Andrew Osborn “Vladimir Putin saved KGB offices from East German
looters” su http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/russia/6455858/Vladimir- Putin-saved-KGB-offices-from-East-German-looters.html
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individui esterni ad esso, come se si trattasse di un’azienda di proprietà di una grande “holding”, che può rimuoverne e rimpiazzarne i membri da qualunque livello e a piacimento; 2) non ha alcuna ideologia chiara, non deve fare alcuna chiarezza sulle proprie posizioni politiche riguardo ai grandi temi ideali attorno a cui ruota di solito una competizione politica, perché tradirebbe in tal modo il suo ruolo di strumento del governo, ponendo ad esso un vincolo sulle sue scelte politiche. Il governo desidera avere la più ampia libertà di scelta possibile, per cui il suo strumento non può essere vincolato da un’ideologia: deve essere aperto a qualunque ordine gli sia imposto dall’alto, e deve essere pronto, nel caso, a passare da “destra” a “sinistra” e viceversa con la massima rapidità possibile. Il “partito di potere” appoggerà dunque la figura del presidente a prescindere dalle scelte da egli fatte; 3) paradossalmente, è un partito che non governa: i suoi politici, soprattutto coloro che sono stati eletti in parlamento, sono meri esecutori di ordini impartiti dall’esterno, non hanno alcuna indipendenza, e non hanno alcun ruolo nell’adottare nuove politiche. Eccezion fatta per membri del governo federale o regionale con incarichi di rilievo che entrano nel partito come pura formalità, la maggior parte dei politici sono poco ricompensati da incarichi diversi da quelli interni al partito, in quanto non considerati fondamentali ma al contrario facilmente sostituibili nel loro ruolo di semplici sostenitori del governo, e la loro fortuna non dipende dall’essere membri del partito ma unicamente da vicende personali. Dunque, raramente nelle loro fila si potrà formare una élite dirigente. La loro importanza si limita al fare pressioni all’interno della Duma affinché siano approvate le politiche del governo, per le quali fanno ricadere su di sé ogni responsabilità politica al solo scopo di tutelare coloro che le
hanno prodotte e la loro reputazione nel caso si rivelino fallimentari o impopolari. Analizzate queste tre caratteristiche si può dire che, se il Partito Comunista durante il regime sovietico era un “party-state”, oggi il “partito di potere” United Russia è piuttosto uno “state-party”6
. Secondo molti, nella creazione di un regime autoritario, la scelta di creare un “partito di potere” è un investimento di lungo periodo per Putin e l’intero gruppo dirigente che lo sostiene, perché anche se si tratta di un processo più difficile e che richiede più investimenti politici per essere redditizio, risulta alla fine molto più stabilizzante della scelta di breve periodo di basarsi sull’investimento in una precisa personalità politica. Su quale sia la composizione di questo gruppo dirigente salito al potere con Putin, molti osservatori esterni parlano dei cosiddetti “Siloviki” (“persone di potere”), personaggi che hanno sviluppato le proprie carriere nelle forze armate, nella polizia, nelle agenzie militari, nel KGB. Sembra facile un paragone con il rapporto tra “oligarchi” ed Eltsin del passato, ma in questo caso non si parla più di una élite economica in grado di manipolare le scelte dei vertici del governo (per quanto una élite economica di “oligarchi” sia attiva anche dopo l’avvento di Putin al potere). Si tratta piuttosto di uno stretto rapporto tra differenti “clan” in cui questi professionisti della “forza” si dividono all’interno delle istituzioni creando particolari equilibri di potere. Lo stesso Vladimir Putin fa parte di questo mondo in quanto ex membro del KBG. Per questo alcuni si riferiscono al regime di Putin con l’appellativo “militocracy”7.
Un’ultima considerazione riguardo al sistema dei partiti è quella relativa ai cambiamenti che hanno fatto seguito alle ultime tornate
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Richard Sakwa, “Power and Policy in Putin's Russia“, op. cit., pp. 42-44
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elettorali. Dopo la grande ondata di proteste seguita alle elezioni parlamentari del 2011, il presidente Medvedev ha deciso di approvare nel 2012 una serie di modifiche alla legge elettorale che potessero ridurre le limitazioni riguardanti la formazioni di nuovi partiti, il loro accesso al sistema, le soglie di sbarramento, ed in generale molti di quegli elementi che avevano portato ad un abbassamento del numero dei partiti durante la presidenza di Putin8. A questo evento hanno fatto seguito ulteriori proteste durante le elezioni presidenziali del 2012, dove Putin è tornato a riproporsi come presidente della Federazione. Per quanto il governo abbia stroncato la gran parte delle opposizioni, appare chiaro che l’idea di una società russa che voglia ancora posporre la stabilità alla libertà potrebbe essere ribaltata nei prossimi anni. Fenomeni come quelli riguardanti le Pussy Riot, le proteste di “Bolotnaya Square”, l’arrivo nel panorama politico di figure come Aleksei Navalny, hanno attirato non solo l’attenzione internazionale, ma anche quella della società russa, da tempo assuefatta all’assenza di opposizione9. Per quanto i dati di elezioni e sondaggi mostrino ancora come il controllo di Putin sul sistema politico sia forte, (anche per il fatto che l’opposizione non riesce ancora a formare un blocco compatto a causa delle divisioni interne) gli avvenimenti recenti hanno portato a fenomeni come la creazione da parte di Putin del “People’s front” poco prima delle elezioni parlamentari del 2011. Si tratta di un movimento creato per supportare “United Russia”, aggregando ad essa organizzazioni non governative e pezzi di società civile in grado di rivitalizzare il “partito di potere”, non tanto per
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Si veda l’ articolo di David Herszenhorn “Russia to Ease Law on Forming Political Parties” presente sul sito http://www.nytimes.com/2012/03/24/world/europe/russia-eases-law-on- political-parties.html
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Si veda il documento di Karmo Tüür e Viacheslav “Russian Federation 2014 Short-term prognosis”, pp.23-26 su http://www.ut.ee/ABVKeskus/sisu/prognoosid/2014/en/pdf/RF2014.pdf
salvarlo dalla mediocrità dei suoi rappresentanti politici e dall’etichetta di strumento corrotto del governo, quanto per risollevare l’immagine di Putin tramite l’utilizzo di personaggi famosi che lo supportino pubblicamente nelle sue liste, personaggi provenienti dal mondo dello sport e dello spettacolo, che possano prestare a lui la propria fama per inaugurare con successo quello che si prevede come un altro lungo periodo di presidenza di Putin (dal 2012 fino al 2024, altri due mandati di sei anni)10. Mettendosi nel 2013 alla guida del movimento da lui creato, Putin ha inoltre dato l’impressone a molti che “People’s front” possa in seguito sostituire “United Russia” come “partito di potere”, nel caso quest’ultimo risulti eccessivamente compromesso da scandali e fallimenti agli occhi dell’opinione pubblica11. Un ultimo elemento di cambiamento rispetto al passato è il recupero di un atteggiamento ideologico da parte di Putin, riguardo a temi da sempre importanti per la società russa, come l’immigrazione, il rispetto delle tradizioni e dei valori morali, la lotta contro l’omosessualità, e non ultimi il nazionalismo e la politica estera, soprattutto quella accompagnata da atti di forza pratici, come i recenti casi della Crimea e dell’Ucraina dimostrano. Atteggiamenti in grado di rialzare la reputazione del presidente nei sondaggi e in grado di garantirgli il supporto di ancora grandi fette di popolazione nel futuro12.
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Si veda articolo di Vladimir Ryzhkov ” Why Putin Created All-Russia People's Front” sul sito http://www.themoscowtimes.com/opinion/article/why-putin-created-all-russia-peoples-