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La sperimentazione nelle fabbriche: le leggi Aurou

IMPLICAZIONI E PROSPETTIVE

4. La sperimentazione nelle fabbriche: le leggi Aurou

All’indomani della vittoria socialista del maggio 1981, il nuovo esecutivo intraprese un ambizioso programma di riforma del diritto del lavoro e delle relazioni sindacali, con l’obiettivo di migliorare le condizioni dei lavoratori dell’industria e dare nuovo impulso alla concertazione fra le parti sociali. Nel settembre dello stesso anno, pertanto, il ministro del lavoro Jean Auroux presentò al Presidente della Repubblica e al Primo ministro un documento che individuava alcuni ambiti di intervento e formulava proposte finalizzate a dare effettività ai diritti degli operai all’interno delle fabbriche 47. Seguirono quattro provvedimenti legislativi, approvati nel corso del secondo semestre dell’anno successivo, relativi, rispettivamente, ai diritti dei lavoratori, alle istituzioni rappresentative all’interno degli stabilimenti, al rilancio della contrattazione collettiva, ai comitati di garanzia della sicurezza sui luoghi di lavoro48: questi temi avrebbero rappresentato, nelle intenzioni del

legislatore, gli assi portanti di una nuova “democrazia economica”, che avrebbe contribuito anche a dare nuovo slancio e rinnovate energie allo sviluppo delle dinamiche produttive ed alla realizzazione di una “nuova e autentica cittadinanza all’interno delle imprese”49.

La prima di queste leggi, relativa alle libertà dei lavoratori all’interno delle fabbriche, intervenne su tre fronti: da un lato, aumentò le garanzie per i dipendenti nei confronti del potere disciplinare del datore di lavoro, prevedendo gli strumenti per l’esercizio del loro diritto di difesa e rendendo obbligatoria l’adozione di un

46 P. VIVERET, L’évaluation des politiques et des actions publiques, 1989, p. 126.

47 J.AUROUX, Les droits des travailleurs. Rapport au Président de la République et au Premier

ministre, La documentation française, 1981.

48 Si tratta, rispettivamente, della legge n. 82-689 del 4 agosto 1982, relativa alle libertà dei lavoratori all’interno delle imprese (prima legge Auroux), della legge n. 82-915 del 28 ottobre 1982, relativa allo sviluppo delle istituzioni rappresentative del personale (seconda legge Auroux), della legge n. 82-957 del 13 novembre 1982, relativa alla contrattazione collettiva e al regolamento dei conflitti collettivi di lavoro (terza legge Auroux) e della legge n. 82-1097 del 23 dicembre 1982, relativa ai comitati d’igiene, di sicurezza e delle condizioni di lavoro (quarta legge Auroux).

49 Questi concetti si ritrovano in apertura del testo di J. AUROUX, Les droits des travailleurs, cit., p. 3.

regolamento interno, che avrebbe dovuto fissare le modalità di applicazione della normativa sull’igiene e la sicurezza nell’impresa e le “regole generali e permanenti in materia disciplinare, con riguardo, in particolare, alla natura ed alla scala delle sanzioni irrogabili dal datore di lavoro” (nuovo art. L122-34 del Code du travail, introdotto dall’art. 1 della legge); dall’altro, proclamò la libertà di espressione dei lavoratori sul “contenuto e l’organizzazione del lavoro così come sulla definizione e l’attuazione degli interventi destinati a migliorare le condizioni di lavoro nell’impresa” (art. L461-1 del Code du travail introdotto dall’art. 7 della legge), regolamentandone in parte le modalità di esercizio50.

Quest’ultima parte del provvedimento costituiva l’esito di un dibattito che si protraeva da tempo: alcune limitate esperienze erano già state svolte all’interno di alcuni stabilimenti industriali e reiterate rivendicazioni sindacali avevano più volte attirato l’attenzione delle istituzioni sulla necessità di una regolamentazione organica della materia51. In questo contesto, l’affermazione di principio contenuta nel nuovo art. L461-1 del Code du travail ha assunto una forte valenza simbolica ed ha rappresentato una delle conquiste sociali più importanti nell’evoluzione del diritto del lavoro in Francia52.

Il legislatore, tuttavia, scelse di dettare una disciplina di natura sperimentale: dopo due anni dall’emanazione della legge (cioè alla data del 4 agosto 1984), gli imprenditori avrebbero dovuto procedere all’“analisi dei risultati ottenuti”, richiedere il parere dei delegati sindacali e dei rappresentanti dei lavoratori nelle imprese (art. 9) e trasmettere all’Ispecteur du travail l’analisi compiuta insieme ai pareri dei sindacati (circolare del 18 novembre 1982, par. 4); prima del 30 giugno 1985, inoltre, il Governo avrebbe dovuto depositare al Parlamento, un resoconto sull’applicazione della legge, in modo che “tenuto conto delle conclusioni di questo rapporto, una

50 Per un’analisi completa della prima legge Auroux, v. il dossier contenuto in Droit social, 1983, n. 9-10; con specifico riferimento alla disciplina del diritto di espressione dei lavoratori v. AGENCE NATIONAL POUR L’AMELIORATION DES CONDITIONS DE TRAVAIL,L’expression des salariés. Banalité ou dynamique nouvelle?, Lettre d’information n. 70, dicembre 1982.

51 Per la descrizione di alcune delle esperienze svolte fra il 1978 e il 1982 v. AGENCE NATIONAL POUR L’AMELIORATION DES CONDITIONS DE TRAVAIL, L’expression des salariés, 1983, pp. 2 ss.; ID.,

L’expertise et le vécu des conditions de travail, Lettre d’information n. 35, 1979; v. anche l’intervista a X. MALLET in Responsables, n. 143, janvier 1983, pp. 32 ss., il quale insisteva sulla varietà dei contesti locali e delle soluzioni di volta in volta praticate.

52 Sulle principali tappe di evoluzione del diritto del lavoro francese, anteriori rispetto alle leggi

Auroux, v. M. COFFINEAU , Les lois Auroux, dix ans après. Rapport au Premier Ministre, 1993, pp. 105 ss.; si può trovare una sintesi in Bulletin social Francis Lefebvre, BS 4/93, pp. 185 ss.

legge determinerà, prima del 31 dicembre 1985, le modalità di esercizio del diritto di espressione dei lavoratori nelle imprese” (art. 10).

Per la prima volta questa tecnica di produzione giuridica è stata così impiegata al di fuori delle amministrazioni statali e con riferimento alle forme di tutela di diritti di rilievo costituzionale. La sperimentazione aveva carattere globale, non essendo stata circoscritta a determinati campioni rappresentativi ma coinvolgendo tutte le imprese di dimensioni maggiori a quelle previste dalla legge53.

In secondo luogo, la peculiarità della prima legge Auroux fu quella di affidare alla negoziazione fra le parti sociali la concreta articolazione dei rapporti all’interno delle fabbriche: il legislatore, infatti, non affiancò il riconoscimento della libertà di espressione con una disciplina di dettaglio ma si limitò a prevedere la conclusione di accordi fra imprenditori e organizzazioni sindacali rappresentative dei lavoratori. Tali contratti avrebbero dovuto disciplinare, in particolare, l’organizzazione e la frequenza delle riunioni destinate alla manifestazione delle rivendicazioni operaie, le misure necessarie ad assicurare la libertà di espressione individuale, la trasmissione della richiesta definitiva al datore di lavoro e le condizioni per la sua concreta attuazione (art. 461-3).

Il carattere innovativo di questa soluzione è stato più volte rilevato dalla dottrina54

53 Secondo l’art. 461-3, la stipulazione degli accordi fra imprenditori e rappresentanti sindacali, su cui subito infra, era obbligatoria solo per le imprese con almeno duecento dipendenti; in quelle più piccole, tale negoziazione era facoltativa, sicché, in mancanza, l’imprenditore avrebbe dovuto “obbligatoriamente consultare le organizzazioni sindacali, se esistenti, i comitati d’impresa, o, in loro assenza, i delegati del personale, sulle modalità di esercizio del diritto di espressione dei lavoratori”.

54 V. J.P. JACQUIER, Droit d’expression: si c’était cela aussi la transformation d’une société?, in

Droit social, 1983, 9-10, p. 562, che riteneva tale legge “curiosa” perché “occorre riempirla in parte e bisogna farlo con la contrattazione”, specialmente in considerazione del fatto che “l’accordo, nella società francese, ha un’importanza secondaria. Perché è l’ideologico, il politico, il guerriero e il legislativo che hanno la meglio”. In modo analogo si esprimeva lo studio della COFREMCA, La loi du 4

août 1982 sur le droit d’expression directe et collective des salariés: un indice pertinent du changement socio-culturel, di cui un riassunto si trova in AGENCE NATIONAL POUR L’AMELIORATION DES CONDITIONS DE TRAVAIL, L’expression des salariés, cit., ove si affermava che tale disciplina “si discosta dalla tradizione francese, la cui tendenza è quella di irrigidire qualsiasi nuova idea nella rete di una regolamentazione formale e minuziosa dei diritti e dei doveri degli interlocutori coinvolti”. Anche G. GROUX, La loi Auroux: l’expression des travailleurs, in Le travail ouvrier. Les cahiers

français, gennaio-febbraio 1983, n. 209, pp. 49-51, definiva quella in esame “una sperimentazione sociale per via contrattuale”, che, secondo l’A., si inseriva nel contesto dello sviluppo progressivo del fenomeno negoziale nella gestione dei rapporti sociali: svolta una breve rassegna delle principali tappe dell’evoluzione della contrattazione sociale in Francia e rilevato che “ciò che viene qui in questione non è solamente il problema della concertazione sulle condizioni di lavoro, ma più in generale il fatto stesso di negoziare all’interno dell’impresa, fatto ancora poco evidente in Francia”, considerava che “il diritto d’espressione dei dipendenti mira all’instaurazione nell’impresa di un sistema decentralizzato e permanente di negoziazione”.

ed ampiamente sottolineato nel rapporto di Jean Auroux55. Questi, infatti, pur riconoscendo la necessità di una garanzia legislativa del diritto di espressione dei lavoratori, aveva al contempo sottolineato la variabilità dei contesti produttivi e la necessità di interventi mirati ed adeguati a ciascuno di essi. Una regolamentazione uniforme, imposta indifferentemente a tutte le situazioni imprenditoriali, sarebbe stata destinata al fallimento, in quanto incapace di innestarsi in maniera efficace nelle diverse realtà economico-sociali: solo una regolamentazione flessibile e concertata, in grado di adeguarsi alle dinamiche proprie delle diverse sedi industriali, avrebbe potuto garantire effettività al diritto riconosciuto dalla legge. L’unico modo per ottenere tale risultato era quello di dettare una “legge quadro”, che, posti i principi fondamentali della materia, avrebbe affidato agli stessi attori coinvolti l’elaborazione della disciplina di dettaglio: il ruolo della prima legge Auroux, pertanto, è stato quello di riconoscere il diritto di espressione, fissare il principio della negoziazione ed imporre un bilancio delle esperienze svolte dopo i primi due anni di applicazione.

Anche la circolare attuativa del 18 novembre 1982 sottolineava il fatto che “se la legge riconosce ai lavoratori un diritto di espressione, essa impone al datore di lavoro solo alcuni obblighi relativi alle condizioni generali di esercizio di tale diritto (…) ed al suo contenuto. Spetta alla comunità di lavoro, imprenditore, quadri, operai, organizzazioni sindacali, rappresentanti del personale, plasmare tale diritto e farlo vivere nell’impresa”; era, pertanto, “auspicabile che le iniziative si sviluppino in una grande libertà. È questa la ragione per la quale il testo pone pochi obblighi e lascia alle parti sociali il compito di definire la prassi dell’espressione più adeguata” (par. 4).

Di conseguenza, anche gli accordi stipulati in applicazione della nuova legge, assunsero per lo più carattere sperimentale, spesso dichiarandosi tali con disposizione espressa: erano, infatti, conclusi per un periodo di tempo limitato e contenevano disposizioni per la valutazione delle esperienze svolte. In alcuni casi, tali documenti si limitarono a definire soltanto un quadro generale, destinato ad essere modificato con aggiustamenti progressivi, a scadenze fisse o su domanda di una delle parti, oppure ad essere testato in un determinato comparto dell’impresa, in vista di

estenderlo agli altri settori56.

La circolare di applicazione si preoccupò, inoltre, di garantire il corretto svolgimento della sperimentazione, attraverso una rete di supporto e di vigilanza sulle iniziative locali: oltre a prevedere controlli da parte dell’Inspection du travail sull’effettivo svolgimento delle contrattazioni57, affidò alle amministrazione statali decentrate, ed in particolare alle Direzioni regionali, un compito di informazione sulle esperienze svolte nel territorio regionale ed una funzione di impulso in vista di “promuovere un ambiente favorevole allo sviluppo dell’espressione e suscitare iniziative delle parti sociali sfocianti in una grande varietà di esperienze” (par. 4.1.1). A questo fine, il Direttore regionale avrebbe nominato un Direttore aggiunto o un Ispettore, specificatamente incaricato degli adempimenti connessi alla sperimentazione58 ed un chargé d’études, chiamato a curare la raccolta, l’analisi e la trasmissione dei dati all’amministrazione centrale (par. 4.2).

Come espressamente riconosciuto dalla circolare, “il carattere sperimentale del testo dà a quest’aspetto un’importanza particolare” (par. 4.1.2): lo studio degli effetti di una legge, infatti, rende indispensabile la creazione sul territorio di una rete capillare di raccolta di dati, che riesca ad assicurare il raccordo sistematico fra i contesti regolati e gli organi incaricati della valutazione. E’ stata prevista, infatti, la trasmissione di tutti gli accordi conclusi dalle parti sociali alle amministrazioni statali e l’obbligo degli Ispecteurs du Travail di “raccogliere, nel corso dei loro sopralluoghi, tutte le informazioni sulle prassi instauratesi all’interno delle imprese circa il concreto esercizio del diritto d’espressione” (par. 4.1.2). Prima ancora del termine previsto dalla legge; cioè entro il 30 dicembre 1982, i Direttori regionali avrebbero dovuto inviare alla Direzione regionale del lavoro un resoconto succinto

56 Alcuni esempi di accordi concretamente stipulati, oltre ad uno schema delle clausole più frequenti, si trovano in AGENCE NATIONAL POUR L’AMELIORATION DES CONDITIONS DE TRAVAIL,

L’expression des salariés, cit., ove è possibile anche leggere le dichiarazioni rese, sul testo della legge

Auroux, dalle principali organizzazioni rappresentative degli imprenditori e dei lavoratori.

57 Vere e proprie sanzioni erano previste solo per l’ipotesi in cui l’imprenditore si rifiutasse di avviare la negoziazione con le organizzazioni rappresentative dei lavoratori, cioè nel caso ostacolasse l’esercizio del diritto sindacale; secondo il testo della circolare, tuttavia, “l’obbligo di negoziare non può implicare quello di concludere l’accordo”, trattandosi di una “obbligazione di mezzi e non di risultato” (par. 2.1.1), con la conseguenza che, nel caso di interruzione delle trattative, le amministrazioni di controllo sarebbero potute intervenire solo su richiesta delle parti ed al fine di favorire la conclusione dell’accordo, senza alcuna possibilità di sostituirsi ad esso (par. 4.1.3).

58 Questi, in particolare, avrebbe dovuto affiancare il Direttore regionale nel suo ruolo di iniziativa, nei rapporti con la stampa, nelle riunioni regionali organizzate in tale materia; avrebbe poi potuto partecipare all’informazione dei Direttori dipartimentali e degli Ispettori della Regione.

sulle prime applicazioni della legge. Inoltre, le amministrazioni statali sarebbero state affiancate dall’A.n.a.c.t. (Agence nationale pour l’amélioration des conditions de

travail)59, chiamata a svolgere un ruolo di supporto, attraverso la costituzione di banche dati, servizi di informazione, assistenza metodologica o tecnica.

Il carattere sperimentale della disciplina era, pertanto, strettamente connesso alla sua natura negoziale. Questi due aspetti apparivano inscindibili, nell’economia complessiva della disciplina legislativa, in quanto l’incertezza sulle modalità più idonee a garantire l’esercizio effettivo della libertà di espressione dei lavoratori era diretta conseguenza della molteplicità e dell’eterogeneità delle realtà alle quali la legge avrebbe dovuto applicarsi: il principio della sperimentazione è stato, per questo, combinato con quello di una normazione “concordata”, che appariva l’unico rimedio contro l’incapacità del Parlamento di rispondere efficacemente ai bisogni di regolamentazione variegata sul territorio.

Tale circostanza non era priva di conseguenze sugli stessi caratteri della sperimentazione, che solo apparentemente risultava condotta sull’intero territorio nazionale: la disciplina sperimentale, infatti, pur potendo essere applicata in qualsiasi impresa che soddisfacesse i requisiti prescritti dalla legge, si specificava in maniera diversa a seconda delle scelte concretamente operate dalle parti sociali nei varie realtà produttive. In altri termini, l’oggetto della sperimentazione variava in ciascun contesto imprenditoriale, che si trasformava, pertanto, in un “laboratorio” in sé unico e non riproduttibile: la parcellizzazione della disciplina applicata sul territorio diveniva, indirettamente, elemento imprescindibile della esperienza normativa.

Difficilmente, però, si potrebbe sostenere che tale diversificazione riguardasse solo i dettagli applicativi di un sistema valoriale già definito. La lettera della legge

59 L’ANACT è un istituto di diritto pubblico a carattere amministrativo, posto sotto il controllo del Ministero del Lavoro e creato dalla legge n. 73-1195 del 27 dicembre 1973; ha il compito di promuovere le azioni necessarie per migliorare le condizioni di lavoro, attraverso, in particolare, la raccolta e la diffusione delle informazioni disponibili in Francia e all’estero, la ricerca delle cause degli incidenti sul lavoro e dei possibili rimedi; di fungere da interlocutore delle istituzioni internazionali o straniere che si occupano dello stesso tema; di contribuire allo sviluppo ed alla promozione di ricerche ed esperienze in materia; di creare i necessari contatti con le imprese, le organizzazioni professionali, gli istituti di insegnamento ed ogni altro organismo operante in questo settore. Il consiglio di amministrazione è composto, in materia paritaria, da rappresentanti delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori più rappresentative sul piano nazionale e da rappresentanti del Governo; a titolo consultivo, partecipano anche un rappresentante di ciascuna commissione parlamentare e della commissione del Conseil économique et sociale in materia di questioni sociali. È finanziata dal ministero del lavoro.

avrebbe potuto consentire tale interpretazione, dato che, sebbene riferisse il resoconto governativo all’applicazione dell’intero titolo sesto (art. 9), circoscriveva la sperimentazione alle “modalità di esercizio del diritto dei lavoratori sancito nell’art. 461-1”, che sarebbero state oggetto della legge successivamente emanata: si sarebbe potuto, cioè, ritenere che la sperimentazione non includesse la disposizione che proclamava la libertà di espressione e mirasse piuttosto a testare soltanto le forme attuative di un principio già definito dal legislatore.

In realtà, all’accordo fra le parti sociali era rimessa la concreta soluzione del nucleo problematico della disciplina, cioè l’assetto dei rapporti fra gli attori sociali interessati60: senza la specificazione di queste dinamiche, la proclamazione del diritto

di espressione dei lavoratori rischiava di rivelarsi un contenitore vuoto, incapace di assicurare effettività al riconoscimento legislativo. Non era, infatti, possibile comprendere i termini del bilanciamento operato dal legislatore senza, ad esempio, una chiara definizione del ruolo delle gerarchie imprenditoriali e delle rappresentanze sindacali e dei rapporti fra questi intercorrenti.

Tali aspetti ricevevano la loro esatta configurazione soltanto nei documenti sottoscritti fra le parti: il ruolo dei superiori nelle assemblee dei lavoratori, ad esempio, costituì terreno di scontro fra gli imprenditori, che volevano affidare ai quadri la loro direzione, ed i sindacati, che vedevano in tale scelta un ostacolo ad un’effettiva libertà di espressione61; la volontà datoriale in genere prevalse e gran

60 Così anche N. CATALA, Les modalités d’expression des salariés dans l’entreprise, in Droit

social, 1983, n. 9-10, p. 558, che fa notare che “sul punto cruciale” costituito dai rispettivi ruoli delle organizzazioni sindacali e dei quadri, “la legge non fornisce alcuna indicazione”; in termini analoghi anche G. TOUTAIN, Nouveaux régime disciplinaire et réglementaire dans l’entreprise, in Droit social, 1983, n. 9-10, p. 567, secondo cui “uno degli interessi della procedura sperimentale proposta riguarderà precisamente la maniera nella quale si articoleranno le funzioni e le responsabilità degli uni e degli altri”; F. PIOTET, La loi: un texte sans importance ou la base d’une mutation profonde? in

Responsables, n. 143, gennaio 1983, p. 19, definisce la legge un cadre vide.

61 Vedi ancora N. CATALA, Les modalités d’expression des salariés, cit., p. 560, secondo il quale più dell’ottanta per cento degli accordi attribuivano ai quadri un ruolo fondamentale nella direzione delle assemblee; l’A. ricordava anche la conflittualità emersa in alcune regioni: in Nord-Pas de Calais, ad esempio, i sindacati si rifiutarono in molti casi di firmare i protocolli presentati dagli imprenditori, a seguito della decisione di questi ultimi di negare ai rappresentanti dei lavoratori l’accesso alle riunioni; in Midi-Pyrénées e Rhône-Alpes, i sindacati tentarono inutilmente di “canalizzare” le proposte dei dipendenti per mezzo di rappresentanti del personale o di delegati del gruppo. Sulle soluzioni prescelte, in merito a tale questione, dai diversi accordi che vennero stipulati v. anche AGENCE NATIONAL POUR L’AMELIORATION DES CONDITIONS DE TRAVAIL, L’expression des salariés, cit., pp. 3-4. La netta prevalenza del ruolo delle gerarchie imprenditoriali nella direzione delle riunioni dei lavoratori era confermata dal rapporto del Governo sull’applicazione della legge del 3 gennaio 1986 (che sostituì quella sperimentale: v. infra), presentato tre anni dopo la sua approvazione: v. MINISTERE DU TRAVAIL, DE L’EMPLOI ET DE LA FORMATION PROFESSIONNELLE, DIRECTION DES

parte degli accordi stipulati, non soltanto contemplavano la partecipazione dei superiori gerarchici a tali assemblee, ma spesso attribuivano loro l’animazione o comunque importanti ruoli di gestione.

La legge non affrontò neanche il rapporto fra queste nuove forme di espressione e gli strumenti già esistenti, soprattutto quelli di natura rappresentativa affidati ai sindacati, i quali si dimostrarono spesso ostili all’applicazione della riforma: il timore di veder ridotto il proprio ruolo all’interno delle imprese, a vantaggio di momenti di contatto diretto fra le istanze operaie e i referenti imprenditoriali, li indusse a preferire la conservazione degli equilibri già consolidati ed a negare quel contributo alla conclusione dei contratti o alla loro concreta applicazione che risultava decisivo per il successo della riforma. Ciò portò, di fatto, a privilegiare mezzi diversi rispetto a quelli predisposti dalla legge Auroux, provocando il progressivo ridimensionamento del movimento di negoziazione avviato nei mesi successivi alla