• Non ci sono risultati.

Calcolo dei costi ambientali in base al processo LCA

CAPITOLO 2. LIFE CYCLE THINKING

2.4. VERSO L’INTEGRAZIONE DELLE DUE METODOLOGIE: ENVIRONMENTAL LIFE CYCLE

2.4.3. Calcolo dei costi ambientali in base al processo LCA

Prima di procedere con l’esposizione delle principali tipologie di valutazione economica delle esternalità, vi è tuttavia l’esigenza di evidenziare le modalità di individuazione dei fattori di emissione oggetto di studio attraverso cui sarà possibile effettuare una valutazione economica delle esternalità.

Come prima cosa, risulta doveroso capire in che modo i vari elementi inquinanti generati durante il ciclo di vita di un prodotto vengono identificati. Le sei sostanze principali individuate come gas ad effetto serra (GHG, Green House Gas), sono: anidride carbonica (CO2), metano fossile (CH4), ossido di azoto (N2O), idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC); esafluoruro di zolfo (SF6).

Il gas ad effetto serra rappresenta un componente gassoso che fa parte dell’atmosfera terrestre, sia per natura che per effetto antropico. Determinate attività e operazioni portate avanti dagli uomini immettono nell’atmosfera elevate quantità di tali sostanze che generano forti disequilibri nocivi per l’ecosistema e sono tra le principali cause dell’effetto serra. Questi famosi sei gas ad effetto serra sono quelli regolamentati dal protocollo di Kyoto, redatto nel dicembre 1997 ed entrato ufficialmente in vigore il 16 febbraio 2005.

La fase di valutazione e rilevazione delle emissioni emesse è di competenza dell’analisi LCA, il cui scopo è quello di individuare il potenziale apporto di un prodotto sul riscaldamento globale, espresso come CO2equivalente. Tale valutazione consiste nella moltiplicazione della

massa dei GHG emessi o rimossi per il GWP100 (Global Warming Potential, 100 anni), dato in unità come kgCO2 equivalenti / kg emissione.

Il Global Warming Potential esprime il potenziale di riscaldamento globale e rappresenta il negativo apporto di un certo gas all’effetto serra, in relazione alla CO2, identificata come

valore di riferimento e con un potenziale pari a 1. Il potenziale di riscaldamento di un certo gas ad effetto serra è inoltre caratterizzato da una forza differente in base al periodo di tempo prescelto per lo studio (di solito, i periodi temporali sono 20 anni, 100 anni oppure 500 anni).

I potenziali di riscaldamento per i gas ad effetto serra presi in considerazione, in un periodo di 100 anni, sono quelli espressi nella figura 23.

Figura 23. Potenziale di riscaldamento dei gas ad effetto serra

Fonte: IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), 2007.

I numeri espressi in figura rappresentano l’impatto dei vari gas serra in relazione alla CO2. Per

esempio, il metano (CH4) ha un potenziale di riscaldamento globale 25 volte maggiore rispetto a quello della CO2: questo evidenzia come una sola molecola di metano contribuisca, in un

periodo temporale di 100 anni, a riscaldare l’atmosfera 25 volte in più rispetto ad una molecola di CO2.

Nell’ultimo decennio sta emergendo sempre più intensamente l’esigenza di rimuovere o quantomeno limitare la dimensione dell’esternalità negative prodotte dalle aziende, che con la crescita industriale e gli impatti ambientali sta acquisendo una portata preoccupante. A tal proposito sono state proposte varie soluzioni, come per esempio gli strumenti di controllo, che si basano su standard ambientali comuni e impongono un limite per il superamento di una certa soglia di emissioni, pena una sanzione pecuniaria, oppure gli strumenti economici di controllo dell’inquinamento, come per esempio le tasse pigouviane (Di Giulio, 2007), modalità di imposta ideata da Arthur Cecil Pigou, che consiste nel “polluter pays principle”, ossia interpretabile come “chi inquina paga”.

Alla base del concetto di Pigou vi è l’idea che coloro che danneggiano le risorse ambientali devono pagare per il deterioramento generato, stimolando di conseguenza il mercato a

generare prodotti nella quantità ottimale in modo tale da massimizzare il benessere collettivo, attraverso appunto l’imposizione di una tassa per unità inquinante uguale al prezzo dell’impatto marginale generato dall’esternalità o uguale al costo marginale dell’inquinamento in prossimità del punto ottimale.

A questo concetto si rifà anche il piano di tassazione energetico-ambientale, dal quale viene esposta la cosiddetta carbon tax, inserita in Italia tramite l’articolo n.8 della legge n. 448 del 23 dicembre 1998, che rappresenta uno dei pochi fattori di conversione attualmente disponibili e grazie alla quale è possibile trasformare in termini monetari la CO2 prodotta espressa in Kg/m^2 anno per ogni componente preso in considerazione.

Tuttavia, se dal punto di vista teorico questo concetto appare trasparente, dal punto di vista pratico risulta essere maggiormente tortuoso. Difatti, per ogni livello di emissione di sostanze dannose risulta difficoltoso calcolare il costo del relativo impatto ambientale, specialmente se si tratta di emissioni di gas serra e i conseguenti cambiamenti climatici.

Oltre a quanto appena detto, sono disponibili ulteriori modalità di valutazione economica delle esternalità relative all’emissioni di sostanze inquinanti; una di queste è rappresentata dall’unità di misura “tep” (tonnellate di petrolio equivalente). La difficoltà principale nel monetizzare le emissioni di gas serra consiste nel fatto che tali emissioni non comportano un costo economico correlato: dal punto di vista contabile una impresa che immette sostanze dannose nell’ambiente non solo non deve procedere all’iscrizione a bilancio del corrispettivo costo, ma frequentemente le attività produttive caratterizzate da elevate quote di inquinamento possiedono anche il vantaggio di essere economicamente più convenienti per l’azienda.

L’identificazione di uno strumento che supporti la quantificazione in termini monetari delle emissioni di sostanze dannose, sebbene esse non rappresentino dei costi dirette per l’azienda, potrebbe stimolare le imprese a porre una maggior attenzione verso il contenimento delle emissioni.

In linea con quanto appena detto, un utile contributo a tal proposito potrebbe dunque essere fornito dal concetto delle tonnellate di petrolio equivalente (tep). Il tep esprime la quantità di energia liberata dalla combustione di una tonnellata di petrolio grezzo e corrisponde circa a 4186 J (joule) (DGSAIE, 2014), ossia 1 tep = 4186 J. Per di più, 1 tep = 2,81

varie emissioni dannose individuate nell’analisi LCA. Essendo a conoscenza dell’equivalente in tep delle emissioni e riconoscendo il prezzo per barile di petrolio, è possibile costruire una misura economica che esprima il costo energetico indiretto sopportato dall’azienda per la generazione delle esternalità negative. Il ricorso a tale modalità di valutazione dei costi presenta una problematica, relativa al fatto che, se la rilevazione delle emissioni dannose possiede un valore negativo, il tep, rappresentando una misura che riguarda la produzione di energia, ha di conseguenza un valore positivo. Tutto questo può essere causa di contraddizioni nell’interpretazione dei risultati. Risulta importante sottolineare che tali costi ambientali devono essere attualizzati in modo analogo ai costi visti nel secondo paragrafo con l’analisi LCC.

Oltre alle due tipologie sopra esposte, esistono comunque altre modalità, non approfondite in questo elaborato, fornite per esempio dal modello EPS 2000 e dal Virtual Pollution Prevention Cost (VPCC).

In definitiva, oggetto di studio in questo capitolo sono state le metodologie Life Cycle Assessment (LCA), Life Cycle Costing (LCC) e Environmental Life Cycle Costing (ELCC). La dinamica caratterizzante l’utilizzo delle tre tecniche consiste innanzitutto nell’impiego dell’analisi LCA. Tale strumento costituisce il primo passo poiché, per l’individuazione degli impatti ambientali, l’analisi produce un inventario (Life Cycle Inventory, LCI), costituito da dati relativi agli input (materiali ed energia impiegati) e da dati relativi agli output (quantità di emissioni e rifiuti prodotti), che sono impiegati nelle analisi successive.

L’analisi LCC impiegata in seguito per l’identificazione dei costi rilevanti si basa sui dati riferiti agli input evidenziati dal LCI e consiste sostanzialmente nella determinazione dei costi relativi ai materiali e all’energia. Tale strumento, se necessario, può prendere in considerazioni anche ulteriori costi non presenti nel LCI, in quanto vi possono essere elementi irrilevanti dal punto di vista ambientale che però incidono sul bilancio economico.

Contemporaneamente all’analisi LCC viene impiegata l’analisi dei costi ambientali (Environmental costs analysis), quest’ultima basata invece sui dati riferiti agli output generati dal LCI. Tale analisi, considerando la quantità di emissioni e rifiuti riportata nel LCI, può per

esempio determinare il livello della tassa di utilizzo ambientale, al fine di convertire in termini monetari gli impatti ambientali.

Infine, attraverso l’integrazione del LCC con l’analisi dei costi ambientali, viene applicata l’analisi ELCC, grazie alla quale si avranno a disposizione sia i costi puramente economici, che i costi ambientali relativi al ciclo di vita, anch’essi attualizzati.

Così, attraverso l’impiego congiunto di tali metodologie, si può costruire uno strumento che tenga conto sia della convenienza economica che di quella ambientale, grazie all’identificazione di un unico indicatore, fornito dal ELCC, che permette una facile comparazione tra le diverse alternative. Tale concetto è riassunto in figura 24.

Figura 24. Integrazione tra LCA, LCC e ELCC

Fonte: Elaborazione propria

Prima di procedere con l’analisi del caso studio relativo all’azienda Urban Green s.r.l., risulta opportuno dedicare un capitolo riguardo al settore edile in Europa e, più nello specifico,

in Italia e alle corrispettive linee guida, ponendo una speciale attenzione alle potenziali opportunità fornite da un settore ancora oggi di nicchia, la bio-edilizia.

CAPITOLO 3