Domanda formativa del top e middle management aziendale
BEST PRACTICES ED ESPERIENZE PIÙ SIGNIFICATIVE DEGLI ULTIMI 3 ANNI
5. CONTESTO PER LO SVILUPPO PROFESSIONALE DEL MIDDLE MANAGEMENT SSN
5.2. CARATTERISTICHE SPECIFICHE DELL’ESPERIENZA ITALIANA In Italia i cambiamenti sviluppati lungo le due dimensioni sopra citate, soprattutto con
riferimento al nuovo management pubblico, erano stati in parte anticipati da un filone di analisi emerso all’interno dell’economia aziendale (Ongaro e Valotti, 2008). Questa maturazione è ben testimoniata, tra gli altri, dagli scritti del prof. Borgonovi, che fin dalla metà degli anni ottanta dedica sistematica attenzione alle amministrazioni pubbliche e al settore sanitario, applicando loro le categorie analitiche della teoria economico-aziendale italiana (Borgonovi, 1984; Borgonovi e Zangrandi, 1988; Borgonovi et al., 1988;
Borgonovi, 1990; Borgonovi et al., 1990; Borgonovi, 1991).
La maturazione anche teorica prodotta in Italia e all’estero sui temi di management per il sistema sanitario è poi incanalata nel processo legislativo di cosiddetta aziendalizza-zione del SSN, anticipato dai provvedimenti legislativi del 1990 che avevano posto le basi per una riforma complessiva delle pubbliche amministrazioni. L’applicazione di quelle riforme al sistema sanitario è poi avvenuta principalmente con il d.lgs. 502/1992 e le norme di settore degli anni successivi (Mattei, 2006). A queste norme di settore si era poi affiancata la riforma del pubblico impiego, introdotta con il d.lgs. 29/1993.
L’aziendalizzazione ha difatti reso esplicita la responsabilità gestionale delle singole aziende e ha aumentato i gradi di autonomia all’interno dei quali le stesse aziende erano chia-mate a sviluppare le risposte più adatte al contesto epidemiologico, istituzionale e sociale presente a livello locale.
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Formazione Manageriale in SanitàCome tutte le trasformazioni strutturali di sistemi organizzativi complessi e strettamente legati alla dimensione del consenso politico, il processo di aziendalizzazione ha vissuto fasi di accelerazione, di rallentamento, di riorientamento. Le Regioni a volte hanno assunto atteggiamenti dirigistici e di riaccentramento regionale (Cuccurullo e Meneguzzo, 2003), altre volte invece hanno lasciato maggiore autonomia all’azione aziendale. In molti casi si sono avute resistenze da parte del personale sanitario, che spesso ha vissuto l’aziendaliz-zazione come un attacco alla propria autonomia professionale e un tentativo di far preva-lere le logiche economiche di efficienza o di costo-efficacia rispetto a quelle tradizionali della cultura clinico-assistenziale, per lo più attente alla sola dimensione dell’efficacia e scarsamente interessate alle implicazioni economiche dei comportamenti professionali (De Pietro, 2005a). Infine, non poche resistenze si sono incontrate tra gli stessi ammini-strativi e gli stessi responsabili delle strutture amministrative aziendali. In quest’ultimo caso le preoccupazioni sono state spesso legate a un eccesso di discrezionalità che, a loro dire, sarebbe il portato dell’aziendalizzazione, insieme al rischio di politicizzazione, lì dove tale discrezionalità fosse utilizzata impropriamente a fini politico-elettorali.
All’interno di tale dibattito si possono ricondurre anche le diverse posizioni che nel corso del tempo vari attori del sistema sanitario - compresi rappresentanti del Governo nazionale e il Parlamento - hanno assunto con riguardo al presunto eccessivo potere dei direttori generali e dei loro staff, e all’opportunità di allargare la direzione aziendale, recuperando in particolare le sensibilità e gli orientamenti dei clinici, attraverso un poten-ziamento del collegio di direzione o attraverso altre soluzioni relative all’assetto istituzio-nale e organizzativo interno (es. per il conferimento degli incarichi dirigenziali apicali).
5.2.1. Logiche professionali, burocratiche e manageriali
Come già accennato, un ruolo particolare in questa evoluzione è stato giocato dalle logiche organizzative tradizionalmente forti nel SSN: la logica professionale e quella burocratica (De Pietro, 2005a). Queste due logiche hanno implicazioni particolarmente rilevanti per il tema delle competenze manageriali.
La logica professionale ha infatti numerose caratteristiche che impattano direttamente sulle competenze individuali e sul modo di riconoscerle (De Pietro, 2003). Innanzi tut-to, la logica professionale predilige per quanto possibile il rapporto diretto ed esclusivo col paziente. Un secondo elemento tipico è quello di perseguire una specializzazione spinta delle competenze tecnico-professionali e di prestare meno attenzione alle com-petenze relazionali o di tipo gestionale. Terzo, l’istituzione tipicamente deputata a certi-ficare inizialmente e poi a valutare nel tempo le competenze è l’università o comunque la “scuola professionale” in senso lato, più che l’azienda sanitaria presso la quale si presta il proprio lavoro. Quarto, l’obbligazione professionale nei confronti dell’utente è tipicamente “di mezzi” e non “di risultato”. Quinto, a meno che in casi specifici - ad esempio degli specializzati in igiene e medicina preventiva - i professionisti sanitari hanno come prima preoccupazione quella dell’efficacia clinico-assistenziale, delegando
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ad altre figure il problema del reperimento delle risorse economiche necessarie a offri-re i servizi e quindi, in generale, il problema dell’efficienza economica.
Dall’altra parte anche la logica burocratica influisce in modo rilevante sul funzionamen-to aziendale e sulle competenze individuali delle persone che a quella logica si sono sempre attenute, frequenti soprattutto nelle funzioni di line amministrativa. Nella logica burocratica classica infatti l’orientamento è alla conformità normativa più che all’effi-cienza o ai risultati, proprio perché il rispetto delle norme è condizione necessaria ma anche sufficiente per ottenere i risultati più razionali - ed efficienti - possibili (Bonazzi, 2007). Con riguardo alle competenze, queste sono spesso interpretate come le re-sponsabilità giuridiche legate alla posizione di lavoro. Se invece sono interpretate come conoscenze, capacità o esperienze, allora le competenze amministrative sono spesso intese come coincidenti con la conoscenza del diritto pubblico, che la logica burocrati-ca assume come il vero zoccolo duro per tutte le funzioni burocratiche in ambito pubblico. Infine, la ricerca dell’oggettività e dell’imparzialità dell’azione amministrativa fa sì che le sole competenze riconosciute siano quelle certificate, meglio se da un’istitu-zione in qualche modo regolata da poteri pubblici (università, ecc.).
Le due logiche, professionale e burocratica, hanno sviluppato attività e competenze di-stinte nel corso del tempo. Tale distanza ha certamente costituito un limite alla funziona-lità delle aziende SSN fino a un recente passato, poiché favoriva posizioni difensive da parte di ciascuna delle due anime - sanitaria e amministrativa - delle organizzazioni e rendeva difficile la collaborazione e la sintesi (Borgonovi, 1997). A seguito dell’aziendaliz-zazione, i professionisti sanitari a cui sono assegnati ruoli gestionali sono stati chiamati ad acquisire competenze di management, per come commenteremo in seguito. Purtroppo l’avvicinamento in senso opposto - cioè quello degli amministrativi che acquisiscono sen-sibilità e competenze di tipo sanitario - non risulta altrettanto sviluppato o efficace.
5.2.2. Tradizione italiana di capo sala e medici di direzione sanitaria
In questo quadro, assume particolare importanza la tradizione specifica di capo sala e medici di direzione sanitaria di presidio ospedaliero. Si tratta di ruoli ben codificati e radicati nella storia del SSN italiano, che hanno svolto una funzione chiave nella gestio-ne delle risorse sanitarie.
In particolare le scuole per capo sala rimangono un’esperienza importante di sviluppo di attività di coordinamento e direzione di risorse economiche in contesti sanitari e ospedalieri in particolare. Esse infatti accanto a competenze specifiche della professio-ne - determinazioprofessio-ne del fabbisogno di personale, programmazioprofessio-ne dei turni, pianifica-zione assistenziale, ecc. - hanno tradizionalmente investito per sviluppare competenze relazionali quali la comunicazione, la negoziazione e la risoluzione dei conflitti, ecc.
Dal canto loro, anche i medici di direzione sanitaria hanno da sempre integrato le loro responsabilità specifiche relative all’igiene, alla medicina legale, ecc. (le materie cioè ancora oggi per buona parte regolate dal D.P.R. 128/1969), con altre competenze di
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Formazione Manageriale in Sanitàcoordinamento, mediazione, integrazione tra i servizi, ecc. Sebbene tradizionalmente i programmi della scuola di specializzazione abbiano privilegiato gli aspetti epidemiologi-ci e di salute pubblica e comunque non prevedessero contenuti espliepidemiologi-citamente volti allo sviluppo di competenze relazionali, molti contenuti manageriali del loro ruolo sono evidenti in gran parte delle esperienze aziendali concrete.
In entrambi i casi, le trasformazioni del sistema sanitario italiano hanno però richiesto una riqualificazione di quella tradizione.
Sul lato delle attività di assistenza e della professione infermieristica, le spinte a tale ripen-samento sono state originate in particolare nella recente accelerazione del processo di professionalizzazione degli infermieri (l. 42/1999, l. 251/2000, ecc.), passati in modo com-piuto a un regime di formazione universitaria, e dal contemporaneo processo di qualifica-zione del personale di supporto (OSS, OSS con formaqualifica-zione complementare in assistenza sanitaria, ecc.). Ciò ha avuto conseguenze importanti nell’organizzazione aziendale inter-na, attraverso una maggiore visibilità e un ruolo potenzialmente più incisivo per le direzio-ni delle professiodirezio-ni sadirezio-nitarie e gli altri ruoli cui, nella struttura orgadirezio-nizzativa, sono state affidate responsabilità di programmazione, valutazione e a volte anche di gestione delle attività assistenziali (es. referente infermieristico di dipartimento, ecc.).
Per quel che riguarda i medici di direzione sanitaria, le maggiori trasformazioni sono da individuare in due fenomeni precisi:
• staffizzazione. Lo sviluppo da parte di altre professioni di competenze tradizional-mente presidiate dalla direzione sanitaria di presidio ospedaliero: si tratta ad esem-pio dei sistemi di qualità nelle sue diverse possibili accezioni (accreditamento istitu-zionale, certificazione, accreditamento volontario di tipo gestionale o professionale, clinical risk management, ecc.), dei sistemi di programmazione e controllo delle pre-stazioni erogate, di programmazione degli acquisti delle apparecchiature, ecc. Si trat-ta di ambiti nei quali col tempo economisti aziendali, ingegneri clinici, giuristi esperti di questioni assicurative, ecc. hanno sviluppato competenze specializzate erodendo aree che un tempo, sebbene fossero meno rilevanti e specializzate, erano presidiate dalle direzioni sanitarie. In questa evoluzione sono spesso state portate a livello di direzione aziendale, attraverso lo sviluppo di funzioni o uffici di staff;
• dipartimentalizzazione. Il ruolo crescente - almeno negli auspici del legislatore - dei dipartimenti che, nella loro accezione gestionale, si vedono delegare la gestione degli spazi fisici, l’organizzazione del lavoro, il miglioramento dei percorsi assisten-ziali, ecc., anche in questo caso erodendo attività tradizionalmente presidiate dalle direzioni sanitarie.
Di fronte a tali trasformazioni, il ruolo della direzione medica di presidio ospedaliero cambia e si differenzia rispetto agli assetti organizzativi aziendali. Più di prima, esso dipenderà infatti dalle dimensioni dell’azienda e degli ospedali direttamente gestiti, nonché dalle scelte relative all’individuazione dei dipartimenti (interpresidio o intrapresidio, con l’obiettivo principale di gestire in modo unitario le risorse oppure di governare
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l’appropriatezza clinico-assistenziale, ecc.). In questo quadro, il direttore medico di pre-sidio ospedaliero resta il titolare del progetto organizzativo dell’ospedale, cioè l’unico che mantiene una visione integrata sulle sue diverse attività. I medici di direzione medi-ca di presidio ospedaliero, dal medi-canto loro, mantengono certamente le competenze attri-buitegli ex lege (D.P.R. 128/1969 ecc.) e possono assumere almeno tre ruoli diversi, non necessariamente alternativi:
• gestori di progetti organizzativi complessi, capaci di organizzare e motivare il cam-biamento;
• gestori di piattaforme specializzate il cui uso sta a cavallo di più dipartimenti oppure richiede competenze specialistiche lontane da quelle tipiche dei dipartimenti che le usano. Si tratta degli spazi ambulatoriali, di spazi dedicati ad attività di day-hospital e day-surgery, di aree di degenza multi specialistica ma che si caratterizzano per soluzio-ni tecsoluzio-niche e logistiche particolari oppure per le necessità assistenziali dei pazienti;
• staff di supporto ai dipartimenti e di collegamento tra questi, la direzione aziendale e le altre articolazioni organizzative.
5.2.3. Management sanitario come disciplina
Lo sviluppo delle competenze manageriali, funzionale al processo di aziendalizzazione, è stato sostenuto da un parallelo aumento delle conoscenze e dell’elaborazione teorica sul management sanitario. Ciò è stato particolarmente vero nel nostro paese, dove lo sviluppo di conoscenze specialistiche e della letteratura scientifica in questo campo si è mantenuta fortemente agganciata a progetti di ricerca applicata o di supporto allo sviluppo gestionale delle aziende sanitarie. Il management sanitario ha quindi assunto una relativa autonomia e riconoscibilità all’interno delle facoltà di economia e si è esplicitato meglio anche nelle scuole di igiene o nell’ambito della formazione infermie-ristica. Negli ultimi anni ciò è stato reso ancor più evidente col grande numero di master, corsi di perfezionamento universitario e dottorati di ricerca in management sanitario. Tale sviluppo si è accompagnato poi all’istituzione di riviste specializzate. È così che ad esempio nel 1992 nasce la rivista “Mecosan”, trimestrale di management ed economia sanitaria, nel 1994 il trimestrale “Organizzazione sanitaria”, nel 1995 il trime-strale “Management infermieristico”, ecc.
L’emergere del management sanitario come sotto-disciplina anche in ambito universi-tario ha favorito, in Italia e all’estero, lo sviluppo di conoscenze nuove e l’elaborazione e la proposta di schemi di analisi, di paradigmi interpretativi ma anche di strumenti operativi per la gestione delle aziende sanitarie.
In alcuni casi si è trattato dell’applicazione di conoscenze sviluppate per altri tipi di settori e di aziende. Ciò spesso ha dato luogo a proposte difficilmente applicabili nei contesti organizzativi concreti delle aziende sanitarie, col risultato finale di mostrare scarsa efficacia nell’implementazione e quindi di favorire una reazione “anti-manageria-le” in numerosi attori del sistema.
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Formazione Manageriale in SanitàIn molti altri casi invece, le proposte del management sanitario hanno tenuto conto fin dall’inizio delle caratteristiche specifiche di questo settore, della sua cultura e dei suoi valori, e hanno finito per offrire schemi interpretativi originali e utili anche per l’analisi di altri settori economici. È questo certamente il caso delle analisi relative agli assetti istitu-zionali, in cui cioè assumono particolare rilevanza le relazioni tra organi di direzione interna e istituzioni politiche di controllo. Ma è anche il caso degli indicatori di performan-ce, tema particolarmente importante ma difficile da trattare per aziende che erogano servizi sanitari ma che hanno responsabilità istituzionali dirette non tanto sugli output quanto sugli out come e cioè sugli esiti complessivi della loro azione sullo stato di salute della popolazione servita. Oppure è il caso della rendicontazione sociale, della gestione dei professionisti, ecc. A tale proposito anzi è verosimile che in molti aspetti il manage-ment sanitario anticipi in qualche misura le sfide e le condizioni gestionali che stanno prendendo piede anche in altri settori. È quanto sostenuto da tempo da più osservatori, con riferimento alla società dell’informazione e della conoscenza e alle forme organizza-tive che essa assumerà. In questo senso, ad esempio, già venti anni fa P. Drucker, leader riconosciuto della letteratura manageriale da più decenni, sosteneva che «the typical large business 20 years hence will (…) bear little resemblance to the typical manufactu-ring company, circa 1950, which our textbooks still consider the norm. Instead it is far more likely to resemble organizations that neither the practicing manager nor the mana-gement scholar pays much attention to today: the hospital, the university, the symphony orchestra. For like them, the typical business will be knowledge-based, an organization composed largely of specialists who direct and discipline their own performance through organized feedback from colleagues, customers, and headquarters. For this reason, it will be what I call an information-based organization» (Drucker, 1988).