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I casi in cui è sufficiente il consenso informato del minore

Capitolo 3: il trattamento sanitario del minore

II. I casi in cui è sufficiente il consenso informato del minore

del trattamento, la sua volontà consenziente o dissenziente deve essere presa in considerazione, fino ad assumere un ruolo determinante, in relazione alla sua maturità216.

Quelli a cui abbiamo fatto riferimento sono documenti privi di valore giuridico, che assolvono solo una funzione orientativa, ma mostrano come quanto affermato dalla dottrina sia stato recepito anche specificamente all’interno del settore sanitario.

II. I casi in cui è sufficiente il consenso informato del

minore

In alcune leggi speciali, che riguardano specifici trattamenti sanitari, si prevede la possibilità per il minore di manifestare direttamente e personalmente il consenso informato, di solito senza riferimenti a fasce di età predeterminate217.

La legge n. 194 del 1978218 prevede anche per i minori il diritto di

ottenere la prescrizione di farmaci contraccettivi che richiedono il controllo medico, anche all’insaputa dei genitori, tramite l’accesso ai consultori

215 Di cui si è detto nel cap. 1. 216 MATUCCI G., op. cit., pp. 151-152.

217 PICCINNI M., op. cit., p. 246 ss.; LENTI L., op. cit., p. 449 ss.; MORO A. C., op. cit., p. 247

ss.; STEFANELLI S., op. cit., pp. 641-642; VERCELLONE P., Il corpo del minorenne: i trattamenti

sanitari, in Trattato di diritto di famiglia diretto da Paolo Zatti, II, Filiazione, a cura di Collura

G., Lenti L., Mantovani M., 2 ed., Giuffrè, 2012, p. 1261 ss.

218 Denominata “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria

75 familiari, che si impegneranno anche a svolgere una funzione informativa ed educativa219.

Per quanto riguarda l’interruzione della gravidanza220 delle minorenni, è

consentito loro di formulare personalmente la richiesta, accompagnata però, dell’assenso di chi esercita la responsabilità genitoriale o la tutela221.

Prevedendo, poi, la possibilità di conflitti tra l’interesse della minore e ciò che i suoi genitori ritengano sia meglio per lei, nei primi novanta giorni dal concepimento, in presenza di seri motivi che “impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la responsabilità genitoriale o la tutela” o in caso di loro dissenso, la donna può chiedere di essere autorizzata all’interruzione volontaria della gravidanza dal giudice tutelare. Il giudice deciderà, dopo aver sentito la donna, tenendo conto della sua volontà e delle sue ragioni, oltre che di una relazione trasmessa dal medico.

Se, invece, sussiste un accertato grave pericolo per la salute della minore, è possibile per la stessa accedere all’interruzione volontaria della gravidanza, sempre nei primi 90 giorni, indipendentemente dall’assenso dei rappresentanti legali.

Dopo i primi 90 giorni, la richiedente minorenne è equiparata alla maggiorenne, infatti, le si applica la stessa procedura di accertamento delle gravi condizioni per ricorrere al trattamento.

La Corte costituzionale222 ha più volte respinto le questioni di legittimità

costituzionale sollevate rispetto alla legge n. 194, precisando che il giudice tutelare, nel decidere se autorizzare il ricorso all’interruzione della gravidanza da parte della minorenne, una volta accertati i presupposti previsti dalla legge, non ha la possibilità di discostarsi dalla volontà

219 PICCINNI M., op. cit., pp. 219-220: LENTI L., op. cit., p. 449. 220 Artt. 12-13 della legge n. 194 del 1978.

221 Sull’aborto della minorenne cfr. GIARDINA F., La condizione giuridica del minore, cit.,

p. 154 ss.; MORO A. C., op. cit., pp. 251-252; DE PAMPHILIS M., op. cit., p. 1111 ss.

222 La Corte Costituzionale si è pronunciata per la prima volta, ammettendo il referendum

sulla legge n. 194, con la decisione del 10 febbraio 1981, n. 26, in Foro it., 1981, I, p. 918 ss.; l’ultima volta con la decisione 23 febbraio 2013, n. 324, in Giur. cost., 2013, VI, p. 5098 ss.

76 manifestata dalla ragazza. Il giudice tutelare potrà negare l’autorizzazione soltanto quando escluda che l’interessata sia consapevole delle conseguenze della propria decisione o ritenga che non si trovi in una situazione di piena libertà morale.

Inoltre, la giurisprudenza di merito223 ha sottolineato che nell’ipotesi di

interruzione volontaria della gravidanza successiva al novantesimo giorno, poiché la richiesta della minore è motivata dal grave e immediato pericolo per la sua salute, si deve escludere la necessità dell’assenso dei genitori o del tutore, nonché dell’intervento del giudice tutelare, essendo legittimata la minorenne ad esercitare direttamente ed in piena autonomia il proprio diritto alla salute.

L’art. 120 del d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309224 prevede la facoltà per il

minore che faccia uso di sostanze stupefacenti o psicotrope di chiedere personalmente di essere sottoposto ad accertamenti diagnostici e ad un programma terapeutico e socioriabilitativo, senza indicazione di una fascia d’età al di sotto della quale non sarebbe possibile una sua decisione autonoma225. Viene, quindi, conferita un’autonomia decisionale anche a

soggetti in giovane età, non solo con riguardo all’espressione del consenso al trattamento, ma anche alla scelta della tipologia di intervento e delle modalità del suo svolgimento. Una scelta di questo tipo, unita al riconoscimento del diritto a non informare i genitori (diritto all’anonimato226), è volta a incentivare il minore a rivolgersi agli operatori

sanitari, senza aver timore che i genitori vengano a conoscenza della sua situazione.

223 App. Brescia 13 dicembre 1999, in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, p. 207 ss. 224 Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.

225 Moro A. C., op. cit., pp. 248-249; STEFANELLI S., op. cit., p. 643; LENTI L., op. cit., p.

450.

77 L’art. 5 della legge 5 giugno 1990, n. 135227 stabilisce al comma 4 che i

risultati degli accertamenti diagnostici per l’infezione da virus HIV debbano essere resi noti solo all’interessato e, per ragioni di coerenza logica con la regola stabilita per gli accertamenti relativi all’uso di sostanze stupefacenti, si ritiene che la regola valga anche per il minore che li abbia richiesti personalmente, escludendo i genitori228.

Secondo l’opinione di alcuni illustri giudici minorili, tuttavia, sia nel caso della tossicodipendenza, che della sieropositività, gli operatori sanitari sarebbero autorizzati “a rivelare la situazione ai genitori quando la loro collaborazione sia ritenuta necessaria perché si possano ottenere risultati utili”229. Ciò è confermato dall’art. 75 del d.p.r. n. 309 del 1990 che al comma

8 prevede: “il prefetto convoca, se possibile ed opportuno, i familiari, li rende edotti delle circostanze di fatto” e dall’art. 622 c.p. che punisce la violazione del segreto professionale solo in assenza di una giusta causa, mentre quella di concorrere a salvare il minore sembra esserlo.

Per quanto riguarda le donazioni di tessuti o organi, che non sono trattamenti sanitari in senso stretto in quanto non sono volti alla tutela della salute del soggetto, il legislatore ha voluto salvaguardare la preminenza del diritto alla salute del minore, specialmente da possibili strumentalizzazioni, poiché oltre all’interesse del minore vengono coinvolti anche interessi di terzi230. Infatti, la legge 26 giugno 1967, n. 458 e la legge 16 dicembre 1999,

n. 483 escludono senza eccezioni la donazione di un rene e del fegato o di parte di esso ad opera di un minorenne, anche se stretto congiunto del donatario, poiché si tratta di interventi molto incisivi rispetto all’integrità fisica del soggetto.

La legge 21 ottobre 2005 n. 219, invece, consente “la donazione di sangue o di emocomponenti, nonché il prelievo di cellule staminali

227 Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’Aids 228 VERCELLONE P., op. cit., p. 1268; LENTI L., op. cit., p. 451.

229 LENTI L., op. cit., p. 451; VERCELLONE P., op. cit., pp. 1268-1269.; MORO A. C., op. cit.,

p. 249.

78 emopoietiche periferiche, a scopo di infusione per allotrapianto e per autotrapianto”231 di minori, ma il consenso è espresso dal rappresentante

legale, trascurando totalmente un loro coinvolgimento, anche se non potrebbe ipotizzarsi una donazione di questo tipo contro la loro volontà. Solo la partoriente minore di età può donare personalmente e direttamente le cellule staminali emopoietiche da cordone ombelicale, esprimendo personalmente il proprio consenso informato al momento del parto232.

Soltanto in questi casi espressamente definiti, dunque, è possibile parlare di autodeterminazione in senso forte del minore, poiché l’ordinamento gli riconosce il diritto di richiedere personalmente determinati trattamenti e di esprimere direttamente il consenso con valore vincolante. Si tratta, però, solo di eccezioni alla regola generale della rappresentanza legale riconfermata dalla legge sul consenso informato del 2017.

III. L’art. 3 della legge n. 219 del 2017

L’art. 3 della legge sul consenso informato afferma: “La persona minore di età o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all'articolo 1, comma 1. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà”233.

Il legislatore riconosce al minore senza limiti di età, distinguendolo dagli altri incapaci, il diritto alla valorizzazione delle proprie capacità, elemento che deve precedere e accompagnare l’informazione, che sarà calibrata rispetto alle specifiche condizioni del minore e alla sua capacità di

231 Art. 3 comma 2

232 In base sempre all’art. 3 della stessa legge.

233 Cfr. SENIGAGLIA R., op. cit., p. 1326 ss.; DI COSTANZO C., op. cit., p. 307 ss.; ASTONE

A., op. cit., pp. 1527-1531; BALDINI G., op. cit., p. 122 ss.; FERRANDO G., Minori e incapaci, in

Forum: la legge n. 219 del 2017. Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, in Biolaw Journal - Rivista di biodiritto, 2018, I, pp. 46-51.

79 comprensione234. Pertanto, dovrà essere utilizzato un linguaggio semplice e

chiaro, in modo tale che il minore possa capire la sua situazione clinica e tutti gli aspetti del trattamento che gli viene proposto (le modalità di svolgimento, i rischi, i comportamenti che dovrà tenere prima e durante il trattamento) e possa formarsi un’opinione autonoma in merito alla sottoposizione allo stesso.

La valorizzazione di cui parla l’art. 3, però, è riferita non solo alla capacità di comprensione, ma anche a quella di decisione, perciò non può esplicarsi compiutamente solo con l’informazione: il minore, anche privo di una totale capacità di discernimento, dovrà essere incluso in tutta la procedura relativa agli accertamenti e ai trattamenti sanitari che lo riguardano, sia nella fase valutativa che in quella decisionale235. Tale principio di inclusione ha come

presupposto il diritto del minore ad essere ascoltato (art. 315 bis), funzionale a conoscere l’opinione del minore e a far emergere la sua visione del proprio interesse. In questo senso, il “diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione” sembrerebbe una specificazione o meglio un’intensificazione del diritto all’ascolto, ma quanto affermato dal comma 2 dell’art. 3 non consente di annoverare tra i suoi significati anche quello di conferire alla volontà del minore il valore di consenso o di rifiuto del trattamento sanitario, ma solo un peso rilevante nella formazione dell’atto di manifestazione di volontà del rappresentante legale. Infatti, il comma 2 recita: “Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”.

Questo intervento normativo poteva essere l’opportunità per superare l’approccio settoriale delle precedenti leggi speciali che attribuivano al minore la capacità di decidere in merito ad alcuni trattamenti sanitari,

234 SENIGAGLIA R., op. cit., p. 1334 ss. 235 SENIGAGLIA R., op. cit., p. 1337 ss.

80 definendo con una regola generale e precisa il ruolo del minore nell’espressione e nel rifiuto del consenso, a garanzia della certezza nei rapporti giuridici. Una parte della dottrina236 ritiene, tuttavia, che anche in

questo caso, il legislatore mostri una certa ritrosia nel riconoscere al minore, dotato della capacità di discernimento, la possibilità di compiere le scelte relative alla sua sfera personale, anche se con la supervisione dei genitori, delineando una disciplina a tratti incoerente.

Il consenso informato viene declinato dalla legge come un atto di autonomia del paziente (art. 1 comma 1), al quale soltanto compete l’esercizio di diritti strettamente personali, come quello alla salute e alla libertà personale, ma al comma 5 dell’art. 1 si precisa che il diritto di rifiutare un trattamento sanitario spetta al soggetto titolare della capacità di agire. Tale requisito sembra riguardare anche l’espressione del consenso, visto che l’art. 3 comma 2 richiede che sia manifestato da parte del rappresentante legale sia il consenso, tanto il rifiuto del trattamento sanitario.

Se per i diritti e le libertà fondamentali, come quelli protetti dalla legge n. 219 del 2017 ed esplicitati all’art. 1 comma 1, vige il principio dell’inseparabilità tra titolarità ed esercizio237, in quanto situazioni giuridiche

soggettive collegate allo sviluppo della personalità, “impedire al minore di compiere l’attività che è manifestazione dei fondamentali attributi della persona significa non solamente negargli la capacità giuridica, quanto privarlo della stessa soggettività”238.

Per evitare che il ricorso al criterio dell’incapacità di agire conduca a queste estreme conseguenze, il legislatore inserisce nell’art. 3 (comma 2) un inciso, imponendo al rappresentante legale del minore di tenere conto della volontà di quest’ultimo, in relazione alla sua età e alla sua maturità239. Si

prende atto che l’ordinamento non può ignorare le scelte consapevoli del

236 SENIGAGLIA R., op. cit., pp. 1326-1327. 237 Di cui si è detto nel cap. 2 par. 1

238 STANZIONE P., Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Napoli,

Jovene, 1975, p. 302.

81 minore240, maturate con capacità di giudizio ed espressione della sua

identità, ma, ricorrendo all’istituto della sostituzione nell’attività giuridica, viene lasciata al rappresentante legale ogni valutazione sulla conformità della scelta del minore rispetto al suo interesse e quindi sull’opportunità di rispettarla. Tuttavia, proprio le recenti riforme hanno prospettato l’attribuzione di un peso maggiore alla manifestazione di volontà del minore. In ogni caso, appare ingiustificato e incoerente attribuire al minore il “diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e decisione” nel perimetro di tutela definito dai diritti menzionati dall’art. 1 comma 1 (diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione), riconosciuti ad ogni altro paziente, e non permettergli di esercitarli fino in fondo, esprimendo il consenso o il rifiuto alle cure direttamente e personalmente, quando è in grado di comprendere contenuti e implicazioni del trattamento sanitario. Il legislatore ha perso l’occasione di far riferimento al criterio della capacità di discernimento, specialmente per valorizzare l’autodeterminazione dei minori prossimi alla maggiore età, dimostrando ancora una volta di essere legato all’antico dogma della capacità di agire.

L’autore R. Senigaglia propone, però, una lettura costituzionalmente orientata241 della disposizione dell’art. 3, l. n. 219/’17, affermando che nel

“tener conto della volontà del minore” non sarebbe richiesto al rappresentante legale “di sostituire l’interessato nella scelta, bensì di concorrere con lui nella medesima, di farsi portatore di una volontà attinta dall’identità del minorenne”242. Tale locuzione avrebbe per l’autore lo stesso

significato del termine “rispetto” utilizzato dall’art. 315 bis: il rappresentante legale del minore dovrebbe manifestare una volontà

240 Vista la riforma del diritto di famiglia e l’introduzione del diritto all’ascolto del minore,

oltre all’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in materia di trattamenti sanitari precedente all’emanazione della legge n. 219 del 2017.

241 Nello stesso senso anche A. Astone, op. cit., pp. 1530-1531 e G. Ferrando, op. ult. cit.,

pp. 48-49.

82 finalizzata a realizzare l’interesse di quest’ultimo, non etero- determinandolo, ma declinandolo insieme al minore come espressione della sua identità.

L’intensità, poi, di quel “tener conto” non dovrebbe dipendere dalla discrezionalità del genitore o del tutore, ma dalla capacità di discernimento del minore: se la persona minore ne è dotata ed è in grado di decidere, sarà la sua volontà ad essere manifestata all’esterno dal rappresentante legale, mentre se non ne è dotata, il rappresentante legale dovrà farsi interprete dell’identità del minore e prendere una decisione ad essa conforme243. In

tutto ciò si esprime l’evoluzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale nella sua funzione di cura del figlio, diversamente declinata dalla dottrina in relazione alla maturazione del minore, consentendo di preservare un giusto equilibrio tra il polo della protezione e quello dell’autonomia del minore.

Pertanto, è il parametro dell’identità, sintetizzato nello scopo di tutela del diritto alla salute psico-fisica, alla vita e alla dignità del minore, a definire i limiti del corretto esercizio della funzione di rappresentanza del genitore o del tutore nell’espressione del consenso o del rifiuto al trattamento sanitario244.

Se il titolare della responsabilità genitoriale prende una decisione non rispettosa della personalità del figlio oppure contraria al suo benessere psico-fisico, secondo il minore, il medico o l’altro genitore, si verificherà una situazione di conflitto, che per essere risolta richiederà l’intervento del giudice.

Le decisioni relative ai trattamenti sanitari possono essere collocate tra le questioni di particolare importanza che devono essere prese di comune

243 SENIGAGLIA R., op. cit., p. 1347. 244 SENIGAGLIA R., op. cit., p. 1348.

83 accordo tra i genitori, perciò in caso di disaccordo è applicabile la procedura prevista dall’art. 316 comma 2 c.c., su ricorso di ciascuno dei due245.

Quando, invece, il minore è sufficientemente maturo per opporsi al trattamento al quale i genitori sono favorevoli oppure a lamentare il fatto che essi non hanno tenuto in considerazione la sua volontà, potrà richiedere un provvedimento ex art. 333 o 330 c.c. a tutela della sua libertà di autodeterminazione, tramite una segnalazione alla Procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni246. Pertanto, in caso di contrasto interno

tra rappresentante legale e minore, tale conflitto dovrà passare dalla verifica della conformità dell’esercizio delle funzioni di rappresentanza ai doveri previsti dalla legge, ex artt. 333 e 330 c.c.

Il comma 5 dell’art. 3 della legge n. 219 disciplina espressamente i casi di contrasto tra medico e rappresentante legale del minore o di altro incapace, rimettendo la decisione al giudice tutelare su ricorso di una molteplicità di soggetti, tra i quali il rappresentante legale, la persona interessata e il medico247. In realtà, il comma 5 si riferisce solo al caso in cui il

rappresentante legale rifiuti un trattamento che il medico reputi necessario; in questa ipotesi nella prassi precedente alla legge n. 219 era applicato l’art. 333 c.c., perciò il medico ricorreva al tribunale per i minorenni per ottenere un provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale.

Nel caso opposto, cioè quando sia il medico ad opporsi a un trattamento richiesto dai genitori, va ricordato che il paziente non può fare richieste improprie: “non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali” (art. 1 comma 6). Questa disposizione è stata inserita rievocando il periodo in cui ci fu ampia richiesta di sottoporsi al Multi-trattamento Di Bella, per il

245 Moro A. C., op. cit., p. 241; MAINARDI M. (a cura di), Testamento biologico e consenso informato. Legge 22 dicembre 2017 n 219, Giappichelli Editore, Torino, 2018, p. 10;

FERRANDO G., op. ult. cit., p. 50.

246 SENIGAGLIA R., op. cit., p. 1349. 247 FERRANDO G., op. cit., p. 50.

84 quale fu accertata l’assenza di riscontri scientifici circa i suoi fondamenti e la sua efficacia.

Il Tribunale di Pavia ha sollevato una questione di legittimità costituzionale rispetto all’art 3 commi 4 e 5 della legge n. 219 del 2017, nella parte in cui le disposizioni citate stabiliscono che l’amministratore di sostegno o il rappresentante legale della persona interdetta oppure inabilitata, o ancora il rappresentante legale del minore, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento, possano rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’incapace o del minore, ritenendo che le disposizioni violino gli articoli 2, 3, 13, 32 della Costituzione248. Il tribunale auspicherebbe la

necessità di richiedere sempre l’autorizzazione del giudice, quando il rappresentante legale rifiuti un trattamento necessario per la vita del paziente, non solo quando sorga un contrasto con il medico249. Il fulcro della

questione è che il diritto di rifiutare le cure è un diritto personalissimo, delegabile a terzi solo nella fase dichiarativa e non in quella della formazione della volontà, perciò se il rifiuto può pregiudicare il diritto alla vita, perché relativo a trattamenti necessari, il giudice dovrebbe sempre intervenire a garanzia del minore o dell’incapace, facendone emergere la volontà con vari strumenti di indagine, primo tra tutti l’ascolto, se il minore è ancora in grado di esprimere la propria opinione.

L’autrice M. Piccinni, nella nota di commento all’ordinanza250, ritiene che

la questione sollevata dal Tribunale di Pavia non sia rilevante e ne indica il motivo nella ratio dell’intervento residuale del giudice tutelare previsto dal comma 5. Quando il malato si trova in una struttura sanitaria, ai poteri- doveri di cura del rappresentante legale si aggiungono quelli collegati alla

248 Trib. Pavia 28 marzo 2018, in G. U. 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale, n. 36, 2018,

p. 27 ss.

249 BALDINI G., op. cit., pp. 144-145.