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3. Il grano nell’alimentazione, nella società e nella politica 1 Cereali: tipologie, clima e terreni.

3.2. Usi e consum

1 “E d’altra parte non c’è regione in cui si faccia il frumento, che non richieda per la coltivazione l’aiuto degli animali

altrettanto necessariamente che l’opera dell’uomo” [(a cura di), R. CALZECCHI ONESTI, Columella, L’arte dell’agricoltura, Torino 1977].

2S. ALLING GREGG, Foragers and Farmers, 1988, cit., pp. 66-67. 3 Cfr., pp. 76-78 del presente lavoro.

4Columella, I, 6, 10. “vi siano strette finestrelle da cui penetrino i venti del nord, perché questa direzione del cielo è la

più fredda e la meno umida e per tutte e due le ragioni garantisce la conservazione del grano. [(a cura di), R. CALZECCHI ONESTI, Columella, L’arte dell’agricoltura, Torino 1977].

5La tipologia più frequente per la conservazione del grano era quella coperta a volte e con il pavimento nella terra

stessa: si smuoveva la terra, imbevendola di morchia fresca non salata, per poi comprimerla e indurirla, mediante colpi di mazzapicchio. Cfr., Columella, I, 6, 13.

6Cfr., Columella, XII, 2, 2. 7

La richiesta romana in cereali, a partire dalla sua Repubblica, e soprattutto con le leggi frumentarie varate da Caio Gracco, fino alla sua storia imperiale, è stata sempre esosa e volta a soddisfare il fabbisogno alimentare di una popolazione in continua crescita (elemento, questo, che verrà ribadito a più riprese).

La reale stima del consumo di grano è uno degli argomenti più dibattuti tra gli studiosi di storia sociale ed economica romana, e di difficile interpretazione.

La domanda in cereali sul mercato da parte di Roma può essere calcolata in base al consumo medio per individuo, moltiplicato per la popolazione totale della città1, nonostante non si riesca a

determinare con esattezza la cifra reale e le parallele necessità della plebe urbana.

L’Oliva, ad esempio, ci propone una stima dei consumi di cereali in base alle classi sociali, realizzando, mediante le informazioni ricavate da scrittori latini, quali Catone e Seneca, una tabella riportante i consumi individuali annui. Egli, pertanto, afferma che un cittadino frumentato consumava 60 modii2 di grano all’anno, così come uno schiavo a catena; uno schiavo ad opera 51 modii; un villico o una villica 36; ed infine un legionario 48 modii3.

In più, oltre a ribadire il consumo di questo cereale da parte degli uomini adulti e delle donne, importante è notare che, secondo l’Oliva, “i ragazzi italiani, specie di campagna, al di sopra dei cinque anni, sono dei formidabili consumatori di pane: essi consumano più degli adulti oltre i 40 anni e molto più dei vecchi di ambo i sessi”4, tanto da ritienere che il loro consumo si aggirasse

intorno ai 36 modii annui, pari a 237 kg.

Per ciò che attiene gli schiavi5, Catone scrive che:

Quelli che sono ad opera, abbiano nell’inverno 4 moggi di grano e nell’estate 4 moggia e mezzo. Il fattore, la sua compagna, il sorvegliante, il capo mandriano abbiano 3 moggia ciascuno. Agli schiavi a catena siano date 4

1 Cfr., C. VIRLOUVET, Les lois frumentaires d'époque républicaine, in Le ravitaillement en blé de Rome et des centres

urbaines des débuts de la République jusq'au Haut Empire, Actes du colloque international de Naples (1991), Napoli- Roma 1994, pp. 11-30. Qui, nello specifico, cfr., p. 12.

2 Il modio è un'antica unità di misura romana per aridi, equivalente a 8,733 litri. 3 OLIVA, 1931, p. 48.

4 OLIVA, 1931, p. 50.

5 A partire dall’analisi di tale fonte, C. Virlouvet ritiene che la razione mensile distribuita gratuitamente ai beneficiari di

grano pubblico, individuata da Federico De Romanis, in cinque modii, non possa servire come base per calcolare il consumo individuale. La studiosa sostiene, infatti, che se è possibile supporre che i Romani mangiassero, mediamente, di più degli schiavi citati da Catone (dato ancora da dimostrare), si può allo stesso modo pensare che la loro alimentazione fosse più variata, con una minor preponderanza di cereali. Cfr., C. VIRLOUVET, L’approvvigionamento di Roma imperiale: una sfida quotidiana, in (a cura di) E. LO CASCIO, Roma imperiale. Una metropoli antica, 2000, p. 129, nota 9; F. DE ROMANIS, Septem annorum canon. Sul canon populi Romani lasciato da Settimio Severo, in Rendiconti dell’Accademia dei Lincei, s. 9, 7 (1996), pp. 133-159. Un'altra informazione sul consumo dei cereali da parte degli schiavi, ma in area greca, ci proviene da Tucidide, il quale ci offre testimonianza delle razioni che venivano passate agli Ateniesi dell’esercito di Nicia e Demostene, fatti prigionieri nel 413 a.C. Cfr., Tuc., VII, 87, 2.

libbre di pane al giorno nell’inverno, 5 quando cominciano a zappare la vigna, fino a che cominciano a cibarsi di fichi, poi si torni a 4 libbre.

[Cat., De agr., LVI].

Aggiunge ancora Seneca:

Servus est, quinque modios accipit et quinque denarius.

[Sen., Ad epist., IX, 80, 7]1.

“Non bisogna dimenticare che qualunque fosse il grado di fertilità del terreno, dalle buone terre a successione continua di coltura (restibilis), alle più aride nelle quali si usava il maggese, la superficie coltivata a grano era sempre inferiore alla metà della superficie del podere. I Romani non ringranavano, onde la superficie a grano poteva essere il 30-40% di quella del podere: un podere di circa 50 iugeri poteva dunque produrre 30-40 q.li di cereali”2.

Uno degli argomenti cardine, in tal senso, è sicuramente rappresentato, come si faceva riferimento innanzi, dalla stima di un numero almeno approssimativo della popolazione di Roma, la quale si aggirò presumibilmente intorno al milione di abitanti, se non addirittura di più, nel periodo dell’apogeo della sua storia imperiale.

A fronte di ciò, il sistema alimentare, così come quello idrico, e la distribuzione delle risorse richiedevano un’organizzazione efficiente e capillare.

Roma è stata definita, in una certa misura, una città parassitaria, nel senso che riceveva la maggior parte dei prodotti alimentari e non alimentari dall’esterno, non pagandoli grazie al già ricordato sistema di tassazione e grazie inoltre ad un’importante produzione di manufatti da esportazione, quali i laterizi che erano, tuttavia, ricongiunti con le sue stesse esigenze di approvvigionamento, dal momento che “i mattoni costituivano infatti forse il più importante dei carichi di ritorno per le navi che a Roma trasportavano le derrate provenienti dalle province transmarine”3.

Nonostante resti dubbia la reale stima della popolazione della Città, proprio l’esistenza delle frumentazioni si presenta una delle basi documentarie per il calcolo della stessa, dal momento che esistono dati quantitativi abbastanza certi. Dall’età cesariana, poi, venne effettuata una registrazione periodica degli aventi diritto a tali distribuzioni, a cui spettava una razione mensile pari circa a

1 “è uno schiavo, riceve cinque moggi di farina e cinque denari ogni mese” [(a cura di), U. BOELLA, Seneca, Lettere a

Lucilio, Torino 1983].

2OLIVA, 1931, p. 47.

cinque modii di frumento, solo se regolarmente residenti a Roma.

Nelle righe seguenti saranno riesaminati i principali contributi in merito al calcolo della popolazione di Roma.

Karl Julius Beloch, nel suo monumentale lavoro del 1886 sulla popolazione greco-romana, individua tre strade possibili per stimare tale numero.

La prima di queste era basata sulla ricerca di un numero minimo, sotto cui la popolazione romana non può essere scesa; tale cifra si ricava dal numero dei beneficiari delle distribuzione granarie e delle loro famiglie, a cui andavano esclusi peregrini, schiavi e cittadini romani residenti a Roma solo temporaneamente.

Il secondo metodo tiene conto dell’estensione della città, provando a offrire una cifra massima che, nonostante l’elevatissimo affollamento, non sarà stata di certo superata.

Il terzo metodo, meno affidabile, si basa sulle poche informazioni ricavate dalle fonti letterarie circa i consumi in grano della città, da cui, per estensione, si ricaverebbe anche il numero di abitanti. Negli anni cinquanta del secolo scorso, si è aggiunto un ulteriore metodo, utilizzato da S. Mazzarino e A. Chastagnol, che calcolava la popolazione del IV e V secolo, in base alla quantità di carne di maiale che giungeva a Roma, come contribuzione, da alcune regioni dell’Italia meridionale e distribuita gratuitamente ad una gran fetta di abitanti.

Come sostiene E. Lo Cascio, l’uso incrociato di tutti questi dati numerici consente almeno l’accettabilità di un ordine di grandezza, aiutandoci ad escludere le cifre esageratamente grandi e quelle tendenti al basso, secondo cui non si superarono mai i 300.000-400.000 abitanti1.

Ammettendo, con la Virlouvet, che la Roma dell’età di Augusto si aggirasse intorno al milione di abitanti, e considerando che in genere si ritengono sufficienti tre modii di frumento (21 kg) per persona al mese, il fabbisogno annuo in cereali era pari circa a 250.000 tonnellate. Questa cifra può variare in 200 mila se si considera una popolazione di 800.000 abitanti, in 300 mila se la popolazione era pari, invece, a 1.200.000 abitanti. Inoltre, secondo la stessa studiosa, la cifra massima ammissibile di cereali poteva aggirarsi sui 4 modii (28 kg) al mese, facendo oscillare così la quantità totale annua tra le 260.000 e le 430.000 tonnellate.

Bisogna tuttavia ricordare che l’approvvigionamento annonario non consisteva solo in cereali, ma anche in olio, vino, legumi, dei quali resta allo stesso modo difficile stabilire il reale fabbisogno

1 Cfr., K. J. BELOCH (trad. it.), La popolazione del mondo greco-romano, in Biblioteca di storia economica, diretta da

V. Pareto, IV, Milano 1909; S. MAZZARINO, Aspetti sociali del quarto secolo, Roma 1951, pp. 220 sgg, e relative note; E. LO CASCIO, La popolazione, in (a cura di) E. LO CASCIO, Roma imperiale, cit., 2000, pp. 23-27 e relative note.

dell’Urbe, nonostante alcuni studiosi abbiano proposto interessanti stime in tal senso1.

Al consumo della popolazione urbana, va indubbiamente considerato anche quello dei soldati, nonostante qui sia d’obbligo una precisazione.

Bisogna, infatti, distinguere tra i rifornimenti messi loro a disposizione dall’organizzazione militare e quelli che i soldati si procuravano, mediante mercanti, o nelle taverne situate nelle canabae o nei

vici.

Secondo tre autorevoli fonti, i soldati subivano una trattenuta dai loro stipendi, in compensazione del grano, delle uniformi e, talvolta, delle armi che gli erano forniti dallo Stato2.

Tuttavia, altre fonti testimonierebbero che, almeno a partire dal I secolo, il grano venisse donato ai soldati senza trattenute e accompagnato, secondo Polibio e la Historia Augusta, da obsonium o

pulmentarium, ossia ciò che si mangia con il pane: carne, lardo, formaggio3. La questione è al

vaglio, in quanto si cerca ancora di comprendere dove e come questi altri beni fossero comprati4.

Anche stabilire una cifra, seppur approssimativa, dei soldati impiegati nei diversi fronti di guerra appare impossibile. Solo per citare un esempio, Tiberio, avendo rinunciato alla conquista della Germania, decide di rinforzare il limes con l’invio di otto legioni, pari quindi ad 80.000 soldati, i quali davano luogo, intorno alle canabae e ai vici, a delle vere e proprie famiglie, anche se non ufficiali, acquistavano merci in questi stessi contesti5.

A fronte di ciò, ci si interroga non solo sul numero effettivo di tutti i soldati impiegati dallo Stato romano, ma anche sul ruolo giocato dal commercio privato e dai negotiatores.

In conclusione, dobbiamo qui aggiungere le recenti osservazioni di André Tchernia sulla quantificazione dei beni di sussistenza dei Romani, privilegiando, per ovvie ragioni, il problema del grano. Lo studioso, prendendo come base di calcolo uno dei tre metodi individuati dal Beloch, propone due approcci diversi per arrivare ad una cifra orientativa dei consumi cerealicoli dell’Urbe. La prima analisi è effettuata tramite il confronto di quattro fonti antiche, le quali fanno allusione

1 Cfr., C. VIRLOUVET, L’approvvigionamento di Roma imperiale, in (a cura di) E. LO CASCIO, Roma imperiale, cit.,

2000, pp. 103-108; A. TCHERNIA, Subsistances à Rome: problèmes de quantification, in (a cura di) C. Nicolet, R. Ilbert, J.-Ch. Depaule, Les mégapoles méditerranéennes. Geographie urbaine rétrospective, Paris 2000, pp. 751-760.

2 Cfr., Pol., VI, 39, 12-14; Tac., Ann., I, 17; PGenLat 1 e 4; A. TCHERNIA, Les Romains et le commerce, Naples 2011,

p. 136.

3 Cfr., Pol., II, 15; Hist. Aug., Hadr., 10, 2.

4 Su questo argomento e sulle diverse tesi proposte nel corso degli ultimi decenni, cfr. A. TCHERNIA, Les Romains,

cit., 2011, pp. 136-144.

5

Cfr., A. TCHERNIA, Les Romains, cit., 2011, pp. 151-155. Sulla questione dei soldati in Germania e del tessuto sociale creatosi, cfr., K. S. VERBOVEN, Good for business. The Roman army and the emergence of a ‘business class’ in the northwestern provinces of the Roman Empire (1st century B.C.E.-3rd century C.E.), in (a cura di) L. DE BLOIS, E. LO CASCIO, The impact of the Roman army (200 B.C- A.D. 476): economic, social, political, religious and cultural aspects: proceedings of the sixth workshop of the international network impact of Empire (Capri, march 29-april 2, 2005), Leyde&Boston, Brill 2007, pp. 295-314.

alla consumazione globale in grano di Roma. Le fonti in questione sono le seguenti:

a)Flavio Giuseppe, Bell. Iud., II, 386, attraverso cui apprendiamo che l’Egitto riforniva Roma di grano per quattro mesi, ossia di 1/3 del proprio fabbisogno;

b) Epit. de Caesaribus, I, 6, in cui si dice che l’Egitto forniva a Roma 20 milioni di modii di grano l’anno;

c) Hist. Aug., Sev., 23, 2, in cui si parla del canon frumentarius di sette anni, ossia del lascito di 75.000 modii di grano l’anno dell’imperatore Severo. Passo controverso che ha dato luogo a molteplici interpretazioni1;

d) Scolio a Lucano, Phars., I, 318, in cui si parla di una consumazione di grano, pari a 80.000 modii al giorno, alla fine della Repubblica.

Prendendo in considerazione le prime due, alle quali A. Tchernia unisce un ulteriore frammento di Flavio Giuseppe, in cui si accenna al fatto che l’Africa riforniva di grano Roma per otto mesi, e rovesciando la tesi di Beloch che rigetta entrambe le fonti che farebbero propendere per una popolazione di circa due milioni di abitanti, sulla stregua di Federico De Romanis, egli ritiene che si debbano intendere otto mesi di grano gratuito distribuito alla popolazione e non otto mesi di approvvigionamento totale2.

Più controversa appare, invece, l’analisi degli altri due passi. Partendo sempre dal Beloch, il quale riteneva veritiero il passaggio della Historia Augusta e ammettendo quindi che il canon indicasse la consumazione totale di Roma, la cifra, quindi, di 75.000 modii al giorno, per un totale di 27.375.000

modii annui, è vicina anche a quella offerta dallo scolio a Lucano.

L’interpretazione più vicina alla realtà sembra essere quella proposta da Federico De Romanis, il quale, sulla scia di B. Sirks, analizza ogni singola parte della frase, presentando un sistema di calcolo differente, in cui ita ut indica l’equivalenza; la seconda frase indica, invece, la quantità quotidiana in un anno. In altri termini, questo potrebbe essere stato il calcolo se si fosse distribuito in questo arco di tempo, la quantità designata dalla prima parte della frase. Ma anche così, sorge un

1 Moriens septem annorum canonem, ita ut cottidiana septuaginta quinque milia modium expendi ossent, relinquit.

[Hist. Aug., Sev., 23, 2]. “Alla sua morte lasciò scorte granarie corrispondenti all’imposta complessiva di sette anni, così che se ne potevano distribuire giornalmente 75.000 moggi”. [(a cura di) P. SOVERINI, Scrittori della Storia Augusta, Torino 1983].

2 Cfr., F. DE ROMANIS, Septem annorum canon. Sul canon populi romani lasciato da Settimio Severo, Rend. Mor.

Acc. Lincei,1996, S. 9, V, 7, pp. 133-159. Queste conclusioni sono state riprese dallo stesso autore nel 2003. Cfr., ib., Per una storia del tributo granario africano all’annona della Roma imperiale, in (a cura di) Br. MARIN, C. VIRLOUVET, Nourrir les cités de Méditerranée. Antiquité – Temps Modernes, Paris 2003, MMSH, Maisonneuve&Larose, pp. 691-738.

problema: la cifra 27.375.000 modii non è divisibile per sette. Federico De Romanis, allora, con argomenti convincenti, propone di correggere LXXV in CLXXV, cifra divisibile per sette. Il dato risulta molto alto, intendendo una contribuzione delle province e dei demani imperiali sette volte superiori agli effettivi bisogni delle distribuzioni gratuite, ossia cinque modii al mese a 150.000 aventi diritto.

A. Tchernia sostiene inoltre, nonostante le argomentazioni del De Romanis, che la seconda parte della frase potrebbe anche indicare più che una situazione reale, una possibilità, “une virtualité de consommation”, come indicherebbe l’espressione expendi possent, la quale non si sofferma sulla realizzazione1.

Lo studioso propone, inoltre, un secondo metodo di calcolo, partendo dalla cifra della popolazione di Roma, moltiplicandola per quella della consumazione per individuo, basandosi anche sui dati, anche se rari, relativi alle razioni e all’apporto calorico.

È un campo che mette in gioco delle variabili oltremodo incerte, che non possono essere considerate statiche per due secoli e mezzo. Pertanto, A. Tchernia ritiene che sia utile avere una forchetta cronologica, la quale ha come cifra massima 42 modii annuali per una popolazione di 1.200.000 abitanti. Questa proposta, tuttavia, appare nulla se non si tiene in considerazione il tasso di perdita del cereale stesso durante la fase di stoccaggio.

Riprendendo i dati delle prime due fonti precedentemente analizzate, abbiamo un apporto cerealicolo per Roma, pari a 60 milioni di modii annui che fa oscillare verso il numero massimo, dato da Tchernia. Questa cifra indica l’arrivo di grano a Roma, e non la consumazione della città. Questo grano poteva subire delle perdite, durante la fase di stoccaggio, dovute alla presenza di insetti e/o alla possibilità di fermentazione, così come al rischio di umidità.

G. Geraci ha calcolato un tasso di perdita pari al 20%, G. Rickman di almeno un quarto o un terzo; mentre A. Tchernia ritiene sia difficile dare una stima approssimativa di tale percentuale, dal momento che i risultati dovevano presentarsi di volta in volta ineguali, poiché il deterioramento poteva essere causato da un cattivo stato di conservazione così come da condizioni climatiche avverse2. Tuttavia, accettando la cifra di 60 milioni, pur se una parte andava perduta, si restava

verosimilmente sui 50 milioni che ci riconduce, quindi, al dato alto della forchetta presa in esame

1

Cfr., A. TCHERNIA, Les Romains, cit., 2011, pp. 249-251; F. DE ROMANIS, Septem annorum canon, 1996, cit., pp. 133-159; ib., Per una storia del tributo granario africano, cit., 2003, pp. 691-738.

2 Cfr., G. RICKMAN, Problems of transport and development of ports, in (a cura di) A. GIOVANNINI, Nourrir la

plèbe: actes du colloque en hommage à Denis van Berchem (Genève, 28-29 septembre 1989), Bâle 1991, Friedrich Reinhardt, pp. 103-115; G. GERACI, Alessandria, l’Egitto e il rifornimento frumentario di Roma, in (a cura di) Br. MARIN, C. VIRLOUVET, Nourrir les cités de Méditerranée. Antiquité – Temps Modernes, Paris 2003, MMSH, Maisonneuve&Larose, pp. 625-690 (in particolare, pp. 635-639); A. TCHERNIA, Les Romains, cit., 2011, p. 255.

dallo studioso. Accettando la datazione augustea del passo della Epit. de Caesaribus, prospettata da Geraci1, bisogna comunque ammettere, come sottolinea Tchernia, che tre quarti di secolo la

separano dal brano di Flavio Giuseppe: “la part de l’Égypte dans le ravitaillement en blé de Rome a pu entre-temps changer”. Ovviamente può essere cambiato nel quadro di un aumento totale degli arrivi di grano a Roma e non di una diminuzione delle quantità prelevate in Egitto2.

Anche se questa analisi ci lascia propendere verso un contributo quasi sempre costante dei convogli provenienti dall’Egitto, così come dall’Africa, è anche vero che queste terre furono colpite, soprattutto durante l’età imperiale, da carestie e guerre interne che causarono, anche se lentamente, un progressivo impoverimento dei campi messi a coltura.