Claudia Storti
2. La pretesa ‘continuità’ costituzionale tra crisi dello Stato liberale e regime fascista
2.1. Equilibrio e separazione dei poteri tra lettera dello Statuto e prassi
costituzionale
Quali erano i cardini delle teorie costituzionali sui quali si innestò il fascismo e che, opportunamente sfruttati, gli aprirono le porte? I principi ‘liberali’ della separazione e dell’equilibrio dei poteri erano stati introdotti dallo Statuto, concesso dal Re Carlo Alberto nel 1848 al Regno di Sardegna con l’impegno personale di “osservarlo lealmente”59, e esteso nel 1861 al “nuovo” Stato italiano. In quel tempo – non è forse inutile ricordarlo –, la formula della costituzione liberale e rappresentativa era sconosciuta agli ordinamenti giuridici dei territori annessi e i docenti di diritto costituziona-le delcostituziona-le facoltà di giurisprudenza delcostituziona-le ‘prime’ università dell’Italia unita erano allo studio per costruire le coordinate scientifi che e sistematiche di una disciplina ancora impregnata di fi losofi 60. Certo era, soltanto, che l’ef-fettività della costituzione dipendeva dalla volontà del sovrano, le norme costituzionali non erano rigide né gerarchicamente sovraordinate alla leg-ge e il principio della separazione dei poteri era declinato dallo Statuto in maniera ambigua tanto da lasciare alla prassi e al dibattito ’scientifi co’ la sua attuazione.
58. Così secondo un’opinione diffusa tra gli storici del diritto e espressa sinteticamente da A. Mazzacane, Il diritto fascista, cit., pp. 23-24.
59. Art. 22 «Il Re, salendo al trono, presta in presenza delle Camere riunite il giuramento di osservare lealmente il presente Statuto».
60. L. Lacchè, Lo stato giuridico e la costituzione sociale. Angelo Majorana e la co-stituzione di fi ne secolo, in G. Pace Gravina (a cura di), “Il giureconsulto della politica”. Angelo Majorana e l’indirizzo sociologico del diritto pubblico, eum Macerata, 2011, pp. 23-54, ora in L. Lacchè, History and Costitution. Developments in European Constitutionalism: the comparative experience of Italy. France, Switzerland and Belgium (19th-20th centuries), Frankfurt am Main, Vittorio Klostermann, 2016, pp. 509-532, in part. pp. 513 ss.; G. Mecca, Il governo rappresentativo. Cultura politica, sfera pubblica e diritto costituzionale nell’Italia del XIXI secolo, eum Macerata, 2019.
Soltanto vent’anni dopo l’unifi cazione inizia la cosiddetta crisi dello Sta-to liberale, prodotta non solo dalle diffi coltà intrinseche di funzionamenSta-to di un modello di Stato ancora, potremmo dire, in fase di collaudo dopo il repentino passaggio dall’assolutismo a una forma di Stato di diritto liberale, ma anche dall’esplosione, non prevista, dei problemi di una società alla quale i modelli di Stato elaborati dai più eminenti giuristi non attribuivano alcun ruolo61, se non, come si accennerà, quello della partecipazione all’esercizio della funzione punitiva62.
Basti considerare che, come sottolineato da Maurizio Fioravanti, il primo cinquantennio dell’unità fu celebrato nel 1911 da Vittorio Emanuele Orlan-do come effetto esclusivo dell’«espansione regia»63. Si obliterava così tutta l’eredità risorgimentale. Sul concetto di nazione e di volontà della nazione si era costruito il Risorgimento e si era data giustifi cazione, di fronte all’o-pinione pubblica internazionale, della fondazione del nuovo Stato italiano, che si era realizzata anche grazie alla partecipazione ‘popolare’ alle guerre di indipendenza e ai plebisciti64.
Senza addentrarmi nel tema dell’elaborazione dei moduli del diritto pubblico, tanto complesso quanto accuratamente studiato, mi limiterò a ri-cordare i due principali paradigmi dello Stato di diritto (quello denomina-to parlamentare e quello denominadenomina-to amministrativo), contrapposti tra loro proprio sull’interpretazione del rapporto tra i poteri delineato dallo Statuto, ma concordi nel considerare la volontà politica del popolo come principiale ostacolo alla piena realizzazione dei principi statutari soprattutto per quanto concerneva la sua, recente, forma di organizzazione in partiti. Si era, infat-ti, già sviluppato sia in Francia, sia in Italia un nutrito fi lone critico, che li riteneva responsabili di sostenere nel Parlamento interessi di classe invece che l’interesse generale del Paese: è eloquente il titolo dello scritto di Marco Minghetti del 1881 su I partiti politici e la loro ingerenza nella giustizia e
61. M. Fioravanti, La scienza del diritto pubblico, cit., pp. 668, 759 e 768. 62. Cfr. oltre § 2c.
63. M. Fioravanti, Genesi e identità costituzionale dello Stato nazionale unitario, ora in Id., La costituzione democratica, cit., pp. 341-352, in part. p. 345; in G. Cazzetta (a cura di), Retoriche dei giuristi e costruzione dell’identità nazionale, il Mulino Bologna, e in particola-re, G. Cazzetta, Prolusioni, prelezioni, discorsi. L’identità nazionale nella retorica dei giuri-sti, ivi, pp. 11-29 e M. Gregorio, Declinazioni della nazione nella giuspubblicistica italiana, ivi, pp. 231-256.
64. Su questo aspetto la bibliografi a è sterminata a partire da quella che si è occupata delle grandi fi gure del Risorgimento, prima tra tutte Pasquale Stanislao Mancini: mi limito a ricordare F. Colao, L’“idea di nazione” nei giuristi italiani tra Ottocento e Novecento, in Quaderni fi orentini 30(2001), pp. 255-360 e le raccolte di studi L. Nuzzo, M. Vec (a cura di), Constructing international law. The birth of a discipline, Klostermann Frankfurt am Main, 2012; Problemi giuridici dell’Unità italiana, Atti del convegno (Como, 31 marzo 2011), Giuf-frè Milano, 2013; M. Gregorio, Declinazioni della nazione nella giuspubblicistica italiana, in Retoriche dei giuristi, cit., pp. 231 ss.
nella pubblica amministrazione65. Coloro che, invece, come Angelo Mag-giorana, ritenevano che la lotta tra partiti fosse un aspetto fi siologico della struttura del governo rappresentativo, imputavano i problemi del modello ‘parlamentare’ alle persone che ne facevano parte e che utilizzavano lo scon-tro politico per il perseguimento di fi ni meramente personali o di collegio66.
Per i sostenitori del modello ‘parlamentare’, separazione dei poteri si-gnifi cava «dualistico equilibrio tra Re e Parlamento», ai quali, per Statuto, apparteneva il potere congiunto di approvare le leggi67, che costituivano il fondamento dello Stato di diritto68. In tale contesto, secondo Zanardelli, la monarchia avrebbe dovuto costituire, come nel Regno inglese, il baluardo della tutela dei «meccanismi costituzionali»69. Secondo un celeberrimo di-scorso, dell’ugualmente «anglofi lo» Vittorio Emanuele Orlando del 1886, che due anni prima aveva scritto sulla decadenza del sistema parlamentare70, il Parlamento, a sua volta, doveva essere costituito di personaggi eminenti e ‘capaci’ (oggi si direbbe competenti), che non potevano e non dovevano essere espressione di partiti e tantomeno del popolo considerato, non più come nel Risorgimento, o non ancora, come nella Costituzione, quale vero e proprio soggetto politico71.
Secondo Orlando, l’art. 5 dello Statuto, a norma del quale «al Re solo spetta il potere esecutivo», non poteva essere considerato un ostacolo a «una parlamentarizzazione del sistema», purché il Re mantenesse il controllo del Governo e fosse «rappresentativo nel duplice senso della rappresentazione istituzionale del re e della rappresentanza politica del Parlamento»72.
65. Di quest’opera sono state pubblicate moltissime edizioni e anche per i riferimenti bibliografi ci mi limito a rinviare a C. Storti, «Un mezzo artifi ciosissimo», cit., pp. 582-585.
66. L. Lacchè, Lo Stato giuridico, cit., pp. 513-515 con riguardo a A. Maggiorana, Del Parlamentarismo. Mali – Cause – Rimedi, Roma, 1885, p. 20.
67. Art. 3 «Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere: il Senato e quella dei Deputati»; art. 7 «Il re solo sanziona le leggi e le promulga».
68. Cfr. in generale sul «dogma» della legge M. Fioravanti, Appunti di storia delle costi-tuzioni moderne. Le libertà, presupposti culturali e modelli storici, Giappichelli Torino, 1991, p. 115: statualismo liberale e legge.
69. A. A. Cassi, Dalle Barricate a Bava Beccaris. Giuseppe Zanardelli, un giurista nell’I-talia del secondo Ottocento, il Mulino Bologna, 2019, in part. p. 218.
70. L. Lacchè, Lo stato giuridico, cit., p. 515.
71. M. Fioravanti, La scienza del diritto pubblico, cit., pp. 662 ss. in part. 674 e p. 676; cfr. inoltre, G. Cianferotti, Il pensiero di Vittorio Emanuele Orlando e la giuspubblicistica italiana fra Ottocento e Novecento, Giuffrè Milano, 1980; M. Fioravanti, Popolo e stato negli scritti giovanili di Vittorio Emanuele Orlando (1881-1897), in Id., La scienza del diritto, cit., vol. I, pp. 67-180; Id., Vittorio Emanuele Orlando e le prime riviste della giuspubblicistica italiana (1891-1903), in Id., La scienza del diritto, cit., pp. 201-275; G. Cianferotti, Orlando, Vittorio Emanuele (Palermo, 19 maggio 1860 – Roma 1° dicembre 1952), in I. Birocchi, E. Cortese, A. Mattone, M.N. Miletti (a cura di), Dizionario Biografi co dei Giuristi Italiani, il Mulino Bologna, 2012 (d’ora innanzi DBGI), vol. II, pp. 1465-1469. Sul pensiero di Vittorio Emanuele Orlando e sulla sua declinazione nella giuspubblicistica di liberali e fascisti cfr. anche Costa, Lo Stato immaginario, cit., pp. 320-334.
Proprio sull’appena citato art. 5 dello Statuto, era, invece, fondata la con-trapposta teoria del governo costituzionale puro, nel quale l’amministrazione era «il potere che incarna più da vicino la statualità»73. Lo Stato di diritto era, infatti, essenzialmente incentrato sul binomio monarchia – esecutivo. Come sostenitore più rappresentativo di tale teoria, Oreste Ranelletti fi n dal 1899, poi nel 1912 e, ancora in pieno fascismo, nel 1929, proponeva «l’abbando-no della forma parlamentare di gover«l’abbando-no», nata dalla prassi costituzionale, per tornare alla «lettera dello Statuto». L’intento era di liberare lo Stato dal «dibattito dei partiti e delle classi» e da ogni espressione politica organiz-zata della società, ivi compresa la stessa rappresentanza parlamentare per restaurare lo Stato che, nella sua «essenza» storica, si era affermato, appunto, «come soggetto storicamente e logicamente preesistente, tramite il monarca e l’amministrazione74. Per dirla con Ranelletti: «uno Stato può esistere senza legislazione…; può esistere senza giurisdizione, ma non può esistere e non si può immaginare senza amministrazione; esso sarebbe anarchia»75.
Il «dogma della legge» era così sostituito dal ‘vincolo costituzionale’ del-la certezza, dell’obiettività e deldel-la stabilità dell’azione amministrativa, del quale il fascismo non avrebbe potuto non tenere conto76. In realtà, proprio per la sua natura autoritaria e il ricorso a provvedimenti oltre e contro la certez-za del diritto, il fascismo si avvalse del modello dello Stato amministrativo sostituendo ai principi della certezza e della stabilità, quello della discrezio-nalità ‘politica’ dell’azione amministrativa77.
Pur non rinnegando la prassi consuetudinaria dello Stato parlamentare78, Santi Romano – ben più noto per la ‘rivoluzionaria’ teoria della pluralità
73. Cfr. per una sintesi e anche per i riferimenti bibliografi ci: B. Sordi, Ranelletti, Oreste (Celario, 27 gennaio 1868 – Milano, 15 marzo 1956), in DBGI, cit., pp. 1652-1654, in part. 1652, nonché Id., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale, Giuffrè Milano, 1985, pp. 268-279, 429-461; Id., Un giurista ottocentesco, O. Ranelletti, Scritti giuridici scelti, Jovene Napoli, 1992, I, pp. XI-XXIII; Id., Diritto amministrativo e Stato in Oreste Ranelletti: un iti-nerario intellettuale, in Scritti in onore di Vincenzo Spagnuolo Vigorita, Jovene Napoli, 2007, pp. 1385-1406.
74. «Al re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato: coman-da le forze di terra e di mare; dichiara la guerra; fa i trattati di pace, d’alleanza di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l’interesse e la sicurezza dello Stato il permet-tano, e unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere delle fi nan-ze, o variazioni di territorio dello Stato non avranno effetto se non dopo ottenuto l’assenso delle Camere» (M. Fioravanti, La scienza del diritto pubblico, cit., vol. II, pp. 678-686 anche per i riferimenti bibliografi ci).
75. La citazione di Ranelletti è in B. Sordi, Ranelletti, Oreste, cit., p. 1652 da O. Ranellet-ti, ScritRanellet-ti, cit., I, Lo Stato, p. 279.
76. M. Fioravanti, La scienza del diritto pubblico, cit., vol. II, in part. p. 692.
77.M. Fioravanti, La scienza del diritto pubblico, cit., pp. 686-688; E. D’Amico, Le cir-colari antiebraiche nella prassi e nella concezione fascista dello Stato, in Perpetue appendici, cit., pp. 197-221, in part. p. 205.
78. Lo stesso Santi Romano insiste sul ruolo costituzionale del Parlamento nel 1924 (M. Fioravanti, La scienza del diritto pubblico, cit., vol. II, p. 693).
degli ordinamenti giuridici79 – in un manuale di diritto pubblico del 1914, escluse a sua volta che la volontà popolare costituisse la «genesi» dello Stato, in una visione anti-contrattualistica dello Stato, che egli ribadirà nel 194480. L’esistenza e la garanzia di diritti individuali dipendeva esclusivamente dalla volontà dello Stato di «autolimitarsi» tramite la legge («esistono e sono ga-rantiti perché e in quanto una legge dello Stato li preveda»). Il principio del «primato della legge» rendeva la legge «insindacabile» nei suoi contenuti, da parte di qualsiasi potere, compresa la magistratura81.
Il terzo potere, quello giudiziario, sembra tralasciato dal ragionamento giuridico sui fondamenti dello Stato di diritto. A norma dell’art. 68 dello Statuto «La giustizia emana dal Re ed è amministrata dai Giudici ch’egli isti-tuisce», ma, come non è forse inutile ricordare, quantunque l’indipendenza dei giudici fosse garantita dal principio dell’inamovibilità «dopo tre anni di esercizio», sancita dal successivo art. 69, l’«ordine» giudiziario non era un potere completamente autonomo e fu usato di frequente dai Governi come longa manus del potere esecutivo, grazie anche al ruolo assunto dalla Corte di Cassazione, come si avrà modo di ricordare.
2.2. I diversi livelli della legalità dello Stato liberale: misure di eccezione e legislazione grigia
Nel diritto vivente del tempo (o dei tempi) di ‘crisi’, non era, però, in-frequente l’adozione di pratiche del tutto difformi dai principi e dai moduli teorici dello Stato di diritto. In primo luogo, il principio della separazione dei poteri e le libertà individuali avrebbero potuto essere sospesi con provvedi-menti di eccezione quando vi fosse stato il rischio o la ‘paura’ di manifesta-zioni o insurremanifesta-zioni popolari82.
I moduli dello Stato di diritto fondati sul ‘dogma’ della legge, in altre parole, erano funzionali soltanto nella vita ‘ordinata’ di un popolo di ‘galan-tuomini’ che non mettesse a rischio la sicurezza indispensabile per garanti-re, oltre alla stabilità del governo, il godimento delle libertà costituzionali83. Nelle declinazioni delle diverse teorie, infatti, le libertà costituzionali, in
79. Cfr. oltre testo a nota 112.
80. M. Fioravanti, Genesi e identità costituzionale, cit., p. 361.
81. M. Fioravanti, Genesi e identità costituzionale, cit., pp. 349 e 356-359 cfr. anche oltre testo a nt. 85; Id., La scienza del diritto pubblico, cit., vol. II, pp. 669-671; per una sintesi anche M. Gregorio, Parte totale. Vincenzo Zangara, cit., pp. 9-11.
82. Cfr. ora gli scritti raccolti in Quaderno di storia del penale e della giustizia, 1 (2019) e, per qualche cenno in proposito C. Storti, A proposito di uso politico della paura, ivi. pp. 295-299.
83. L. Lacchè, In nome della libertà. Tre dimensioni nel secolo della Costituzione (1848-1949) (del 2012), ora in Id., History & Constitution, cit., p. 539; per il termine ‘galantuomini’ Il riferimento è a L. Lacchè, La giustizia per i galantuomini. Ordine e libertà nell’Italia libe-rale: il dibattito sul carcere presentivo (1865-1913), Milano 1990.
particolare quelle previste nello Statuto dagli articoli 24-32 e dal 7184 erano solo ‘parzialmente’ garantite, o scaturivano da una pura autolimitazione del-lo Stato, secondo Santi Romano85, o erano ‘rifl esse’, come scrisse nel 1926 Francesco Ruffi ni86.
In nome della conservazione dell’ordine pubblico e della sicurezza, la storia dello stato liberale è anche una storia di ricorsi a provvedimenti di ‘eccezione’, che, per dirla con Mario Sbriccoli, costituirono, in realtà, un carattere ‘originario’ o un ‘tratto permanente’ dello Stato italiano87.
Nei reiterati casi di proclamazione del cosiddetto stato d’assedio, cui si ri-corse ripetutamente tra 1894 e 1898 – un istituto inventato dalla politica che, secondo alcuni giuristi, non aveva alcun fondamento giuridico88 – o di «quasi stato di guerra» per dirla con Giolitti89, a seguito di ‘rivolte’ e ‘sedizioni’ che mettevano a rischio la ‘sicurezza’ della ‘nazione’, all’intervento dell’esercito si aggiungeva la sospensione delle libertà costituzionali e l’istituzione di tri-bunali speciali ‘militari’, in violazione dell’art. 71 dello Statuto albertino, a cui seguirono eccidi, fucilazioni sommarie, infl izione di centinaia di anni di carcere ad opera, appunto, di tribunali militari.
84. Cfr. su libertà di espressione, associazione ecc. gli art. 24-28 dello Statuto e l’art. 71 che stabiliva che Il giudice naturale non avrebbe potuto essere sostituito con la creazione di «Tribunali o Commissioni straordinarie».
85. M. Fioravanti, Genesi e identità costituzionale, cit., p. 347 e sul pensiero di Santi Romano nel 1914 cfr. oltre testo a nt. 112.
86. L. Lacchè, In nome della libertà, cit., pp. 540-546, in part. p. 545; il riferimento è all’opera di Francesco Ruffi ni, Diritti di libertà, pubblicata nel 1926 e ripubblicata nel 1946 a cura di P. Calamandrei. Su Francesco Ruffi ni che fu allontanato dall’insegnamento per il rifi uto di prestare giuramento al regime F. Margiotta Broglio, Ruffi ni, Francesco (Lessolo, 10 aprile 1863 Torino, 29 marzo 1934), in DBGI, vol. II, pp. 1753-1755.
87. Oltre agli scritti classici di Mario Sbriccoli, cit., sopra a nt. 6, cfr. la raccolta di studi M. Meccarelli, P. Palchetti, C. Sotis (a cura di), Le regole dell’eccezione. Un dialogo inter-disciplinare a partire dalla questione del terrorismo, eum Macerata, 2011; M. Meccarelli, Fuori dalla società: emergenza politica, espansione del sistema penale e regimi della legalità nel tardo Ottocento. Una comparazione tra Italia e Francia, in Perpetue appendici, cit., pp. 465-487.
88. Sullo stato d’assedio di Milano del 1898, che ispirò a Pellizza da Volpedo il cele-berrimo ‘Quarto Stato’, mi sia consentito rinviare, per i riferimenti all’ampia bibliografi a a C. Storti, Stato d’Assedio a Milano. Maggio 1898, in A. Ciampani e D.M. Bruni (a cura di), Istituzioni politiche e mobilitazioni di massa, Rubbettino Editore Soveria Mannelli, pp. 51-66.
89. Dopo lo sciopero generale durato dall’11 al 22 settembre del 1904, in occasione del quale Giolitti decise di non ricorrere allo stato d’assedio, lo stesso ministro in qualità di Pre-sidente del consiglio e di ministro dell’interno, concertò con il ministero della guerra e con quello della marina un «piano di difesa», poi regolato con circolare ai prefetti del 7 dicembre, destinato a contenere gli interventi dell’esercito normalmente adottati negli stati d’assedio, pur ampliando i poteri dei prefetti di richiedere l’intervento dell’autorità militare anche senza previa autorizzazione del governo centrale (G. Procacci, Le limitazioni dei diritti di libertà nello Stato liberale: il piano di difesa 1904-1935, l’internamento dei cittadini nemici e la lotta ai «nemici interni» (1915-1918), in I diritti dei nemici, QF 38(2009), pp. 601-652, in part. pp. 602-603.
Anche dopo la cessazione dello stato di guerra, sotto la presidenza Or-lando, e nel cosiddetto biennio rosso, per far fronte ai problemi dell’ordine pubblico provocati da scioperi e manifestazioni, i governi sollecitarono ripe-tutamente, nonostante le resistenze dei comandanti dell’esercito, il ricorso ora al ‘piano di difesa’ ora allo stato d’assedio90.
Come si ricorderà oltre, il re si rifi utò, però, di sottoscrivere la proposta di proclamazione dello stato d’assedio per Roma del Capo del Governo di-missionario Facta del 27 ottobre 1922, all’inizio della marcia su Roma, dalla quale come ben noto, Mussolini si tenne ben lontano.
La ‘consuetudine’ del ricorso a provvedimenti eccezionali nel vecchio Stato liberale (nel caso specifi co, al ‘piano di difesa’) fu invocata dopo il delitto Matteotti nel luglio 192491 e servì a Mussolini, alla fi ne del 1926, per giustifi care e ottenere l’approvazione dei Provvedimenti per la difesa dello Stato92, dopo che l’appena pubblicato testo unico delle leggi di pubblica sicu-rezza aveva conferito il potere di dichiarare lo stato di pericolo pubblico o lo stato di guerra, sia al ministro dell’interno, con il solo assenso del Capo del Governo, sia, per delega, ai Prefetti93.
Nel 1932, furono proprio fascisti militanti come Costamagna che, for-se in considerazione dell’ormai raggiunta stabilità dal regime e dell’asfor-senza di pericoli per la sua sopravvivenza, stigmatizzarono «il sistema delle leggi speciali» che, nel modello liberale, era stato conseguenza e simbolo del falli-mento sia della codifi cazione borghese, sia del «regime rappresentativo» che ne era stato il parallelo sul piano del diritto pubblico94.
C’è un ulteriore aspetto da considerare come eccezione al ‘dogma’ della legalità di età liberale, a sua volta ben approfondito dalla storiografi a giuri-dica. Fin dal primo decennio dell’unifi cazione italiana, il primato della legge era stato, infatti, aggirato dalla prassi del potere esecutivo di emanare di-sposizioni sotto forma di circolari, istruzioni e direttive, ovviamente escluse dalla verifi ca parlamentare, allo scopo di supplire all’‘inettitudine’ del Par-lamento a promulgare leggi o di istruire l’amministrazione e la magistratura (soprattutto nella persona dei pubblici ministeri) sui criteri della loro appli-cazione. Nonostante le opposizioni di una parte della scienza giuridica, che continuava a considerare le disposizioni dell’esecutivo come atti interni e
90. G. Procacci, Le limitazioni, cit., pp. 607 ss. 91. G. Procacci, Le limitazioni dei diritti, cit., pp. 624. 92. Cfr. anche oltre § 3.
93. R. D. 6 novembre 1926, n. 1848, art. 219-224 e cfr. G. Procacci, Le limitazioni, cit., pp. 625-626. A seguito di tali dichiarazioni le autorità militari erano competenti ad adottare tutti i provvedimenti necessari per ristabilire l’ordine pubblico e a giudicare i reati contro la personalità dello Stato.
94. C. Costamagna, Il fascismo de codici, in Lo Stato XI, 2 (1940), pp. 40 ss. e in C. Schwarzenberg, Diritto e giustizia, cit., pp. 290-296, in part. pp. 291-292. Come ha ricostruito G. Procacci, Le limitazioni, cit., pp. 625-628 alle modifi che legislative seguì la richiesta del ministro della guerra al ministro dell’interno non solo di abolire la circolare del 1904, ma anche di distruggere tutti i progetti relativi ad essa.
pertanto privi di forza di legge generale, come già aveva rilevato nel 1879