Paolo Caretti
2. Le tracce della discriminazione razziale nelle leggi coloniali
Come accennato, lo strumentario logico-concettuale delle più note “leg-gi razziali” del periodo 1938-1945, approvate nei confronti degli stranieri
e degli ebrei, può essere rinvenuto già nelle leggi riguardanti lo status dei cittadini delle colonie italiane approvate tra il 1933 ed il 1939. Di tale ascen-denza si fece vanto la stessa Dichiarazione del Partito nazionale fascista del 25 luglio del 1938, la quale sottolineò che «con la creazione dell’Impero, la razza italiana è venuta in contatto con altre razze; deve quindi guardarsi da ogni ibridismo e contaminazione. Leggi ‘razziste’ in tale senso sono già state elaborate e applicate con fascistica energia nei territori dell’impero»1.
Anche ad una lettura superfi ciale, appare chiara la caratteristica generale di questa legislazione: quella di defi nire una serie di principi e regole volti a defi nire status giuridici speciali, o meglio forme di cittadinanza dimidiate, distinte e “minori” rispetto alla cittadinanza piena, riservata ai soli cittadini italiani.
Alcuni esempi paiono rendere ragione di questa affermazione. Per quan-to riguarda i cittadini delle isole italiane dell’Egeo, il r.d.l. 19 otquan-tobre 1933 – XI, n. 1379 (convertito in legge 4 gennaio 1934 – XII, n. 31) previde, a fronte dell’esonero dall’obbligo di prestare il servizio militare, il mancato riconoscimento dei diritti politici. Ad essi venne, tuttavia, riconosciuta la cit-tadinanza italiana e, conseguentemente, lo “statuto personale”, ovvero, il go-dimento dei diritti civili riconosciuti ai cittadini italiani. Inoltre, essi poteva-no chiedere il ricopoteva-noscimento della cittadinanza piena, incluso l’obbligo del servizio militare ed il godimento dei diritti politici, il quale veniva concesso con Decreto reale, sentito il Governatore delle colonie.
Tale situazione di quasi completa equiparazione dei cittadini dell’Egeo non venne, invece, realizzata nei confronti dei cittadini libici. In ordine, in-fatti, allo statuto dei cittadini della Libia, l’«Ordinamento organico per l’am-ministrazione della Libia» introdusse alcune norme relative alla cittadinanza (artt. 33 e ss.) che dettavano uno statuto personale speciale. A differenza di quanto stabilito nei confronti dei cittadini delle isole egee, quindi, non fu operato un rinvio alle norme in materia di libertà e diritti civili previste per i cittadini italiani – nella legislazione dell’epoca denominati «cittadini metro-politani» – ma un elenco di diritti politici e civili dei libici, che si sovrappo-se al pregresso statuto personale e successorio sovrappo-se di religione musulmana o solo personale se di religione israelitica. La disciplina dello statuto personale dei cittadini italiani libici venne, poi, arricchita con l’emanazione del r.d.l. 9 gennaio 1939 – XVII, n. 70, recante «Aggregazione delle quattro provincie libiche al territorio del Regno d’Italia e concessione ai libici musulmani di una cittadinanza italiana speciale con statuto personale e successorio musul-mano». Tale legge, che apparentemente ampliava i diritti di alcuni cittadini italiani libici, recò pionieristicamente i segni dell’ideologia razziale del re-gime, che stava nel frattempo emergendo anche nella legislazione relativa ai cittadini italiani «metropolitani». Da un lato, lo speciale statuto riconosciuto
1. Dichiarazione del Partito nazionale fascista (25 luglio 1938), in R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi Torino, 1988, p. 557.
ai cittadini italiani libici musulmani escluse apertamente i cittadini italiani libici israeliti sulla base dell’appartenenza etnico-religiosa, dall’altro, le li-bertà ed i diritti che si aggiunsero all’elenco dell’art. 40 del r.d.l. 3 dicembre 1934, n. 2012-2500 riguardarono l’accesso alla carriera militare ed alle ca-riche politiche e sindacali-corporative locali e furono, pertanto, chiaramente volti ad aumentare il potere politico della popolazione libica musulmana nei confronti degli ebrei. E ciò probabilmente in vista dell’imminente progetto di oppressione del popolo ebraico che, come in territorio italiano, si sarebbe di lì a poco attuato anche nelle colonie.
È solo con lo statuto dei cittadini delle colonie africane (Etiopici, Eritrea e Somalia), unifi cate nell’Africa Orientale Italiana (A.O.I.) con il r.d.l. 1 giu-gno 1936, n. 1019 (che ne disciplinò l’ordinamento e l’amministrazione), che inizia ad emergere l’anima di più spiccato stampo razziale di tutta la legislazione coloniale. Emblematica al riguardo appare la netta distinzione tra sudditi e cittadini, che, in ultima analisi, si fondava sulla volontà di evitare contatti tra persone di razza ariana e persone di razza africana e che di lì a poco sarebbe stata estesa a tutte le colonie. E così la “vocazione” razziale della legislazione coloniale emerse, in via esemplifi cativa, dall’art. 30 del r.d.l. n. 1019 cit., che stabilì che «il nato nel territorio dell’A.O.I. da genitori ignoti, quando i caratteri somatici ed altri eventuali indizi facciano fonda-tamente ritenere che entrambi i genitori siano di razza bianca, è dichiarato cittadino italiano».
Il primo provvedimento autenticamente e sistematicamente segregazio-nista fu, però, il r.d.l. 19 aprile 1937 n. 880 relativo alle relazioni di indole coniugale tra cittadini e sudditi, poi convertito in legge il 30 dicembre 1937. Esso era costituito da un articolo unico che puniva con la reclusione da un anno a cinque anni il cittadino italiano che nel territorio del Regno o delle colonie avesse tenuto relazioni «di indole coniugale» con persona suddita dell’Africa orientale italiana o con persona straniera «appartenente a popo-lazione che abbia tradizioni, costumi o concetti giuridici e sociali analoghi a quelli dei sudditi dell’Africa orientale italiana».
A questo provvedimento fecero seguito altre, innumerevoli, norme re-strittive della possibilità di contrarre matrimoni misti (17 novembre 1938, v. infra, r.d.l. sulla tutela della “razza italiana”) e di instaurare ogni altra relazione tra nativi e italiani. La legge n. 1004 del 29 giugno 1939, in par-ticolare, istituì il reato di lesione del prestigio della razza e conferì ad esso un ambito di applicazione oggettivo e soggettivo estremamente ampio. Ben al di là della sfera dei rapporti sessuali, era considerato reato il fatto che un italiano lavorasse per un indigeno o frequentasse un locale riservato ai neri.
Stupefacenti, se osservate con le lenti del Ventunesimo secolo, appaiono le norme relative ai «meticci», di cui alla l. 13 maggio 1940 – XVIII, n. 822. In particolare, le defi nizioni recate dall’art. 1 testimoniano l’emersione, an-che nei testi normativi, dell’ideologia razzista del colonialismo italiano, pri-ma, e del regime fascista, poi: «a) per cittadino s’intende il cittadino italiano
metropolitano; b) per nativo s’intende colui al quale è attribuita la cittadinan-za speciale di cui all’art. 4 del r.d.l. 9 gennaio 1939 – XVII, n. 70, il cittadino italiano libico ed il suddito dell’A.O.I.; c) al nativo s’intende assimilato lo straniero appartenente a popolazione che abbia tradizioni, costumi e concetti religiosi, giuridici e sociali simili a quelli dei nativi dell’Africa italiana; d) per meticcio s’intende il nato da genitore cittadino e da genitore nativo dell’A-frica italiana od assimilato. È considerato meticcio: il nato nei territori dello Stato da genitori ignoti, quando le caratteristiche somatiche od altri elementi facciano fondatamente ritenere che uno dei genitori sia nativo dell’Africa italiana od assimilato; il nato da genitore cittadino, quando le caratteristiche somatiche o altri elementi facciano fondatamente ritenere che l’altro genitore sia nativo dell’Africa italiana od assimilato; il nato da genitore nativo quando le caratteristiche somatiche od altri elementi facciano fondatamente ritenere che l’altro genitore non sia nativo dell’Africa italiana od assimilato». Alla condizione di meticcio, che veniva dichiarata con provvedimento dell’autori-tà giudiziaria, conseguiva l’equiparazione al nativo dell’A.O.I. e l’impossibi-lità di essere riconosciuto da un genitore cittadino, di portarne il cognome, di riceverne il sostentamento, di frequentare istituti, scuole, collegi, pensionati ed internati per nazionali, ed, infi ne, di essere adottati.
3. Il corpus della legislazione razziale dal 1938 al 1945 e la sua