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Una dottrina alla ricerca del «concetto assoluto di costituzione», che «aveva trovato soltanto il fascismo»274

Nel documento L’ItaLIa aI tempI deL ventennIo fascIsta (pagine 99-104)

Claudia Storti

7. Una dottrina alla ricerca del «concetto assoluto di costituzione», che «aveva trovato soltanto il fascismo»274

In ogni caso, più che di una rivoluzione ancora in atto, come aveva pre-teso Maggiore, secondo Costantino Mortati si doveva parlare di una rivolu-zione già compiuta con l’eliminarivolu-zione della distinrivolu-zione tra potere legislativo e esecutivo nella formazione delle leggi e con la subordinazione dell’ultimo residuo dell’antico Parlamento, ossia del Gran Consiglio del fascismo, all’ar-bitrio del Capo del Governo: «[…] nell’odierno sistema, la volontà del Capo del Governo è siffattamente arbitro del funzionamento del Gran Consiglio in ordine alle funzioni consultive di questo, da condurre a negare ogni ri-levanza giuridica delle medesime» e «il Capo del Governo può fare quello che vuole». Non aveva pertanto alcun senso arrovellarsi, come faceva Paolo Biscaretti di Ruffi a, per cercare l’aderenza o meno di quel sistema alla costi-tuzione reale275.

Nel frattempo, lo si è già accennato, l’iniziativa di elaborare i principi generali dell’ordinamento giuridico fascista o una ‘Carta dei principi’ era stata ispirata dalla necessità di eliminare l’autonomia del diritto privato che lasciava margini alla libertà individuale e impediva la sua completa subordi-nazione alla volontà dello Stato (o del Duce, suo Capo).

Non si arrivò alla pubblicazione di un testo normativo276, ma non manca-rono proposte di costituzionalizzazione di quei principi. Tali proposte risen-tirono più o meno esplicitamente dell’intensissimo dibattito giuridico, mai cessato in Italia, sulle conseguenze prodotte sulla struttura e sul modello del-lo Stato dalla nuova concezione del rapporto tra Stato-società, nonché sulle teorie e gli istituti, che erano stati alla base della redazione delle costituzioni

onde si instaura la sovranità come designazione della piena capacità del suo potere effettivo, non è illimitato, arbitrario […] Volere dello Stato, volere per lo Stato signifi ca, pertanto, ri-cognizione di infi nite soggettività morali, di infi niti voleri personali, uniti in un predicato di assoluta eticità. È questo il motivo per cui la sovranità, come attributo del volere dello Stato, non ci appare illimitata e tanto meno arbitraria, assoluta come vogliono molti. Essa […] non può venir meno all’infl essibile eticità della sua costituzione, menomare la personalità, la di-gnità di quanti sono nello Stato e saldamente con lo spirito lo sostengono».

274. Il titolo scelto per il paragrafo corrisponde a un’effi cacissima espressione di G. Za-grebelsky, Premessa, cit., pp. XIX-XX.

275. C. Mortati, “Sulla partecipazione del Gran Consiglio alla determinazione dell’indi-rizzo politico”, in Archivio giuridico F. Serafi ni, s. 5, vol. 8 128(1942), pp. 61-62 e p. 79. Per quanto concerne gli scritti sulla Costituzione di Mortati e Esposito tra fi ne anni Trenta e inizio anni Quaranta, oltre ai riferimenti oltre a nt. 292, cfr. F. Colao, L’‘idea di nazione’, cit., in part. pp. 334 ss. e G. Zagrebelski, Premessa, cit., pp. XVI ss.

276. Sugli Atti del convegno nazionale universitario sui principi generali dell’ordinamen-to giuridico fascista tenudell’ordinamen-to in Pisa nei giorni 18 e 19 maggio 1940 – XVIIII, Pisa 1940 e su-gli Studi sull’ordinamento generale dell’ordinamento giuridico fascista Pisa, Pacini Mariotti 1943, cfr. C. Schvarzenberg, Diritto e giustizia, cit., pp. 216-220; F. Amore Bianco, Il cantiere di Bottai, cit., pp. 293-294.

di Weimar del 1919, di Vienna e della Cecoslovacchia del 1920, e all’attua-zione concreta, nel bene e nel male, di quei testi costituzionali277.

Nell’adesione a tutte le riforme del regime e nella dichiarata opposizione al formalismo e al giuspositivismo ‘astratto’, rappresentati, innanzitutto, dal-la scuodal-la viennese di Kelsen (suldal-la scia deldal-la stigmatizzazione di tali teorie da parte degli integralisti come Maggiore o Costamagna)278, tali proposte miravano, con graduazioni diverse279, a tenere la barra dritta sul principio di legalità e sembrano ispirate dalla volontà di bloccare l’estremismo autorita-rio con un testo costituzionale rigido, che costituisse un limite alla volontà del duce e al suo modello di Stato.

Troviamo questo orientamento ben espresso dalla proposta dell’univer-sitario Giacomo Perticone, allora docente a Pisa, nel ‘cantiere’ di Bottai280, che nel 1940, dopo una prima stesura di principi generalissimi, sulla scia del-le richieste della Sottocommissione parlamentare per la «enunciazione dei principi generali della codifi cazione»281, redasse un vero e proprio schema di

277. Mi limito a rinviare, anche per i riferimenti bibliografi ci, a B. Sordi, Tra Weimar e Vienna. Amministrazione pubblica e teoria giuridica nel primo dopoguerra, Milano, Giuffrè, 1987 (PSPGM, 25) e alle pagine sintetiche ed effi caci di M. Stolleis, Introduzione alla storia del diritto pubblico in Germania (XVI-XXI secc.), eum Macerata, 2017, in part. pp. 99 ss. e 126 ss.

278. Per la bibliografi a cfr. sopra nt. 264 e 279.

279. Roberto Lucifredi, amministrativista e al tempo docente a Perugia, ma poi catturato e deportato in Germania, prima come prigioniero militare e poi come prigioniero politico, propose una costituzione gerarchicamente sovraordinata alla legge e la conferma degli artt. 1-2 del c.p. in opposizione alla politica del diritto della Germania nazista. Nella sua proposta, però, secondo i principi del diritto libero, ai giudici spettava rifi utarsi di dare applicazione a norme invalide di qualsiasi tipo (8). Per il resto, norme di rango costituzionale avrebbero dovuto essere quelle relative all’organizzazione del PNF e quelle concernenti la difesa della razza (3) (C. Schwarzenberg, Diritto e giustizia, cit., 216-217 e L. Aquarone, Lucifredi, Ro-berto (Genova, 13 novembre 1909 – ivi, 27 aprile 1981), in DBGI, vol. II, pp. 1211-1212). Del tutto differenti furono ancora le proposte di Carlo Costamagna, che, rilevata «l’incom-piutezza della legalità fascista», espresse la necessità di una «difesa» dei «nuovi valori umani rivendicati dalla rivoluzione fascista». Dell’articolo di C. Costamagna, I cosiddetti «principi generali» del diritto fascista, in Lo Stato, 9,3(1940), pp. 97 ss. ampi stralci sono riportati da C. Schwarzenberg, Diritto e giustizia, cit., pp. 212-214.

280. Su Giacomo Perticone, che aveva appena pubblicato le monografi e Il diritto e lo Stato: corso di lezioni di teoria generale, Giuffrè Milano, 1937 e Elementi di una dottrina generale del diritto e dello Stato, Giuffrè Milano, 1939, esiste una bibliografi a molto ampia e cfr. la raccolta di studi M. Silvestri (a cura di), Giacomo Perticone. Stato parlamentare e regime di massa nella cultura europea del Novecento, Cassino, Università degli Studi, 2000; M. Silvestri, Perticone, Giacomo (Catania, 2 gennaio 1892 – Roma, 11 dicembre 1979), in DBGI, vol. II, pp. 1548-1549; C. Palumbo (a cura di), Stato, società e storia in Giacomo Per-ticone, Giappichelli Torino, 2015; P. Piciacchia, Perticone e il dibattito costituente, in Nomos, 3 (2017), pp. 1-12.

281. G. Perticone, Sui principi generali del diritto positivo, in Archivio Giuridico F. Sera-fi ni, s. V, vol. 3, 123 (1940), pp. 18-34 in part. p. 31: «una posizione di principi e valori in cui si dissolvano le forme rigide della disciplina giuridica» e prima proposta pp. 33-34, pubblicati anche in C. Schvarzenberg, Diritto e giustizia, cit., pp. 209-212.

costituzione, preceduto e seguito da una serie di considerazioni in contrap-punto, anche se non in diretta polemica, con le teorie rivoluzionarie di cui si è detto 282.

Pur ammettendo che nei periodi di rapida trasformazione si sarebbe po-tuto ritenere necessario ricorrere «a fonti metagiuridiche» e a «fonti non formali»283, Perticone sosteneva la necessità di una vera e propria Costitu-zione corrispondente alla nuova conceCostitu-zione dello Stato e del diritto pubblico che aveva ormai pervaso anche la disciplina di tutte le materie precedente-mente riservate al diritto privato («la pressione del diritto pubblico non può arrestarsi al confi ne del diritto privato»).

La «crisi immanente della dommatica»284 era stata generata dal «pregiu-dizio della separazione della politica legislativa dalla legislazione positiva, degli studi pubblicistici da quelli del diritto privato» e quella ‘crisi’ avrebbe dovuto essere superata non rifi utando la dommatica e i concetti, come ave-va sostenuto Maggiore, bensì considerando che dommatica e concetti erano soggetti a una continua rimodulazione secondo ‘il fi ne dell’ordinamento’. La storia e l’ideologia dello Stato fascista avevano modifi cato la stessa defi -nizione di legge: «oggi si è sostituito con le leggi corporative, professionali ecc. l’interesse collettivo, quello di tutti deboli e forti, la legge non è più coazione esterna, come nello stato liberale, non è trionfo dell’autorità dello Stato sulla libertà dell’individuo, ma occorre cambiare i concetti, la domma-tica, l’autorità dello Stato non è contrapposta a quella dell’individuo, perché il povero è protetto e tutelato»285.

La legge dello Stato fascista non corrispondeva più alla concezione della legalità dello Stato liberale e occorreva, pertanto, fi ssare defi nitivamente la radicale trasformazione dell’ordinamento giuridico e della legislazione che ne era emanazione con «un sistema che collega le varie norme giuridiche» ad esse gerarchicamente sovraordinato: «Di conseguenza lo stesso carattere di giuridicità è condizionato dalla conformità delle singole norme subordinate ai principi posti dalla norma gerarchicamente superiore»286.

Diviso in cinque titoli (regime e governo, diritti e doveri dei singoli e delle associazioni, assemblee legislative, lavoro e disciplina dei contratti collettivi, produzione e intervento dello Stato), il testo era il risultato di una selezione di articoli dello statuto albertino (talora modifi cati nella forma o per effetto delle modifi che ‘costituzionali’ del fascismo), della carta del lavoro, della l. 100 del 1926 sui poteri legislativi del capo del Governo, della l. 121 del 1939

282. G. Perticone, Ancora sui principi generali dell’ordinamento giuridico, in Archivio Giuridico F. Serafi ni, s. V, vol. 4, 124 (1940), pp. 54-73, nonché Sui principi generali del di-ritto privato, pp. 129-138, con riferimenti a H. Kelsen e alla scuola viennese.

283. G. Perticone, Ancora sui principi generali, cit., p. 58. 284. G. Perticone, Ancora sui principi generali, cit., p. 57. 285. G. Perticone, Ancora sui principi generali, cit., pp. 64-65. 286. G. Perticone, Ancora sui principi generali, cit., p. 61.

sul consiglio nazionale delle corporazioni e di qualche principio di carattere generale non ancora sanciti da leggi.

Non era che Perticone non si rendesse conto che una costituzione di tal fatta rischiasse di essere di ostacolo alla volontà del Duce e, anzi, era pro-babilmente proprio questo il proposito, più o meno abilmente dissimulato anche nelle argomentazioni. Nel 1940, il fascismo e la dittatura non erano più un incidente nella storia costituzionale dello Stato italiano, ma una fase specifi ca e compiuta della sua storia, una fase non transitoria, ma perfet-tamente compiuta e stabilizzata, né, nonostante i venti di guerra, si poteva prevedere la sua caduta.

Quel tanto o poco di limiti e di ostacoli all’«onnipotenza del legislatore» insiti nell’adozione di una fonte di diritto ‘rigida’ e gerarchicamente sovra-ordinata alla legge, inoltre, sarebbero stati attenuati, da un lato, dal fatto che la costituzione, composta sia da norme di carattere precettivo, sia da norme di carattere programmatico, era meno cogente di quanto potesse apparire, dall’altro, dal fatto che essa offriva il vantaggio di porsi come limite agli arbitri nell’interpretazione e nell’applicazione delle leggi da parte della ma-gistratura e della burocrazia287.

I giuristi del regime lo avevano detto chiaramente: «le pietre angolari del sistema del secolo XIX» erano state demolite, «il sistema parlamentare e contrattuale dell’anteriore tipo dello Stato» non esisteva più288. È indiscutibi-le, come ebbero a sostenere Calamandrei pochi giorni prima del referendum monarchia/repubblica e Vittorio Emanuele Orlando all’inizio dei lavori della Costituente, che lo statuto albertino da tempo non fosse più in vigore289.

Alcuni temi e argomenti del dibattito, avviato negli ultimi anni del fasci-smo, in occasione delle proposte di redazione di una carta del diritto o di una costituzione fascista per il superamento anche ‘formale’ dello Statuto, servi-rono da piattaforma e fuservi-rono, in un certo senso, ‘reimpiegati’, dopo la Libera-zione e in contesto interno e internazionale completamente mutato, intorno ai lavori per la Costituente e ancora oltre nella lentissima attuazione della Costi-tuzione290. Basti pensare alla continuità nella tradizione costituzionalistica del principio del «metodo giuridico», al ripescaggio della «dottrina della Costitu-zione» di Costantino Mortati – ‘compromesso’ con il fascismo291, ma membro

287. Loc. ult. cit.

288. Costamagna citato da C. Schvarzenberg, Diritto e giustizia, cit., rispettivamente pp. 212 e 213,

289. P. Calamandrei, A quale scopo? «Il Nuovo Corriere della Sera» 11 maggio 1946, in Utopie, cit., pp. 66-67.

290. Tra gli innumerevoli studi sui problemi del ritardo nell’attuazione della Costituzione e della sua inattuazione ricordo dal punto di vista storico giuridico: G. Brunelli, G. Cazzetta (a cura di), Dalla Costituzione “inattuata” alla Costituzione “inattuale”? Potere costituente e riforme costituzionali nell’Italia repubblicana. Ferrara, 24-25 gennaio 2013, Giuffrè Milano (PSPGM, 103), 2013.

della Commissione dei 75 durante i lavori per la nuova costituzione – e alla sua affermazione del primato della Costituzione sulla base dei principi elaborati, fi n dagli anni Trenta, con Carlo Esposito e Vezio Crisafulli292, alla distinzione tra norme precettive e norme programmatiche293, al principio della rigidità e del ruolo gerarchicamente sovraordinato della Costituzione a tutte le fonti del diritto294.

Tuttavia, quantunque, ancora Calamandrei, avesse evocato «la triste beffa delle leggi illusorie alle quali non credeva nemmeno il legislatore»295, l’edi-fi cio uscito dal grande ‘cantiere’ del fascismo accompagnò nel suo impianto legislativo, e dunque formale, se non ideologico, la costruzione dell’Italia repubblicana e democratica per decenni296.

Ecco allora che un’ultima domanda sembra imporsi al giurista di oggi. Se il campo semantico di legalità è stato così ampio che, in un passato tutto sommato piuttosto recente, la si è potuta considerare come un concetto ‘per tutte le stagioni’, la nostra Costituzione e i principi di democrazia che sono stati alla base della sua ideazione costituiscono ancora un baluardo suffi cien-te per la sopravvivenza dello Stato di diritto costituzionale? Si può cien-temere che esso subisca gli effetti della crisi della democrazia, che sta verifi candosi in molti paesi europei, e venga progressivamente smantellato, senza che si percepiscano i rischi di singole ripetute fratture a singoli punti del suo im-pianto? Oppure, nell’attuale rapido mutamento di tutti i riferimenti interni e internazionali che il giurista ha fi no ad ora utilizzato per la costruzione degli strumenti democratici (dalla struttura dell’economia a quella della società e al suo radicamento ai principi della maggioranza e della rappresentatività del Parlamento) non sarà forse necessario che i giuristi inventino strumenti del tutto nuovi di sostegno alla democrazia?

292. M. Fioravanti, Dottrina dello Stato-persona e dottrina della costituzione, cit., pp. 657 ss.; Id., Il problema dell’ordine politico nella cultura costituzionale italiana del Novecento, in Id., La costituzione democratica, cit., pp. 353-369; sulla ‘compromissione’ di Mortati con il fascismo e sulla rimozione per decenni del concetto di costituzione materiale: Zagrebelsky, Premessa, cit., pp. IX ss. Su C. Mortati occorre consultare anche le ampie ricerche di F. Lanchester tra le quali F. Lanchester (a cura di), Costantino Mortati: costituzionalista calabrese, Esi Napoli, 1989; Id., Costantino Mortati, in Il contributo italiano, cit., pp. 594-597.

293. Cfr. sopra testo a nt. 287.

294. Per una sintesi effi cace: M. Fioravanti, Mortati, Costantino (Corigliano Calabro, 28 dicembre 1921 – Roma, 25 ottobre 1985), in DBGI, vol. I, pp. 1386-1389, in part. pp. 1388-1389.

295. P. Calamandrei, Gli avvocati, cit., p. 34.

Nel documento L’ItaLIa aI tempI deL ventennIo fascIsta (pagine 99-104)