• Non ci sono risultati.

Lo sviluppo della valutazione legislativa nel sistema istituzionale: dalla pianificazione alla sperimentazione

IMPLICAZIONI E PROSPETTIVE

3. Lo sviluppo della valutazione legislativa nel sistema istituzionale: dalla pianificazione alla sperimentazione

Secondo uno dei primi studi sullo sviluppo dell’attività di valutazione delle politiche pubbliche in Francia31, nel periodo qui considerato, la prospettiva di un’analisi ex post sugli effetti dei provvedimenti statali non era sconosciuta agli organi istituzionali ma restava ancora a carattere embrionale: si contavano soltanto alcune esperienze isolate, svolte in assenza di qualsiasi regolamentazione e di approcci metodologici consolidati. Soprattutto, l’attività valutativa non era ancora concepita come parte del processo di decisione, ma come generico strumento di conoscenza e comprensione di ciò che segue l’emanazione di un provvedimento. In queste prime fasi, il ruolo del Parlamento era pressocchè inesistente, in quanto la quasi totalità della domanda di valutazione proveniva dagli uffici ministeriali, i quali, spesso, provvedevano allo stesso svolgimento dell’attività di indagine, pur non essendo trascurabile il contributo di istituti di ricerca e società private.

Presso molti ministeri furono creati servizi o direzioni con compiti valutativi; il

centre de prospective et d’évaluation, istituito presso il Ministère de la recherche et

de la technologie, ebbe un ruolo propulsivo; seguirono poi le iniziative del Ministère

de l’équipement, attraverso il Plan urban e il Centre scientifique et technique du

batiment, del Ministère de l’éducation national, ove fu creata una Direction de la

prospective et de l’évaluation, del Ministère de l’agriculture e di diverse altre

31 J.P. NIOCHE, R. POINSARD, L’évaluation des politiques publiques en France, in J.P. NIOCHE, R. POINSARD (cura di), L’évaluation des politiques publiques, Paris, 1984, pp. 5 ss.

strutture di studio e di ricerca costituite presso varie amministrazioni.

In realtà, queste prime esperienze erano più propriamente assimilabili alle pratiche di controllo amministrativo, con obiettivi di gestione e contenimento della spesa pubblica. La predominanza delle amministrazioni attive nella domanda di valutazione spiega il fatto che questa avesse come oggetto, in prevalenza, interventi di natura settoriale, realizzati per lo più con atti di natura regolamentare, piuttosto che politiche di ampio respiro. Tali tentativi rispondevano, pertanto, ad un’esigenza di razionalizzazione e di trasparenza dell’azione amministrativa, e, pur contribuendo ad accrescere, a cavallo degli anni settanta e ottanta, la consapevolezza della necessità di un’analisi di efficacia ex post, restavano ancora lontani dalla prospettiva di un’analisi d’impatto delle misure predisposte.

Né un contributo significativo venne fornito da alcune innovazioni istituzionali, come la creazione, con legge n. 83-609 dell’8 luglio 1983, di un Office parlementaire

d’évaluation des choix scientifiques et technologiques32, che aveva il compito di “informare il Parlamento delle conseguenze degli effetti delle scelte di carattere scientifico e tecnologico in modo da consentire una decisione consapevole”, o di un

Comité national d'évaluation des établissements publics à caractère scientifique, culturel et professionnel (art. 65 della legge n. 84-52 del 26 gennaio 1984).

Il primo, infatti, era essenzialmente un organo consultivo, incaricato di svolgere studi a carattere preventivo su questioni di natura tecnico-scientifica e non valutazioni ex post degli effetti di legislazioni già esistenti; la sua attività, d’altra parte, fu inizialmente molto ridotta, dato che, nel corso dei primi sei anni, furono pubblicate solo quattro relazioni33. Più coerente con un approccio valutativo era invece l’attività svolta dal secondo organismo (trasformato in autorità amministrativa

32 Tale organismo era composto da otto deputati e otto senatori, scelti in modo da assicurare la rappresentanza proporzionale dei diversi gruppi, ed era affiancato dal Conseil scientifique, che comprendeva quindici membri, scelti in ragione delle loro competenze in materia scientifica e tecnologica. Poteva essere adito dal bureau di ciascuna assemblea (di cui fanno parte il presidente della camera, i sei vice presidenti, i tre questori e i dodici segretari), di propria iniziativa o su richiesta di un presidente di un gruppo parlamentare, di sessanta deputati o quaranta senatori, o da una commissione speciale o permanente. Il numero dei componenti dell’ufficio parlamentare e del Conseil

scientifique è stato aumentato (sino a diciotto deputati e diciotto senatori, per il primo, sino a ventiquattro per il secondo) con la legge n. 2000-121 del 16 febbraio 2000.

33 Il primo rapporto, pubblicato nel mese di dicembre del 1985, aveva ad oggetto l’inquinamento causato dalle c.d. piogge acide; due anni dopo, nel dicembre 1987, fu pubblicato uno studio sulle conseguenze dell’incidente avvenuto nella centrale nucleare di Tchernobyl e sulla sicurezza di questi tipi di impianti; seguirono due rapporti nel 1989, uno in materia di telecomunicazioni, l’altro di micro- elettronica.

indipendente nel 1989), che aveva il compito di svolgere un’attività di controllo sulle strutture pubbliche di insegnamento e sull’applicazione dei contratti stipulati con lo Stato, oltre che di formulare proposte sulle misure necessarie a migliorare il funzionamento degli istituti e l’efficacia dell’insegnamento e della ricerca: a tal fine, era tenuto a pubblicare periodicamente un rapporto da trasmettere al Conseil national

de l’enseignement supérieur et de la recherche, in aggiunta alle relazioni annuali che sarebbero state presentate al ministero dell’istruzione e ad una sintesi destinata al Presidente della repubblica (decreto n. 85-258 del 21 febbraio 1985). Ma, oltre ad essere limitata ad un settore specifico come quello dell’insegnamento, l’attività di tale ente non era preordinata a finalità propriamente decisionali.

Una spinta verso un impiego più sistematico dell’attività valutativa venne da un settore che ha profondamente segnato i metodi di azione economica e sociale delle istituzioni francesi, cioè quello della pianificazione. Tale sistema di decisione ebbe origine all’indomani del secondo conflitto mondiale, come strumento per organizzare la ricostruzione ed il rilancio delle attività produttive di base; la sua ideazione fu merito di Jean Monnet ed inizialmente ispirata all’obiettivo di garantire la corretta utilizzazione degli aiuti economici stranieri e specialmente di quelli americani. Il decreto n. 46-2 del 3 gennaio 1946 istituì il Commissariat général du Plan, organismo incaricato di assistere un Commissaire général nella preparazione e della direzione dei piani34. Questi si sono succeduti ad una cadenza quinquennale dal 1947 al 1992, quando terminò l’esperienza della pianificazione nazionale35, nonostante il sistema fosse stato riformato dieci anni prima con la legge n. 82-653 del 29 luglio 1982. L’importanza di quest’ultimo testo normativo, in effetti, era dovuta alla creazione di una pianificazione regionale e soprattutto all’istituzione dei c.d. contrat

de plan fra Stato e Regioni, che, coerentemente con la svolta regionalista dei primi anni ottanta, si affermarono come una delle più importanti sedi di decisione della

34 Secondo l’art. 3 del decreto n. 46-2, il Commissario generale, nominato per decreto, è il “delegato permanente del presidente del Governo presso i dipartimenti ministeriali per tutto ciò che concerne la formazione del piano” ed è “incaricato di elaborare le proposte che saranno sottoposte all’esame del Consiglio del piano”. Oltre al Commissario generale e al Segretario generale, il Commissariato comprende una quarantina di consiglieri ed incaricati, divisi in sezioni corrispondenti ai principali settori economici. Il decreto n. 53-455 del 19 maggio 1953 ha istituito il Comité

interministérielle du plan, incaricato di “seguire la preparazione e l’esecuzione del piano” (art. 1), e il

Conseil supérieur du plan con funzioni consultive.

35 L’undicesimo piano, inizialmente previsto per il periodo 1993-1997, non venne adottato dal Governo nominato dopo le elezioni legislative del marzo 1993, che preferì far confluire le sue scelte di politica economica in un insieme di leggi quinquennali.

politica economica francese.

La legge n. 82-653 organizzò l’elaborazione dei piani quinquennali attraverso la previsione di due lois de plan: la prima aveva il compito di definire “le scelte strategiche e gli obiettivi così come le grandi azioni proposte per raggiungere i risultati attesi” (art. 3); alla seconda, invece, era affidato quello di individuare “le misure giuridiche, finanziare ed amministrative necessarie per raggiungere gli obiettivi fissati dalla prima legge di piano” (art. 4): il progetto doveva essere sottoposto al Parlamento “all’inizio della prima sessione ordinaria dell’anno che precede l’entrata in vigore del piano” (art. 9 secondo comma).

La prima loi de plan venne approvata con legge n. 83-645 del 13 luglio 1983, cui seguì la seconda legge di piano n. 83-1180 del 24 dicembre 1983. Entrambe si soffermano sulla necessità di una fase di valutazione in ordine alla realizzazione degli obiettivi in esse fissati. Il primo di questi testi, in particolare, affermava che “al di là del solo controllo amministrativo di esecuzione, è necessario che siano sviluppati i mezzi di valutazione sull’attuazione e sui risultati effettivi del piano, da parte del Commissariat général du plan e dei ministeri”; allo stesso modo, le strutture regionali della pianificazione avrebbero dovuto creare propri strumenti di indagine, anche avvalendosi delle strutture universitarie disponibili; si auspicava, infine, un avanzamento degli studi e degli approfondimenti metodologici in materia. La seconda loi de plan insisteva, invece, più specificatamente, sul legame fra valutazione e razionalizzazione della spesa pubblica. L’importanza di questi provvedimenti trova conferma nel fatto che il primo rapporto organico sulla valutazione delle politiche pubbliche, cioè quello predisposto dalla commissione presieduta da M. Deleau, fu commissionato proprio a seguito della loro adozione36. Parallelamente, si sviluppò una riflessione che coinvolse sia la dottrina sia gli operatori pubblici37 e diversi gruppi di lavoro vennero istituiti all’interno di varie amministrazioni con il compito di studiare metodologie e strumenti della valutazione

36 M. DELEAU, J.P. NIOCHE, P. PENZ, R. POINSARD, Evaluer les politiques publiques, cit.

37 Si può ricordare il convegno tenutosi nei giorni 15 e 16 dicembre 1983, organizzato alla Ecole

nationale d’administration, ad iniziativa della Direction de la prévision e in collaborazione con l’Ecole des hautes études commerciales, cui partecipò anche il Secrétariat d’Etat chargé de la

Fonction publique et des Réformes administratives. Un altro convegno sul tema della valutazione delle politiche sociali fu organizzato, nei giorni 27 e 28 settembre 1984, congiuntamente dal

in vari settori38.

Il riferimento all’attività di pianificazione potrebbe stupire, se si considera che essa implica un percorso sostanzialmente inverso a quello sperimentale, in quanto fondato sulla previsione anziché sulla prova dell’esperienza. In realtà, una indagine più attenta fa comprendere alcune delle ragioni per le quali il Commissariat général

au Plan, e più in generale, l’organizzazione della pianificazione, abbia avuto un ruolo determinante nelle prime fasi di sviluppo, non soltanto della valutazione in senso stretto, ma anche della tecnica sperimentale.

In primo luogo, l’attività di valutazione ha determinato la nascita di competenze specialistiche e soprattutto di strumenti di indagine e monitoraggio dei fenomeni economici e sociali: le strutture facenti capo al Commissariat général, inizialmente molto essenziali, si sono progressivamente estese, fino a divenire un riferimento per gli stessi uffici ministeriali. Particolarmente significativa si rivelò la collaborazione con istituti di ricerca come il Service des études économiques et financières del Ministero delle finanze (S.e.e.f.), l’Institut national de la statistique et des études

économiques (I.n.s.e.e.), l’Institut national d’études démographiques (I.n.e.d.), il

Centre de recherche pour l’étude et l’observation des conditions de vie

(C.r.e.d.o.c.)39. Quest’ultimo, in particolare, al cui comitato direttivo partecipava lo stesso commissario generale, avrebbe fornito, negli anni successivi, un supporto indispensabile alle attività di informazione e di indagine che fungono da supporto alle sperimentazioni legislative. Alla sua attività si sarebbe affiancata quella del

Centre d’étude des revenus et des coûts (C.e.r.c.), che, non a caso, fu istituito con decreto n. 66-227 del 18 aprile 1966, per far fronte alle esigenze poste dall’approvazione del quinto piano (relativo al periodo 1966-1970), e collocato

38 Ad esempio, il gruppo del Commissariat général du plan sulla valutazione degli effetti locali delle politiche sociali trasversali (v. COMMISSARIAT GENERAL DU PLAN, Rapport sur l’évaluation des politiques sociales transversales: une méthodologie d’évaluation de leurs effets locaux, décembre 1985); o quello creato dal Ministère de la Recherche et de la technologie, sulle procedure di valutazione dei grandi programmi di ricerca (J.M. MARTIN, Rapport sur l’évaluation des programmes, novembre 1985).

39 Il C.r.e.d.o.c. ha statuto associativo; è gestito da un presidente, un direttore generale e un direttore aggiunto. Il bureau è composto, oltre che da due vice-presidenti, dalla Direction Générale de

la Concurrence, de la Consommation et de la Répression des Fraudes e dalla Direction Générale de

la Compétitivité, de l'Industrie et des Services, entrambe dipendenti dal ministero dell’economia, dell’industria e dell’impiego.

presso il Commissariat général40.

L’attività della pianificazione, soprattutto, ha insinuato una nuova concezione dei metodi della decisione pubblica, dando avvio a strumenti di concertazione prima sconosciuti. Sin dalle prime esperienze, la predisposizione di ciascun piano veniva accompagnata dalla creazione di Commissions de modernisation, composte da rappresentanti dell’amministrazione, da professionisti, da sindacalisti ed esperti, incaricate di elaborare proposte relative ai diversi settori di riferimento, da sottoporre al Commissario generale; i primi studiosi della pianificazione francese non hanno mancato di qualificare tale “collaborazione stretta tra poteri pubblici e categorie socio-professionali” come “una vera rivoluzione istituzionale di cui spesso si sottovaluta la portata”41. La legge n. 82-653, di riforma della pianificazione, ha confermato l’istituzione, in occasione dell’adozione di ciascun piano, di una “commissione nazionale di pianificazione, a carattere consultivo, incaricata di condurre le consultazioni necessarie all’elaborazione del Piano e di partecipare al

40 Il rapporto relativo al quinto piano (approvato con legge n. 65-1001 del 30 novembre 1965) , infatti, secondo quanto ricordato nei motivi che precedono il testo del decreto istitutivo, aveva previsto l’attuazione progressiva di una politica indicativa dei redditi e la creazione a tal fine di “un nuovo organismo capace di determinare, ispirandosi ai progressi metodologici recenti, i guadagni di produttività dell’impresa sottoposta al suo esame e la ripartizione dei profitti così ottenuti fra i fattori della produzione”; lo svolgimento di tale funzione “permetterà di raccogliere informazioni utili, non solamente per una politica dei redditi, ma anche per una conoscenza dei costi, che chiarirà la posizione dell’economia francese rispetto a quella dei Paesi circostanti”. In considerazione dell’utilità della sua attività di ricerca per la politica governativa e per l’elaborazione del Piano, si scelse di collocare tale organismo presso il Commissariat général, precisando che sarebbe stato composto da personalità indipendenti, scelte sulla base delle loro competenze, per fare in modo che “gli studi e i pareri del C.e.r.c. siano autorevoli presso chiunque, grazie al loro valore tecnico, alla loro imparzialità, e alla qualità dei suoi attori”.

Il C.e.r.c. è stato soppresso dall’articolo 78 della legge n. 93-1313 del 20 dicembre 1993, che lo ha sostituito con il Conseil supérieur de l’emploi, des revenus et des coûts (Cserc); a seguito delle critiche suscitate da tale scelta, un rapporto presentato il Primo ministro nel gennaio 1998 da Join- Lambert, ispettrice generale degli affari sociali, all’esito di una missione di riflessione sul tema, suggerì la creazione di un nuovo organismo che prendesse il posto del Cserc. La legge n. 2000-175 del 2 marzo 2000, pertanto, ha abrogato l’articolo 78 della legge n. 93-1313 ed il successivo decreto n. 2000-302 del 7 aprile 2000 ha istituito “presso il Primo ministro un Conseil de l'emploi, des revenus et

de la cohésion sociale (CERC), incaricato di contribuire alla conoscenza dei redditi, delle disuguaglianze sociali e dei legami fra impiego, redditi e coesione sociale” (art. 1).

Attualmente è composto da un presidente, da sei membri scelti in ragione della loro competenza ed esperienza e due membri di diritto: il direttore generale dell’Institut national de la statistique et des

études économiques (I.n.s.e.e.) e il direttore della Direction de la recherche, des études, de

l’évaluation et des statistiques (D.r.e.s.s.), creata dal decreto n. 98- 1079 del 30 novembre 1998 con compiti di osservazione, analisi statistica e valutazione nei settori della sanità e protezione sociale.

41 P. BAUCHET, La planification française. Quinze ans d’expérience, Paris, 1962, p. 47; sulla pianificazione in Francia v. anche Y. ULMO, La planification en France, Paris, 1974; B. CAZES, La

planification en France et le IV plan, Paris, 1962; J. FOURASTIE, La planification économique en

controllo sulla sua esecuzione”: presieduta dal Ministro incaricato del piano, essa era composta da rappresentanti di ogni regione, delle organizzazioni sindacali e delle diverse categorie professionali42.

Queste sedi di consultazione, alle quali è stato riconosciuto gran parte del merito dell’attività di pianificazione, hanno funzionato come canali di rappresentanza alternativi a quelli tradizionali, di cui già si scorgeva la crisi. I membri di tali commissioni erano scelti in virtù della loro competenza nei settori di riferimento, senza alcuna regola di proporzionalità fra i gruppi, e con l’obiettivo di pervenire ad un accordo più ampio possibile sulle prospettive dell’azione statale. L’elaborazione del piano non coinvolgeva il Parlamento, che si limitava a votare una legge di approvazione composta da un unico articolo43.

Il problema del controllo politico, da parte dell’organo rappresentativo, sul contenuto del piano si pose sin dalle fasi iniziali; se il primo non venne sottoposto alla votazione parlamentare44, le successive leggi di approvazione tentarono di individuare strumenti per un maggiore coinvolgimento delle due Camere. L’art. 2 della legge n. 62-900 del 4 agosto 1962 (di approvazione del quarto piano), ad esempio, impose al Governo di sottoporre al Parlamento, prima di comunicare le proprie direttive al commissario generale, un progetto di legge avente ad oggetto l’approvazione di un rapporto sulle principali condizioni per la preparazione del piano nelle materie più significative45. La legge di riforma n. 82-653, poi, istituì, presso ciascuna Camera, una Délégation parlamentaire pour la planification, composta di quindici membri, incaricata di “informare l’assemblea di appartenenza

42 Più precisamente, l’art. 6 prevede, oltre ai rappresentanti regionali e sindacali, esponenti dell’agricoltura, artigianato, commercio, libere professioni, settore pubblico industriale e bancario, settore cooperativo e mutualistico, i movimenti associativi e culturali.

43 Per un’analisi del rapporto fra pianificazione e democrazia v. P. BAUCHET, La planification

française, cit., pp. 40 ss. (v. in particolare p. 138).

44 Nonostante la volontà ripetutamente espressa dal Parlamento durante gli anni 1948-1949, il testo non fu mai votato. Il Parlamento approvò, invece, i fondi necessari all’esecuzione del piano, con la legge n. 50-854 del 21 luglio 1950, cui furono allegati il rapporto del Commissario generale e due

états des opérations du plan pour la métropole et les territoires extra-métropolitains de l’Union française, per chiarire la ripartizione delle somme previste.

45 Si ricorda che anche la legge n. 56-342 del 27 marzo 1956, di approvazione del secondo piano, era intervenuta in materia, prevedendo l’elaborazione di lois-programmes, aventi ad oggetto “i programmi ritenuti necessari all’applicazione del piano” e tali da implicare impegni pluriennali (art. 2); secondo l’articolo 3 della medesima legge, inoltre, il presidente del Consiglio dei ministri, prima della presentazione del bilancio, avrebbe dovuto annualmente presentare al Parlamento un rapporto del Commissario generale, che esponesse le misure prese per l’applicazione del piano, i risultati ottenuti, le difficoltà incontrate e le modifiche necessarie.

sulla elaborazione e sulla esecuzione del piano”, prevedendo a tal fine l’obbligo per il Governo di trasmettere tutti i documenti necessari (art. 2).

Nonostante questi accorgimenti, le scelte della pianificazione restavano sostanzialmente sottratte alla sede parlamentare, per risultare affidate ad un sistema che vedeva il Commissariat général du Plan al centro di una rete di rapporti con i principali attori della vita economica e sociale, con i quali era in condizioni di organizzare una raccordo sistematico, attraverso sistemi che sfuggivano ai modelli parlamentari di rappresentanza e decisione.

Se, da un lato, allora, l’attività degli organi della pianificazione ha rappresentato un’occasione per il rilancio di un approccio “scientifico” e razionale ai problemi della decisione pubblica, attraverso un’analisi obiettiva e metodologicamente rigorosa della corrispondenza fra programmi e risultati raggiunti, dall’altro, essa è risultata indissociabile dallo sviluppo di rapporti nuovi fra Stato e società civile. Tale circostanza insinua un’ambiuguità di fondo, che riguarda il rapporto fra valenza “scientifica” e valenza “democratica” del procedimento, e che, latamente presente in tutte le esperienze valutative, si ripropone in termini molto più pregnanti nell’ambito della riflessione sulla tecnica della sperimentazione normativa.

Le prime leggi sperimentali, infatti, sono state certamente espressione della tendenza, che si è riferita inizialmente, alla razionalizzazione della produzione giuridica ed alla ricerca di metodologie rigorose di analisi dei problemi socio- economici, in corrispondenza al mutamento dei compiti dell’azione statale; ma le applicazioni successive mostreranno che il particolare sistema della sperimentazione normativa, che combina l’indagine sugli effetti della legge con la previsione di un suo termine di durata, non esaurisce il suo significato nell’ambito tecnico- manageriale: si esclude, cioè, che la risposta della legislazione sperimentale alla “crisi” dell’atto legislativo sia di natura esclusivamente scientifica. Se una