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Da sempre l’uomo ha avuto la tendenza ad addomesticare il mondo che lo circonda, cercando di creare un ambiente più favorevole dove poter vivere. La necessità e l’istinto di nutrizione, hanno spinto l’uomo a creare tecniche, quali l’agricoltura e l’allevamento, in grado di fornirgli regolarmente cibo. Queste tecniche, risalenti a più di diecimila anni fa, contribuiscono alla creazione di un sistema in cui piante ed animali vengono a dipendere dall’uomo. Non è più la natura a fornire spontaneamente i propri frutti all’uomo ma, viceversa, è l’uomo a ‘creare’ cibo, decidendo cosa e quanto coltivare o allevare. L’essere umano interviene così sulla natura, adattandola ai propri bisogni ed esigenze. Nel corso della storia, si è assistito a sempre maggiori e più invasivi interventi dell’ uomo sull’ambiente, che grazie al suo ingegno ha sviluppato (e continua a sviluppare) nuove tecniche necessarie per conoscere, studiare e quindi controllare l’ambiente che lo circonda.

Questi interventi non hanno mai suscitato così tanta preoccupazione come nel secolo scorso: l’intervento umano nella modificazione del terreno per l’agricoltura, la caccia e la pesca e la distruzione degli habitat da parte dell’industria sono aumentate in modo esponenziale con la rapida crescita della popolazione ed hanno spesso portato ad una devastante perdita di biodiversità, oltre che ad un forte cambiamento climatico.41

La crescente consapevolezza dell’impatto negativo che l’attività umana può avere sull’ambiente, è servita da stimolo alla comunità internazionale, la quale – dalla metà del secolo scorso in poi – ha iniziato a

41 SCURO A., Are GMOs good or bad seeds in the developing world?: a discussion of the

growing role of developing countries in the debate over climate change and the loss of biodiversity,

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32 preoccuparsi di tale problema. Un contributo fondamentale per lo sviluppo del diritto internazionale dell’ambiente è stato quello delle Nazioni Uniti. La Carta di San Francisco del 26 giugno 1945, istitutiva dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, non contiene ancora norme inerenti la tutela dell’ambiente o la conservazione delle risorse naturali, in quanto all’epoca, la sensibilità degli Stati nei confronti di tali questioni non era ancora sufficientemente sviluppata o forse si riteneva che le questioni ambientali non dovessero incidere su questioni di politica economica internazionale. Fra gli scopi dell’Organizzazione, vi sono però obiettivi, come la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi di carattere economico, sociale, culturale o umanitario42, al cui interno ben si

inseriscono iniziative a favore della tutela dell’ambiente. Innegabile è inoltre il collegamento fra problemi ecologici e mantenimento della pace e sicurezza internazionale, obiettivo primario dell’Organizzazione. Negli anni successivi, l’attenzione delle Nazione Unite nei confronti delle tematiche ambientali, attraverso il proprio Consiglio Economico e Sociale e l’Assemblea Generale, si è fatto sempre maggiore, con la convocazione della prima Conferenza del diritto del mare, ma soprattutto con la convocazione delle conferenze di Stoccolma, Rio de Janeiro e Johannesburg.43

Le Nazioni Unite hanno e continuano ad avere un ruolo fondamentale nella tutela dell’ambiente, contribuendo alla creazione di norme, istituzioni e meccanismi procedurali specificatamente dedicati ad esso; così, per esempio, la sovranità degli Stati non può più essere considerata assoluta, nuovi soggetti diversi dagli Stati, sono sempre più coinvolti nella formazione degli obblighi giuridici e del loro controllo. Al di là di questi significativi progressi, ci sono molti limiti ancora da superare. Infatti, non tutti i trattati ambientali sono stati ratificati e non

42 Carta delle Nazioni Unite, art. 1, par. 3.

43 Cfr. PINESCHI L., L’evoluzione storica, in FODELLA A., PINESCHI

L.(a cura di), La protezione dell’ambiente nel diritto internazionale, Giappichelli, Torino, 2009, pp. 12 ss.. Per approfondimenti sulle Nazioni Unite, si veda TREVES T., Diritto Internazionale: problemi fondamentali, Giuffrè, Milano, 2005, pp. 121 ss..

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33 tutti i trattati ratificati sono effettivamente attuati dalle parti, spesso prevale ancora un forte approccio antropocentrico e ancora inadeguati sono gli strumenti per contrastare l’esportazione di rischi ambientali attraverso imprese multinazionali.44

Al giorno d’oggi esiste, infatti, una contrapposizione fra sistemi di valori: c’è il sistema ‘biodiversità-ambiente-tradizione’ e il sistema ‘produzione-artificializzazione-progresso’, a cui fanno capo industrializzazione, urbanizzazione, inquinamento, introduzione degli organismi geneticamente modificati, crescita economica, progresso scientifico. La scienza svolge un ruolo fondamentale nel segnare questa contrapposizione, in quanto è sia il principale impulso dello sviluppo che la copertura ideologica di qualsiasi sviluppo. Infatti, senza gli utili del mercato la ricerca scientifica perderebbe gran parte dei propri finanziamenti, senza i quali non aumenterebbero le conoscenze; è proprio l’aumento di conoscenze che farebbe apparire la scienza come un ‘bene non problematico’, i cui benefici sarebbero sempre da far prevalere ad eventuali rischi. La scienza finirebbe, così, quasi per purificare il mercato: se ci sono diversi valori in gioco, devono prevalere solo quelli compatibili con il mercato, e quindi con la scienza.45

Nel corso dell’ultimo secolo, l’interesse della comunità internazionale si è evoluto progressivamente, passando da un approccio fortemente utilitarista ed antropocentrico (si veda come esempio la

Convenzione destinata ad assicurare la conservazione delle varie specie di animali selvatici in Africa, utili all’uomo o inoffensive, Londra, 1900) a un atteggiamento

protezionistico, ma separatista, in cui l’oggetto di tutela è posto lontano dalle attività umane e senza tener conto dei legami fra le specie e fra specie e habitat, per arrivare infine ad un approccio ecosistemico. Cambia anche

44 Cfr. PINESCHI L., L’evoluzione storica, op. cit., pp. 33-34. Per

approfondimenti sul diritto dei trattati si veda TREVES T., Diritto

Internazionale, op. cit., pp. 313 ss..

45 AMATO S., La biodiversità è un valore ?, in MARINI L., BOMPIANI A.(a

cura di), Agricoltura transgenica, convenzionale e biologica: verso una coesistenza

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34 il modo di considerare la specie: prima valutate in base alla loro utilità o dannosità per l’uomo, poi tutelate se rare ma sfruttate se abbondanti e infine salvaguardate in quanto costituenti un valore in sé, indipendentemente dal loro valore commerciale.46

Tale risultato è stato ottenuto attraverso molteplici tappe. Punto di partenza di questa lunga evoluzione è stata la Conferenza delle Nazioni Unite

sull’ambiente umano, tenutasi a Stoccolma dal 5 al 16 giugno 1972, in cui

parteciparono i rappresentanti di 113 Stati e molte organizzazioni non governative. La Conferenza si concluse con l’adozione di tre strumenti giuridicamente non vincolanti: una Dichiarazione di principi, volta a indicare obiettivi generali e alcune regole di condotta basilari in materia di tutela dell’ambiente; un Piano d’azione, contenente raccomandazioni per definire in dettaglio gli obiettivi definiti nella Dichiarazione di principi e una

risoluzione concernente questioni istituzionali e finanziarie, dal quale trarrà origine

l’UNEP (United Nations Environment Programme). L’UNEP ha un importante ruolo nel promuovere l’informazione e l’educazione nel settore ambientale, raccogliendo dati e producendo rapporti e documenti tecnico- scientifici e giuridici. Attraverso, sia l’adozione di strumenti di soft law, sia promuovendo la cooperazione e l’adozione di trattati in materia ambientale, l’UNEP contribuisce allo sviluppo del diritto internazionale dell’ambiente.47

Per quanto riguarda la Dichiarazione di Stoccolma48, nonostante il

forte approccio antropocentrico, confermato già nel titolo della Conferenza (on human environment), essa costituisce il primo strumento internazionale a enunciare, sul piano generale, alcune regole di condotta basilari in materia di protezione dell’ambiente, dalle quali emerge la convinzione della maggioranza degli Stati, secondo cui non è possibile

46 Cfr. MAFFEI M.C., La protezione delle specie, degli habitat e delle biodiversità, in

FODELLA A., PINESCHI L.(a cura di), La protezione dell’ambiente, op. cit., pp. 265 ss..

47 FODELLA A., I soggetti, in FODELLA A., PINESCHI L.(a cura di), La

protezione dell’ambiente, op. cit., p. 43.

48 Consultabile sul sito

http://www.unep.org/Documents.Multilingual/Default.asp?DocumentID=97&ArticleID= 1503 .

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35 affrontare e risolvere i problemi ambientali, se non attraverso un’azione comune. Due sono i punti chiave della Dichiarazione: l’enunciazione del divieto di inquinamento transfrontaliero e il rapporto tra sviluppo economico e protezione dell’ambiente. Il primo punto, contemplato nel principio 21, ribadisce il divieto di inquinamento transfrontaliero, già affermato nel caso della fonderia di Trail.49 Rispetto a tale sentenza però, il

principio 21 va oltre, affermando che:

‘States have, in accordance with the Charter of the United Nations and the principles of international law, the sovereign right to exploit their own resources pursuant to their own environmental policies, and the responsibility to ensure that activities within their jurisdiction or control do not cause damage to the environment of other States or of areas beyond the limits of national jurisdiction.’

Col principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma, il bene da proteggere diventa l’ambiente in sé considerato (damage to the environment), sia che si tratti di ambiente di altri Stati, sia che si tratti di aree poste al di fuori di qualsiasi giurisdizione nazionale. Si esclude in tal modo che uno Stato possa rivendicare l’esercizio di diritti assoluti all’interno delle proprie frontiere, ignorando gli effetti prodotti da determinate attività al di fuori del proprio territorio, oppure trascurando le conseguenze sul piano inter- temporale o inter-spaziale. Si afferma in tal modo un dovere di controllo e prevenzione nei confronti di qualsiasi attività, pubblica o privata, si svolga essa entro i limiti del territorio nazionale o al di fuori di esso; tuttavia, nella Dichiarazione di Stoccolma non si fa menzione di alcun obbligo procedurale per rendere effettivo il principio di prevenzione.50

49In tale controversia, risalente al 1941, emissioni di biossido di zolfo, provenienti

da stabilimenti industriali situati in Canada, provocarono conseguenze dannose ad alcuni agricoltori statunitensi. Il tribunale arbitrale investito della controversia, riconoscendo la responsabilità del governo canadese affermò che: “(…)under the

principles of international law, as well as the law of United States, no State has the right to use or permit the use of its territory in such a manner as to cause injury by fumes in or to the territory of another State or the properties or person therein, when the case is of serious consequence and the injury is established by clear and convincing evidence.” Cfr. PINESCHI

L., L’evoluzione storica, op. cit., pp. 10-11.

50 Cfr. PINESCHI L., L’evoluzione storica, op. cit. ,pp. 13 ss.; cfr. MONTINI M., La

necessità ambientale nel diritto internazionale e comunitario, Cedam, Padova, 2001, pp. 26

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36 Quanto al secondo punto, cioè al rapporto fra sviluppo economico e protezione dell’ambiente, la Conferenza di Stoccolma fu caratterizzata da una forte contrapposizione tra Stati industrializzati, che auspicavano l’affermazione di una nuova etica ambientale comune, e i Paesi in via di sviluppo, i quali temevano che le preoccupazioni ambientali degli Stati industrializzati fossero tese a impedire il loro sviluppo. È evidente il tentativo, effettuato durante la Conferenza di Stoccolma, di conciliare l’aspirazione allo sviluppo economico dei Paesi poveri con la gestione del rischio ambientale: nella Dichiarazione viene infatti affermato che condizioni di sottosviluppo possono essere all’origine di problemi ambientali, che lo sviluppo economico e sociale è una condizione necessaria per migliorare la qualità della vita e che l’assistenza tecnica e finanziaria è indispensabile per accelerare l’arretratezza economica (principi 9 e 12). Nel preambolo della Dichiarazione, i Paesi in via di sviluppo sono riusciti a fare introdurre la distinzione fra l’inquinamento provocato dai ‘poveri’ (essenzialmente dovuto dalla mancanza di sviluppo) e quello dei ‘ricchi’ (risultante da un rapido processo d’industrializzazione). Nel principio 23 della Dichiarazione, sono stati recepiti due concetti fondamentali, anch’essi fortemente voluti dai Paesi in via di sviluppo, ovvero il diritto di ogni Stato di conservare il proprio sistemi di valori culturali e spirituali e la non necessaria omogeneità nell’applicazione degli standard ambientali. Il principio successivo esalta l’importanza della cooperazione fra tutti gli Stati. Nonostante l’enunciazione di questi fondamentali principi, la Dichiarazione di Stoccolma non pone ancora i presupposti per una vera e propria strategia internazionale volta a integrare la protezione dell’ambiente nei programmi di sviluppo economico.51

Come già accennato, la Dichiarazione di Stoccolma enuncia, per la prima volta, il principio generale di prevenzione, secondo cui gli Stati

internazionale dell’ambiente, in quanto comprende al suo interno due fondamentali interessi contrapposti. Da un lato vi è l’interesse degli Stati ad un utilizzo indisturbato delle proprie risorse naturali, dall’altra l’obbligo di esercitare un controllo sulle attività poste in essere nel proprio territorio, in modo da non provocare danni al territorio di altri Stati o ad aree non sottoposto alla giurisdizione di alcuno Stato.

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37 hanno l’obbligo di comportarsi in maniera diligente, adottando misure adeguate per prevenire i danni ambientali ed evitare rischi ingiustificati per l’ambiente. Col principio di prevenzione si vuole anticipare la tutela dell’ambiente prima del danno e della sua riparazione, evitando comportamenti rischiosi per l’ambiente in quanto tali, a prescindere da un eventuale danno successivo: uno Stato integrerebbe un illecito internazionale per il sol fatto di non aver tenuto il giusto comportamento preventivo e per aver creato un rischio ingiustificato per l’ambiente, anche senza che da ciò non sia risultato alcun danno. Si vuole in tal modo incoraggiare la prevenzione, soprattutto alla luce delle difficoltà di ripristinare le situazioni ex quo ante. Parte delle dottrina considera il principio di prevenzione già implicito nel divieto di inquinamento transfrontaliero; secondo altri, invece, tale principio è autonomo e sarebbe suscettibile di un’applicazione più generale, in quanto sarebbe applicabile per evitare danni ambientali in quanto tali, a prescindere dalla natura transfrontaliera del rischio o dell’ipotetico danno. È innegabile l’esistenza di una norma generale in materia di prevenzione del danno ambientale; ancora oggi, però, esiste un margine non irrilevante di incertezza sul contenuto del principio, in particolare per quanto riguarda lo standard di prevenzione e gli obblighi contemplati dallo stesso.52