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Gli approvvigionamenti granari con l’imperatore Claudio.

3. Il grano nell’alimentazione, nella società e nella politica 1 Cereali: tipologie, clima e terreni.

3.4. Politiche annonarie in età imperiale (da Augusto a Costantino).

3.4.6. Gli approvvigionamenti granari con l’imperatore Claudio.

L’imperatore Claudio, diversamente dai suoi predecessori, si occupò più da vicino non solo dei problemi riguardanti le frumentationes ma ebbe a cuore, in generale, il sistema degli approvvigionamenti e del personale addetto a tale servizio.

444

“Sesto Turranio era un vecchio di una diligenza assoluta, il quale dopo i novant’anni, avendo ricevuto da G. Cesare per iniziativa di questo l’esonero dalla carica di procuratore, si fece comporre sul letto funebre e piangere come morto dalla famiglia tutt’intorno a lui. La casa era in lutto per il ritiro del vecchio padrone dalla vita pubblica, e non pose fine alla tristezza prima che a lui fosse restituita la sua attività” [(a cura di) P. RAMONDETTI, Seneca, Dialoghi, Torino 1999].

445 Per una trattazione esauriente sull’argomento, cfr., E. ALBERTINI, De la composition dans les dialogues

philosophiques de Sénèque, Paris, 1923; PAVIS D’ESCURAC, La préfecture de l’annone, cit., 1976, p. 318, nota 11.

446

Cfr., PAVIS D’ESCURAC, La préfecture de l’annone, cit., 1976, pp. 317-319.

447 Plinio, N. H., III, 3.

Messo al potere dai soldati, perché ritenuto debole e poco adatto a governare, dimostrò invece la sua abilità, soprattutto nella gestione e nell’amministrazione delle province.

Il suo primo congiarium, di 75 denarii, infatti, è ricordato proprio per il trionfo celebrato dopo l’annessione della Britannia.

Gli storici antichi ci sono testimoni della sua cura per la sicurezza della città e la sua munificenza nei confronti del popolo; in particolare, Svetonio ricorda anche la sua azione durante un incendio del rione Emiliano:

Urbis annonaeque curam sollecitissime semper egit. Cum Aemiliana pertinacius arderent, in diribitorio duabus noctibus mansit ac deficiente militum ac familiarum turba auxilio plebem per magistratus ex omnibus vicis convocavit ac positis ante se cum pecunia fiscis ad subveniendum hortatus est, repraesentans pro opera dignam cuique mercedem.

[Svet., Claud., XVIII, 1]449.

Un altro congiarium sarebbe stato elargito nel 51. Svetonio rimane nel vago; qualcosa di più, invece, apprendiamo da Tacito, il quale mette in relazione questo donativo al tirocinium di Nerone, adottato da Claudio e al conferimento, quindi, al giovane della toga pretesta.

Infatti, dopo aver brevemente descritto questo evento, Tacito aggiunge:

additum nomine eius donativum militi, congiarium plebei.

[Tac., Ann., XII, 41, 1]450.

A proposito di questo congiarium, il Cronogr. del 354 rileva: cong. dedit (denarios) LXXV, cifra che sarebbe esatta se si escludesse proprio questo secondo donativo, concesso a nome di Nerone. Tuttavia, lo stesso Cronogr., a proposito di Nerone, attribuisce la cifra totale di 100 denari soltanto. In questo stesso anno, è testimoniato lo scoppio di una grave crisi, a cui l’imperatore, insultato e preso a tozzi di pane rancido dalla folla affamata, cercò di rimediare.

449

“pose sempre grande cura all’approvvigionamento e alla sicurezza della città: quando s’incendiò il rione Emiliano, passò due notti nel diribitorio e poiché le forze dei soldati e degli schiavi non bastavano, tramite i magistrati fece chiamare in soccorso la plebe di tutti gli altri rione e, poste delle ceste piene di monete davanti a sé, l’invitò a prestare aiuto, dando a ciascuno, in cambio dell’opera prestata, una degna ricompensa” [(a cura di) F. CASORATI-L. DE SALVO, Svetonio, Vite dei Cesari, Roma 2010].

450 “A suo nome furono poi distribuiti donativi ai soldati e largizioni di vettovaglie al popolo” [(a cura di) B. CEVA,

La descrizione dell’episodio lasciata da Svetonio mette in collegamento l’imperatore con quanto, in passato, era accaduto ad Ottaviano, preso a pietrate dalla stessa folla in preda alla disperazione. Non ci viene detto il modo con cui l’imperatore affrontò la situazione; tuttavia è indicativo come, da allora, almeno secondo Svetonio, egli non lasciò mai più niente di intentato nella cura degli approvvigionamenti per la città e il popolo di Roma.

Artiore autem annona ob assiduas sterilitates detentus quondam medio foro a turba conviciisque et simul fragminibus panis ita infestatus, ut aegre nec nisi postico evadere in Palatium valuerit, nihil non excogitavit ad invehendos etiam tempore hiberno commeatus.

[Svet., Claud., XVIII, 2]451.

Interessante, nella descrizione dello stesso episodio452 proposta da Tacito, la considerazione finale, riguardo cioè a quanto l’Italia, da sola, non fosse più in grado di provvedere al proprio fabbisogno e di come avesse sempre bisogno degli apporti provenienti dalle province.

Chiude, infatti, il paragrafo 43 del XII libro degli Annali scrivendo:

At hercule olim Italia legionibus longinquas in provincias commeatus portabat, nec nunc infecunditate laboratur, sed Africam potius et Aegyptum exercemus, navibusque et casibus vita populi Romani permissa est.

[Tac., Ann., XII, 43, 2]453. Il suo Principato, fin dagli inizi, fu segnato dalle gravi carestie e dalla pesante eredità lasciata da Caligola, sotto il cui dominio si erano verificate pesanti crisi. Nel 42, ad esempio, Cassio Dione454 ricorda una carestia, gravosa non tanto per la situazione attuale, quanto piuttosto per le conseguenze future.

451 “Quando scarseggiarono i viveri per una serie di cattivi raccolti, una volta, fu trattenuto dalla folla che inveiva contro

di lui lanciandogli insulti e tozzi di pane, sì che a stento riuscì a riparare nel Palazzo, attraverso un passaggio posteriore. Allora non lasciò nulla di intentato per importare nella città viveri anche nella stagione invernale”. [(a cura di) F. CASORATI, Svetonio, Vite dei Cesari, Roma 2010].

452 Per lo stesso episodio, cfr. inoltre: Sen., De brev. vitae, 18; Dio., LX, 11, 1-2.

453 “Eppure un tempo l’Italia alle legioni forniva viveri nelle più lontane province; neppure oggi la terra nostra è sterile,

ma noi andiamo piuttosto a coltivare l’Africa e l’Egitto, in modo che la vita del popolo romano è alla mercè delle condizioni del mare e delle navi” [(a cura di) B. CEVA, Tacito, Annali, Milano 2009].

454 λιμοῦ τε ἰσχυροῦ γενομένου, οὐ μόνον τῆς ἐν τῷ τότε παρόντι ἀφθονίας τῶν τροφῶν ἀλλὰ καὶ τῆς ἐς πάντα τὸν μετὰ

ταῦτα αἰῶνα πρόνοιαν ἐποιήσατο. ἐπεσάκτου γὰρ παντὸς ὡς εἰπεῖν τοῦ σίτου τοῖς Ῥωμαίοις ὄντος, ἡ χώρα ἡ πρὸς ταῖς τοῦ Τιβέριδος ἐκβολαῖς, οὔτε κατάρσεις ἀσφαλεῖς οὔτε λιμένας ἐπιτηδείους ἔχουσα, ἀνωφελές σφισι τὸ κράτος τῆς θαλάσσης ἐποίει· [Dio., LX, 11, 1-2]. “Quando si abbattè una grave carestia si diede pensiero di provvedere non solo all’attuale mancanza di approvvigionamenti, ma di risolvere il problema definitivamente. Quasi tutto il grano per i Romani era un prodotto di importazione, e il territorio alle foci del Tevere, a causa del fatto che non aveva punti d’approdo sicuri né dei porti adatti, non consentiva loro di sfruttare la potenzialità del mare’. [(a cura di) M. SORDI – A. STROPPA – A. GALIMBERTI, Cassio Dione, Storia romana (libri LVII-LXIII), Milano 1999].

In seguito a ciò, dato che il grano importato non riusciva spesso a raggiungere il Tevere, Claudio pensò di intraprendere la costruzione del porto di Ostia, i cui lavori si protrarranno anche sotto Nerone, seguendo un progetto che era già stato di Giulio Cesare e non portato a termine per la difficoltà di esecuzione.

Poco lontano da Ostia, infatti, fu costruito un grande porto artificiale, capace di far approdare le navi onerarie, incrementare il commercio e rifornire adeguatamente la città di Roma e le aree limitrofe. La descrizione dell’opera ci viene fornita da Svetonio:

Portum Ostiae extruxit circumducto dextra sinistraque brachio et introitum profundo iam solo mole obiecta; quam quo stabilius fundaret, navem ante demersit, qua magnus obeliscus ex Aegypto fuerat advectus, congestisque pilis superposuit altissimam turrem in exemplum Alexandrini Phari, ut ad nocturnos ignes cursum navigia dirigerent.

[Svet., Claud., 20, 3]455.

Nelle stesse fonti antiche apprendiamo che la realizzazione del porto fu più volte sconsigliata a Claudio per via degli alti costi, ma nonostante ciò l’opera venne iniziata ugualmente:

τοῦτ’ οὖν συνιδὼν λιμένα τε κατασκευάσαι ἐπεχείρησεν, οὐδ’ ἀπετράπη καίπερ τῶν ἀρχιτεκτόνων εἰπόντων αὐτῷ, πυθομένῳ πόσον τὸ ἀνάλωμα ἔσοιτο, “ὅτι οὐ θέλεις αὐτὸν ποιῆσαι”· οὕτως ὑπὸ τοῦ πλήθους τοῦ δαπανήματος ἀναχαιτισθῆναι αὐτόν, εἰ προπύθοιτο αὐτό, ἤλπισαν· ἀλλὰ καὶ ἐνεθυμήθη πρᾶγμα καὶ τοῦ φρονήματος καὶ τοῦ μεγέθους τοῦ τῆς Ῥώμης ἄξιον καὶ ἐπετέλεσε.

[Dio., LX, 11, 3]456.

La costruzione del porto può essere annoverata tra le opere intraprese da Claudio per una ripresa dell’economia e dell’agricoltura in Italia; alla stessa stregua, i lavori di miglioramento degli acquedotti della città457.

455 “Fece costruire il porto di Ostia circondato da un braccio a destra e da uno a sinistra e fece ergere un molo

all’ingresso, in acque profonde, anzi, per poter gettare fondamenta più solide, vi fece affondare una nave che aveva trasportato dall’Egitto l’Obelisco Grande e, fissati su quella dei pali, vi fece costruire sopra un’altissima torre, ispirandosi al Faro di Alessandria, che guidasse la rotta delle navi con le sue luci notturne” [(a cura di) F. CASORATI- L. DE SALVO, Svetonio, Vite dei Cesari, Roma 2010].

456 “Essendo dunque al corrente di questa situazione, Claudio si accinse a costruire un porto, e non cambiò idea neppure

quando, nel momento in cui egli chiese un preventivo della spesa, gli architetti gli risposero: ‘Tu non devi costruirlo!’. Così essi sperarono che se avesse saputo in anticipo l’enormità della spesa, ne sarebbe stato dissuaso; tuttavia, volle comunque prendere in considerazione un’opera all’altezza della gloria e della grandezza di Roma e la portò a compimento. [(a cura di) M. SORDI – A. STROPPA – A. GALIMBERTI, Cassio Dione, Storia romana (libri LVII- LXIII), Milano 1999].

457

Mi riferisco ai lavori sull’acquedotto Aqua Virgo, fatto edificare da Agrippa e quelli sui due acquedotti Anio Novus e su quello che in seguito prenderà il nome di Aqua Claudia. Le fonti antiche da consultare su tale argomento sono: Plin., N. H., 31, 42; 36, 121-123; Front., De aq., 10, 1; 13, 4; 14, 4; Svet., Calig., 21, 1.

Sempre nel porto di Ostia furono eretti nuovi horrea e realizzata una vasta spianata, a noi nota come Piazzale delle Corporazioni.

Lo stesso Svetonio, a proposito di Ostia, ci informa che nel 44 Claudio soppresse il quaestor

Ostiensis, ma non viene precisato se questo fosse stato o meno rimpiazzato.

Collegio quaestorum pro stratura viarum gladiatorum munus iniunxit detractaque Ostiensi et Gallica provincia curam aerari Saturni redditit, quam medio tempore pretore aut, uti nunc, praetura functi sustinuerant.

[Svet., Claud., XXIV]458.

Attraverso l’analisi di un’epigrafe proposta dalla Pavis d’Escurac, si è riusciti ad avere delle informazioni aggiuntive a questa lacuna. Il testo dell’epigrafe recita: Claudi/ Optati/ Aug∙ L/ Proc∙

Portus/Ostiensis459.

L’epigrafe, ritrovata nella stessa Ostia, indicherebbe che un affrancato imperiale, un certo Claudius

Optatus, occupò la carica di proc. portus Ostie(n)sis.

La studiosa nota, inoltre, come l’iscrizione non possa essere datata oltre Nerone, e come non possa sicuramente essere attribuita al tempo di Traiano, per la mancata distinzione tra Ostia e Portus

Traiani, indicativa del fatto che quest’ultimo non esisteva ancora460.

Come sostiene la studiosa francese, questo personaggio si sarà occupato probabilmente della direzione delle operazioni di sbarco e di stoccaggio del grano, la cui importanza era sicuramente accresciuta proprio grazie alle possibilità che il nuovo porto offriva461.

Un punto da tenere fermo è che questa carica era sicuramente subordinata al prefetto dell’annona, che continuava a ricoprire mansioni di comando.

Ricapitolando, questa procuratela si presenta come un’invenzione dello stesso Claudio, e si inserisce perfettamente nella sua visione di gestione amministrativa di Roma, nella quale cominceranno a subentrare, anche in ruoli decisionali e dirigenziali, gli stessi affrancati imperiali.

458 “Al collegio dei questori, al posto della pavimentazione delle strade, affidò l’allestimento degli spettacoli gladiatorî

e, dopo aver sottratto loro la provincia di Ostia e quella Gallica, gli restituì la cura dell’erario del tempio di Saturno, che precedentemente era stata affidata ai pretori in carica o, come adesso, agli ex pretori” [(a cura di) F. CASORATI-L. DE SALVO, Svetonio, Vite dei Cesari, Roma 2010].

459 CIL, XIV, 163. 460

Cfr., PAVIS D’ESCURAC, La préfecture de l’annone, cit., 1976, p. 106.

461 Cfr., PAVIS D’ESCURAC, 1976, p. 106. Si ricordi, inoltre, che i lavori su questo porto continuarono anche con

Il procuratore del porto di Ostia Claudius Optatus è identificato dal Meiggs462 con l’affrancato

Optatus, prefetto della flotta, di cui parla Plinio il Vecchio463.

Inde advectos Tiberio Claudio principe Optatus e libertis eius praefectus classis inter Ostiensem et Campaniae oram sparsos disseminavit.

[Plinio, N. H., IX, 29, 62]464.

Tuttavia, un’epigrafe, nello specifico un diploma militare del 52, smentirebbe tale proposta, evidenziando che il prefetto della flotta di Miseno si chiamava in realtà Ti. Iulius Aug. lib. Optatus. Durante il periodo di Claudio assistiamo alla centralizzazione delle due casse nelle mani del solo imperatore, anche se abbiamo avuto modo di vedere come fosse un processo già avviato da diversi anni. Nello specifico, sotto i suoi anni di regno, si verificherà il consolidamento del fiscus che controllerà, e in seguito ridimensionerà, il peso dell’aerarium.

In questo senso, si inserisce anche la nomina del personale chiamato a gestire il servizio dell’annona, attraverso il potenziamento del ceto equestre e l’apertura dei ruoli ‘dirigenziali’ ai liberti, esautorando, di fatto, il Senato.

Ritroviamo personaggi già visti con Tiberio, come Caio Turranio, prefetto dell’annona.

Tum potissimos amicorum vocat, primumque rei frumentariae praefectum Turranium, post Lusium Getam praetorianis impositum percunctatur.

[Tac., Ann., XI, 31, 1]465.

L’addossamento delle spese frumentarie al fisco sarebbe testimoniato da una filiale di questa cassa che aveva sede ad Ostia. Attraverso un’epigrafe ostiense, infatti, sappiamo che alla direzione

462 Cfr., MEIGGS, Roman Ostia, 1960, p. 56, n. 2. 463

Sempre la Pavis d’Escurac nota, tuttavia, che un diploma militare del 52 (CIL, III, 844) smentisce tale ipotesi, evidenziando che il prefetto della flotta di Miseno si chiamava, in realtà, Ti. Julius Aug. lib. Optatus e che lo stesso si ritrova in un’epigrafe del tempo di Tiberio. Cfr., a tale riguardo, CIL, X, 6318. Tuttavia, come prefetto della flotta, è anche ricordato in Macrobio, III, 16, 10: […] nam Optatus praefectus classis sciens scarum adeo Italicis litoribus ignotum ut nec nomen Latinum eius piscis habeamus.

464 “Di là, sotto il principato di Tiberio Claudio, Optato, uno dei suoi liberti, prefetto della flotta, li trasportò e li

disseminò spargendoli fra la spiaggia di Ostia e il litorale della Campania” [(a cura di) A.BORGHINI- E.GIANNARELLI-A.MARCONE-G.RANUCCI, Plinio il Vecchio, Naturalis Historia (libri VII-XI), Torino 1983].

465 “Allora Caludio mandò a chiamare i più autorevoli fra i suoi amici e fra i primi interrogò Turranio, prefetto

di questa era preposto un praepositus mensae nummulariae fisci frumentarii Ostiensis che, a sua volta, dipendeva dal procurator annonae Ostiensis.

Anche Claudio si interessò a mantenere buoni i rapporti con i mercanti e i commercianti, offrendo inoltre premi agli armatori privati, in cambio di trasporti vantaggiosi, poiché spesso i negotiatores erano anche possessori di navi.

Potremmo quindi concludere, seguendo le indicazione della Pavis d’Escurac, che per ciò che concerne il grano libero venduto dai commercianti, i prefetti dell’annona non intervenissero nelle manovre d’acquisto del bene di prima necessità. Parte attiva era, invece, da loro rivestita, per il cosiddetto frumenta fiscalia, per il frumentum mancipale e per quello imperatum, di cui era lo Stato, e quindi i suoi addetti, a far fronte a tutte le operazioni relative all’acquisto, allo stoccaggio e al trasporto sulle stesse navi466.

Nam et negotiatoribus certa lucra proposuit suscepto in se damno, si cui quid per tempestates accidisset, et naves mercaturae causa fabricantibus magna commoda constituit pro condicione cuiusque.

[Svet., Claud., XVIII]467.

A proposito, poi, delle aree geografiche che rifornivano di grano Roma durante il suo Impero, è bene fissare alcuni punti che ritorneranno utili per il seguito della ricerca.

Ha sempre creato interesse lo studio del sistema che i Romani mettevano in pratica nelle province e, in genere, la stessa vita municipale di questi territori.

Da alcuni dati estrapolati dalle fonti antiche si evince l’esistenza di granai in Egitto468

, e nello specifico ad Alessandria, i quali pare fossero situati nei quartieri di Neapolis e in quello detto ad

Mercurium.

L’amministrazione romana creerà due procuratele per la direzione di questi granai e la loro gestione iniziale, almeno di quello ad Mercurium, era esercitata insieme ad un’altra carica: proprio con Claudio, un suo protetto – Ti. Claudius Balbillus – fu nello stesso tempo direttore dei culti e dell’istruzione pubblica, occupandosi anche dei granai [ad Herm] en Alexandreon.

466 Cfr., PAVIS D’ESCURAC, La préfecture de l’annone, cit., 1976, p. 206. 467

Per la traduzione di questo passo, cfr., p. 26 del presente testo.

468 Tac., Ann., II, 59, in relazione al viaggio di Germanico in Egitto; Plin., Paneg., 31, relativo agli aiuti portati sempre

Secondo alcune ricostruzioni, questo stesso personaggio deve essere identificato con il prefetto d’Egitto per gli anni dal 55 al 59469

.

Per ciò che riguarda poi la testimonianza su altre terre quali produttrici di beni utili ai Romani, importante è un mosaico della strada dei Vigili a Ostia, da datarsi appunto verosimilmente all’età di Claudio, nel quale è raffigurata l’immagine della Sicilia, accanto a quella dell’Egitto, dell’Africa e della Spagna.

E se sappiamo quasi con certezza che la Spagna riforniva di olio la città, sicuramente le altre tre terre devono essere ricordate per la produzione cerealicola; e sebbene non fosse più florida come un tempo, ancora sotto Claudio, in qualche modo, la Sicilia doveva rifornire di grano Roma470.

Un altro elemento utile allo studio qui proposto è una nuova lettura e analisi di un’epigrafe trovata a Lione, meglio conosciuta come Tabula Claudiana, che corrisponde grossomodo ai paragrafi 23-25 dell’XI libro degli Annales di Tacito.

In un momento imprecisato del 48 d.C., Claudio tenne un discorso di fronte ai Senatori, cercando di far comprendere la necessità di inserire i primores della Gallia Comata – ossia, i cittadini romani appartenenti a comunità federate – che richiedevano, appunto, lo ius honorum.

Il testo è stato solitamente studiato per il tema della consanguineità nella politica estera di Roma, con riferimento al problema dell’etnicità italica.

Con argomentate considerazioni, ad esempio, A. Giardina discute questo testo attraverso il concetto di “identità incompiuta” che consente, nello stesso momento, di considerare i processi di unificazione di Roma, senza tuttavia dimenticare le spinte di tendenza decisamente opposte.

Arguta l’osservazione dello studioso, secondo cui la volontà dell’imperatore di rifiutare il tema della consanguinitas, mettendo in evidenza quasi esclusivamente il carattere politico della categoria romana d’integrazione, non lasciava evidentemente spazio al concetto di identità italica.

Ancor di più, nota sempre Giardina, la relazione tra osmosi etnica e osmosi sociale con Claudio si fa sempre più forte e ciò si può evincere dall’apertura del consolato ai figli dei liberti e, come

469

Cfr., PAVIS D’ESCURAC, La préfecture de l’annone, cit., 1976, pp. 134-135, nota 295. Per una trattazione più approfondita sul personaggio, cfr., J. SCHWARTZ, Ti. Claudius Balbillus, préfet dìEgypte et conseiller de Néron, Bulletin de l’Institut français d’Archéologie orientale, XLIX, 1950, p. 45-55; H. G. PFLAUM, Les Carrières procuratoriennes, p. 34, n°15.

470 Si tenga presente che ancora su una base del III secolo conservata nella Galleria dei Candelabri al Museo Vaticano,

abbiamo già avuto modo di vedere, dall’ampio spazio ritagliato dallo stesso Claudio agli affrancati imperiali anche in cariche elevate dello Stato471.

Sempre in linea con il suo pensiero politico, anche questa concessione potrebbe rientrare in quel programma di esautorazione del Senato, anche se, di fatto, come nota sempre il Giardina472, i primi senatori provenienti dalla Comata risalgono alla seconda metà del I secolo d.C.

Vorrei però soffermarmi su un punto preciso del discorso, che così recita:

iam moribus artibus adfinitatibus nostris mixti aurum et opes suas inferant potius quam separati habeant. [Tac., Ann., XI, 24, 13]473.

In queste poche parole, Claudio marca la ricchezza di questi Galli e il fatto che sia conveniente

che questi portino i loro beni a Roma, piuttosto che tenerli solo per sé.

Tenere in considerazione così da vicino la Gallia, potrebbe anche essere dovuto ad interessi economici e non solo prettamente politici?

Già Cesare, la cui opera sarà il punto di partenza fondamentale per l’ipotesi di ricerca che si è proposti di dimostrare, ci testimonia come la Gallia sia stata un territorio ricco di grano che serviva anche, ma non esclusivamente, al sostentamento dei soldati lì di stanza.

La ricchezza citata credo possa essere rappresentata non solo dal possesso di miniere importanti da cui estrarre metalli, ma anche dal grano, considerando, tra le altre cose, i periodi di magra e carestia dei bacini principali di approvvigionamento di Roma, proprio in quegli anni.

Oltre a ciò, è opportuno precisare che recenti studi hanno evidenziato, infatti, attraverso l’analisi di alcuni passi di autori antichi, per il 46 e il 47 uno scarso raccolto in Egitto, dovuto ad una forte inondazione, probabilmente verificatasi nel 45, che comportò un innalzamento dei cubiti di acqua del Nilo, giungendo sino a 18.

Plinio il Vecchio, infatti, ricorda che si avevano scarsi risultati nella produzione del grano se l’inondazione non raggiungeva i 13 cubiti a Menfi, sottolineando che l’optimum era 16; tuttavia se

471

Cfr., A. GIARDINA, L’identità incompiuta dell’Italia romana, in L’Italie d’Auguste à Dioclétien. Actes du colloque international de Rome (25-28 mars 1992) Rome, École française de Rome 1994, pp. 6-7. Si tenga, inoltre, presente il seguente estratto delle parole tacitiane: plebei magistratus post patrizio, Latini post plebeios, ceterarum Italiae gentium