• Non ci sono risultati.

Il coaching: uno strumento facilitatore

1. Perché il coaching

1.1. La differenza dalla consulenza, dal Counseling, dal Mentoring, dalla psicoterapia

Negli ultimi tempi le consulenze aziendali hanno subito una grossa differenziazione e, a parte quelle più squisitamente finanziarie e riguardanti il marketing, per quello che concerne invece le consulenze riguardo alla leadership, la gestione del personale e la propria efficacia in azienda, un imprenditore può scegliere tra diverse figure professionali, a seconda di quale sia il proprio bisogno.

Anche riguardo al passaggio generazionale, molti studi professionali offrono una consulenza specifica, inerente alla gestione delle quote e finalizzata soprattutto ad un riordino finanziario e giuridico, pur necessario, ma a parere di chi scrive, assolutamente insufficiente a gestire un cambiamento efficace se non accompagnato da una presa di coscienza profonda del successore, sulla nuova gestione dell’impresa.

Vediamo nello specifico le diverse figure professionali che si differenziano dal coaching:

- Consulente: il coach non è un consulente in quanto non ha una soluzione da prescrivere in basa alla situazione, non si avvale di regole universali da applicare in maniera generale, la consulenza è di fatti indicata in ambiti quali il controllo finanziario e commerciale. Essa ha infatti uno scopo ben preciso e

81 specifico riguardo al quale il consulente è chiamato ad esprimere un parere ed un indicazione sul da farsi in base alle proprie competenze professionali.

- Counselor: “è la figura professionale che, avendo seguito un percorso di studi almeno triennale, ed è in possesso pertanto di un diploma rilasciato da specifiche scuole di formazione di differenti orientamenti teorici, è in grado di favorire la soluzione di disagi esistenziali di origine psichica che non comportino tuttavia una ristrutturazione profonda della personalità(…)”1.

Nonostante il lavoro che il coach svolge possa essere simile a quello del counselor, il coaching non si occupa affatto di disagi esistenziali di origine psichica, non si occupa di risolvere qualcosa, non si occupa di dare consigli, di dare soluzioni o imporsi come guida o modello verso i propri clienti, ecco perché il coaching non ha analogie con il counseling.

- Mentoring: è una metodologia di formazione che fa riferimento a una relazione (formale o informale) uno a uno tra un soggetto con più esperienza e uno con meno esperienza, cioè un allievo, al fine di far sviluppare a quest'ultimo competenze in ambito formativo, lavorativo e sociale. Si attua attraverso la costruzione di un rapporto di medio-lungo termine, che si prefigura

1 Definizione della professione di counselor adottata dal CNEL e trasmessa dalla SICo

82 come un percorso di apprendimento guidato, in cui il Mentor offre volontariamente sapere e competenze acquisite e le condivide sotto forma di insegnamento e trasmissione di esperienza, per favorire la crescita personale e professionale del Mentee. L'abbinamento di mentore e mentee è spesso fatto da un coordinatore mentoring o per mezzo di un supporto online. Il mentoring ha lo scopo, non solo di permettere all’allievo di ampliare le sue conoscenze, ma anche di integrarsi nella cultura aziendale e di fornirgli supporto psicologico. Generalmente è rivolto ai neoassunti per aiutarli nella fase di ingresso nell’organizzazione1. Anche in questo caso la figura del

Mentoring, si offre come ruolo di formatore, ancora una volta distante dal coach.

- Psicologo o psicoterapeuta: il coaching, come già accennato non si occupa di disagio psichico, o psicologico, il coach anzi deve indirizzare il cliente in tal senso, nel caso in cui egli presenti segnali del genere, in quanto il coach non ha le competenze per agire in una situazione riguardante suddetto disagio.

Di fatti il coaching non ha niente a che vedere col concetto di cura in senso tradizionale e questa disciplina si occupa di persone equilibrate che semplicemente vogliono raggiungere degli obiettivi, vedremo in seguito

83 come. Possiamo definire il coach come quella figura professionale che crea la giusta consapevolezza affinché una persona sia nelle condizioni ottimali per sfruttare al meglio le proprie potenzialità e migliorare concretamente la qualità della propria vita.

Particolarmente usato a fini aziendali da almeno un ventennio in America e adesso in espansione in Europa, il coaching si adatta perfettamente nel business in quanto:

- È uno strumento concreto per migliorare la propria efficacia in quanto permette una forte crescita personale

- Agisce in modo efficace sulla leadership personale e sull’importanza di interagire in maniera adeguata con i propri collaboratori o familiari

- È un potente strumento per la gestione del personale, di cui valorizza i talenti e le capacità attraverso la loro responsabilizzazione

1.2. Le origini del coaching

Coaching significa liberare le potenzialità di una persona perché riesca a portare al massimo il suo rendimento, aiutarla ad apprendere piuttosto che limitarsi ad impartirle insegnamenti.

84 Secondo alcuni autori italiani, legati al mondo del coaching1, il primo

coach della storia si ritroverebbe nella figura del filosofo greco Socrate: con l’arte della maieutica, riusciva a far emergere la verità dialogando con il proprio interlocutore, senza impartire nessuna lezione o insegnamento, ma semplicemente mettendo in evidenza le contraddizioni in cui cadeva quest’ultimo. Inoltre Socrate professava semplicemente: “non so che una cosa, che non so nulla”, in questo senso intendeva sottolineare che la grandezza dello scibile umano, unito alle diverse prospettive che si potevano assumere riguardo ad una questione, era impossibile da conoscere interamente, relativizzando così ogni presunzione di sapienza.

Il coaching come lo conosciamo oggi inizia a delinearsi a metà degli anni settanta, quando Timothy Gallwey, professore universitario di Harvard ed istruttore di tennis, pubblica il libro “The inner game of Tennis”2. Il

messaggio centrale di questo libro che ha rivoluzionato l’ambiente dell’allenamento e in seguito della formazione è, utilizzando le parole dello stesso Gallway:

“l’avversario che si nasconde nella nostra mente è molto più forte di quello che sta dall’altra parte della rete”

L’autore sostiene cioè che l’atleta riesce ad esprimere la sua performance ottimale quando riduce al minimo gli ostacoli personali interni e sviluppa la fiducia nelle proprie capacità di apprendere in modo naturale dall’esperienza diretta. Questo pensiero è riassumibile nello schema:

PRESTAZIONE = POTENZIALE – INTERFERENZE

1 Panitti, Rossi, L’essenza del coaching, 2012 Franco Angeli editore 2 Inner Game of Tennis W Timothy Gallwey 1974

85 Un secondo contributo fondamentale per il metodo coaching è quello del pilota inglese, diventato in seguito consulente aziendale, John Whitmore1,

che sviluppando il precedente lavoro di Gallway, iniziò a lavorare proprio con quest’ultimo tenendo corsi di formazione in ambito sportivo. Numerosi clienti iniziarono a chiedere se quel metodo potesse essere applicato anche a problematiche aziendali. Whitmore accettò questa sfida ed elaborò un metodo chiamato GROW. Nel 1992 scrisse “Coaching for Performance”, che resta il testo di riferimento di questo metodo formativo.

Il concetto di fondo è che le persone abbiano delle potenzialità latenti, che soccombono sotto il peso di convinzioni sbagliate e depotenzianti, che impediscono di fatto il raggiungimento di una vita completa e piena in ogni ambito.

Whitmore individua l’interazione verbale tra il coach ed il suo allievo, lo strumento principale del suo metodo, attraverso le domande potenti.

Nel modello GROW Whitmore fornisce la sequenza ideale delle domande che dovrebbero susseguirsi in un intervento di coaching:

-

G

oal: esplorare e fissare l’obiettivo -

R

eality: esplorare la realtà di partenza

-

O

ptions: esplorare le strade per raggiungere l’obiettivo -

W

hat: esplorare quali azioni mettere in atto

-

W

hen: esplorare quando agire -

W

ill: esplorare la volontà di azione

86 Infine è da segnalare il contributo di Martin Seligman1, Presidente

dell’American Psychological Association e cofondatore della Psicologia positiva sul finire degli anni ’90.

Più volte abbiamo sottolineato di quanto sia determinante, per essere leader di se, avere apertura mentale e positività: la psicologia positiva è appunto quella prospettiva teorica ed applicativa che mette al centro dei propri studi la felicità umana ed il benessere soggettivo, uscendo da un approccio psicologico orientato quasi esclusivamente alle carenze, ai deficit e alla cura dei disturbi mentali.

La psicologia positiva ha ereditato la rivoluzione teorica introdotta dalla psicologia umanistica di A. Maslow, ispiratrice del rapporto tra salute mentale e ottimismo.

Grazie alla psicologia positiva, in particolare con riferimento al lavoro di Seligman e Peterson2, sulla classificazione delle virtù e delle potenzialità

universali, il metodo del coaching è stato arricchito in maniera determinante, soprattutto dal punto di vista teorico3.

Altri autori importanti nel percorso dello sviluppo e dell’affinamento del coaching sono il teorico dell’autoefficacia A. Bandura, e della teoria del Goal Setting, E. Locke e G. Latham.

1.3. Scopi ed applicazioni del coaching

In questa sede è opportuno precisare che nonostante la proliferazione impressionante di libri di auto aiuto e manuali che promettono cambiamenti

1 Seligman, M.E.P. (1990). Imparare L'Ottimismo (Learning Optimism). New York: Knopf.

(reissue edition, 1998, Free Press)

2 Character Strengths and Virtues: A Handbook and Classification

Di Martin E. P. Seligman 2004

87 immediati, seguiti da imponenti operazioni di marketing, il coaching, fatto in maniera seria e professionale, funziona se fatto con l’aiuto di un professionista, che incontra una solida e autentica volontà di cambiamento da parte di chi presenta la propria domanda di accompagnamento. Accompagnamento e non aiuto, in quanto questo metodo è indicato per un potenziamento e non rientra nei processi di cure per disturbi psichici o forti squilibri.

Ad ogni modo la figura del coach guida il cambiamento in :

…un contesto economico sempre più competitivo e complesso che richiede una maggiore flessibilità nelle competenze e nei comportamenti: le riorganizzazioni,l’evoluzione delle tecniche di management e di valutazione, , la nascita di nuove tecnologie, sono solo alcuni dei fenomeni che chiamano in

causa cambiamenti sempre più frequenti ed una maggiore capacità di adattamento.

Angel, Amar, 2008

È evidente che un approccio teorico, ma di forte impatto anche pratico, di questo tipo e con questi presupposti, sia particolarmente adatto ad un contesto imprenditoriale, specie di tipo familiare, in cui i cambiamenti delle esigenze della azienda, devono trovare un equilibrio con quelli che avvengono anche a livello personale, pensiamo ad esempio ad un passaggio generazionale, all’arrivo di un nuovo collaboratore, etc.

In inglese il termine coach significa carrozza o vagone, e sta a significare il mezzo attraverso il quale, ove vi sia una richiesta di una singola persona, di un team o di un intera organizzazione, si giunge all’obiettivo stabilito con maggior rapidità.

Un intervento di coaching è finalizzato difatti ad apportare modifiche alla propria vita, a soddisfare un desiderio di crescita indipendente dal pensiero, all’acquisizione di competenze specifiche e trasversali, specie in ambito

88 relazionale e comunicativo, non prima però di aver raggiunto la consapevolezza necessaria a supportare questi processi.

Dal momento che parliamo di sviluppo di consapevolezza e personalità, è opportuno richiamare l’attenzione su quanto detto a proposito della leadership: il leader con una professionalità integrata è innanzitutto un essere umano consapevole.

In questo senso il coaching è un valido strumento per essere prima leader di se stessi e di conseguenza per essere leader di se nella relazione con gli altri.

Leader di se significa essere costantemente coerenti tra ciò che si pensa e ciò che si dice e, tra ciò che si dice, e ciò che si fa.

A questo punto il coaching è applicabile a chiunque voglia sviluppare appieno le proprie capacità, ma nel caso specifico si distinguono1:

• Executive coaching: è il business coaching riservato ai manager in azienda, i cui benefici riscontrati sono, una leadership più efficace, una migliore gestione del tempo, quindi dello stress, della capacità di delega e quindi di gestione del proprio team (in questo caso il setting dell’intervento è funzionale in azienda, in questo modo il coach ha la possibilità di osservare il cochee nel suo ambiente di lavoro e così facendo acquisire preziose informazioni sul suo modo di relazionarsi con colleghi e collaboratori);

• Career coaching: specificatamente finalizzato allo sviluppo della carriera e alla realizzazione professionale, particolarmente indicato per gestire momenti di transizione e di cambiamenti, legati

89 ad esempio ad un passaggio generazionale, o alla necessità di sviluppare competenze legate ad un nuovo ruolo aziendale o ad una nuova necessità imprenditoriale.

• Corporate coaching: il coach lavora a stretto contatto con il gruppo dirigente di una grande azienda, integrando coaching individuale e di gruppo. Da una ricerca effettuata nel 20101, risulta

che tra le 100 aziende più innovative negli usa, il 93% utilizza regolarmente il coaching, così come l’83% di quelle inglesi e il 71% di quelle australiane.

• Life coaching: indirizzato ai singoli, ha come scopo l’elaborazione di programmi di auto sviluppo e autoefficacia. Può essere utilizzato in ogni momento della vita, per supportare i cambiamenti volti alla realizzazione di se stessi.

• Team coaching: il coach interviene in un gruppo come facilitatore, l’intervento facilita i singoli membri del team nel passaggio da una visione centrata sulle proprie competenze e modi di pensare ad una visione d’insieme delle competenze utili allo sviluppo del gruppo. Il coach opera per far comprendere ai membri la necessità dell’interdipendenza che permetta di ottimizzare ed orientare la performance del gruppo verso un obiettivo condiviso e partecipato.

Alcune precisazioni: è opportuno specificare che esiste la responsabilità di colui che richiede l’intervento ad attivarsi ed impegnarsi negli obiettivi da lui individuati, come esiste la responsabilità del coach ad

90 affiancare, supportare e stimolare quest’ultimo, soprattutto con l’uso di domande e rimandi, nell’allenamento delle potenzialità personali e nella gestione del miglioramento e del cambiamento richiesto. Deve istaurarsi cioè lo stesso legame che dovrebbe esistere tra il leader e i suoi collaboratori, finalizzato alla scoperta e alla motivazione di questi, che a loro volta ricambiano con fiducia ed impegno.

Uno scopo ulteriore del coaching è quello di scardinare il presentarsi dello stesso meccanismo psicologico, che caratterizza i momenti di cambiamento, confusione o crisi dell’autogoverno, che impedisce di fatto il superamento della difficoltà specifica del problema percepito. Per fare questo si cerca di scardinare le vecchie convinzioni depotenzianti, del tipo “è impossibile, è troppo difficile, non è per me, ecc” attraverso l’uso di domande atte a smontare le argomentazioni di tali presupposti. Fare questo, implica la liberazione di un potenziale enorme di energie fino a quel momento impegnate a tenere a freno le nostre qualità e le nostri doti migliori. Inoltre liberandoci dai vecchi schemi, o semplicemente prendendone consapevolezza, si aprono modi nuovi di vedere il problema e di conseguenza nuove soluzioni. Banalizzando possiamo citare il Professore dell’Attimo fuggente “sono salito quassù per ricordare a me stesso di guardare sempre le cose da un'altra prospettiva”.

1.4. Come agisce il coaching

“il coaching si incentra sulle possibilità future, non sugli errori passati” John Whitmore

Entriamo adesso nel merito del coaching, esaminando i presupposti per i quali agisce. Il dizionario definisce il verbo “to coach” come addestrare, tirar fuori, preparare mediante fatti. La definizione è tuttavia fuorviante, in

91 quanto, come accennato in precedenza, il coach non si impegna a dare prescrizioni o indicazioni, ma al contrario, uno dei principi fondamentali del coaching è quello di astenersi dal farlo, in quanto il concetto di fondo è che il cliente abbia tutte le risorse e le potenzialità all’interno. Il compito del coach è quello di farle emergere.

L’obiettivo è quello di potenziare la performance. Abbiamo già visto quanto il coaching sia nato dall’idea che l’avversario è quello dentro di noi, rappresentato dalle nostre interferenze. I libri di Gallwey hanno coinciso col sorgere di un modello di psicologia più ottimistico rispetto alla datata visione comportamentista che vedeva gli esseri umani come poco più che vuoti contenitori. Il nuovo modello presuppone che dentro un individuo vi sia già tutto il potenziale necessario per giungere all’autorealizzazione, occorre solo, per usare una metafora, nutrimento, incoraggiamento e luce. L’idea di fondo è ognuno abbia una capacità innata all’apprendimento, che tuttavia l’educazione canonica riduce fin da subito, attraverso una cultura prescrittiva, che pochissimo da spazio all’apprendimento naturale del bambino.

Negli ultimi tempi tuttavia, sia per progresso che per necessità, i concetti di partecipazione dei dipendenti, di delega, di responsabilità personale, e di coaching iniziano a farsi strada anche nel linguaggio europeo, di chi lavora nel mondo aziendale.

Il coaching agisce difatti non incentrando la propria azione sull’impartire lezioni o prescrizioni, non ha effetto col la trasmissione di ciò che il coach sa. Il coaching è un esperto nella propria professione, ma non in quella del cliente, ed è questo uno dei maggiori punti di forza.

Come agisce allora il coaching?

Scopre il potenziale: l’efficacia del coaching dipende

92 potenziale umano. Se il manager o il coach non credono che le persone abbiano più capacità di quelle che stanno dimostrando con le loro performance, non saranno in grado di aiutarle ad esprimere1. L’efficacia

del coaching si basa sul fatto che le persone etichettate in un ruolo, abbiano difficoltà a liberarsi di esso, tanto ai propri occhi che a quelli di un valutatore. Il coaching si basa sul fatto che questo potenziale ci sia sempre e comunque, che questo vada trovato e valorizzato.

L’idea di fondo è che le convinzioni che abbiamo riguardo a noi stessi e le persone che lavorano con noi, in questo caso collaboratori e familiari, siano talmente potenti da diventare realtà. In psicologia questo meccanismo è chiamato “profezia che si auto adempie”, ovvero il fatto che se ci convinciamo di una cosa, agiremo per primi affinché questa accada veramente, diventando così reale anche se di fatto in precedenza non lo era. Prendiamo il famoso esempio dell’insegnante al quale viene detto che certi studenti corrispondono ad un determinato profilo, non corrispondente alla realtà: l’insegnante si comporterà con loro in modo tale per cui dopo un periodo di tempo, i profili degli studenti saranno effettivamente diventati quelli coerenti con le aspettative dell’insegnate.

Allo stesso modo il meccanismo è reale per le convinzioni che nutriamo verso se stessi o i propri collaboratori.

Un manager avveduto che voglia far crescere la propria azienda e con essa i propri collaboratori, vedrà dunque non solo le performance, ma il potenziale.

1 John Whitmore, coaching, come risvegliare il potenziale umano nel lavoro, nello sport,

93