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Con la morte di Stalin, mentre una parte della popolazione, totalmente plasmata dalla stampa di pura propaganda da lui voluta, lamentava la perdita del più grande statista sovietico, molti iniziarono a provare finalmente un senso di libertà e di distensione, per quanto l’insicurezza per le sorti del Partito e le sue lotte interne minasse in parte questa sensazione. L’incertezza sulla successione al leader indusse la stampa ad essere prudente e ad evitare accuratamente di analizzare il terreno politico sul quale si stavano muovendo i futuri candidati alla guida del Partito. Tutte le manovre di partito vennero trattate con estrema prudenza, evitando quasi sempre di dare informazioni complete, nomi o date esatte. Eventi come per esempio l’eliminazione di Berja non ebbero alcuna copertura giornalistica e solo i lettori più attenti poterono notare inizialmente la sua scomparsa, osservando eventi collaterali che avrebbero previsto la sua partecipazione e dai quali egli fu improvvisamente escluso, come il caso dello spettacolo al Teatro Bolshoi, al quale erano invitati, come in altri eventi, i maggiori dirigenti del Partito, la cui lista fu pubblicata dal giornale “Pravda” il 28 giugno 1953, dopo che da essa fu rimosso proprio il nome di Berja, un nome ben impresso nella mente dei lettori data la sua presenza costante in quasi tutti gli eventi dell’era stalinista.

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Mentre vari membri del partito collegati al precedente periodo stalinista o coinvolti nelle nuove lotte per il potere venivano emarginati, la stampa continuò in un primo tempo ad adottare il solito linguaggio denigratorio ed i soliti codici dell’epoca stalinista66

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Da una lotta contro altri esponenti del Partito, Nikita Khrushchev uscì vincitore e da subito dimostrò una volontà di riformare da applicarsi anche al linguaggio dei media: non sarebbero più stati accettati i toni, le semplificazioni, le banalizzazioni e le forme tipiche della comunicazione in epoca stalinian. Nel 1956 fu creata l’”Unione dei giornalisti” con lo scopo di ridar vita alla professione giornalistica, e fu fondato un nuovo giornale, il “Sovetskaija Rossija”(Russia Sovietica). Khrushchev non alterò i rapporti tra Partito e media, ma permise il diffondersi di un “pragmatismo sociale”, cioè di un livello di critiche accettabile da parte della società, che potesse, come avveniva prima di Stalin, migliorare l’operato del Partito e delle sue politiche. Fu permesso anche un “liberalismo culturale”, cioè l’accettazione di una varietà di metodi possibili nell’esprimere la cultura socialista, rigettando quindi i precetti dell’ortodossia stalinista67.

Al di la di questi buoni propositi di riforma dei media, nella pratica la condotta di Khrushchev si rivelò non di rado ambigua. Innanzitutto, già dal famoso “discorso segreto” tenuto durante il Ventesimo Congresso del Partito Comunista, nel 1956, in cui denunciava i crimini di Stalin, egli vietò che fosse divulgata qualunque informazione alla stampa. E mentre nel resto del mondo, grazie ad una fuga di notizie, si seppe da subito dell’esistenza di un evento di tale

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John Murray, “The Russian Press From Brezhnev To Yeltsin”, op. cit., p.23

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portata, l’URSS dovette aspettare la “glasnost” del 1989 per venirne a conoscenza. Invece del “discorso”, Khrushchev permise alla stampa la sola pubblicazione di una risoluzione del Partito riguardante il rigetto del culto della personalità, il tutto con la solo funzione propagandistica di dimostrare la capacità del Partito di criticare sé stesso ed i propri errori per evolversi e rafforzarsi ulteriormente. Nonostante ciò, la notizia fu alquanto sconvolgente per l’opinione pubblica dei paesi del blocco sovietico, portando a ondate di proteste rivoluzionarie in Polonia e Ungheria nello stesso anno. I dirigenti sovietici dei paesi occupati furono presi dal panico e la situazione ungherese richiese l’intervento dell’Armata Rossa, mentre i media dovettero cercare di distorcere gli eventi tra mille difficoltà dopo aver cercato inutilmente di negarli nella fase iniziale. I media conservavano però sempre quello speciale legame col vertice del Partito così fortemente potenziato da Stalin e una prova di ciò fu la decisione di Khrushchev di nominare editore del giornale “Izvestiya” il trentacinquenne, nonché suo genero, Alexei Adzhubei. L’impatto sul mondo della stampa si fece sentire: Alexei si impegnò fortemente per rompere la struttura monolitica dei giornali più diffusi ereditata dal periodo stalinista, ridando a giornali come il “Pravda” o il “Izvestiya” una loro precisa sfera di competenza. Il linguaggio del suo giornale cercò di essere più letterario e meno ufficiale. Le maggiori differenze con la “Pravda” rimasero però di forma più che di contenuto. Alexei non brillò nemmeno per la capacità di critica, ma almeno si ricominciarono a manifestare critiche ad alcune parti delle politiche di governo. Ma i limiti di Khrushchev apparvero evidenti. Per quanto egli avesse tentato di spingere la stampa a sviluppare posizioni più critiche, lui stesso aveva un bagaglio politico fortemente influenzato

dall’epoca stalinista. Inoltre il suo istinto tollerante, mal si conciliò col suo carattere autoritario. Per questa ragione avevano assai più autorevolezza le sue richieste di supporto mediatico durante i suoi continui viaggi e comizi in svariate località del paese, mentre cercava di promuovere le sue riforme economiche, non sempre coronate da successo. Proprio per gli insuccessi delle sue politiche, egli stesso percepiva l’appoggio dei mezzi di comunicazione come fondamentale, e involontariamente costringeva quella stessa stampa a cui aveva chiesto di essere più critica nei suoi confronti, a salvare il successo delle sue politiche, e la stessa tenuta del regime, pubblicando articoli con grandi manipolazioni di dati, statistiche e falsi resoconti economici come avveniva durante l’epoca stalinista.

La libertà di espressione era ancora assente. Nonostante nomine di editori importanti come Alexei dimostrino un’apertura, occorre ricordare il fatto che era il Partito a porli alla guida dei giornali e non erano loro ad avere l’ultima parola sul fatto che si potesse o meno pubblicare qualcosa, soprattutto quando si trattava di materiale potenzialmente dannoso per il regime: era sempre il Partito a dare, in definitiva, il permesso di pubblicare. A questi problemi, si aggiunge il fatto che lo stesso Khrushchev iniziò a crearsi una sorta di culto della personalità, per quanto assai limitato come propositi e lontanissimo dal livello semi-divino a cui Stalin aveva abituato stampa e masse68. Nonostante questi limiti, l’intellighenzia del paese, incoraggiata a mostrarsi nuovamente grazie ad un’atmosfera più rilassata, iniziò ad identificare il periodo di Khrushchev come un vero e proprio

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“disgelo”69

. Sfortunatamente, la tolleranza dei vertici di Partito che permise in effetti maggiori aperture verso gli intellettuali non fu mai corroborata da una reale riforma legislativa, e così dalla caduta di Khrushchev nel 1964, il “disgelo” lasciò il posto ad un atteggiamento nuovamente conservatore della nuova dirigenza, e già dal 1966 il regime di Brezhnev e Kosygin tentò di ritornare ad un ortodossia che doveva essere rispettata dai giornalisti che avevano a cuore la propria carriera professionale70.