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Caratteri della valutazione legislativa: implicazioni pluralistiche ed aspetti istituzional

IMPLICAZIONI E PROSPETTIVE

6. Caratteri della valutazione legislativa: implicazioni pluralistiche ed aspetti istituzional

6.1 La valutazione fra scienza e valori

Una prima indicazione che si trae agevolmente dallo studio dei documenti di valutazione attiene all’importanza di una rete capillare sul territorio per la raccolta, la trasmissione e la catalogazione delle informazioni; tale organizzazione deve essere pensata e predisposta sin dalle fasi iniziali, in modo che sia possibile avviare la

156 P. VIVERET, L’évaluation des politiques et des action publiques. Propositions en vue de

l’évaluation du revenu minimum d’insertion, Paris, giugno 1989; le citazioni sono tratte dalla lettera del primo ministro, riportata in apertura del documento.

ricerca sin dai primi momenti applicativi.

La reale efficacia di un sistema di questo genere dipende tuttavia da una pluralità di fattori. Occorre, in primo luogo, che si istauri una collaborazione stabile fra le amministrazioni preposte all’applicazione della legge e gli organi valutativi, in modo da superare le reticenze inevitabilmente legate allo svolgimento di un’attività di controllo attraverso un attivo coinvolgimento nelle esigenze dell’indagine157. Per questa ragione, la valutazione viene spesso affidata a soggetti che dispongano di un sistema di relazioni sufficientemente radicato sul territorio, o che abbiano maturato un’esperienza di collaborazione con gli organismi preposti all’applicazione della disciplina sperimentale.

La dimensione “territoriale” della valutazione emerge da un altro punto di vista. Anche quando la sperimentazione assume carattere esclusivamente temporale, come è stata quella del reddito minimo d’inserimento, l’indagine valutativa deve comunque essere limitata ad alcuni siti campione, data l’impossibilità di una rilevazione statistica estesa su scala nazionale. Occorre, pertanto, scegliere, generalmente sulla base di criteri rappresentativi, alcune realtà locali, sulle quali concentrare la raccolta e l’analisi delle informazioni. È agevole constatare che tale selezione dipende da una decisione dello stesso valutatore, che, generalmente, fa precedere l’esposizione dei

157 Tale esigenza emerse, ad esempio, nel corso delle attività valutative promosse a livello locale: v. D. BIALKA, L’évaluation en Gironde, cit., pp. 63-64, che ricordava che la scelta del dipartimento era stata quella di costruire un “sistema permanente di raccolta delle informazioni”, attraverso una “dinamica partecipativa fra tutti i soggetti interessati (Ccas, Cms, Cli), per l’elaborazione di strumenti comuni di valutazione”; allo stesso tempo, però, ne constatava il sostanziale fallimento: l’insufficiente mobilizzazione dei servizi sociali, che vedevano in tale nuova funzione un inutile sovraccarico di lavoro, i timori per i risultati della valutazione, la mancanza di un efficace coordinamento in grado di assicurare un’osservazione costante, rivelarono “un errore iniziale” circa la disponibilità dei soggetti istituzionali che avrebbero dovuto costituire oggetto di valutazione. Anche O. JEANSON, La mise au

point d’une dispositif permanent d’évaluation, cit., p. 99-100, sottolineava che il solo metodo possibile per questo tipo di valutazione consisteva nell’adozione di un sistema “partecipative et

partenariale”, per fare in modo che “il processo di valutazione fosse fatto proprio dagli stessi attori interessati” e che fossero “riuniti insieme nel processo di valutazione i partners che avrebbero potuto incontrarsi in sede attuativa (…). Il fine era quello di coinvolgere i professionisti del settore nella elaborazione degli stessi strumenti d’indagine. In effetti, cos’è l’inserimento? Non spetta a noi dirlo, è a tali soggetti che spetta, con il nostro aiuto metodologico, definire quali siano i criteri da seguire nella loro azione, e, in particolare, i criteri in termini di obiettivi (…). Bisognava coinvolgere i professionisti del settore nella restituzione delle informazioni”. Anche F. VEDELAGO, L’évaluation

d’une politique d’insertion, cit., p. 78, lamentava, relativamente all’esperienza in Dordogne, “la debole partecipazione dei professionisti coinvolti”, che si dimostravano indifferenti anche rispetto ai risultati della valutazione: “il dibattito pubblico non può aver luogo se non è richiesto da coloro che possono legittimamente farlo (…); non vedo perché lo Stato dovrebbe sviluppare la propria autocritica e la propria valutazione, se il cittadino non domanda o non impone questa critica o almeno tale accesso all’informazione, in modo da permettere il dibattito pubblico”. Su questi aspetti vedi anche

risultati della sua ricerca dall’illustrazione dei criteri impiegati per individuare i siti campione158.

Una tale scelta influisce, evidentemente, sulle stesse conclusioni dell’indagine: le modalità di applicazione della legge e gli esiti cui essa può condurre, infatti, sono strettamente legati al contesto istituzionale, economico e sociale esistente nelle diverse realtà locali. La loro specificità condiziona notevolmente tanto gli effetti delle misure legislative quanto la possibilità di generalizzare le conclusioni raggiunte con riferimento ad un determinato contesto territoriale159. Ad esempio, uno studio del C.r.e.d.o.c. commissionato dal Commissariat Général du Plan e dedicato ai soli aspetti metodologici della valutazione dell’r.m.i., ha ampiamente analizzato la c.d. “struttura territoriale” della disoccupazione, al fine di mettere in luce le disparità iniziali dei diversi siti osservati e la loro importanza ai fini dell’interpretazione delle informazioni raccolte160. L’individuazione di campioni corrispondenti a situazioni fra loro diversificate dovrebbe consentire la rappresentazione di gran parte delle realtà esistenti e costituire, pertanto, garanzia di attendibilità delle conclusioni dello studio valutativo. Si spiega così la tendenza ad affiancare ricerche svolte parallelamente da più organismi su zone diverse, in modo da disporre di un quadro quanto più possibile completo161.

158 V., ad esempio, CERC, Atouts et difficultés des allocataires du revenu minimum d’insertion.

Rapport d’étape, cit., pp. 11 e 19, ove si dava giustificazione della rappresentatività del campione scelto.

159 Tale circostanza era messa in luce, ad esempio, da CIEU, GRES, LERASS, La mise en œuvre du

RMI dans le département de la Haute-Garonne, cit., p. 7, che esordiva affermando che “l’r.m.i. non potrebbe essere analizzato senza riferirsi al contesto locale. Se si è tanto insistito sui rischi di disparità che potrebbero sorgere fra un dipartimento e l’altro, nel trattamento dei “Rmisti”, non è possibile spiegarne l’esistenza solo con il diverso grado di mobilizzazione degli attori locali. Oltre a questo, influiscono le caratteristiche socio eonomiche e politiche del luogo, che condizionano la sua capacità di ‘assorbire’ una popolazione ai margini del mercato occupazionale e abitativo”; seguiva, pertanto, l’analisi dei tratti distintivi del dipartimento in questione (sotto il profilo, ad esempio, dell’urbanizzazione, del contesto economico e politico, dell’esperienza nella materia sociale).

160 I. ALDEGHI, G. DE LA GORCE, N. TABARD, CREDOC, Approche méthodologique, cit., pp. 9 ss.: la prima parte del testo presentava un’analisi della c.d. “struttura territoriale della disoccupazione”, finalizzata ad individuare “tipologie di comuni in funzione del settore lavorativo dei disoccupati e della durata della disoccupazione, ed in relazione al tipo di beneficiari e all’ammontare dei sussidi percepiti”: la schematizzazione di “tipologie economico-spaziali”, infatti, veniva considerata rilevante ai fini della “efficacia statistica” dell’indagine, in quanto necessaria per “comprendere, valutare e comparare gli effetti della disciplina”; in altri termini, la precomprensione della “struttura economica del territorio” avrebbe consentito di contestualizzare le situazioni individuali in quelle dei territori di riferimento, e pertanto di “situarsi a monte della formazione delle disuguaglianze”, individuandone le cause originarie (pp. 11 ss.).

161 Si fa notare, infatti, che i dodici dipartimenti oggetto dei rapporti commissionati dalla M.i.r.e. e dal Plan urban non coincidevano con quelli studiati dal C.e.r.c.

La specificità dei risultati applicativi nelle diverse realtà locali aumenta quanto più ampi sono i margini di discrezionalità consentiti dal testo legislativo. Nel sistema istituito dalla legge sul reddito minimo d’inserimento, a parte le ambiguità riscontrabili con riferimento alla concessione del sussidio162, la vera incognita era costituita, come si è visto, dal contratto di inserimento. La situazione creatasi in occasione della sua sperimentazione non è stata nei fatti molto diversa da quella determinata dalle leggi Auroux: gli spazi interpretativi lasciati aperti dal legislatore rispetto a snodi essenziali del tessuto normativo hanno provocato la parcellizzazione della disciplina concretamente applicata sul territorio, con la conseguenza che ogni realtà locale è divenuta un “laboratorio” in sè irripetibile. Il legame fra attuazione locale e valutazione è stato talmente forte da modificare l’oggetto stesso della sperimentazione, identificatosi con la disciplina concretamente interpretata ed applicata dagli organismi periferici. L’attività valutativa, inoltre, ha creato un ponte di collegamento fra queste prassi interpretative ed i soggetti della decisione nazionale.

Tale circostanza contribuisce a chiarire la natura dell’attività valutativa ed, in particolare, il rapporto fra il momento congnitivo e quello decisionale. Il primo, infatti, ha un oggetto assolutamente peculiare, per il fatto che l’applicazione di una legge rappresenta il frutto di scelte e non di mere operazioni meccaniche. L’osservazione non si rivolge pertanto ad uno stato di fatto o ad eventi ineludibilmente legati secondo regole oggettive, ma a vere e proprie decisioni, che si formano e prendono consistenza in relazione alla molteplicità delle variabili esistenti in un determinato contesto. I soggetti preposti all’applicazione della legge orientano la decisione legislativa in un senso oppure in un altro, contribuendo alla chiarificazione dei suoi stessi fini. Se la precisazione del significato e della portata

162 Si può citare, come esempio, il ruolo del prefetto nella concessione del sussidio in denaro: nonostante il testo della legge apparisse sul punto alquanto preciso, la funzione concretamente svolta dal rappresentante dello Stato variava notevolmente fra le diverse realtà locali. Non era chiara, in particolare, l’esistenza di un suo potere discrezionale, in grado di sindacare la situazione personale del richiedente e l’opportunità di concedere o meno il reddito minimo: se il suo intervento appariva per lo più formale, in alcuni contesti territoriali la legge fu interpretata in questo secondo senso, a testimonianza dell’ambiguità del criterio meramente reddituale a fungere da elemento scriminante, in quanto in grado di abbracciare situazioni così eterogenee da richiedere inevitabilmente interpretazioni locali sostanzialmente soggettive, soprattutto al momento della stipulazione o del rinnovo del contratto d’inserimento: v. N. HAYDADI, P. ESTÈBE, H. SIBILLE, Politiques publiques et pauvretés, cit., pp. 32-33, che faceva notare che, in questo modo, il diritto all’r.m.i. si trasforma in un diritto condizionato.

delle scelte legislative è insita in qualsiasi attività interpretativa, nel caso della valutazione essa assume una valenza diversa, in quanto l’“interpretazione” del testo di legge accolta in sede applicativa è destinata a penetrare nel processo di decisione legislativa.

La valenza decisionale della valutazione è notevolmente più accentuata ed assume un significato peculiare nella dinamica sperimentale, ove l’apposizione di un termine di durata all’atto del Parlamento impedisce alla volontà legislativa di continuare ad esplicare i propri effetti senza l’approvazione di un nuovo testo: lo studio degli effetti della legge diventa quindi un momento ineludibile del processo di elaborazione del contenuto del successivo atto legislativo, assumendo un ruolo sconosciuto alle indagini effettuate ad altri titoli e per le finalità più varie, nel corso dell’applicazione di una testo non sperimentale.

La peculiarità dell’oggetto dell’attività valutativa, pertanto, fa sì che le prassi applicative invalse a livello locale corrispondano, non tanto a situazioni oggettivamente date ed indipendenti dalla volontà dei soggetti interessati, quanto a diverse scelte valoriali e a diversi equilibri nei rapporti di forza fra gli organi istituzionali. Diviene, allora, difficile che il giudizio sulla legge possa essere espresso in termini di efficacia, cioè di rispondenza ad obiettivi originari del legislatore. La ricostruzione della sperimentazione, che assume come presupposto l’esistenza di “finalità” della legge, rispetto alle quali sindacare l’idoneità dell’atto concretamente predisposto, risulta notevolmente ridimensionata, nel momento in cui il legislatore omette di fare chiarezza sulle prospettive e gli orientamenti dei provvedimenti adottati, spettando, invece, alla fase applicativa optare per l’una o l’altra concezione della misura legislativa. In questo caso, l’esigenza decisionale appare prendere il sopravvento su quella di razionalizzazione della decisione stessa.

In altri termini, il nucleo del problema attiene al rapporto fra attività valutativa e decisione politica. E’ costante, infatti, nella dottrina, la preoccupazione di separare nettamente questi due momenti, per sottolineare che la seconda debba essere il frutto di scelte valoriali, che non possono essere sottratte ai soggetti legittimati democraticamente ed affidate a soggetti diversi da quelli rappresentativi in nome di una presunta legittimazione scientifica. L’indagine dell’esperto potrebbe assumere soltanto un ruolo di supporto, fornendo al decisore politico le informazioni

necessarie per una decisione consapevole. La valutazione avrebbe il compito di migliorare il confronto democratico, nel senso di fornire le conoscenze necessarie per orientare la scelta per l’una o l’altra soluzione163

Questi medesimi argomenti sono alla base dell’idea che la valutazione sia un prodotto soggetto al dibattito democratico. I risultati del reddito minimo d’inserimento, ad esempio, sono suscettibili di giudizi diversi, a seconda della concezione politica e culturale che si accoglie in merito alle problematiche dell’inserimento, della povertà, del ruolo del contratto fra il beneficiario dell’r.m.i. e la collettività164; di conseguenza, la valutazione è chiamata a fornire alla politica e agli attori economici e sociali alcuni materiali, che potrebbero soltanto costituire il punto di partenza del dibattito democratico senza mai sostituirlo.

In realtà, tale questione, prospetta in questi termini, sembra mal posta. Il fatto che il lavoro dell’esperto non possa sostituire la scelta di valore spettante al soggetto legittimato democraticamente non sembra seriamente discutibile. Non convince, invece, l’idea di poter annoverare l’attività valutativa fra quelle a carattere meramente scientifico. Nelle mani del valutatore, infatti, confluiscono le soluzioni prescelte nei diversi contesti locali, grazie alle quali le finalità ed i limiti del testo legislativo assumono concretezza. L’aspetto dinamico della valutazione165 risulta, pertanto, esaltato nel contesto del procedimento sperimentale, che la rende uno spazio di negoziazione e di elaborazione di una politica. Da operazione descrittiva, finalizzata a fornire dati e informazioni, la valutazione si trasforma in attività

163 M. DELEAU, J.P. NIOCHE, P. PENZ, R. POINSARD, Evaluer les politiques publiques. Méthodes,

déontologie, organisation, La documentation française, Paris, 1986, p. 27, insisteva sulla distinzione fra valutazione e decisione politica, affermando che “la valutazione non può sostituirsi alle scelte di valore, che costituiscono l’essenza di quelle politiche: essa può solamente dare un parere relativamente affidabile sulle conseguenze di queste scelte (…); si tratta di fornire un elemento di informazione, fra gli altri, all’opinione pubblica e ai decisori politici, su ambiti sufficientemente limitati da poter costituire oggetto di un’analisi di tipo scientifico”; C.A. MORAND, L’obligation

d’évaluer les effets des lois, in C.A. MORAND (a cura di), Evaluation législative et lois expérimentales, Presses universitaires d’Aix-Marseille, 1993, p. 108, secondo cui “la valutazione legislativa, come elemento di un processo generale di razionalizzazione della produzione normativa, non avrà effetti negativi sulla sfera politica. Questa è il luogo ove vengono prese le scelte in merito ai valori e ai diversi orientamenti. Questa funzione è insostituibile e uscirà rafforzata se viene esercitata sulla base di informazioni scientifiche trasparenti”; ID., Eléments de légistique formelle et matérielle, in C.A. MORAND (cura di), Légistique formelle et matérielle, PUAM, 1999, p. 31, che ribadiva che “la scelta fra diversi valori non può farsi in maniera scientifica (…). La scienza permette di fornire gli elementi necessari a chiarire le scelte di valore e di prendere coscienza dei valori in gioco”.

164 P. VIVERET, L’évaluation des politiques et des action publiques, cit., p. 166.

165 Cfr. BONETTI, FRAISSE, GAUJELAC, L’évaluation dynamique des organisations publiques, Paris, 1987.

“costruttiva”, nella quale vengono prese decisioni, che sono il portato di una prassi applicativa radicata sul territorio ed indagata con il coinvolgimento di tutti i soggetti coinvolti: coloro che dovrebbero essere oggetto di osservazione diventano, in realtà, gli attori delle scelte non compiute dal legislatore, che il carattere temporaneo della legge sperimentale fa penetrare direttamente nel processo di formazione della volontà legislativa.

Ne deriva che la tecnica della sperimentazione legislativa interessa direttamente i metodi della decisione democratica. Essa trasforma la fase di applicazione e valutazione della legge in un momento di snodo di un nuovo rapporto fra potere pubblico, amministrazioni e società civile.

La consapevolezza di questa dimensione della valutazione legislativa è maturata nel corso del tempo, grazie all’evoluzione della riflessione dottrinaria, che, non a caso, è pervenuta a tali considerazioni proprio in occasione della sperimentazione del reddito minimo d’inserimento. Tale svolta nella concezione dei caratteri e dei significati dell’attività valutativa è emersa, per la prima volta, nel documento redatto da P. Viveret, commissionato, come si è detto, in vista dell’approvazione della legge n. 88-1088. Questo testo, che ha ispirato i contenuti della prima disciplina normativa in materia di valutazione delle politiche pubbliche, adottata col decreto n. 90-82 del 22 gennaio 1990, ha rappresentato una soluzione di continuità rispetto alle ricostruzioni sino ad allora prevalenti. Il suo carattere innovativo si apprezza agilmente, appena lo si confronti con gli orientamenti di pochi anni precedenti.

Come già ricordato, M. Deleau aveva definito la valutazione della legge come l’attività volta a “reconnaitre et mesurer ses effets propres”166, in quanto realizzata attraverso misurazioni oggettive, in grado di ricostruire i legami di causalità fra i fenomeni osservati; l’“ambizione quantitativa della valutazione”167, finalizzata ad assicurare la razionalità della decisione legislativa attraverso strumenti a carattere scientifico, oscurava, quasi totalmente, la sua dimensione politica o normativa. La ricostruzione di P. Viveret, invece, ha introdotto il riferimento ad un giudizio di valore, che sarebbe intrinseco all’attività del valutatore, chiamato ad “émettre un

jugement sur la valeur de cette action”168.

166 M. DELEAU, J.P. NIOCHE, P. PENZ, R. POINSARD, Evaluer les politiques publiques, cit., p. 28. 167 Ibidem.

È mutata, cioè, la ricostruzione dei due momenti della valutazione, quello propriamente “scientifico”, destinato alla raccolta di dati e informazioni, e quello valutativo in senso stretto: se Deleau li aveva ritenuti necessariamente separati e tendenzialmente opposti, Viveret ha fatto penetrare il momento “qualitativo” all’interno del concetto stesso di valutazione. La preoccupazione di limitare il ruolo dell’esperto nel processo di decisione politica, per evitare che a questo venissero affidate scelte di competenza degli organi rappresentativi, ha assunto tutt’altro significato nel momento in cui è cambiato il modo di concepire la problematica della valutazione. Appena si è assunta la consapevolezza che essa non si esaurisce in quella dell’efficiacia dell’azione pubblica, ma si colloca su un piano diverso, in quanto “fonction et enjeu du processus démocratique”169, anche il tema del rapporto fra organi di valutazione e soggetti di decisione si è atteggiato in modo diverso. La nuova definizione di valutazione, “che le restituisce la sua funzione di atto politico e non di semplice mezzo tecnico”170, ha posto, infatti, il problema della legittimazione del soggetto chiamato ad esprimere il giudizio valutativo.

La duplicità della nozione di valutazione ha indotto P. Viveret a scindere gli organi competenti, affiancando al soggetto “tecnico” un altro dotato di legittimazione differente: non potendo il primo esprimere giudizi di valore sulle politiche legislative, diveniva centrale la distinzione fra il professionista “chargé

d’évaluation” in virtù della sua competenza scientifica e la c.d. “instance

d’évaluation”171.

Tale questione aveva occupato in misura minima la dottrina precedente, che, esaltando la dimensione tecnica della valutazione e annoverandola fra gli strumenti di razionalizzazione delle decisioni legislative, aveva affrontato gli aspetti organizzativi con un’attenzione molto minore. La consapevolezza della peculiarità dell’attività valutativa rispetto alle funzioni tradizionali dello Stato, che ha indotto parte della dottrina a qualificarla provocatoriamente come “quarto potere”172, si affiancava alla convizione che essa rimanesse di competenza esclusiva degli

169 Ibidem, p. 29.

170 Ibidem, p. 115. 171 Ibidem, pp. 29-30.

172 C.A. MORAND, L’évaluation législative ou l’irrésistible ascension d’un quatrième pouvoir, in

Cahiers de méthodologie juridique, n. 9, 1994, pp. 1141 ss. e in A. DELCAMP, J.L. BERGEL, A. DUPAS (a cura di), Contrôle parlementaire et évaluation, La documentation française, Paris, 1995.

specialisti in quanto attività “scientifica”: un organismo meramente tecnico avrebbe potuto collocarsi indifferentemente presso il Governo o il Parlamento, con l’unica preoccupazione di garantire la correttezza e l’attendibilità della metodologia utilizzata. Solo a quest’ultimo fine, si auspicava, in alcuni casi, l’indipendenza dall’esecutivo, che sarebbe stata altrimenti garantita dal rigore scientifico dell’attività svolta.

M. Deleau, ad esempio, pur riconoscendo la necessità di sviluppare prassi e strumenti di controllo all’interno dell’amministrazione, sottolineava l’esigenza di prevedere regole deontologiche di riproduttibilità dei protocolli e di separazione fra responsabilità di valutazione e di esecuzione173. Morand, dopo aver riconosciuto al