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La dottrina precedente alla legge n 219 del 2017

Capitolo 3: il trattamento sanitario del minore

I. La dottrina precedente alla legge n 219 del 2017

Prima dell’emanazione della legge n. 219 del 2017, la situazione del minore rispetto al trattamento medico risultava complessa e carica di incertezze, non esistendo una regola generale chiara ed univoca, ma solo delle leggi speciali relative a trattamenti sanitari specifici201.

201 MORO A. C., op. cit., p. 239 ss.; PICCINNI M., op. cit., p. 243 ss.; LENTI L., Il consenso informato ai trattamenti sanitari per i minorenni, in Trattato di Biodiritto diretto da Stefano

Rodotà e Paolo Zatti, I diritti in Medicina, a cura di Lenti L., Palermo Fabris E. , Zatti P., Giuffrè, 2011, p. 417 ss.

69 Poiché in questo settore la scelta dell’individuo non esaurisce i propri effetti nella sfera del soggetto che la compie, ma ha la funzione di legittimare una condotta altrui (quella del medico), si è sempre preferito ricorrere all’istituto della rappresentanza legale, richiedendo la manifestazione del consenso ai genitori o al tutore del minore. Ciò garantisce adeguate esigenze di certezza, visto che, date le molteplici variabili fattuali, è difficile stabilire a priori quando il minore sia in grado di assumere una decisione in tal senso, anche se spesso ciò non coincide con l’acquisto della capacità di agire al compimento dei diciotto anni.

L'intreccio di tre processi storici, cioè il declino della concezione autoritaria del rapporto genitori-figli, il superamento del paternalismo medico e il riconoscimento della piena soggettività al minore con la titolarità di propri diritti, ha permesso di superare la concezione dell'assoluta incapacità di agire del minore anche rispetto alla manifestazione di volontà in merito ai trattamenti sanitari e di valorizzare il suo coinvolgimento nelle decisioni che lo riguardano in questo ambito202.

Secondo l’autore G. C. Turri, il consenso informato manifestato dai genitori a un intervento medico sul figlio rientrerebbe nell’esercizio della responsabilità genitoriale, ma i genitori nel compimento di quell’atto agirebbero nell’esercizio del loro potere-dovere di cura e non in nome e per conto del figlio, in sua sostituzione. Infatti, egli ritiene che il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo sia un diritto personalissimo che non può essere delegato ad altri203.

L’autore, in base alla sua ricostruzione, sostiene che non sia possibile riconoscere al minore il diritto di esprimere in maniera autonoma il consenso all’atto medico (autodeterminazione in senso forte), in assenza di una norma giuridica che lo preveda espressamente204. Sostiene, invece, che

sia ipotizzabile attribuire al minore un’accezione debole di

202 TURRI G. C., Autodeterminazione, trattamenti sanitari e minorenni, in Questione giustizia, 2000, VI, p. 1098.

203 Ivi, p. 1098 ss.

70 autodeterminazione, collegata al riconoscimento di un valore rilevante, finanche potenzialmente decisivo, alla sua volontà all’interno del processo decisionale di medici e genitori, nella forma di assenso o dissenso rispetto alla loro proposta terapeutica.

La Convenzione di Oviedo205 sui diritti dell’uomo e la biomedicina

afferma all’art. 6 comma 2 qualcosa di molto simile al concetto denominato da G. C. Turri “autodeterminazione in senso debole”, poiché afferma: “Quando, secondo la legge, un minore non ha la capacità di dare consenso a un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge. Il parere del minore è preso in considerazione come un fattore sempre più determinante, in funzione della sua età e del suo grado di maturità”. In particolare, la scelta del termine “autorizzazione” in luogo di “consenso” vuole sottolineare che la dichiarazione del rappresentante legale è un atto formale che conferisce valore giuridico alla volontà di consentire che spetta sempre all’interessato, ma che da sola non sarebbe sufficiente206.

Un sostegno importante alla ricostruzione di G. C. Turri è dato, però, dal riferimento alla clausola generale dell’interesse del minore, che rappresenta una regola di comportamento per i genitori e un criterio fondamentale per il giudice che si trovi a risolvere conflitti che coinvolgono minori207. Proprio

sulla base di questo criterio, è possibile riconoscere al minore l’autodeterminazione, ma solo se la sua volontà corrisponde a ciò che i genitori, i medici ed eventualmente anche il giudice (quando coinvolto) reputano sia il suo migliore interesse. È per questo motivo che si parla di autodeterminazione in senso debole: l’efficacia decisiva della parola del minore è solo eventuale, condizionata dalla verifica di tale corrispondenza. In questo senso, il riferimento alla clausola generale dell’interesse del minore promuove la sua autodeterminazione solo quando la sua volontà è

205 Di cui si è detto nel cap. 1 206 MATUCCI G., op. cit., pp. 149-150. 207 TURRI G. C., op. cit., p. 1107 ss.

71 in linea con ciò che i genitori e i medici pensano sia il suo bene, in caso contrario tale clausola sosterrà azioni di protezione nei confronti del minore a scapito della sua autonomia e libertà. Quando si tratta di stabilire quale peso attribuire alla volontà del minore, il problema, anche in ambito sanitario, è far coesistere le istanze di protezione e quelle di autonomia, che coesistono nel criterio dell’interesse del minore.

Pertanto, la questione non è qual è l’interesse del minore, ma chi è idoneo a determinarlo e a decidere rispetto al trattamento sanitario del minore, specialmente quando si creeranno occasioni di conflitto tra i soggetti coinvolti208 (genitori, medici e minore). La difficoltà nella decisione

dipende anche dalla variabilità delle possibili situazioni di fatto, che possono riguardare sia interventi di routine (ad esempio, il rifiuto di un antibiotico o di un iniezione), sia casi estremi (ad esempio, l’interruzione delle cure per un malato terminale). Inoltre, molteplici possono essere le situazioni personali dei soggetti coinvolti, le condizioni di salute del paziente e le sue opportunità di cura.

L’autrice M. Piccinni individua delle soluzioni diverse alla questione sulla decisione rispetto al trattamento sanitario del minore, basandosi sul possesso o meno della capacità di discernimento da parte del minore e sul conseguente declinarsi in maniera diversa del potere di cura e protezione collegato alla responsabilità genitoriale209. In questo senso, nella richiesta

del consenso al trattamento sanitario, la volontà del rappresentante legale potrà essere considerata tendenzialmente necessaria, ma non sempre sufficiente.

Se il minore è totalmente privo della capacità di discernimento, come un neonato di pochi mesi o un bambino di pochi anni, non essendoci alcuno spazio per la sua autonomia, saranno unicamente i genitori ad esprimere un consenso necessario e sufficiente, in funzione di tutela e promozione del suo diritto alla salute. I genitori eserciteranno una funzione sostitutiva che rientra nel potere di cura collegato alla responsabilità genitoriale: poiché il

208 TURRI G. C., op. cit., p. 1098; PICCINNI M., op. cit., p. 255 ss.

72 minore non è in grado di determinare il proprio interesse, lo stesso è eterodeterminato dai suoi genitori, col controllo esterno del medico.

Se il minore è dotato di una parziale capacità di discernimento, dovrà essere valorizzata la sua autodeterminazione (in senso debole), pertanto la volontà del rappresentante legale dovrebbe affiancarsi a quella del minore, la quale sarà tanto più rilevante quanto più il soggetto mostrerà maturità e consapevolezza nella propria scelta. Minore e rappresentante legale decideranno di concerto, in modo tale che il minore possa esercitare la sua libertà di autodeterminazione, ma sotto il controllo e la protezione dei genitori.

La capacità di discernimento del minore dovrebbe essere valutata da genitori e medici attraverso l’ascolto, che è anche lo strumento che permette al minore di far valere la sua opinione e quindi di essere coinvolto nel processo decisionale 210 . L’ascolto dovrà essere preceduto da

un’adeguata informazione, poiché solo un’informazione commisurata alle capacità di comprensione del minore gli consentirà di formarsi un’opinione autonoma e consapevole, in proporzione alla sua età e alla sua maturità.

Pertanto, anche se l’ordinamento attribuisce valore formale solo alla manifestazione di volontà da parte del rappresentante legale del minore, dovrebbe essere preso in considerazione l’assenso o il dissenso di quest’ultimo rispetto alla proposta terapeutica. Tutto ciò, soprattutto in caso di rifiuto, considerata l’incoercibilità dei trattamenti sanitari in base al comma 2 dell’art. 32 Cost.: anche se il minore non può essere considerato in grado di esprimere una manifestazione di volontà giuridicamente vincolante, il suo dissenso non sarebbe superabile, nemmeno con una espressa previsione di legge, per il limite imposto dal rispetto della persona umana 211 . Infatti, l’esecuzione di un trattamento sanitario con il

trasferimento coattivo del minore presso la struttura sanitaria e la sua neutralizzazione fisica o farmacologica non preserverebbe la sua dignità.

210 PICCINNI M., op. cit., p. 268; TURRI G. C., op. cit., p. 1010 ss. 211 TURRI G. C., op. cit., pp. 1111-1112.

73 Una parte della dottrina 212 arriva a ipotizzare di attribuire

un’autodeterminazione in senso forte, quindi la possibilità di manifestare formalmente il consenso, al minore dotato della piena capacità di discernimento, come un adolescente prossimo alla maggiore età. Tale soggetto è ritenuto in grado di determinare autonomamente il proprio interesse al pari degli adulti, in ragione della sua maturità. In questa ipotesi, il genitore non si sostituirebbe più al minore nella scelta, esprimendo per lui il consenso, ma gli rilascerebbe solo una sorta di “autorizzazione”213, che

avrebbe la funzione di accertare l’idoneità della decisione del minore per il suo benessere psico-fisico; i genitori si renderebbero strumenti medianti i quali il minore porta all’esterno la sua manifestazione di volontà.

Tale corrente di pensiero è in linea con un recente orientamento giurisprudenziale che esclude la rappresentanza dei genitori nelle scelte mediche che riguardano il minore prossimo al raggiungimento della maggiore età e quindi della piena capacità di agire214.

La correlazione tra l’evolversi della capacità di discernimento del minore e il progredire del suo coinvolgimento nelle decisioni relative ai trattamenti sanitari, o meglio della rilevanza data alla sua autodeterminazione, è riscontrabile anche nel Codice di deontologia medica all’art. 35 comma 4 “il medico tiene in adeguata considerazione le opinioni espresse dal minore in tutti i processi decisionali che lo riguardano” e in maniera più compiuta all’art. 23 del Codice deontologico dell’infermiere “l’Infermiere, tenuto conto dell’età e del grado di maturità riscontrato, si adopera affinché sia presa in debita considerazione l’opinione del minore rispetto alle scelte curative, assistenziali e sperimentali, al fine di consentirgli di esprimere la sua volontà”.

212 PICCINNI M., op. cit., pp. 260 e 269.

213 Nella scelta del termine M. Piccinni riprende la Convenzione di Oviedo (art. 6 comma

2).

214 Vi abbiamo accennato alla fine del precedente capitolo, facendo riferimento a Trib.

74 Il ruolo del minore come soggetto compartecipe delle scelte sanitarie che lo riguardano è ancora più evidente all’art. 13 comma 1 del Codice del diritto del minore alla salute e ai servizi sanitari215 che stabilisce: “Il minore ha

diritto di essere coinvolto e di esprimere liberamente il proprio consenso o dissenso in merito a ogni decisione relativa alle pratiche sanitarie che lo riguardano, in ragione della sua capacità di discernimento”. La persona