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La sperimentazione del Revenu minimum d’insertion (r.m.i.)

IMPLICAZIONI E PROSPETTIVE

5. La sperimentazione del Revenu minimum d’insertion (r.m.i.)

5.1 La lotta alla povertà: dalle sperimentazioni locali al revenu minimum d’insertion

Il secondo grande capitolo della politica sociale della presidenza Mitterand ebbe ad oggetto la lotta alla povertà e alle svariate forme di emarginazione sociale. La

riflessione su questi temi era stata avviata pochi anni prima, anche sulla scorta delle sollecitazioni comunitarie, grazie ad alcune inchieste sulle condizioni di vita della popolazione francese: a partire dal rapporto presentato da Gabriel Oheix al termine della presidenza di Giscard d’Estaing 72, ingenti risorse umane e finanziarie furono mobilizzate al fine di acquisire consapevolezza sulle dimensioni e sui caratteri delle situazioni di indigenza sul territorio francese. Il Commissariat générale du Plan e la

Direction de l’action sociale, facente capo al Ministère des affaires sociales et de

l’emploi, in particolare, furono i protagonisti di questo programma di studio, avendo commissionato, a partire dal 1985, diverse attività di ricerca73. Queste, in particolare, vennero rivolte in due direzioni, in vista di approfondire le soluzioni concretamente praticate sia a livello europeo, attraverso un’analisi comparata delle misure predisposte nelle legislazioni dei Paesi vicini74, sia in alcune realtà dello stesso territorio francese75.

72 Nel 1975, la Commissione delle Comunità europee avviò un ambizioso programma, che prevedeva la realizzazione di alcuni progetti pilota, finalizzati ad approfondire la conoscenza delle situazioni di povertà e ad elaborare nuove strategie per farvi fronte. In Francia, uno studio su questi temi fu commissionato, nel 1979, alla Fondation pour la recherche sociale (FORS), un organismo associativo indipendente fondato nel 1965, che presentò il suo rapporto alla Commissione europea nel gennaio del 1981. Tale documento non venne mai pubblicato integralmente, ma è possibile trovarne le prime due parti in Pauvreté et paupérisation. La situation de la France, in Recherche Sociale, 1982, n. 82-83; sull’argomento v. anche A. LION, P.MACLOUF, L’insécurité sociale. Paupérisation et

solidarité, Les éditions ouvrières, 1982. Questo testo, insieme a quello di Henri Péquignot, presentato al Conseil économique et social nel 1978 (La lutte contre la pauvreté, Etude présentée par la section des actions éducatives, sanitaires et sociales sur le rapport de M.Henri Péquignot, le 20 septembre 1978 au Conseil Economique et Sociale. Avis et Rapports du Conseil Economique et Social, vol. 9, Journal Officiel, 6 mars 1979), rappresentò la base del lavoro svolto da un gruppo interministeriale istituito nel 1980 dal Primo ministro Raymond Barre, in vista di “definire le azioni volte a permettere il progressivo riassorbimento delle situazioni di povertà”. Presieduto da un consigliere di Stato, Gabriel Oheix, tale collegio presentò il suo rapporto al Governo nel marzo 1981; anche questo non venne pubblicato, ma è possibile leggere la lista delle sessanta proposte in esso contenute in Actions et

Recherches Sociales, Pauvreté et action sociale, 1983, vol. 13, n. 4, e in J.-M. BELORGEY, La gauche

et les pauvres, Syros, 1988. Altre opere precedenti al rapporto di G. Oheix sono quelle di R. LENOIR,

Les exclus, un Français sur dix, Le Seuil, Paris, 1974, e di L. STOLERU, Vaincre la pauvreté dans les

pays riches, Flammarion, Paris, 1977.

73 Sui quali v. S. MOURANCHE, Le revenu minimum garanti: quelques études françaises récente, in

Revue française des affaires sociales, 1988, 2, pp. 55 ss.

74 Un primo studio sulle forme di reddito minimo nei vari Pesi dell’OCDE fu svolto da Henri Nadel, del BIPE, una società specializzata nella previsione economica e nella consulenza strategica; seguì l’indagine di due ricercatori del C.r.e.d.o.c., B. SIMONIN, E.MARC, Pauvreté – précarité,

tentatives de mesure. Pauvreté et protection sociale des plus deémunis dans les pays de la CEE, 1986. I risultati di questi due lavori furono oggetto di rilessione nel corso di una giornata di studio organizzata dal Bureau des études della Direction de l’action sociale. Una sintesi critica venne realizzata da S. MILANO, Revenu minimu garanti dans les pays de la CEE, in Solidarité santé, SESI, 1987, n. 6.

75 Già a partire dalla fine del 1984, la Direction de l’action sociale intraprese la raccolta dei numerosi studi sulla povertà realizzati a livello locale; una sintesi di questi lavori fu richiesta al

Tali indagini empiriche portarono alla luce le condizioni di estremo disagio in cui versavano ampie fasce della popolazione, mostrando l’improrogabilità di un intervento pubblico che affrontasse in maniera sistematica una problematica che aveva ormai raggiunto i caratteri di una “emergenza nazionale”: uno sforzo di solidarietà, ispirato ai principi posti nel Preambolo alla Costituzione del 27 ottobre 1946, sarebbe stato indispensabile per garantire alla generalità dei cittadini condizioni minime di un’esistenza dignitosa.

Negli stessi anni, tali attività conoscitive furono affincate da concreti tentativi di intervento, finalizzati ad arginare il dilagare dei fenomeni di emarginazione. Il Governo, infatti, dopo alcune misure a carattere settoriale76, il 26 gennaio del 1983,

avviò il primo “programma di lotta conto la povertà e la precarietà”, che conteneva provvedimenti di natura eterogenea e dal contenuto più vario, rivolti, ad esempio, al sostegno alle ragazze madri, alla lotta all’analfabetismo, all’apprestamento di servizi d’urgenza, ecc. A partire dall’anno seguente, furono predisposti proprammi annuali a carattere più specifico: inizialmente destinati a far fronte a situazioni di urgenza 77, vennero progressivamente impiegati per progetti di medio o lungo termine78. Tali

iniziative, oltre ad accrescere la consapevolezza sulle situazioni di disagio sociale, ebbero il merito di sollecitare il coinvolgimento di svariati soggetti pubblici e privati e di promuovere la stipulazione di convenzioni in materie connesse alle problematiche dell’emarginazione sociale, come quelle dell’educazione e dell’alloggio.

Da diversi anni, inoltre, alcuni comuni avevano predisposto strumenti di lotta contro la povertà, attraverso la previsione di forme di reddito minimo garantito, cioè

C.r.e.d.o.c. nel 1985. La valutazione della trentina di esperienze francesi di reddito minimo garantito fu realizzata da J. Lion, con la collaborazione scientifica del C.e.r.c.: J.M. CHARBONNEL, J. LION,

Protection sociale et pauvreté. Protection légale et expériences locales de revenu minimum garanti, Document du Cerc n. 88, 1988; sullo stesso tema, il Commissariat général au plan e la Direction de

l’action sociale hanno finanziarono congiuntamente un ulteriore studio del C.r.e.d.o.c., realizzato da G. HATCHUEL, Pauvreté – Précarité. Quelques expériences locales de revenu minimum social

garanti, document du Crédoc n. 27, 1987.

76 Si può ricordare la circolare del 25 marzo 1982, relativa al “programma di sviluppo sociale dei quartieri”, che interessò 148 quartieri in diciotto regioni, o quella del 20 luglio 1982, che conteneva “discipline di aiuto alle famiglie in situazione di temporanea difficoltà con riguardo alle spese dell’alloggio”, o le misure di lotta alla delinquenza giovanile che coinvolsero 21 dipartimenti.

77La prima circolare, del 23 ottobre 1984, conteneva infatti “misure d’urgenza per le persone in situazioni di povertà e precarietà”.

78 Su queste iniziative v. N. MARILLER, G. JANVIER, Les programmes gouvernementaux de lutte

di una prestazione pubblica a carattere differenziale, versata a chiunque disponesse di un reddito inferiore ad una soglia preventivamente fissata, in modo da assicurare il godimento di un livello minimo di risorse79. Tali iniziative, autonomamente intraprese dalle autorità locali, in assenza di qualsiasi disciplina legislativa, sebbene ispirate ad un intento comune, furono molto diverse fra loro, differenziando, pertanto, in misura notevole, il sistema di protezione sociale all’interno del territorio francese.

Tali provvedimenti si giustificavano giuridicamente, per il fatto di avere ad oggetto misure riconducibili all’ambito del c.d. aide sociale facultative, rimesso all’iniziativa delle autonomie locali, in vista di elevare i livelli minimi di protezione assicurati dalla legge, in maniera uniforme, sull’intero territorio nazionale: se l’aide

sociale légale costituiva un diritto per gli individui ed un obbligo per le collettività territoriali, l’assistenza sociale facoltativa era il frutto di una libera determinazione delle autorità locali, che potevano discrezionalmente decidere di ampliare la protezione legale, o prevedendo condizioni più favorevoli per la concessione delle prestazioni disciplinate dalla legge o introducendo misure del tutto nuove80. La

nozione di aide sociale facultative era solo una delle specificazioni del principio sancito nell’art. 121-26 del Code des communes (poi art. L2121-29 del Code général

des collectivités territoriales), la c.d. clausola generale di competenza, che riconosceva al consiglio municipale la possibilità di disciplinare con proprie deliberazioni les affaires de la commune; ma la nozione di “affare locale” era talmente vaga che le autorità territoriali usufruivano di un’ampia discrezionalità.

Queste iniziative locali, inoltre, innovarono il sistema di protezione sociale sino ad allora esistente, caratterizzato da una notevole specializzazione: la legge si limitava, infatti, a prevedere inteventi finalizzati a fronteggiare situazioni specifiche di bisogno, ad esempio, quelle di malattia o maternità, di vecchiaia o di vedovanza,

79 Nel corso di circa dieci anni, a cavallo fra gli anni settanta ed ottanta, 23 comuni e 2 dipartimenti (Belfort e Ille-et-Vilaine) avviarono esperienze di reddito minimo garantito: una rassegna di tutte le iniziative locali si trova in J. LION, Les expériences locales: la mesure introuvable?, in Revue

française des affaires sociales, 1988, 2, p. 39.

80 Sulla distinzione fra aide sociale légale e aide sociale facultative v. V. DONIER, Le principe

d’égalité dans l’action sociale des collectivités territoriales, Presses universitaires d’Aix-Marseille, 2005, pp. 254 ss.; A. THEVENET, L’aide sociale aujourd’hui après la décentralisation, ESF, 1997, pp. 316 ss.; J. TYMEN, H. NOGUES, Action sociale et décentralisation, tendances et prospectives, L’harmattan, 1988, pp. 25 ss. Sulla riconducibilità delle esperienze locali di reddito minimo garantito alla protezione sociale facoltativa v. J.M. CHARBONNEL, J. LION, Protection sociale et pauvreté, cit., pp. 69-70.

oppure sussidi a sostegno dei nuclei familiari o dell’infanzia o forme di assistenza in materia di alloggio81. La nozione di reddito minimo, invece, rappresentava un’inversione di tendenza, essendo originariamente concepita come prestazione universale, concessa a tempo indeterminato, sulla base di una oggettiva situazione di bisogno, a chiunque non raggiungesse determinati livelli di reddito82.

La novità di questi nuovi approcci al problema della povertà ha suscitato notevole interesse ed un fervente dibattito. Le regolamentazioni locali, infatti, come già ricordato, sono state oggetto di diversi studi valutativi. Tuttavia, nonostante fossero state spesso qualificate con il termine “esperienze”83, solo impropriamente avrebbero potuto essere comprese nella categoria della sperimentazione normativa: da un lato, non avevano vigenza limitata nel tempo, dall’altro, le indagini svolte sulla loro applicazione furono disposte solo in via successiva e da un’autorità diversa da quelle che li aveva emanati. Il Governo commissionò, infatti, un’attività di ricerca su queste realtà normative, in vista di una eventuale regolamentazione a livello nazionale. Queste attività conoscitive, pertanto, non si inserivano propriamente in una dinamica sperimentale, ma erano annoverabili fra gli strumenti informativi in grado di fornire un generico supporto alla decisione normativa.

La valutazione di queste iniziative, inoltre, venne fortemente condizionata dagli obiettivi e dalla natura dell’indagine effettuata. Lo scopo principale, infatti, era quello di acquisire consapevolezza sul numero dei potenziali destinatari del versamento e sul costo complessivo della misura, nell’ipotesi di una sua generalizzazione sull’intero territorio nazionale. Tale circostanza, da un lato, influì sulla scelta dei siti campione, selezionati in modo da privilegiare quelli ove maggiore fosse il numero dei destinatari del sussidio pubblico, anche a costo di trascurare

81 Il sistema precedente alle esperienze di reddito minimo era estremamente complesso, comprendendo una pluralità di prestazioni di natura differente, riassumibili in tre principali categorie: un sussidio in caso di perdita del reddito lavorativo (ad es. per maternità o malattia), la garanzia di risorse minime in alcune specifiche situazioni (vecchiaia, vedovanza) ed il completamento del reddito familiare: una sintesi delle principali misure esistenti si trova in HATCHUEL, Pauvreté – Précarité, cit., pp. 23 ss. e in C. EUZEBY, Le revenu minimum garanti, Paris, 1991, pp. 73 ss.

82 Di regola, la misura del reddito minimo garantito, come riassumono efficacemente J. LION, Les

expériences locales, cit., p. 37, e C. EUZEBY, Le revenu minimum garanti: une formule en gestation, in

Droit social, 1988, 3, p. 267, era generale, in quanto aperta a tutti, automatica, cioè concessa senza l’imposizione di alcun obbligo a carico del beneficiario, e permanente, in quanto destinata a far fronte ad una condizione obiettiva di povertà: la rottura di questo modello di protezione sociale rispetto a quello sino ad allora seguito era sottolineata da J.M. CHARBONNEL, J. LION, Protection sociale et

pauvreté, cit., p. 69.

criteri di rappresentatività84; dall’altro, giustificò, verosimilmente, la scelta di condurre la ricerca soltanto all’interno delle amministrazioni interessate, senza alcun contatto diretto con le persone che percepivano tale prestazione pubblica: l’indagine risultava, così, certamente parziale, in quanto limitata ad un solo punto di vista, quello degli attori istituzionali, senza alcuna considerazione degli effetti complessivi della nuova disciplina sulla vita di coloro che ne erano i destinatari diretti. La mancanza di informazioni statistiche dettagliate, soprattutto su coloro che, per le più varie ragioni, non ottenevano o non potevano avere accesso al godimento della prestazione, ostacolò ulteriormente il tentativo di fornire una rappresentazione fedele delle diverse situazioni locali85.

Alla tecnica sperimentale potrebbe invece essere ascritta la disciplina dei c.d.

compléments locaux de ressources (CLR), applicati nel dipartimento di Ille-et- Vilaine: nel giugno del 1986, le autorità statali (in particolare le Caisses d’allocation

familiales), i Consigli generali ed i comuni86, stipularono una convenzione di durata biennale, con lo scopo di sperimentare un sistema di reddito minimo garantito, subordinato alla prestazione di un’attività di interesse generale o allo svolgimento di un percorso di formazione professionale87. A seguito dell’esperienza svolta, la

Mission recherche expérimentation del Ministère des affaires sociales et de l’emploi e del Commissariat général du plan, commissionò un rapporto di valutazione al

84 Lo studio di G. Hatchuel si concentrò sulle iniziative di sei collettività territoriali, quattro comuni (Besançon, Nimes, Nantes, Clichy) e due dipartimenti (Belfort e Ille-et-Vilaine). Il comune di Besançon fu scelto in ragione della sua consolidata esperienza in materia, dato che assicurava forme di reddito minimo garantito già a partire dal 1975, oltre a misure di assistenza alle persone anziane addirittura dal 1968; si decise poi di confrontare tale esperienza con quella di Nîmes, ove erano previste condizioni di attribuzione molto simili, con l’obiettivo di verificare eventuali differenze applicative, in grado di influire sulla concezione stessa del reddito minimo. I comuni di Nantes e Clichy, invece, seguirono un approccio molto diverso, selezionando, attraverso condizioni molto restrittive, la popolazione interessata dal sussidio pubblico. Vennero, infine, considerati gli unici due dipartimenti che avevano predisposto analoghe forme di tutela, anche se l’esperienza in essi svolta era troppo recente per consentire una valutazione attendibile. Su questi aspetti v. G. HATCHUEL, Pauvreté

– Précarité, cit. pp. 13 ss.

Lo studio del C.e.r.c., invece, ebbe come oggetto un campione più ampio, composto di 25 collettività territoriali: 2 dipartimenti, sette comuni con popolazione superiore ai 100000 abitanti, nove comuni con popolazione compresa fra 30000 e 100000 abitanti e sette di più piccole dimensioni.

85 Lo stesso autore del rapporto annoverava tali circostanze fra i principali limiti dello studio effettuato: G. HATCHUEL, Pauvreté – Précarité, cit. p. 17.

86 I comuni interessati erano Rennes, Saint-Malo, Fougères, Redon e Vitré.

87 Tale esperienza veniva annoverata fra gli esempi di sperimentazione normativa in alcuni documenti parlamentari, in particolare i rapporti presentati al Parlamento da Piron e Blessig sulla proposta di legge costituzionale finalizzata ad introdurre nella Costituzione un diritto alla sperimentazione per le collettività territoriali (A.N. n. 2854, 10 gennaio 2001, p. 13).

Laboratoire de recherche en science sociales dell’Università di Rennes88.

Il modello di una sperimentazione con fondamento negoziale fu nuovamente riproposto pochi mesi dopo, nella c.d. circolare Zeller, approvata il 29 ottobre 1986, la quale prevedeva la conclusione di accordi fra le autorità dipartimentali e statali, per l’istituzione di forme di reddito garantito89; lo Stato, in particolare, avrebbe finanziato il quaranta per cento del costo complessivo. Tale iniziativa ottenne un indubbio successo, provocando un diffuso movimento di negoziazione, che coinvolse gran parte dei dipartimenti francesi; anche in questo caso, la Direction de l’action

sociale richiese una valutazione quantitativa, presentata nel marzo 198890.

Sebbene tali inizitive fossero ispirate ad un intento comune, quello di rimediare alle insufficienze del sistema di protezione sociale sino ad allora esistente, le soluzioni concretamente praticate si differenziarono notevolmente fra le diverse realtà comunali o dipartimentali: i provvedimenti emanati dalle collettività territoriali, autonomamente o d’intesa con il Governo nazionale, provocarono una significativa diversificazione sul territorio del sistema di protezione sociale, esaltando le specificità locali e valorizzando il processo di decentralizzazione avviato qualche anno prima con le leggi Defferre. Significative divergenze erano riscontrabili su tutti i principali aspetti della disciplina: le categorie di beneficiari91, le condizioni

88 M. SAVINA, Les leçons de l’expérience. Evaluation du Complément Local de Ressources,

préparatoire à la mise en œuvre du R.M.I. en Ille-et-Vilaine, Rennes, 1988, cui si rinvia per una descrizione completa della disciplina.

89 Tale circolare prevedeva il versamento di un sussidio, per un periodo di sei mesi rinnovabili, subordinato all’impegno del beneficiario di svolgere un’attività di interesse generale a tempo parziale; potevano farne richiesta solo le persone maggiori di venticinque anni, che non avessero diritto all’indennità di disoccupazione e che appartenessero ad una famiglia priva di reddito di lavoro: v. sul punto cfr. J. LION, Les expériences locales, cit., p. 57; C. EUZEBY, Le revenu minimum, cit., pp. 78-79; M. LELIEVRE, E. NAUZE-FICHET, RMI, l’état des lieux, Paris, 2008, pp. 26-27.

90 L’anno successivo all’emanazione della circolare, era possibile contare ben 71 dipartimenti coinvolti, per più di 18000 beneficiari potenziali e 127000 effettivi, cui si aggiunsero sedici nuove convenzioni nel primo trimestre 1988; solo quattro consigli generali si dichiararono contrari. Su queste esperienze v. il rapporto presentato al Senato da P. LOUVOT, Rapport sur le projet de loi relatif

au revenu minimum d’insertion, Doc. Parl., Sénat, n. 57, 26 ottobre 1988.

91 Ad esempio, nel comune di Besançon, erano ammessi a richiedere il versamento tutti i nuclei familiari, composti anche di una sola persona, ad esclusione degli studenti; analogamente, nel dipartimento di Belfort, erano escluse soltanto le persone di età inferiore ai venticinque anni e coloro che già ricevevano la c.d. allocation de parent isolé (si trattava di una prestazione differenziale, istituita nel 1976, concessa alle famiglie monoparentali e donne incinta in stato di bisogno, per un periodo compreso fra uno e tre anni), mentre, a Nîmes, erano esclusi coloro che avevano ottenuto un alloggio pubblico. Altrove, invece, il sostegno pubblico riguardava soltanto alcune categorie di persone: ad esempio, a Nantes, potevano presentare domanda solo le coppie senza figli e le persone sole, di età compresa fra i diciotto e i sessantacinque anni, in condizioni di disoccupazione; nel dipartimento di Ille-et-Vilaine, invece, erano interessate le persone di età compresa fra i venticinque e

di attribuzione92, la durata complessiva del versamento93, il periodo di residenza necessaria per poter usufruirne94, la periodicità del riesame del dossier95, le risorse computate per la determinazione del reddito 96, la soglia minima di riferimento97, l’ammontare del versamento 98. Ciò, d’altra parte, rendeva problematica la stessa indagine valutativa, risultando estremamente difficile fondarla su categorie omogenee, tali da garantire conclusioni attendibili in vista di una eventuale generalizzazione della disciplina99.

i cinquantacinque anni, che non avessero diritto all’indennità di disoccupazione o ad altre misure assistenziali.

92 In genere, era richiesto l’avvio delle pratiche per la concessione degli altri tipi di sussidi previsti dalla legge e l’iscrizione all’ANPE, l’organismo deputato all’intermediazione nelle ricerche di lavoro.

93 In alcuni casi, il versamento era accordato per una durata illimitata (salve eventuali sanzioni in caso di mancato adempimento degli obblighi previsti nel contratto); in altri casi il periodo era drasticamente ridotto ad un anno, rinnovabile di un altro anno (Belfort e Ille-et-Vilaine), o addirittura a sei mesi per ciascun anno (Clichy).

94 Variabile da uno a tre anni. 95 Variabile da uno a tre mesi.

96 Questo aspetto assumeva un’importanza centrale ai fini dell’esatta configurazione dell’istituto, in quanto era il riflesso del modo di concepirne il ruolo e la collocazione nel sistema della protezione sociale: se generalmente era presa in considerazione la totalità delle risorse del potenziale beneficiario, l’esclusione dei proventi derivanti da altre forme di assistenza condizionava decisamente il rapporto fra queste e la misura del reddito minimo. Ad esempio, la scelta di includere, nelle risorse valutabili ai