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I PROFUGHI E I RIFUGIATI AFGHANI: UNA PIAGA NELL'AFGHANISTAN LACERATO DAI CONFLITT

4.4 I campi profughi.

4.4 1 Definizione di campo profugo.

I profughi afghani hanno dovuto vivere, a seconda delle situazioni, per poco tempo o addirittura in un tempo più consistente, nei cosiddetti “campi profughi”. Chi ha avuto dei parenti in Pakistan o in Iran ha trovato rifugio presso di essi, mentre i più sfortunati hanno dovuto vivere la propria vita all'interno di campi profughi, quasi sempre allestiti e gestiti dalle varie organizzazioni internazionali (in primis l'ONU) o agenzie non governative. Questi campi non ospitano soltanto i profughi, ma anche i richiedenti asilo e gli sfollati, insomma tutti coloro che versano in condizioni drammatiche a causa di una situazione di guerra, povertà o catastrofe naturale nel paese di origine. Il campo profughi si estende su una vasta superficie e al suo interno sono collocate o delle tende, fornite dalle organizzazioni

statistico_dal_1945_al_1995.pdf

63 G. Godio, Sessant'anni di esilio in "Vie di fuga. Osservatorio permanente sui rifugiati", 2001 in http://viedifuga.org/sessant-anni-di-esilio/

64 C. Hein, Rifugiati, Vent'anni di storia del diritto di asilo in Italia, Roma, Donzelli Editore, 2010, p. 205.

65 Fonte: http://www.tuttitalia.it/statistiche/cittadini-stranieri/afghanistan/

internazionali, oppure abitazioni di fango. In questi alloggi di fortuna si svolge la vita quotidiana. La sistemazione non è per sempre, ma soltanto per un periodo di tempo provvisorio a garantire la cessazione della situazione che ha portato a questo67.

Prima di arrivare a destinazione c'è sempre un viaggio da compiere, breve o lungo che sia: per quanto concerne l'Afghanistan il passaggio è risultato difficoltoso in quanto i profughi si sono ritrovati a dover attraversare il confine, in un percorso irto di pericoli e posti di blocco. Per arrivare in Pakistan bisogna attraversare il Passo Khyber o sentieri minori, ma anche attraversare l'Iran non è lo stesso semplice, perché vi è il temuto Dasht- I Margo, il Deserto della Morte. I migranti, una volta giunti al confine, sono stati collocati nei campi profughi.

4.4 2 Principali campi profughi.

Nel corso degli anni ne sono stati costruiti più di 300 in Pakistan, mentre pochi sono stati costruiti in Iran e in Afghanistan (che in questo paese presero il nome di campi per sfollati).

Per quanto concerne il Pakistan, le città di questo paese maggiormente interessate dall'esodo furono Quetta e Peshawar68, che tra l'altro fu la

sede dell'UNHCR. In questa città un importante campo profughi fu quello di Nasir Bagh, che ospitava centinaia di migliaia di persone ed è da considerarsi il più vecchio, in quanto è stato il primo ad essere costruito nel 1980 ed è anche il più famoso69. Le case erano

costruzioni di fango e le tende erano state donate dalle varie

67 UNHCR, The State of the World Refugees.., cit, p. 108.

68 Una testimonianza di Suraya Sadeed, a proposito dei campi profughi a Peshawar riporta: «A Peshawar un breve tragitto ci portò a destinazione. Il campo si

estendeva davanti a noi come un mare di tende immerse nella luce dorata del pomeriggio. Montagne grigio chiaro dalle pieghe violette sorgevano in lontananza. Ma la bellezza severa di quel posto nascondeva un'estrema disperazione». (S.

Sadeed, op. cit. p. 40).

69 La sua popolarità è stata sicuramente resa tale da Sharbat Gula, fotografata a Nasir Bagh nel 1984 dal celebre fotografo Steve McCurry e poi pubblicata sulla copertina del National Geographic. La sua foto fece il giro del mondo, ma la sua identità rimase sconosciuta per ben 17 anni, fino a quando il fotografo decise di intraprendere una nuova spedizione per andarla a cercare. Dopo tante difficoltà la trovò nel 2002 in un villaggio sperduto dell'Afghanistan.

organizzazioni internazionali, le quali dopo tanti anni si erano ridotte a stracci. Il campo ospitava: «bambini, uomini senza lavoro, persone senza cibo o assistenza sanitaria e persone senza case»70. Durante la

Guerra Fredda il campo e le persone sopravvissero grazie ai consistenti aiuti internazionali, ma in seguito dovettero occuparsene le ONG minori. Proprio per questo motivo il Pakistan cominciò ad attuare le politiche di rimpatrio già descritte. Le drammatiche condizioni hanno portato a uno spopolamento e Nasir Bagh è stato chiuso nel 2002. Simile destino ha avuto il campo profughi di Jalozai o Jailuzai, situato anch'esso nella provincia di Peshawar e che ha ospitato i migranti afghani sempre a partire dall'invasione sovietica. Arrivò ad ospitare massimo settantamila persone e ne ospitò anche dopo lo scoppio delle guerra in Afghanistan nel 2001. A Jalozai non c'erano rifugiati, mancava infatti qualsiasi procedura di registrazione e le strutture si rivelarono al di sotto degli standard internazionali71.

Anche questo campo è stato chiuso nel 2002 a seguito della più vasta operazione di rimpatrio, anche se la maggioranza dei profughi che non è rientrata in Afghanistan è stata collocata in accampamenti vicini. Un altro campo profughi minore è stato quello di Kacha Garhi, a dieci chilometri da Peshawar che inizialmente contava 14.000 persone, che poi crebbero a Settantamila72. Chiuso dopo 27 anni nel 2007, a

differenza degli altri due citati è rimasto aperto un po' più a lungo73.

Anche l'Afghanistan ha avuto la sua parte di campi profughi. Tutto ebbe inizio negli anni Novanta con la chiusura delle frontiere da parte del Pakistan, quando furono costruiti campi per gli sfollati a Jalalabad, altri nell'area intorno a Mazar- i Sharif e vicino alla città di Herat al confine con l'Iran74, in cui vi trovarono rifugio le persone che

scappavano dai mujaheddin. Al confine con l'Iran ci fu il Maslakh,

70 D. Ellis, Afghan Women in Refugees Camp in Peace Magazin, 1998 p. 24. 71 L.Ur Rehman, Tents village of Refugees and IDPs, Jalozai Camp in

http://www.pdma.gov.pk/sites/default/files/Jalozai_Camp_Nowshera.pdf

72 N. Rinaldi, op,. cit, p. 68.

73In http://www.unhcr.org/news/latest/2007/7/46a9f1324/kacha-garhi-refugee- camp-closes-pakistan-27-years.html

nella provincia di Herat, il quale arrivò ad ospitare 350.000 persone, in cui si moriva ogni giorno: molti erano troppo deboli per sopravvivere ed inoltre si moriva per la fame75. Riguardo alla città di Jalalabad vi

era il campo Hesar Shahee, che significa “il limitare del regno”, situato in una piana desertica alla periferia della città, in cui erano intrappolate 100.000 persone76. Un altro campo per sfollati fu costruito

nel 1999 nella piana di Shomali: ospitò 150.000 persone, con solo trecento case e senza servizi igienici adeguati77. Questa scarsa

condizione portò a una diffusione del tifo. Infine, durante il regime dei talebani gli sfollati trovarono riparo presso l'ex ambasciata sovietica a Kabul, la quale arrivò ad ospitare circa 17.000 persone78.

Infine l'Iran il quale è stato tristemente noto per i campi di detenzione, riservati agli afghani. Vennero definiti come: «veri e propri campi di concentramento, progettati per umiliare gli afghani e infrangere il loro orgoglio nazionale»79. I più famigerati erano: Tal-e Shea, AskarAdab e

Safaid Sang80. Al di là di questa triste parentesi, in Iran furono

costruiti pochi campi profughi e la maggior parte degli afghani riuscì a stabilirsi nelle città, riuscendo a formare veri e propri quartieri residenziali nelle principali città del paese. Alcuni più importanti sono stati: Golshahr, il quale viene chiamato dagli iraniani locali Kabul

Shahr, ossia il borgo o la città di Kabul e conta 40 mila abitanti;

Sakhteman o Shahid Rajai; Altaymoor o Sheikh Hassan e ultimo Hosseinieh-e Heratiha81. Tutti i borghi citati sono situati nella città di

Mashad, una città iraniana vicina al confine con il Turkmekistan e garantiscono una condizione di vita normale per gli afghani, grazie anche alla presenza di ospedali, scuole e posti di lavoro.

75 D. Edwards, D. Cromwell, Guardians of power.: the myth of the Liberal Media, London, Pluto Press, 2006, p. 77.

76 Passim S. Sadeed, op. cit, pp. 83-39. 77 Emercency, op. cit., p. 39.

78 S. Sadeed, op. cit, p. 16. 79 M. Joya, op. cit, p. 30. 80 Ibidem.

4.4 3 Condizioni di vita al loro interno.

Tutti i campi avevano delle caratteristiche in comune. Alcuni di essi arrivarono ad ospitare centinaia di migliaia di persone in «squallide condizioni»82 senza acqua, ripari adeguati e aiuti sanitari. Un esempio

eclatante è dato dal campo Hesaar Shaee. In questa zona gli operatori non riuscirono ad accedere a causa delle condizioni del terreno, ma quando arrivavano erano già in potenziale ritardo. Di questo campo vi è una testimonianza preziosa dell'attivista umanitaria Suraya Sadeed, una della poche che riuscì a raggiungere questo posto. Descrisse un territorio senza più alberi , i quali erano stati abbattuti per alimentare il fuoco che avrebbe riscaldato le persone nelle notti gelide. Il campo si trovava in una piana desertica: mentre di giorno faceva molto caldo, di notte la temperatura scendeva di parecchi gradi e si rischiava di morire per assideramento. Inoltre al suo interno trovarono rifugio diverse famiglie: le fortunate vivevano in tende donate dalle Nazioni Unite ed essendo iscritte nel registro ufficiale ricevano aiuti regolari, mentre altre che invece vivevano in rifugi di plastica o cartone, erano definiti profughi fantasmi.

La storia di questo posto ha una storia comune con gli altri campi: in mancanza di condizioni igienico-sanitarie adeguate i rischi in ogni dove erano altissimi, così come alto era il tasso dei decessi. Si moriva per colera, disidratazione, punture di insetti o scorpioni83. Oltre a

questo si sentiva un senso di profonda insicurezza, soprattutto nel rischiare la propria salute a causa di strutture incerte, dovute alla mancanza di finestre, rivestimento inadeguato del pavimento e ventilazione inadeguata84. Inoltre nelle tende o baracche viveva

un'intera famiglia, spesso con l'aggiunta di altri familiari che causava problemi di sovraffollamento. L'acqua non era potabile, ma si

82 P. Banerjee, S.B.R. Chaudhury, S. Dumar Das (Ed) op. cit, p. 37. 83 S. Sadeed, op. cit, p. 88.

utilizzava lo stesso per bere, cucinare e lavarsi85.

Anche nel campo di Maslakh la situazione era insostenibile. Le condizioni erano rese difficili a causa delle basse temperature: quando vi erano delle forti nevicate era difficile far arrivare gli aiuti umanitari86, anche solo per portare cibo e coperte. Con lo scoppio

della guerra del 2001 alle condizioni climatiche avverse si aggiunsero i bombardamenti che resero molto difficoltoso il raggiungimento in questo campo da parte degli aiuti umanitari. La sopravvivenza in questa parte di mondo era difficile e si moriva quotidianamente: In inverno la temperatura scende sotto lo zero Fahrenheit e c'è una forte nevicata. Ad adulti e bambini che ci vivono mancano abiti caldi, specialmente adeguate scarpe e calze. Al cimitero è pieno di tombe di bambini che testimoniano il rigore della vita dei campi profughi. Molte di queste morti risultano dall'esposizione di un grave freddo. Molti degli uomini tentano di integrare il scarso aiuto che ricevono con la vendita di legna da ardere o viaggiando a piedi o in autobus per dieci miglia in città per cercare un lavoro giornaliero87.

Nonostante le basse temperature si viveva in casupole di fango e paglia, senza servizi, senza accesso all'acqua potabile e con un sistema fognario inadeguato per sostenere decine di migliaia di persone. Per sopperire alla crisi si lavorava all'interno del campo: questa sorta di privilegio consentiva di arrivare a un dollaro al giorno. Durante i primi anni i campi più organizzati riuscivano ad essere sempre più approvvigionati: farina, zucchero, tè, olio da cucina e latte in polvere. Con la guerra è risultato difficile trovare beni di prima necessità88.

Situazioni di questo tipo fanno comprendere come all'interno dei campi profughi i bambini e le donne venissero esposti a maggiori rischi: ai primi non veniva concesso il diritto all'istruzione (a parte le

madrasse in Pakistan riservate ai soli bambini) e fin da piccolissimi

85 UNHCR, The State of the World's Refugees.., cit., p. 108. 86 D. Edwards, D. Cromwell, op. cit, p. 78.

87 P. Banerjee, S.B.R. Chaudhury, S. Dumar Das (Ed), op. cit., p. 44. 88 N. Rinaldi, op. cit, p. 69.

venivano avviati al lavoro infantile per aiutare la propria famiglia, mentre le donne e le bambine subivano quotidianamente il pericolo di subire violenze fisiche. Inoltre non sempre gli uomini riuscivano a trovare lavoro e le famiglie vivevano nella costante paura di vedere rapite le proprie figlie per essere affidate all'esercizio della prostituzione89. Un'altra situazione dei campi era data dalla criminalità

organizzata e dal consumo di droga, per superare i momenti bui. Anche gli uomini dovettero sottostare a violenze e intimidazioni fisiche già a partire dal 1980, quando un gruppo prendeva il controllo del campo (con il passare del tempo mujaheddin e poi talebani)90.

Per ovviare ai problemi che la vita di un campo profughi conduce, essenziale è stato l'aiuto delle Nazioni Unite, il quale oltre a donare consistenti aiuti monetari ha anche cercato di inviare personale umanitario e sanitario per far condurre alle vittime di queste situazioni una vita il più possibile normale o se vogliamo migliore. Non soltanto si è cercato di aiutare gli afghani a tornare nella propria terra, ma, per chi non è riuscito a tornare in patria sono stati costruiti all'interno degli appositi campi profughi ospedali, scuole e si è offerta la possibilità di posti di lavoro.

89 D. W. Haines (Ed), op. cit, p. 68.