• Non ci sono risultati.

Cambiamento culturale nella gestione del personale

In realtà, nel contesto italiano, questi concetti sono ancora poco percepiti e presi in considerazione nella realtà imprenditoriale che, data la piccolissima, piccola e media dimensione, è gestita principalmente da famiglie che praticamente mai si informano o si formano sui nuovi metodi di gestione del personale. Abbiamo visto in precedenza gli aspetti positivi che detiene un contesto familiare, correlati con quelli meno positivi. Ad ogni modo anche nelle realtà maggiori per numero e dimensioni, la realtà italiana è particolarmente arretrata per quello che riguarda l’attenzione allo sviluppo e alla formazione del personale. Per lo più ci si affida alle agenzie per il lavoro o al passaparola per la selezione, dopo di che la formazione e la

- Vedere le persone come la risorsa strategica principale

- Dare maggior potere ai propri collaboratori/familiari

- Liberare il potenziale delle persone

118 valorizzazione della persona è pressoché assente. Gli unici metodi concepiti sono ancora gli aumenti salariali, l’auto aziendale e in caso di controversia il ricorso alle dinamiche sindacali. In altre realtà, invece, come per esempio in quella americana, giapponese o inglese, il concetto di valorizzazione della persona è già stato applicato (seppur con metodi fordisti nella maggior parte dei casi). Ad ogni modo anche l’innovazione su questo tema è ben accolto e ben praticato da alcune aziende eccellenti, come ad esempio Google, Yahoo, Toyota, etc.

Senza voler paragonare le piccole aziende italiane a realtà di questo tipo, è bene sottolineare quanto invece proprio in queste ultime ci sia bisogno di rinnovamento e di un salto di qualità.

4.1. La cultura della colpa e la cultura del sostegno

“Se non cambiamo rotta, rischiamo di andare a finire proprio dove siamo diretti adesso” John Whitmore

Trattandosi di un contesto familiare quello a cui facciamo riferimento, pensiamo a quanto possa essere controproducente una cultura della colpa. Spesso la pressione che il manager sente su di sé in azienda, fa si che questa possa renderlo poco lucido nella scelta dei comportamenti da adottare nei confronti dei figli, dei familiari e dei collaboratori in senso lato. Non di rado relazioni familiari accusano e sostengono il peso di una comunicazione aziendale sbagliata, che di fatto si mescola e si unifica con quella personale e privata. Il coaching promuove uno stile direzionale molto audace, che presuppone come abbiamo visto in precedenza una leadership responsabile, che anteponga il benessere aziendale a quello meramente personale. Vediamo come.

Nessun tipo di azienda familiare per cominciare sosterrà apertamente di condurre i propri familiari e collaboratori attraverso la “cultura

119 dell’incolpare”, in realtà l’abitudine di dare la colpa agli altri è un meccanismo tipico delle relazioni umane. Esso presumibilmente soddisfa bisogni di sicurezza, di essere nel giusto, di riconoscimento.

Cultura dell’accusare

L’atto di ricercare un colpevole, un responsabile da bacchettare addossando su quest’ultimo la tensione di una performance o di una procedura non perfette, riflette quindi da parte di chi detiene la responsabilità aziendale, una forte mancanza di consapevolezza e di responsabilità. Riflette un orientamento al passato anziché un atteggiamento proattivo per il futuro. Inoltre la paura di essere colpevolizzati non solo inibisce dal volersi assumere delle responsabilità e dei rischi, ma induce il sincero riconoscimento delle inadempienze e delle inefficienze. Questo ovviamente porta ad una concreta impossibilità di effettuare dei riscontri precisi, finalizzati ad apportare le necessarie correzioni. Il coaching promuove la cultura del sostegno, in cui, a differenza di altre scuole di pensiero, si possono davvero esprimere potenzialità e talenti. In un ambiente teso la maggior parte delle energie si adoperano per sopportare lo stress, togliendone così all’attenzione che invece merita ogni tipo di lavoro e attività.

Il passaggio generazionale è un occasione per portare con la generazione successiva e col cambio del testimone un cambio direzionale anche in questo senso.

Bisogno di sicurezza, di stabilità, di

riconoscimento, di essere nel giusto

120 La cultura del sostegno parte invece dal presupposto che colui che ha maggiore responsabilità sia in grado di creare un clima distensivo, in cui nel caso in cui ci si renda conto di un problema, le persone stesse si facciano avanti portando alla luce quel problema, sicuri di non incorrere in tensioni, e sicuri di poter cercare una soluzione funzionale a chi detiene il potere decisionale. Quest’ultimo dovrà del resto dare fiducia ai propri collaboratori ascoltando davvero le loro questioni. La stessa dinamica può essere adottata dalla generazione uscente nei confronti dell’erede.

Come si crea dunque una cultura del sostegno?

Uno degli strumenti principali nel coaching è l’assenza di giudizio e l’ascolto attivo.

“Quando l’orecchio si affina diventa un occhio” Rumi

L’ascolto attivo è l’unico ascolto efficace e funzionale nel porre le basi di relazioni solide e concrete. Ascoltare attivamente significa ascoltare davvero il nostro interlocutore, ascoltarlo completamente e profondamente e non solo sentirlo. Spesso facciamo confusione tra “sentire” e “ascoltare”: sentire indica la capacità di captare suoni e parole che arrivano nel nostro campo uditivo; ascoltare una persona significa invece offrire un’attenzione dedicata

121 e concentrata sulla sua comunicazione, in modo da cogliere qualsiasi sfumatura. Questo tipo di ascolto implica utilizzare non solo l’udito ma tutti i nostri sensi e oltre. Diventa indispensabile utilizzare anche la sensibilità per rendere l’ascolto efficace. Ascoltare per ascoltare e non per replicare, rispondere o dare consigli, ascoltare insomma a 360° richiede pazienza, impegno, concentrazione, rispetto dei ritmi altrui, lo sforzo di entrare in un linguaggio che non sempre ci è familiare.

Esige il controllo del proprio dialogo interno (non si può pretendere di ascoltare l’altro mentre noi parliamo)1.

Funzionalità dell’ascolto attivo:

Per “non” rispondere – l’interlocutore è protagonista - Per essere degli ascoltatori efficaci bisogna innanzitutto accettare il fatto che il protagonista sia il nostro interlocutore. Il motivo perché spesso le persone parlano ma non ascoltano, è il bisogno di protagonismo che ciascuno di noi ha, che ci porta non ad ascoltare ma essenzialmente a rispondere. Se questo bisogno prevale, se c’è il bisogno di essere “visti”, di essere riconosciuti allora molto probabilmente non ascolteremo davvero.

Per accogliere – in realtà in una relazione, sia tecnica che non, è

necessario accogliere prima di capire. Probabilmente la persona che stiamo ascoltando ha delle buone risposte al problema che sta ponendo, probabilmente ha davvero notato una problematica che ha avuto l’accortezza di esporre. È necessario quindi accogliere la

1 Dispense sulla consapevolezza di sé, Informacoaching, Nicoletta Quagliarella/Michela

122 persona in maniera totale e sincera, in modo da creare i presupposti per capire insieme a lei quale sia la soluzione più funzionale.

Per far emergere nell’ interlocutore nuove consapevolezze –

permettere all’ interlocutore di vedere le cose da una diversa angolatura, da una prospettiva nuova, con sfumature diverse.

Se ci soffermiamo a riflettere è facile comprendere quanto invece in ogni relazione, nelle dinamiche familiari e lavorative, si ascolti molto poco attivamente in favore di altri tipo di ascolto. Differenti livelli di ascolto, influenzati dal livello di interesse, di attenzione e dal focus di chi sta ascoltando:

A) Ascolto cosmetico (o ascolto assente): sembra che stiamo ascoltando ma in realtà la nostra mente è tutta da un’altra parte e allora stiamo facendo finta, quando diciamo –“hmmmm”, o “si certo”, “è vero”, “interessante”; in realtà pensieri e attenzione non sono lì con il nostro interlocutore e in questo modo perdiamo alcune probabilmente importanti sfumature di quello che il nostro interlocutore ci sta dicendo

B) Ascolto conversazionale (o ascolto distratto): è il tipo di ascolto più frequente. Siamo sì focalizzati sul nostro interlocutore e soprattutto solo su quello che sta dicendo (e non come lo sta dicendo) essenzialmente per rispondere, per replicare, per far valere noi stessi –“io invece”, “anche io perché”

C) Ascolto superficiale: ci porta a fare interpretazioni, a farci un’idea, a giudicare, a tirare delle conclusioni

D) Ascolto attivo o empatico: è quel tipo di ascolto che si fa con sensibilità e consapevolezza: non c’è ha fretta, c’è la volontà di andare verso l’altro, c’è la volontà di costruire ponti. Io sono totalmente

123 focalizzato sul mio interlocutore e lo accolgo completamente così come è, in modo neutro: ascolto non solo quello che dice ma sopratutto come lo dice (gesti, tono)

E) Ascolto globale: ascolto con intuito e consapevolezza – permette di vedere nell’interlocutore cosa anima i suoi comportamenti.