• Non ci sono risultati.

Il ‘cambiamento’: legalità rivoluzionaria e demolizione della legalità demoliberale

Claudia Storti

4. Il ‘cambiamento’: legalità rivoluzionaria e demolizione della legalità demoliberale

La continuità dell’impalcatura dello Stato di diritto legislativo legittimò la dittatura. Secondo la diagnosi di Pietro Costa, infatti,

È lo Stato che la tradizione giuspubblicistica defi niva e connotava attraverso la centralità del giuridico che continua a riproporsi, insieme, fascisticamente mutato, ma anche ricon-fermato nella sua identità: se la sovradeterminazione ideologico-politica era il veicolo della innovazione, la centralità del giuridico indotta dagli effetti connotativi dello Stato della formula dello Stato di diritto esprime la certezza della continuità178.

L’argomento della continuità dello Stato di diritto serviva, infatti, da scu-do al profondissimo e radicale mutamento del rapporto tra Stato e società e Stato e individuo prodotto in un brevissimo torno d’anni da riformatori che, grazie alla padronanza dei concetti e della tecnica legislativa, erano in grado di adeguare gli strumenti giuridici all’ideologia e alla volontà politica del re-gime. La trasformazione del diritto pubblico aprì la via a questa operazione, proseguita con l’erosione degli ambiti tradizionalmente riservati alle scelte individuali fi no a spingersi nella seconda metà degli anni Trenta al diritto civile sostanziale e processuale179.

In quella che potremmo defi nire come la prima fase del regime, l’adozio-ne dell’emblema della continuità con lo Stato di diritto liberale, era, infatti, andata di pari passo con la proclamazione del carattere ‘rivoluzionario’ delle riforme ‘costituzionali’, a sua volta, enfatizzato nel linguaggio uffi ciale e nella propaganda, come si è avuto modo di accennare qua e là, per enfatizza-re, appunto, una forte discontinuità nei principi ispiratori di tali leggi rispetto alla disciplina e all’organizzazione dello Stato anteriore. Legalità sì, ma le-galità del cambiamento e appunto ‘rivoluzionaria’, come si esprimevano non solo Mussolini, ma anche i più eminenti giuristi legati al regime, per scandire la progressiva evoluzione della «nuova legalità» fascista che avrebbe dovuto

177. G. Neppi Modona, Principio di legalità, cit., pp. 996-1001 le parole citate a p. 998; C. Poesio, Il confi no di polizia, la «Schutzhaft» e la progressiva erosione dello Stato di diritto, in Il diritto del Duce, cit., pp. 96-113.

178. P. Costa, Lo Stato immaginario, cit., in part. p. 407. 179. Cfr. oltre testo corrispondente a nt. 194 ss., 260 ss., 273 ss.

«sostituirsi completamente alla vecchia legalità» ovviamente liberale180. In tale «sottile gioco di continuità e discontinuità», per ricorrere ancora a Co-sta181, si trattava sempre di ‘legalità’, ma di sostituzione di una legalità con una diversa ‘legalità’.

Nella loro ambivalenza, la combinazione di due moduli defi nitori con-trastanti serviva, probabilmente, da un lato, ad accrescere il consenso di se-guaci e sostenitori – quantunque Mussolini si appagasse «di un consenso spesso più fi ttizio che reale avvolto dai fumi della osannante retorica»182 –, dall’altro, a tranquillizzare anche coloro che a-fascisti o antifascisti, seppur dall’interno e in maniera indiretta o sottesa, avevano ancora il coraggio di esprimere il loro pensiero. Basti ricordare che la pubblicazione dei codici penali del 1930 fu commentata con un «qui la realtà è la rivoluzione fascista, che gli squadristi hanno fatto più dei giuristi» dal processualcivilista e docen-te universitario Umberto Cao. Era stato all’inizio oppositore di Mussolini nel dibattito parlamentare sulla fi ducia e sulla legge elettorale Acerbo, dal 1924 aveva aderito al fascismo, ma era contrario ad alcune scelte del codice penale e soprattutto alla pena di morte183.

Gli anni Trenta iniziano, appunto, con la pubblicazione dei codici penali, paradigmatici non solo per i loro caratteri, ma anche per la loro lunga dura-ta dopo la cadudura-ta del regime. Quello sosdura-tanziale, redatto secondo il meto-do dell’indirizzo tecnico-giuridico nel dichiarato «spirito di mediazione fra scuola classica e scuola positiva»184, in perfetta coerenza con l’ideologia già manifestata dalle leggi speciali del 1926, modifi cava la scala penale – come rilevarono subito osservatori stranieri – aggravando le sanzioni relative alla protezione dello Stato (con un’accentuata estensione della categoria del reato politico), della famiglia, della morale pubblica, del cattolicesimo e dell’e-conomia185. E questo rappresenta, secondo Neppi Modona, un ulteriore se-gno della «spregiudicatezza» con cui il legislatore del ’30 «ha introdotto nel

180. L. Lacchè, Tra giustizia e repressione, cit., p. XIII e nt. 20; Id., The Shadow of the Law, cit., pp. 20-21.

181 P. Costa, Lo Stato immaginario, cit., in part. p. 407, nonché pp. 412-413 e, sulle «formule di connotazione nella giuspubblicistica fascista», pp. 414 ss.

182. Le parole sono di Galante Garrone, nel testo citato sopra a nt. 51.

183. Sulla formula Gli squadristi più dei giuristi: M.N. Miletti, La scienza nel codice, cit., pp. 94-96, U. Allegretti, voce Cao, Umberto (Cagliari 8 novembre 1871 – 2 agosto 1953), in DBGI, vol. I, pp. 414-415.

184. Il dibattito sull’effettivo apporto della scuola positiva al codice penale è stato par-ticolarmente vivo negli ultimi anni: S. Vinciguerra, Dal codice Zanardelli al codice Rocco. Una panoramica sulle ragioni, il metodo e gli esiti della sostituzione, in Il codice penale per il Regno d’Italia (1930) Codice Rocco, cit., pp. XI-XXXVIII, in part. pp. XXXV-XXXVIII; E. Dezza, Le reazioni del positivismo penale, cit., da vedere con particolare riguardo alle istruzioni di E. Ferri del 1927, pp. XLV-XLVII e alla critica «sulla tralatizia interpretazione storica incentrata sul contrasto tra le scuole», pp. LX ss.; L. Lacchè, Tra giustizia, cit., p. XIII. 185. Sui commenti stranieri al codice penale negli anni Trenta S. Skinner, Fascist by Name, Fascist by Nature? The 1930 Italian Penal Code in Academic commentary, 1928-1946, in S. Skinner (ed.), Fascism, cit., pp. 59-86, in part. 64-72 e 81-83.

codice la tutela dell’impianto politico e ideologico del regime, imponendo la propria gerarchia di valori con la forza cogente del diritto penale»186. In aggiunta, la cumulabilità delle sanzioni ‘amministrative’, dette di pubblica sicurezza, con la pena edittale, faceva sì che il principio di legalità affer-mato all’inizio del codice si riducesse a pura facciata («the vehicle of the State, which knows no law or obligation apart from itself») 187, soprattutto in considerazione della gamma di elementi di pericolosità che potevano dettar-ne l’applicaziodettar-ne («pericolosità sociale» del reo, declinabile in pericolosità possibile, probabile (con riguardo alla reiterazione del reato) e presunta, con considerevoli differenze rispetto alle categorie ipotizzate dalla stessa scuola positiva)188.

Mentre era in atto il ‘tentativo’, non sempre riuscito, di fascistizzazione della magistratura189, il codice di rito – opera di Vincenzo Manzini sotto il controllo di Alfredo Rocco, apprezzato anche dai Francesi «amanti dell’or-dine», per il suo «spirito autoritario» – 190, accentuava il controllo politico sul processo penale, assegnando al pubblico ministero, subordinato al potere esecutivo191 e qualifi cato come parte ‘pubblica’ del processo titolare dell’in-teresse a punire, i poteri ‘assoluti’ (ossia sottratti al controllo del giudice) di procedere oppure di archiviare192.

La ‘rivoluzione’ del penale, comunque, non fu conclamata, mentre, fi no alla fi ne del regime, fu rimarcato e celebrato il carattere rivoluzionario di molte riforme in altri campi del diritto.

All’evocazione dell’entusiasmo dei tempi iniziali, si aggiungeva nell’ap-prossimarsi degli anni Quaranta qualcosa di più e di diverso. Quando Grandi nel 1940, rievocò la «rivoluzione spirituale» che aveva generato il «regime

186. G. Neppi Modona, Il principio di legalità, cit., pp. 990ss e nt. 13, in part. 994-995 e per la distinzione tra legalità formale e sostanziale, pp. 992 ss.

187. G. Neppi Modona, loc. ult., cit., p. 985 e S. Skinner, Fascist by Name, cit., pp. 72-74, con riguardo ai rilievi della dottrina straniera negli anni successive al 1935 (ossia dopo l’invasione dell’Abissinia e la stipulazione dell’asse Roma-Berlino).

188. L. Lacchè, Tra giustizia e repressione, cit., p. XIII e nt. 20..

189. G. Neppi Modona, La magistratura e il fascismo, in G. Quazza (a cura di), Fascismo e società italiana, Einaudi Torino, 1973, pp. 151- 152; Id., Quali giudici per quale giustizia nel ventennio fascista, in L’inconscio inquisitorio, cit., pp. 209-224, in part. pp. 219-224 e cfr. anche sopra § 2c.

190. Per l’analisi delle valutazioni straniere sul codice di procedura penale: M. Chiavario, Il diritto processuale penale italiano e i suoi quattro codici: luci e ombre di una ‘presenza’ in Europa, in M. Bussani (a cura di), Il diritto italiano in Europa (1861-2014). Scienza, giu-risprudenza, legislazione (Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, vol. V, 2014), pp. 149-195, in part. pp. 161-170 (le parole citate nel testo sono alle pp. 161 e 162 «une arme puissante pour défendre l’ordre social»). Sul codice di rito come codex unius authoris: M. Miletti, La scienza nel codice, cit., pp. 63-69.

191. cfr. sopra § 2c, nonché G. Neppi Modona, Il principio di legalità, cit., pp. 1001-1005; S: Skinner, Fascist by Name, cit., pp. 70-72.

politico» fascista193 per abbattere i suoi nemici («l’individualismo […] e la democrazia liberale», ai quali erano imputabili «le colpe delle rivoluzioni so-ciali e l’insorgere dell’anarchia) e il corrotto parlamentarismo giolittiano»194, lo fece, infatti, a margine della presentazione dell’ultima riforma che avrebbe completato la ‘rivoluzione’ fascista, quella del diritto civile, con i codici so-stanziale e processuale

Proprio intorno alla preparazione di questi codici si arrivò allo scontro tra le tante anime del diritto fascista e i tanti giuristi che lo avevano sostenuto, o fi ancheggiato, o avevano soltanto cercato di contenerlo, se non di contra-starlo. Il ricorso al termine ‘rivoluzionario’ fu allora adottato per indicare l’intenzione di abbattere, con il defi nitivo superamento dello Statuto alber-tino, il sistema delle fonti cha aveva consentito, fi no a quel momento, di so-stenere la ‘continuità’ con lo Stato anteriore. La ‘rivoluzione’ delle fonti del diritto divenne, infatti, il leitmotiv dei più radicali sostenitori nel denunciare l’insofferenza verso il ‘formalismo’ e il ‘positivismo’ della scuola tecnico-giuridica, che pur aveva consentito al regime di affermarsi con successo e di mascherare, sotto il velo della legalità e della continuità dello Stato di diritto, l’aggiramento di alcuni dei suoi principi cardine, tra i quali non tanto quello (ormai superato) della formazione della legge nell’ambito del dibattito e del confronto parlamentare, quanto soprattutto quello della legge come strumen-to di certezza del diritstrumen-to.

I vecchi giuristi, passati al regime o che, quantomeno, con esso, per mo-tivi diversi avevano collaborato, e i loro allievi formati alla scuola tecnico-giuridica stavano diventando troppo ingombranti. Già da tempo, nel con-testo più generale di una ideologia, impregnata dalla cosiddetta «mistica fascista»195 o dalla «religione fascista», che mirava a «educare» gli spiriti e la società e a plasmare la «vita» e «il carattere degli Italiani»196, si era pensato di sostituire quella vecchia classe dirigente, che si riteneva limitasse e osta-colasse la piena realizzazione della volontà del regime, o della ‘parola’ del Duce, con ‘nuovi’ giovani, non più infl uenzati o condizionati dalle categorie del passato, ma ben preparati sia dal punto di vista tecnico sia dal punto di vista politico. Fin dalla fi ne degli anni Venti, Bottai aveva elaborato un progetto per la formazione a Pisa di un ceto dirigente integralmente fascista

193. L. Lacchè, Tra giustizia e repressione, cit., pp. IX-XII. 194. L. Lacchè, Tra giustizia e repressione, cit., p. XI.

195. Sull’istituzione a Milano nel 1930 della Scuola di mistica fascista cfr., anche per i riferimenti bibliografi ci, T. Carini, Niccolò Giani e la Scuola di mistica fascista. 1930-1943, Mursia 2009. L’allusione a tali corsi nelle scuole secondarie ebraiche, costituite dopo l’al-lontanamento degli studenti e dei docenti ebrei dalla scuola pubblica italiana, è in A. Osima, Memorie, che ho pensato di pubblicare in appendice a questo volume, in aggiunta alle tante testimonianze di quell’epoca, già, edite, per la delicatezza nella descrizione delle conseguenze delle leggi razziali sulla vita quotidiana di giovani ebrei e delle sfaccettature dell’atteggiamen-to della gente comune nei confronti delle leggi razziali.

196. Sul fascismo come ‘religione’ cfr. già C. Schwarzemberg, Diritto e giustizia, cit., p. 42.

che ebbe il suo massimo sviluppo tra il 1928 e il 1935197. Tuttavia, ancora nel 1931, la fascistizzazione dei giovani mostrava molte carenze, soprattutto fra gli universitari e in particolare tra gli studenti di giurisprudenza, lettere e fi losofi a198.

Una chiara enunciazione dell’insofferenza verso gli schemi positivistici della certezza del diritto è rivelata dalla defi nizione di rivoluzionario del pur-troppo ben noto art. 1 della legge 13 luglio 1939 n. 1024 contenente norme integrative al R. decreto legge 17 novembre 1838 n. 1728 sulla difesa della razza italiana che riconosceva, come è ben noto, al ministro dell’interno il potere di discriminare tra gli Ebrei, ossia «la facoltà di dichiarare la non appartenenza alla razza ebraica anche in difformità delle risultanze degli atti dello stato civile». Secondo Gian Battista Nappi, autore di un trattato di di-ritto matrimoniale concordatario e civile, infatti, il carattere rivoluzionario della norma stava nel superare le limitazioni del «formalismo scientifi co» e delle «norme codifi cate» per realizzare lo «spirito del Regime» e conseguire senza esitazioni i «fi ni nazionali del pubblico bene»199.

5. «È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti», ovvero le leggi razziali tra ‘legalità del male’ e ‘infamia della legge’

La prima parte del titolo di questo paragrafo corrisponde al § 7 del cosid-detto Manifesto sulla razza degli scienziati italiani pubblicato da Il giornale d’Italia del 14 luglio 1938 e anche nella Collezione Celerifera delle leggi, decreti, circolari, atti del Partito Nazionale Fascista (ossia dello Stato ita-liano) norme corporative etc. con note illustrative e precedenti parlamentari in nota al Comunicato sulla posizione del fascismo in confronto ai problemi della razza. In realtà nell’intitolazione di questo paragrafo ero incerta tra questa frase e un’altra dello stesso Manifesto, rimarcata dallo stesso articolo nel quale si rilevava come «tutta l’opera che fi nora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo»200.

197. Cfr. anche per i riferimenti alla storiografi a anteriore F. Amore Bianco. Il cantiere di Bottai cit., pp. 19-21: «ecco quindi che corporativismo, politica universitaria, formazione di un ceto dirigente integralmente fascista e problema dei giovani rappresentarono nel corso degli anni Trenta, i temi di un dibattito politico-culturale, al quale il “cantiere di Bottai” con-tribuì in maniera non secondaria». Cfr., inoltre, P. Dogliani, Il fascismo degli Italiani. Una storia sociale, Utet Torino, 2014.

198. Relazione di Scorza sulla fascistizzazione dei giovani, in A. Aquarone, L’organizza-zione, cit., t. II, n. 49, pp. 514-517, in part. pp. 515-516.

199. La citazione è di S. Gentile, La legalità del male, cit., pp. 181 ss. in part. p. 183. G.B. Nappi scrisse nel 1946 a sostegno dell’abolizione dei soli codici penali e cfr. P. Cappellini, La forma-codice, cit., pp. 550-551.

200. Dal commento del ‘Popolo d’Italia del 15 luglio 1938 pubblicato in nota al Comuni-cato in data 15 luglio 1938 sulla posizione del fascismo in confronto ai problemi della razza (Collezione Celerifera 1939, p. 909 e cfr. in proposito G. Israel, Il documento “Il fascismo e

Politica e propaganda o propaganda della politica servivano in questo caso, se si passa dal livello del diritto interno a quello del diritto internazio-nale, anche a dimostrare all’alleato tedesco che l’Italia non era in ritardo. Le politiche messe in atto da sedici anni dal regime per rafforzare non solo il fi sico del popolo italiano, ma anche per esaltare il suo ‘spirito’ connotato da «virtù morali» universalmente riconosciute («il suo eroismo, il suo spirito di sacrifi cio, il suo genio, la sua disciplina»), trovarono il loro sbocco, pochi mesi più tardi, nella legalità del male o, per usare un’altra espressione ben nota, nell’infamia nel diritto201. L’apparato messo in atto per convincere gli Italiani fu comunque imponente e potrebbe anche far pensare a un segno di timore del regime, che, avendo il polso dell’opinione popolare attraverso gli infi niti fi ltri della polizia e del controllo politico dell’OVRA, forse, non cre-deva che anche questo provvedimento sarebbe potuto passare senza solleva-re inquietudini o solleva-reazioni. Si voleva convincesolleva-re l’opinione pubblica italiana adulandola e facendole, inoltre, credere che lo Stato agiva per difendere la società da un nemico che non sapeva di avere, mentre si temeva che prov-vedimenti, voluti anche per compiacere l’alleato, avrebbero potuto ritorcersi contro il governo.

Potremmo dire che nemmeno Gramsci l’aveva previsto, quantunque già all’inizio degli anni Trenta, l’insofferenza verso gli Ebrei, anche da parte di Mussolini, fosse trapelata in diverse occasioni e vicende202.

Fin dal 1932, come risulta dalla corrispondenza tra Antonio Gramsci, Tania Schucht e Piero Sraffa, sembravano essersi evidenziati i sintomi di una tendenza, se non di diritto, quantomeno di fatto, alla discriminazione degli Ebrei, dei quali al momento non si riusciva a dare spiegazione. Sraffa, in particolare, vedeva negli effetti del Concordato tra Italia e Santa Sede due tendenze contraddittorie, che pur contenevano il rischio di una nuova ghettizzazione degli ebrei e gravissimi danni per «gli ebrei assimilati»203. Il riconoscimento delle Università israelitiche andava, infatti, di pari passo con l’esclusione «di fatto dal Parlamento e dall’Accademia degli Ebrei», come

i problemi della razza” di luglio 1938, in La Rassegna Mensile d’Israel, Numero speciale in occasione del 70° anniversario dell’emanazione della legislazione antiebraica fascista a cura di M. Sarfatti, LXXIIII, 2 (2007), pp. 103-118.

201. L’espressione ‘Legalità del male’ è mutuata dal titolo del libro di S. Gentile, più volte citato, ‘l’infamia nel diritto’ dal titolo della raccolta di studi L. Garlati e T. Vettor (a cura di), Il diritto di fronte all’infamia nel diritto a 70 anni dalle leggi razziali, Giuffrè Milano, 2009.

202. Mi limito a rinviare, anche per i riferimenti bibliografi ci a M. Sarfatti, Gli Ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità persecuzione (del 2000), Torino, Einaudi, 2007, pp. 82 ss; Id., Contenuto e modalità della persecuzione antiebraica dell’Italia fascista 1938-1943, in Il diritto di fronte all’infamia nel diritto, cit., pp. 137-146, in part. pp. 136-140.

203. Le preoccupazioni riguardavano probabilmente anche il R.D. 30 ottobre 1930 n. 1731 che aveva istituito l’Unione delle Comunità Israelitiche, rimasto in vigore fi no al 1989 come rileva P. Passaniti, Lo schermo infranto dell’uguaglianza: le premesse della legislazione antiebraica tra svolta antisemita e progressione razzista, in L’Italia a 80 anni dalle leggi antiebraiche, cit., pp. 161-190, pp. 178-179.

previsto dal successivo R.D.L. 1731/1930 (Norme sulle comunità israeliti-che e sulle Unione delle Comunità medesime)204.

Nella sua risposta molto articolata, Gramsci ricordava come, allo scoppio della prima guerra mondiale, negli Stati dell’Europa centrale e orientale, le classi dirigenti avessero effettivamente manipolato i loro ‘popoli’ «facendo del razzismo un elemento della mobilitazione nazionalistica delle masse» e, quantunque dubbioso, non escludeva che nell’Italia contemporanea avrebbe potuto nascere una «tendenza antisemita». Si ricredette, però, poco dopo, sulla base di nuove informazioni fornitegli dall’amico, affermando che «in Italia da un pezzo non esiste un antisemitismo popolare (che è l’antisemi-tismo classico, quello che ha provocato e provoca tragedie e che ha un’im-portanza nella storia della civiltà)». D’altra parte, a suo giudizio, il carattere ‘laico’ dell’unità nazionale avrebbe prodotto il superamento dell’antisemiti-smo205. Ma, come ben noto, Gramsci era ormai in carcere da sei anni e forse non era più in grado di valutare quel che stava accadendo in Italia.

La correttezza dell’analisi di alcuni contemporanei, in questo caso di Sraffa, è stata confermata dalla storia. Mussolini, che fi n dal 1922 aveva tenuto a acquisire il «consenso popolare cattolico»206 con il concordato del 1929 e le circolari applicative, sfruttò l’«universalismo cattolico per la sua politica di esasperato nazionalismo», opponendo, per via di circolari, all’or-mai incontrastabile rischio, perché pienamente legittimato, di infl uenza della chiesa sulla popolazione, l’istituzione, già lo si è ricordato, di corsi di dottri-na fascista207.

Le leggi della ‘persecuzione’ del 1938 non furono, dunque, almeno per al-cuni, un ‘fulmine a ciel sereno’. La discriminazione degli Ebrei in diversi settori pubblici, il loro censimento e la denigrazione attraverso la stampa (secondo la

204. A. Mazzacane, Il diritto fascista e la persecuzione degli Ebrei, cit., pp. 32-36; S. Dazzetti, Gli ebrei italiani e il fascismo: la formazione della legge del 1930 sulle comunità israelitiche, in Diritto economia e istituzioni nell’Italia fascista, cit., pp. 219-254. Cfr., inoltre, i saggi pubblicati nel volume P.L. Bernardini, G. Luzzatto Voghera, P. Mancuso (a cura di), Gli ebrei e la destra. Nazione Stato, identità, famiglia, ARACNE Editrice Roma, 2007, e in part.: S. Levis Sullam, Arnaldo Momigliano e la ‘nazionalizzazione parallela’: autobiografi a, religione, storia, pp. 61-94; V. Pinto, Mitologie del realismo? La galassia del revisionismo sionista nell’Italia fascista (1922-1938), pp. 95-140; I. Pavan, Renzo Ravenna, il podestà «ebreo» di Ferrara, pp. 141-174. Un’ampia disanima dei precedenti interni e internazionali delle politiche razziste in E. De Cristofaro, Codice della persecuzione, cit., pp. 49-80 e 103-144.

205. Cito da G. Vacca, Vita e pensieri di Antonio Gramsci 1926-1937, Einaudi Torino, 2012, pp. 180-183.

206. Rinvio anche per i riferimenti bibliografi ci a A. Mazzacane, Il diritto fascista e la persecuzione degli Ebrei, cit., pp. 31-32.