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Le carestie nel Mediterraneo romano.

2. Elementi di economia antica e romana.

2.3. Le carestie nel Mediterraneo romano.

L’ingresso dello Stato Romano ha inevitabilmente favorito il mantenimento delle grandi proprietà, appartenenti soprattutto agli ordini senatoriale ed equestre, con la ricchezza concentrata in poche mani: questi hanno approfittato dei lauti guadagni derivanti dal commercio (soprattutto con la

vendita di vino e olio), protetto e facilitato dallo stesso Stato, mediante il quale riuscirono ad ingrandire e a potenziare le loro già vaste proprietà.

Questi passaggi furono di impatto forte e immediato soprattutto per quei Paesi che subirono processi di urbanizzazione notevoli che, in ogni caso, variavano da provincia a provincia: genericamente, i paesi occidentali subiranno cambiamenti consistenti, in relazione proprio alla presenza di queste ricche élites, che derivavano i loro guadagni dall’agricoltura.

Ad esempio, in relazione anche alla tematica che si svilupperà in seguito, siamo informati da Greg Woolf che in Gallia si svilupparono, soprattutto nei primi due secoli della nostra era, villae di stile italico, di solito della dimensione di 100-200 iugera di terreno (pari circa a 40 ettari).

L’Africa e la Spagna (quest’ultima soprattutto a partire dalla dinastia flavia) subiranno importanti trasformazioni, con terreni lavorati allo scopo di ottenere consistenti produzioni di olio, il quale diventerà parte delle derrate offerte alla popolazione dal servizio annonario1.

Tuttavia, il governo centrale doveva parallelamente rispondere alla richiesta di cereale, per soddisfare e sfamare la popolazione dell’Urbe e gli eserciti impegnati su diversi fronti di guerra. Secondo Kehoe, questo sistema di controllo e di estensione dei terreni in suoli particolarmente fertili si inquadra proprio nella logica dello Stato Romano di possedere territori da sfruttare per l’approvvigionamento della capitale e, quindi, nella volontà di fornire una garanzia a quelle politiche attuate a scopo sociale e politico insieme, senza la necessità di ricorrere al mercato aperto2. Tuttavia, la siccità frequente nel Mediterraneo, così come la carenza di derrate alimentari, anche se non grave ma sicuramente localizzata, ha portato di frequente lo Stato Romano a ricorrere al mercato privato, i cui costi, però, erano spesso esosi.

In questo senso, probabilmente, deve essere letta la strategia politica – e sociale – di affittare le tenute imperiali a piccoli proprietari (small-scale tenants), quale soluzione per ottenere ricavi stabili, a fronte dell’incertezza dei metodi di sfruttamento e di mercati imperfetti: tuttavia è un metodo che mostra i suoi risultati solo a lungo termine.

Per la documentazione ritrovata, si è potuto notare come questa tipologia di organizzazione delle proprietà imperiali fosse presente in diversi territori dell’Africa, le cui iscrizioni ci restituiscono il ricordo di leggi create proprio in questa direzione; si pensi alla lex Manciana e alla lex Hadriana3.

1

Cfr., sulla Gallia, G. WOOLF, Becoming Roman: the Origins of Provincial Civilization in Gaul, Cambridge 1998, pp. 148-168; D. P. KEHOE, Law and rural economy, 2007, cit., p. 46.

2 “ […] the government could assure itself of direct access to important foodstuffs and avoid having to compete for

them on the open market” [D. P. KEHOE, Law and rural economy, 2007, cit., p. 54].

3

Il documento della lex Manciana si può riscontrare in CIL, VIII, 25902 (dal sito chiamato Henchir-Mettich); la lex Hadriana, invece, è contenuta in CIL, VIII, 25943 (dal sito chiamato Ain-el-Djemala). Lasciando qui da parte il problema della cronologia di tali legge, la prima si presenta come una forma di mezzadria agevolata per invogliare la manodopera servile, il cui regolamento era ripartito nel seguente modo: 1) offerta di terreni in enfiteusi a contadini liberi, ai quali viene concesso anche il diritto di trasmetterla in eredità, col vincolo di coltivarla sempre; 2) agevolazioni per I primi anni di dissodamento dei terreni e beneficenze di diversi anni, a seconda che venissero impiantati uliveti o

Come si è accennato, Willem Jongman e Rudolf Dekker spiegano i fenomeni economici insiti all’interno del processo di produzione, distribuzione, rischi ed interventi da parte degli organi competenti, attraverso un’analisi comparativa con altre realtà storiche, dimostrando come questo metodo si riveli di valido aiuto anche per comprendere che i meccanismi di difesa (coping

mechanisms) non sono indipendenti dalla stessa organizzazione sociale1.

Gli studiosi dividono in due gruppi le cause che determinano la penuria di cibo: da una parte, le cause naturali, quali siccità, abbondanti piogge inaspettate, malattie e animali che possono arrecare danni notevoli alle piante. Nonostante poi, come è facilmente intuibile, queste calamità non possano essere predette con certezza, gli economisti si soffermano sulla possibilità numerica, chiamando tale fattore “rischio”, per distinguerlo dall’incertezza2

.

Le altre cause sono di tipo culturale: W. Jongman e R. Dekker portano l’esempio della guerra, la quale causa la distruzione dei raccolti o la rimozione dei contadini che prima coltivavano quei campi. Per i primi osservatori moderni di economia, questo caso non era poi così rilevante, poiché non scorgevano differenze tra le locuste e gli stessi soldati. Tuttavia, è stato evidenziato come la carestia possa semplicemente derivare come effetto della guerra, anche in paesi non belligeranti. Senza entrare nel dettaglio di ogni singola carestia che attanagliò il mondo romano, ricordiamone tuttavia, le principali, tenendo presente che quelle che colpirono le province, in età imperiale, saranno viste con più precisione nelle successive pagine del presente lavoro.

Di alcune ci vengono forniti anche i metodi di risoluzione e le aree sfruttate dallo Stato per tamponare le situazioni di emergenza che, di volta in volta, si presentavano.

Una delle prime e più gravi carestie che la storiografia ricorda, si colloca nel 491 a.C., provocata dalla secessione dei plebei3.

vigneti; 3) divisione partiaria dei raccolti, genericamente due parti al contadino e una al padrone, in base al calcolo della produzione annua. La lex Hadriana si presenta come un’estensione della prima. Cfr., D. P. KEHOE, Law and rural economy, 2007, cit., pp. 53-60.

1

Cfr., W. JONGMAN – R. DEKKER, Public intervention in the food supply in pre-industrial Europe, in (ed. P. HALSTEAD-J. O’SHEA, Bad year economics. Cultural responses to risk and uncertainty, Cambridge 1989, pp. 114- 122. I due autori, in questo articolo, propongono un’analisi comparativa degli interventi attuati dalle autorità politiche per cercare di risolvere il problema degli approvvigionamenti, di grano in particolare, tra l’epoca dell’Europa pre- industriale e il mondo antico (l’età imperiale di Roma, nello specifico). Le fluttuazioni della domanda, nel libero mercato, avrebbero inevitabilmente portato ad un aumento vertiginoso delle fluttuazioni del prezzo degli alimenti principali: dal momento che la popolazione urbana non sarebbe stata capace di porre un freno a tali oscillazioni, avrebbe ovviamente richiesto un intervento da parte delle autorità competenti.

2

Cfr., W. JONGMAN – R. DEKKER, Public intervention in the food supply, 1989, cit., p. 115. Gli autori rimandano anche allo studio di F. H. KNIGHT, Risk, Uncertainty and Profit, Boston/New York 1921.

3 Cfr., Liv., II, 34, 1-5: Consules deinde T. Geganius P. Minucius facti. eo anno cum et foris quieta omnia a bello

essent et domi sanata discordia, aliud multo grauius malum ciuitatem inuasit, caritas primum annonae ex incultis per secessionem plebis agris, fames deinde, qualis clausis solet. uentumque ad interitum seruitiorum utique et plebis esset, ni consules prouidissent dimissis passim ad frumentum coemendum, non in Etruriam modo dextris ab Ostia litoribus laeuoque per Uolscos mari usque ad Cumas, sed quaesitum in Sicilia quoque; adeo finitimorum odia longinquis coegerant indigere auxiliis. frumentum Cumis cum coemptum esset, naues pro bonis Tarquiniorum ab Aristodemo tyranno, qui heres erat, retentae sunt; in Uolscis Pomptinoque ne emi quidem potuit; periculu quoque ab impetu hominum ipsis frumentatoribus fuit; ex Tuscis frumentum Tiberi uenit; eo sustentata est plebs. “Furono

Dionigi di Alicarnasso rammenta la carestia del 471 a.C. e ancora Livio un’altra nel 455 a.C.1

Un altro episodio ancora più interessante risale al 440 a.C. e si ricorda non solo perché in quell’anno ci fu una terribile carestia, causata dal cattivo raccolto e dalla vita di città che fece abbandonare le coltivazioni, ma soprattutto per lo scontro nato tra il prefetto dell’annona Lucio Minucio e il ricco esponente del ceto equestre Spurio Melio2.

postremo perpulere plebem, haud aduersante senatu, ut L. Minucius praefectus annonae crearetur, felicior in eo magistratu ad custodiam libertatis futurus quam ad curationem ministerii sui, quamquam postremo annonae quoque leuatae haud immeritam et gratiam et gloriam tulit. qui cum multis circa finitimos populos legationibus terra marique nequiquam missis, nisi quod ex Etruria haud ita multum frumenti aduectum est, nullum momentum annonae fecisset, et reuolutus ad dispensationem inopiae, profiteri cogendo frumentum et uendere quod usui menstruo superesset, fraudandoque parte diurni cibi seruitia, criminando inde et obiciendo irae populi frumentarios, acerba inquisitione aperiret magis quam leuaret inopiam, multi ex plebe, spe amissa, potius quam ut cruciarentur trahendo animam, capitibus obuolutis se in Tiberim praecipitauerunt. tum Sp. Maelius ex equestri ordine, ut illis temporibus praediues, rem utilem pessimo exemplo, peiore consilio est adgressus. frumento namque ex Etruria priuata pecunia per hospitum clientiumque ministeria coempto, quae, credo, ipsa res ad leuandam publica cura annonam impedimento fuerat, largitiones frumenti facere instituit; plebemque hoc munere delenitam, quacumque incederet, conspectus elatusque supra modum hominis priuati, secum trahere, haud dubium consulatum fauore ac spe despondentem. ipse, ut est humanus animus insatiabilis eo quod fortuna spondet, ad altiora et non concessa tendere et, quoniam consulatus quoque eripiendus inuitis patribus esset, de regno agitare: id unum dignum tanto apparatu consiliorum et certamine quod ingens exsudandum esset praemium fore.

[Livio, IV, 12, 8-11; 13, 1-5]3.

successivamente nominati consoli Tito Geganio e Publio Minucio. In quell’anno, mentre all’esterno non vi era alcuna minaccia di guerra e all’interno era stata composta la discordia, un’altra calamità ancor più grave si abbattè sulla città: dapprima la carestia, essendo i campi rimasti incolti durante la secessione della plebe, e poi la fame, quale sogliono provare le città assediate. Si sarebbe giunti all’estinzione totale degli schiavi e della plebe, se i consoli non avessero provveduto mandando in varie parti emissari a comprare grano, non solo in Etruria, per il litorale a destra di Ostia, e a sinistra lungo il territorio dei Volsci fino a Cuma, ma perfino in Sicilia; a tal punto l’ostilità dei popoli vicini aveva costretto a ricorrere all’aiuto dei più lontani. A Cuma, quando già il frumento era stato acquistato, le navi da carico furono trattenute dal tiranno Aristodemo, per risarcimento dei beni dei Tarquini cui era l’erede; fra i Volsci e nella pianura Pontina non fu neppure possibile effettuare acquisti, anzi gli uomini incaricati della compra, aggrediti dalla popolazione, corsero serio pericolo. Dall’Etruria giunse del grano per via del Tevere, e con questo si potè sfamare la plebe”. [(a cura di) L. PERELLI, Livio, Storie, Torino 1979].

1

Cfr., Dion. D’Alic., IX, 25; Liv., II, 23, 2.

2

Plinio scrive anche che: Manius Marcius aediles plebis primum frmentum populo in modios assibus datavit. L. Minucius Augurinus, qui Spurium Maelium coarguerat, farris pretium in trinis nundinis ad assem redegit undecimus plebei tribunus, qua de causa statua ei extra portam Trigeminam a populo stipe conlata statuta est. [Plinio, N. H., XVIII, 4, 15]. “L’edile della plebe Manio Marcio per primo distribuì frumento al popolo al prezzo di un asse al moggio. Lucio Minucio Augurino, che aveva smascherato Spurio Melio, in tre mercati riportò il prezzo del farro ad un asse per moggio, quando era undecimo tribuno della plebe: per questa ragione gli fu decretata una statua fuori della porta Trigemina, pagata con una colletta popolare. [(a cura di) F.E. CONSOLINO, Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, libro XVIII – I cereali. Calendario dei lavori agricoli, Torino 1984].

3 “Alla fine indussero la plebe, senza incontrare opposizione da parte del Senato, a chiedere che si eleggesse prefetto

dell’annona Lucio Minucio, il quale in quella magistratura doveva riuscire più fortunato nella tutela della libertà che nell’esercizio delle sue funzioni, quantunque alla fine si sia guadagnata una gratitudine non immeritata, e la gloria, anche per aver alleviato la carestia. Questi, nonostante avesse inviato molte ambascerie per terra e per mare ai popoli confinanti, non aveva ottenuto alcuna apprezzabile diminuzione della carestia, chè soltanto dall’Etruria era stata portata una modesta quantità di frumento; e poiché quando s’era visto costretto a ripartire equamente quel poco che c’era, obbligando a denunciare le scorte e a vendere il frumento che sopravanzasse al bisogno d’un mese, diminuendo agli schiavi la razione giornaliera, gettando poi la colpa sui mercanti di grano ed esponendoli così all’ira del popolo, egli andava rivelando con le sue rigorose indagini la penuria invece d’alleviarla, molti della plebe, perduta ogni speranza, piuttosto che trascinar la vita tra gli stenti, velatosi il capo, si gettarono nel Tevere. Allora Spurio Melio, che apparteneva all’ordine equestre ed era assai ricco per quei tempi, prese un’iniziativa utile, dando però un pessimo

Anche per ciò che concerne questo evento, la storiografia moderna è piuttosto incline a considerare questo racconto, e la tradizione ad esso legata, un falso, per vari motivi. Il De Sanctis sostiene, tra le altre cose, che: “il suo prenome di Spurio è dovuto alla efficacia della tradizione più antica e più fondata su Sp. Cassio, conforme alla quale fu anche motivato l’atterramento della casa con l’aver ambito la tirannide […] il nome Melio non ricorre nei fasti […] Quanto poi a Minucio, la sua prefettura dell’annona è molto sospetta, come tutto ciò per cui viene adottata l’autorità dei libri lintei, tanto più che quella magistratura compare per la prima volta nel 101 a.C. E però anche la leggenda di Minucio è senza cronologia”1.

Quindi si ritiene che anche questo episodio altro non sia che una proiezione di eventi futuri, motivata anche dal fatto, sempre secondo il De Sanctis, che: “la relazione tra le leggende di Melio e di Minucio s’è voluta spiegare con la vicinanza tra l’Equimelio2 e il portico Minucio frumentario che serviva per le distribuzioni di grano alla plebe […], che in realtà venne eretto dopo il 110 da M. Minucio vincitore dei Traci, e le distribuzioni di grano onde ebbe il nome di portico frumentario non vi cominciarono che al tempo dell’imperatore Claudio; mentre di Minucio in relazione con Melio già parlavano annalisti anteriori al 110”3.

Altre due carestie vanno ricordate, quella del 433 a.C.4 e quella del 411 a.C.5, per porre rimedio alle quali vennero inviati messi per comperare frumento in Etruria, nell’agro Pontino e a Cuma, senza dimenticare che venne presa in considerazione anche la Sicilia, della quale Livio ci dice che

benigne ab Siculorum tyrannis adiuti6. Questo uno degli argomenti più scottanti, tale da far ritenere infondata la notizia, poiché in quella data non potevano esservi tiranni in Sicilia7.

Secondo il Gagé, il riferimento al frumentum Siculum deve essere messo in relazione con il

esempio e perseguendo uno scopo ancora peggiore. Infatti, valendosi dell’opera dei suoi ospiti e dei suoi clienti, comprò a sue spese in Etruria una gran quantità di grano – proprio questa incetta, io credo, aveva impedito che si alleviasse la carestia con un pubblico provvedimento – e prese a distribuirlo largamente; e così, messosi in vista e montato in superbia più di quanto convenisse a un privato, dovunque andava si tirava dietro la plebe, che, adescata con questi donativi, gli assicurava il consolato promettendogli il suo appoggio. Ma egli, insaziabile com’è l’animo umano, cui non basta ciò che la fortuna gli promette, ambiva mete più alte e irraggiungibili, e, poiché anche il consolato bisognava strapparlo contro la volontà dei senatori, pensava al regno: questo sarebbe stato l’unico premio degno di sì grandi preparativi, dei suoi calcoli e della faticosa lotta che aveva dovuto sostenere. [(a cura di) M. SCANDOLA, Livio, Storia di Roma, libri III-IV, Milano 1996].

1 Per l’intero suo commento si veda DE SANCTIS, 1960, pp. 14-16. 2

L’Equimelio sarebbe nato sul suolo in cui era edificata la casa di Melio (cfr. Livio IV, 16). Il Moreschini, in nota al testo di Livio, ci dice che: “L’Aequimelium (da aequare, «spianare al suolo») ai piedi del Campidoglio, era un mercato in cui si distribuiva il grano alla plebe”. [MORESCHINI, 2008, p. 352.

3 DE SANCTIS, 1960, pp.15-16. 4 Liv., IV, 25. 5 Liv., IV, 52. 6 Liv., IV, 52, 6. 7

Il Moreschini, in nota al testo di Livio, scrive: “veramente, nel 411 non c’erano tiranni in Sicilia, ma da lì a poco (409 a.C.) Dionigi il Vecchio avrebbe conquistato la tirannide a Siracusa, e la storia successiva della Sicilia fu tale che era normale, per un romano, caratterizzare la Sicilia come la regione retta dai tiranni”. [MORESCHINI, 2008, p. 363].

triumviro T. Cloedius Siculus della tribù latina di Ardea1.

In più anche Dionigi di Alicarnasso2, per l’antico Tevere, cita un quartiere come Sikelikovn.

A conferma di ciò, lo stesso Gagé sottolinea che Clodio fu scelto come tribuno perché il suo nome, piuttosto il soprannome, Siculo, si presentava di derivazione probabilmente volsca.

Dopo la carestia del 299 a.C., si cominciò a porre il problema degli aiuti da destinare alle persone più indigenti della popolazione, da cui derivarono, ma solo nel 123 a.C., le prime distribuzioni di grano, a prezzo politico, varate da Caio Gracco, al quale, parte della storiografia moderna tende ad attribuire l’episodio legato alla figura di Spurio Cassio, il quale è considerato il fautore della prima legge agraria3.

Questa tradizione altro non sarebbe che la rappresentazione di aspetti legati, piuttosto, all’età graccana e sillana4.

Circa i Gracchi, infatti, Appiano riporta che:

ὧδε δὲ αὐτοῖς ἔχουσιν ἀσπάσιος ἐκ τῶν τὴν γῆν διαιρούντων ἐς δημαρχίαν ἐπιφαίνεται Γάιος Γράκχος, ὁ Γράκχου τοῦ νομοθέτου νεώτερος ἀδελφός, ἐς πολὺ μὲν ἡσυχάσας ἐπὶ τῇ τοῦ ἀδελφοῦ συμφορᾷ· πολλῶν δ’αὐτοῦ καταφρονούντων ἐν τῷ βουλευτηρίῳ, παρήγγειλεν ἐς δημαρχίαν.

[Appiano, B. C., I, 3, 21]5.

In più, “[…] la notizia stessa d’una legge agraria proposta da Sp. Cassio ha un valore storico assai dubbio, perché, tra l’altro, non è chiaro come potesse in questa età conservarsi memoria di proposte non approvate”6

.

Sentiremo ancora parlare di carestie con Clodio, e poi con Augusto, Nerone e diversi altri imperatori. Se i privilegi concessi agli abitanti di Roma attraverso le frumentationes scongiurarono il pericolo di scoppi epidemici, la carestia continuò, tuttavia, a minacciare e assillare le altre province dell’Impero, in particolare l’Africa settentrionale e l’Egitto durante l’età imperiale.

1 J. GAGÉ, Les chevaliers romains et les grains de Cérès au Ve siécle avant J.-C. À propos de l’épisode de Spurius

Maelius, in Annales, Économies, Sociétés, Civilisations, n. 2, 1970, pp. 287-311. Qui, in particolare, cfr., p. 308.

2 Dion. d’Alicarnasso, I, 16. 3 Cfr., Liv., II, 41; 42, 1-2.

4 Anche il Moreschini, in nota al testo di Livio, scrive: “La figura di Spurio Cassio, così come è presentata da Livio, non

è storica. La rielaborazione più tarda ha fatto di lui il modello dei rivoluzionari che, nel corso del II e I sec., proposero delle leggi agrarie; d’altra parte, osserva l’Olgivie, tale storia poteva avere un significato moraleggiante, dimostrando, subito dopo l’episodio di Coriolano, che il popolo Romano, per quanto accanite fossero le sue lotte intestine, si sarebbe sempre trovato unito a difendere la propria libertà”. E inoltre prosegue dicendo che: “Anche il concetto di legge agraria difficilmente poteva adattarsi ai tempi che sono narrati in questo libro di Livio: è solo con gli ampi acquisti di ager publicus, a partire dal IV secolo, che poteva sorgere il bisogno di una legge agraria. Questi episodi riflettono le condizioni del secolo dei Gracchi”.

5 “Mentre essi erano in questo stato d’animo Caio Gracco, che era stato lui stesso consenziente con loro quali triumviri,

propose se stesso per il tribunato. Egli era il più giovane fratello di Tiberio Gracco, il promotore della legge, ed era stato molto tranquillo per diverso tempo dopo la morte del fratello, ma dal momento che diversi senatori lo consideravano in maniera sprezzante, si propose come candidato per il tribunato. (traduzione di chi scrive).